verbali, locuzioni
Le locuzioni verbali (dette anche perifrasi verbali: Dardano & Trifone 1983: 364) sono costruzioni perifrastiche (➔ perifrastiche, strutture; ➔ locuzioni) formate da un verbo (➔ verbi) e da almeno un complemento, di tipo diretto o indiretto, tenuti insieme da una forte coesione strutturale e semantica.
Le costruzioni verbali formate da più parole ma indivisibili sintatticamente (➔ polirematiche, parole) – dette anche verbi analitici (Skytte 1983: 45) – possono essere suddivise in locuzioni verbali in senso stretto e verbi sintagmatici (Simone 1996; ➔ sintagmatici, verbi). Mentre i verbi sintagmatici sono caratteristicamente il risultato dell’unione di un verbo e di un avverbio (come in andare avanti, dare addosso, venire via), le locuzioni verbali sono formate da un nucleo verbale e da un complemento diretto o indiretto, come in fare ammenda, avere luogo, mettere in atto ecc.
Il significato delle locuzioni verbali si esaurisce generalmente nel complemento, mentre al verbo compete l’esplicitazione dei tratti grammaticali (Salvi 1988: 91): nella locuzione prendere posto in (1) la parte lessicale è espressa da posto mentre prendeva registra i tratti grammaticali di tempo, modo, aspetto, persona e numero:
(1) mentre Pietro prendeva posto entrò Francesca.
Il loro carattere lessicalmente neutro implica che i verbi delle locuzioni verbali siano in genere poveri semanticamente, come essere, avere, fare, andare, venire, prendere, dare, detti anche ➔ verbi supporto. I verbi supporto essere e avere che sono più produttivi danno luogo a diverse tipologie di locuzioni, tra cui le seguenti: essere + nome di agente deverbale in -tore (essere venditore, essere amministratore, essere formatore); essere + in + nome di azione deverbale (essere in apprensione, essere in contraddizione, essere in errore); essere + di + sintagma nominale modificato (essere di ottimo umore; essere di ingegno vivace, essere di larghe vedute); avere + complemento oggetto astratto (avere paura, avere sete, avere ragione); avere + complemento oggetto + complemento predicativo (avere le mani legate, avere la bocca cucita, avere le idee chiare); avere + in + nome astratto (avere in uggia, avere in mente, avere in animo) (Salvi 1988: 92).
La forte coesione interna e la fissità formulare impongono alle locuzioni verbali talune restrizioni di carattere morfosintattico. In primo luogo, quando il verbo che funge da nucleo (➔ sintagma, tipi di) è usato al participio passato, si tende a evitare l’accordo con il nome considerandolo invariabile, come in (2) per fatto menzione (Serianni 1988: 390):
(2) Il guasto e lo sperperìo della guerra, di quella bella guerra di cui abbiam fatto menzione di sopra, era tale, che, nella parte dello stato più vicina ad essa, molti poderi più dell’ordinario rimanevano incolti e abbandonati da’ contadini, i quali, in vece di procacciar col lavoro pane per sé e per gli altri, eran costretti d’andare ad accattarlo per carità (Alessandro Manzoni, I promessi sposi, XII)
Quando il complemento è un ➔ sintagma nominale, è frequente l’omissione dell’articolo, come in composti del tipo fare finta, dare atto, chiedere conto, cercare casa, trovare moglie, ecc. (► articolo). Non mancano tuttavia usi in cui l’articolo compare regolarmente, come in fare il callo, dare i numeri, chiedere la mano.
La coesione degli elementi interni alla locuzione non impedisce invece inserimenti di vario tipo tra verbo e complemento, come nei composti dare completamente atto, avere quasi luogo, mettere immediatamente in guardia.
Benché più diffuse nel parlato, le locuzioni verbali sono comuni in testi scritti di ogni tipo (➔ testo, tipi di), di carattere sia letterario che non letterario. Nel passo dei Promessi Sposi riportato in (3) si possono riconoscere le locuzioni verbali tirare al peggio, volgere in contesa, dare luogo, venire alle strette (oltre al verbo sintagmatico mandare giù); in (4), tratto da un articolo di giornale, compare la locuzione dare atto:
(3) Fra Cristoforo, avvertito da queste parole che quel signore cercava di tirare al peggio le sue, per volgere il discorso in contesa, e non dargli luogo di venire alle strette, s’impegnò tanto più alla sofferenza, risolvette di mandar giù qualunque cosa piacesse all’altro di dire, e rispose subito, con un tono sommesso: ‒ se ho detto cosa che le dispiaccia, è stato certamente contro la mia intenzione (Manzoni, I promessi sposi, VI)
(4) Prima di concludere, il pm Del Gaudio ha dato atto ai singoli imputati «di aver spesso fornito un contributo determinante alla lotta alla criminalità» («La Repubblica» 17 ottobre 2009).
Dardano, Maurizio & Trifone, Pietro (1983), Grammatica italiana. Con nozioni di linguistica, Bologna, Zanichelli (14a ed. 1995).
Salvi, Giampaolo (1988), La frase semplice, in Grande grammatica italiana di consultazione, a cura di L. Renzi, Id. & A. Cardinaletti, Bologna, il Mulino, 1988-1995, 3 voll., vol. 1° (La frase. I sintagmi nominale e preposizionale), pp. 29-114 (2a ed. 2001).
Serianni, Luca (1988), Grammatica italiana. Italiano comune e lingua letteraria. Suoni, forme, costrutti, con la collaborazione di A. Castelvecchi, Torino, UTET (2a ed. 1991).
Simone, Raffaele (1996), Esistono verbi sintagmatici in italiano?, «Cuadernos de filología italiana» 3, pp. 47-61.
Skytte, Gunver (1983), La sintassi dell’infinito in italiano moderno, København, Munksgaard, 2 voll.