LODIGIANI
Famiglia di imprenditori edili. Fondatore dell'impresa omonima fu Vincenzo (Gossolengo, presso Piacenza, 11 dic. 1875 - Roma, 9 apr. 1942), figlio di Luigi, agricoltore e proprietario terriero, e di Marcella Limani. Laureato nel 1900 in ingegneria civile a Torino, vinse subito un concorso, indetto dalla Cassa di risparmio di Piacenza, per il progetto di una scuola elementare; quindi seguì la costruzione di uno zuccherificio per la francese Compagnie sucrière de Sarmato, da cui era stato assunto. Nel 1903 sposò Emilia Ranza, di famiglia benestante piacentina, e l'anno successivo, lasciata la Sarmato, costituì una propria società per la costruzione di un altro zuccherificio; passò poi, in qualità di socio collaboratore, nell'impresa edile del cognato, Enrico Ranza, che gli diede l'aiuto necessario per avviare, nel 1906, un'attività in proprio, l'Impresa ing. Vincenzo Lodigiani.
Primi impegni della nuova ditta furono la costruzione dello stabilimento delle Officine meccaniche piacentine, di un ponte sul torrente Chiavenna e di un tronco della linea ferroviaria Cremona-Fidenza (allora Borgo San Donnino). Nel 1908 il L. ottenne dalle Ferrovie dello Stato, da poco costituite, l'appalto per la costruzione del ponte sul Taro a Fornovo; tale opera, insieme con il primo tronco della linea Fornovo-Fidenza, mise in luce le sue notevoli capacità tecniche e organizzative. Ciò gli valse, nel decennio successivo, contratti per fabbricati industriali a Genova e alla Spezia, per la sede della Banca di Piacenza e, soprattutto, per gallerie e raddoppi sulle linee ferroviarie Genova-La Spezia e Genova-Ventimiglia: tra queste ultime spiccò per la sua audacia il viadotto sull'abitato di Recco, costruito tra il 1914 e il 1918.
Nel frattempo Vincenzo aveva reinvestito parte degli utili nell'acquisto di tenute agricole nel Piacentino; inoltre, dimostrando notevole lungimiranza nel cogliere nuove occasioni offerte dai cambiamenti sociali in atto, nel 1901 aveva fondato la Cassa provinciale di previdenza di Piacenza e nel 1908 la sezione piacentina del Sindacato nazionale imprenditori opere pubbliche e private, di cui fu presidente fino al 1917, quando fu eletto a presiederne la sede centrale a Milano. Nel 1913 era anche entrato, come socio, in una piccola e pionieristica azienda di Piacenza attiva nella costruzione di macchine agricole, la Bubba.
Nel clima nazionalistico suscitato dall'intervento nella prima guerra mondiale e nell'immediato dopoguerra - quando suo cognato E. Ranza era sindaco di Piacenza e sua moglie presiedeva la locale Croce rossa - Vincenzo partecipò attivamente alla vita pubblica promuovendo, nel 1919, un Comitato per la difesa nazionale "dal quale ebbe ben presto origine il locale Fascio di combattimento" (L'Energia elettrica, XIX [1942], 4, p. 183) e avviando con mezzi propri, nel 1920, una lotteria nazionale in favore degli orfani dei contadini caduti.
Con queste premesse fu eletto presidente dell'Associazione nazionale (poi Federazione fascista) dei costruttori edili, che resse dal 1921 al 1927; in tale veste fece parte della Commissione ministeriale per la proprietà edilizia individuale, volta a contrastare la proliferazione delle cooperative a proprietà indivisa, e si occupò in prima persona di questioni cruciali come l'introduzione delle otto ore nei cantieri, la riforma del capitolato nazionale d'appalto e la creazione, a Genova, della Banca nazionale dei costruttori, di cui fu il primo presidente.
Questi impegni non lo distolsero dalla sua attività imprenditoriale. Nel 1923-25 costruì a Travo un ponte in cemento armato sul Trebbia, cui seguì immediatamente la canalizzazione delle acque raccolte da una diga edificata dal Consorzio irriguo Valtidone con la quale fu avviata la svolta decisiva che portò l'Impresa Lodigiani a occuparsi principalmente di dighe. Nel 1927, tale svolta fu coronata dal trasferimento dell'impresa, e della famiglia, a Milano e dalla trasformazione della ditta, il 30 dicembre di quell'anno, in società anonima (capitale 20.000 lire, salito, già il 1° febbr. 1928, a un milione). Non furono, tuttavia, trascurati né l'attività bancaria e industriale a Piacenza né i lavori nel settore ferroviario.
Nel 1926 il Consorzio di bonifica della Val d'Arda aveva assegnato alla Lodigiani la costruzione della diga di Mignano. Con i suoi 64 m di altezza, i 230.000 m3 di calcestruzzo, i 15 milioni di m3 d'acqua ritenuti, era un'opera notevole, che permise all'impresa di inserirsi ad alto livello nella costruzione di impianti idroelettrici promossa in quegli anni dal regime fascista: tra il 1930 e il 1935, la Lodigiani costruì l'impianto Codera-Ratti - tra Val Chiavenna e Valtellina - per conto della Società nazionale di elettricità, del gruppo Falck, destinato ad alimentare gli stabilimenti di Sesto San Giovanni. Seguirono la diga di Larecchio, in alta Val d'Ossola, per la Isorno, del gruppo Edison, e l'impianto idroelettrico di Vizzola Ticino della Elettrica lombarda, anch'essa Edison. L'imponente e complesso impianto idroelettrico di Bressanone, con le dighe di Fortezza in Valle Isarco e di Rio di Pusteria sulla Rienza (commissionato dalle Ferrovie dello Stato nel 1935, ma che sarebbe stato utilizzato dalla Montecatini per trent'anni), incontrò grandi difficoltà ed ebbe costi elevatissimi che ne ritardarono il compimento fino al 1941.
Nel settore ferroviario - con il cognato Ranza e con un altro imprenditore piacentino, M. Fioruzzi - Vincenzo dette vita a due società ferroviarie, la Emiliana e la Veneto-Emiliana, per la costruzione e la gestione di alcune linee secondarie, tra cui la Rimini-San Marino. L'impresa costruì anche ponti ferroviari sull'Isonzo, presso Villa Vicentina, e sull'Eneo (Fiume).
Contemporaneamente, la Lodigiani proseguiva un'intensa attività di edilizia civile e residenziale: case per impiegati dello Stato (a Piacenza e a Roma), e signorili (a Roma e a Milano); la sede delle Poste a Ferrara; e, nell'aprile 1940, nuove residenze a Milano sia per l'impresa sia per la famiglia. Allo scoppio della seconda guerra mondiale erano appena iniziati - per conto di una società del gruppo Edison, la Orobia - i lavori di un altro grande impianto idroelettrico in Valle Bitto, sopra Morbegno, ai laghi di Trona e dell'Inferno.
Il figlio primogenito Luigi, (Rottofreno, presso Piacenza, 20 sett. 1904 - Milano, 16 dic. 1968), benché coinvolto nell'impresa fin dalla laurea in ingegneria - conseguita a Padova nel 1927 - come vicepresidente e direttore dei lavori nel cantiere di Mignano, era stato avviato dal padre a occuparsi quasi esclusivamente della Bubba (nel frattempo interamente acquisita dai L.) e aveva, quindi, tenuto una posizione defilata rispetto al core business di famiglia. Alla morte di Vincenzo, Luigi mantenne la vicepresidenza e fu sempre coinvolto in tutte le decisioni strategiche importanti, ma di fatto fu assorbito soprattutto da attività esterne alla vera e propria conduzione dell'azienda.
Oltre all'impegno come consigliere delegato della Bubba, Luigi fu per oltre un decennio presidente della Banca di Piacenza (da lui fondata), quindi dell'Unione nazionale costruttori macchine agricole, dell'Unione cristiana imprenditori e dirigenti e dell'Unione agricoltori di Piacenza. Fu consigliere della Confagricoltura e dell'Associazione nazionale allevatori razza frisona, nonché consigliere comunale liberale a Piacenza dal 1951 al 1960 e a Milano dal 1964.
Le redini dell'impresa - che il fondatore aveva lasciato in buone condizioni ma in un momento storico difficile - furono invece assunte dal secondogenito, Paolo (Piacenza, 15 ott. 1908 - Milano, 10 giugno 1979), laureatosi in ingegneria civile al Politecnico di Milano nel 1930, e già da tempo braccio destro del padre. Il passaggio avvenne senza contrasti, con un accordo tra fratelli che restò saldo anche nei decenni successivi.
Nel periodo bellico la Bubba (già impegnata nella costruzione di trattori "a testa calda"), in quanto riconvertita alla produzione di proiettili si rivelò una risorsa essenziale, dal momento che i cantieri aperti nel biennio 1943-45 furono solamente due: uno per la costruzione di capannoni destinati allo sfollamento dei reparti FIAT a Bellinzago Novarese, presto requisito dagli occupanti tedeschi; l'altro impegnato in lavori vari presso l'impianto idroelettrico sul Lesina, in Valtellina, per conto della Carcano. Negli stessi anni Paolo partecipò alle iniziative prese dai responsabili della grande industria elettrica e dal Comitato di liberazione nazionale Alta Italia (CLNAI) per la difesa degli impianti idroelettrici che i Tedeschi minacciavano di distruggere; inoltre, in vista della ricostruzione postbellica, si dedicò allo studio dell'edilizia prefabbricata.
Nel dopoguerra il rilancio della Lodigiani partì, ancora una volta, dal settore ferroviario, con l'ardita attuazione, nel 1946, di un ponte provvisorio in legno, proposto da Paolo a sostituzione proprio del viadotto Lodigiani di Recco, distrutto dalle bombe. Contemporaneamente l'Azienda elettrica milanese (AEM) affidò all'impresa la costruzione della centrale di Lovero sull'Adda. Nel 1949 riprese la costruzione, integrale (diga, galleria di derivazione, condotta forzata e centrale) o parziale, di grandi impianti idroelettrici.
Tra questi, in Italia si ricordano: la diga di Ancipa, sul Troina, in Sicilia, di 112 m di altezza, per l'Ente siciliano di elettricità (1949-52); la diga sull'Adda in provincia di Sondrio, di 136 m ad arco di gravità, per l'AEM (1953-56); la diga di Gusana sul Taloro, in provincia di Nuoro, per la Società elettrica sarda (1959-61); la diga di Place Moulin sul torrente Buthier, in provincia di Aosta, di 155 m ad arco per il Consorzio elettrico Buthier (poi trasferita all'ENEL, nel 1963, e da questo portata a termine); in funzione di quest'ultima opera, nel 1959 venne costituita a Milano un'apposita società di cui facevano parte, oltre alla Lodigiani, la Girola e Italstrade, con un capitale di 12 milioni, elevato a 102 nel 1960, di cui Paolo fu vicepresidente.
La Lodigiani, ormai una delle imprese più qualificate per grandi opere idrauliche, nel dopoguerra lavorò molto anche all'estero.
Nel 1951 arrivò dal governo italiano il primo appalto per la diga sul Ladhon in Grecia, da costruire in conto riparazioni di guerra. Molti lavori furono eseguiti in Svizzera, fra cui: la diga ad arco di 141 m in Val di Lei costruita dalla GiLoVal (Girola e Lodigiani, 1957-60); la diga ad arco di gravità di 146 m di Limmernboden (consorzio Bauunternehmung Saumauer Limmernboden, 1959-62); il sistema idroelettrico della Val Maggia (LGV spa, 1965-70).
Nel 1955, su proposta della Impresit (gruppo IFI-FIAT), la Lodigiani aveva accettato di aderire, con la Girola e la Torno, al patto GILT (Girola, Impresit, Lodigiani, Torno), per concorrere a grandi appalti all'estero, e fu "impresa delegata" nella joint-venture costituita nel 1956 dal GILT, col nome di Impresit Kariba, per la costruzione sullo Zambesi, nella Rhodesia del Sud (oggi Zimbabwe), del più grande impianto idroelettrico del mondo fino ad allora realizzato, finanziato dalla Banca mondiale. Portata a termine avventurosamente (1956-60) ma con completo successo quest'opera (che ebbe l'attenzione e l'ammirazione dell'opinione pubblica internazionale) e defilatasi la Torno, le altre tre imprese costituirono, per i grandi lavori all'estero, una società apposita, la Impregilo spa (con quote paritarie al 33%, più un 1% all'IFI-FIAT che così si assicurava la maggioranza), la quale fece la sua prima prova in Iran, sul Dez, tra il 1960 e il 1963.
Proprio nel 1963, Luigi, sotto la pressione della concorrenza, si era deciso a vendere alla americana White la Bubba che non forniva utili, nonostante avesse invano tentato di rianimarla sia creando una nuova società (la Arbos), per la fabbricazione di biciclette sportive, sia riconvertendola alla produzione di mietitrebbie.
Alla morte di Luigi, nel 1968, la vicepresidenza dell'impresa fu assunta dal fratello minore, Giuseppe (Piacenza, 11 luglio 1918 - Milano, 9 ott. 2004), anch'egli ingegnere, il quale, già dal 1943 "consigliere tecnico" e dal 1958 consigliere delegato, svolgeva da tempo la funzione di coordinatore generale di quasi tutti i cantieri, soprattutto all'estero.
Negli anni successivi la Lodigiani svolse un'imponente attività ad ampio raggio, sempre più diversificata: in Italia, laddove i grandi lavori idraulici (in cui la ditta aveva raggiunto l'eccellenza) andavano man mano scemando, si orientò su lavori relativi a grandi infrastrutture sia urbane (metropolitane, centri commerciali, edifici di prestigio) sia extraurbane (strade, autostrade, ferrovie, porti, aeroporti). Per commesse particolarmente impegnative, furono costituite spesso associazioni con altre imprese (come la GiloVal, con Girola, e la Ferrofir, con Astaldi, Di Penta e Sogene per la direttissima ferroviaria Firenze-Roma).
Paolo, che non aveva figli maschi, lasciò la presidenza effettiva, assunta da Giuseppe, nel 1973, restando presidente onorario. Nel frattempo l'impresa era straordinariamente cresciuta, ma anche profondamente mutata, in sintonia con le profonde trasformazioni del Paese. Mentre nel 1956 la sua attività era in pratica esclusivamente idroelettrica, nel 1973 tale settore si era ridotto al 54,5% (tutto all'estero); le opere infrastrutturali, prevalentemente in Italia, la impegnavano per il 39,5% e l'edilizia civile e industriale per il restante 6. I cantieri aperti erano 42, di cui la metà in associazione, contro i 5, tutti a conduzione diretta, del 1956.
Fuori d'Europa la Lodigiani continuò a essere impegnata (con la Impregilo, di cui Giuseppe era consigliere delegato) soprattutto in grandi opere idrauliche: al 1991 risultavano costruite 18 dighe in quattro continenti, tra le quali quelle di Akosombo sul Volta (Ghana), di Roseiras sul Nilo Azzurro (Sudan), di Kainji sul Niger (Nigeria, 1964-69) e quella di Tarbela sull'Indo (Pakistan, 1968-77). Di particolare risonanza e prestigio fu la partecipazione a un'opera, realizzata tra il 1964 e il 1968, cui la Impregilo dette l'apporto principale: il salvataggio dei templi egizi di Abu Simbel, che sarebbero stati sommersi in seguito alla costruzione della grande diga di Assuan sul Nilo.
Nel 1983 anche Giuseppe lasciò la presidenza dell'impresa, di proprietà ormai di due famiglie, la sua e quella di Luigi, sostituito dal nipote Vincenzo che, nato nel 1932 dal matrimonio di Luigi con Carla Tesini, in consiglio aveva preso il posto del padre.
Fonti e Bibl.: Gli archivi dell'impresa e di famiglia risultano dispersi. Supplisce sostanziosamente il dattiloscritto inedito Ricordi di vita e di lavoro, di Giuseppe Lodigiani, che ne ha gentilmente concesso la consultazione. Utili notizie in Milano, Arch. della Camera di commercio industria e agricoltura (CCIA), Registro delle imprese, Certificazione storica 18.4.1996 (relativa alla I.P. Immobili e partecipazioni spa, iscritta al n. 25598). Oltre che nei giubilari (Impresa dott. ing. Vincenzo Lodigiani, Genova 1937; Impresa ing. Lodigiani spa Milano-Piacenza-Roma 1906-1956, Milano 1961; Impresa ing. Lodigiani spa Milano 1906-1966, ibid. 1966; Lodigiani spa 1906-1986. Ottant'anni di lavoro nel mondo, Milano-Mariano Comense 1986, con edizioni anche in inglese, francese e spagnolo), notizie tecniche e illustrazioni si trovano anche in: Le dighe di ritenuta degli impianti idroelettrici italiani, a cura della Commissione ANIDEL per lo studio dei problemi inerenti alle dighe, I-VII, Roma 1951-53, passim; A. Castellano, Le dighe di ritenuta in Valtellina nella prima metà del XX secolo, in Costruire in Lombardia 1880-1980. Rete e infrastrutture territoriali, a cura di A. Castellano - O. Selvafolta, Milano 1984, pp. 101, 126.
Sul fondatore dell'impresa: Il g.uff.ing. Vincenzo Lodigiani, Milano 1931; In memoria del dott. ing. Vincenzo Lodigiani, s.l. né d. [ma Milano 1942]; Biografia finanziaria italiana. Guida degli amministratori e dei sindaci delle società anonime per azioni, Roma (anni vari), ad nomen; F. Fiorentini, L., Vincenzo, in Nuovo Diz. biografico piacentino (1860-1960), Piacenza 1987, p. 156.
Non esiste alcuno studio storico sulle costruzioni ferroviarie e del tutto trascurata è l'industria delle costruzioni idroelettriche sia in L. Bortolotti, Storia della politica edilizia in Italia: proprietà, imprese edili e lavori pubblici dal primo dopoguerra ad oggi (1919-1970), Roma 1978 (che però menziona i L. e l'impresa alle pp. 73, 143, 228 s., e 306), sia nella monumentale Storia dell'industria elettrica in Italia, a cura di V. Castronovo et al., I-V, Roma-Bari 1992-94 (in cui si segnala sommariamente solo Vincenzo nel contributo di A. Vitiello, La grande famiglia degli elettrici, III, Espansione e oligopolio (1926-1945), a cura di G. Galasso, ibid. 1993, p. 464). Scarsamente utili anche: D. Baroni et al., Fortezze gotiche e lune elettriche. Le centrali idroelettriche dell'AEM in Valtellina, Milano s.d. [ma 1985]; e F. Polatti, Centrali idroelettriche in Valtellina: architettura e paesaggio, 1900-1930, Roma-Bari 2002, pp. 30-49. Benché a prevalente carattere ingegneristico, l'unica opera che getta luce in prospettiva diacronica sulle costruzioni idroelettriche italiane è Cinquanta anni di ingegneria italiana dell'acqua, L'Aquila 1981, pp. 413 s. (in cui si può leggere anche G. Lodigiani, Costruzioni all'estero, pp. 413-445). Sull'Impregilo (la nascita e l'attività della quale sono ricostruite in G. Vigo, Da banca a impresa. Fiatimpresit 1929-1989, Bologna 1991) è sempre utile il giubilare Impresit Girola Lodigiani. Impregilo spa, 1956-1981: venticinque anni di lavoro nel mondo, Mariano Comense 1982. Si veda anche: F. Pennacchioni, Il salvataggio dei templi di Abu Simbel, in Rotary, 1970, nn. 7-8, pp. 34 ss.