Logopedia
La logopedia (dal greco λόγος, " parola", e παιδέια, "insegnamento, educazione") è la disciplina che riguarda l'educazione del bambino alla parola e, in linea subordinata, la correzione delle imperfezioni fonetiche e dei difetti di pronuncia, dovuti a carenze educative familiari, a difettosa impostazione fonatoria o a cause organiche. Nelle logopatie funzionali, che sono le più numerose, occorre l'intervento della fonetica con sostegno pedagogico e psicologico, nelle organiche si richiede l'intervento dell'otorinolaringoiatria.
Analizzando l'etimologia della parola logopedia appare evidente, in παιδέια, la radice παῖς, "fanciullo", che ricorda come il più antico significato del termine sia "l'insegnamento della parola al bambino". Si tratta, per l'appunto, dell'insieme delle sollecitazioni e degli insegnamenti che l'ambiente familiare, soprattutto la madre, impartisce al piccolo allo scopo di educarlo nella difficile arte del parlare. L'apprendimento del linguaggio, che avviene per imitazione, non si verificherebbe se si isolasse il bambino e non gli si rivolgesse la parola sino al 5°-6° anno d'età. Il linguaggio e la deambulazione, le due grandi conquiste nei primi tre anni di vita, procedono in parallelo: ai primi passi corrispondono anche le prime sillabe che si registrano, nello sviluppo normale, intorno ai 12-13 mesi. Quanto più il bambino viene sollecitato fonicamente, tanto più rapida risulta l'organizzazione del suo linguaggio. La prima logopedista è la madre, che con la sua voce carezzevole procura un godimento fisiologico all'orecchio del bambino; il piccolo, così sollecitato, tende a prolungare quanto più possibile questo piacere, che lo fa sentire tutt'uno con lei, e inizia già al 6°-7° mese la fase della lallazione e dell'ecolalia, emettendo suoni senza alcun significato e uniformando i movimenti del suo apparato fonatorio terminale sull'esempio di quello della madre; questa, baciandolo, carezzandolo, giocherellando, cambia spesso il tono della voce e gli parla frontalmente, e con grande articolazione, perché egli possa percepire chiaramente i suoni e ritrasmetterli con la stessa proprietà. Se il piccolo si sviluppa nella norma, ha una buona ricezione acustica e vive in un ambiente gratificante e foneticamente stimolante, verso i 3 anni ha organizzato un linguaggio quasi completo. Al contrario, se il bambino non riesce a parlare all'età normale, la causa principale è quasi sempre una carenza uditiva: con un deficit superiore ai 25 decibel ci saranno, oltre a un ritardo nel linguaggio, delle imperfezioni fonetiche. Per individuare con esattezza le cause di tali anomalie occorrono esami audiometrici, che devono essere praticati appena viene rilevato il deficit e sempre entro i primi due anni di vita. Un ritardo può produrre danni incalcolabili sia sul piano fisico (perché l'ipoacusia può aumentare), sia in campo psichico, perché il bambino crescerà con stimoli limitati in qualità e in quantità durante il periodo di sviluppo della conoscenza. Per l'acquisizione e l'organizzazione del linguaggio, ancor più dell'intelligenza, è dunque necessario l'udito. Un bambino ipodotato dal punto di vista intellettivo, purché il suo deficit non sia grave, arriverà sempre al linguaggio fonetico, mentre sarà carente in quello semantico; le sue parole non saranno ben finalizzate al pensiero ma, se egli vive in un ambiente verbalmente stimolante, arriverà certamente a parlare. Un bambino sordo, al contrario, anche con un'assistenza scolastica specialistica, non avrà mai un linguaggio pieno e completo; e così chi ha carenze lievi presenterà comunque delle difficoltà verbali, perché nessuno può ripetere o controllare ciò che non sente. Con l'ingresso nella scuola materna, il bambino non ha più alcun bisogno di trattamento fonetico. A scuola non impara a parlare, cosa che sa già fare, ma apprende soprattutto a dare ordine e significato alle parole, concatenandole tra di loro perché le frasi abbiano un senso compiuto. Più che la fonetica impara la semantica. L'insegnante, comunque, facendo leva sulla forte tendenza infantile all'imitazione, deve porsi quale 'modello ideale' nel conquistare la sua simpatia e nell'aiutarlo a perfezionare il linguaggio. Se interviene in modo spontaneo, allegro, collettivo, le sue correzioni saranno accettate di buon grado (molto più di quelle del logopedista professionale, che fa sentire il bambino diverso e inferiore ai suoi compagni). Attraverso l'ortoepia (la corretta pronuncia della lingua) e la fonostilistica (lo studio degli elementi fonici aventi una funzione espressiva, emotiva) l'insegnante ha la possibilità di intervenire con profitto sulle capacità linguistiche del bambino. Ma quando la madre e i familiari godono delle 'graziose' storpiature del bambino, gratificandolo, e le insegnanti di scuola materna non intervengono a correggerlo, egli può acquisire difetti di pronuncia di cui, per lo più, si libera soltanto alla fine della scuola dell'obbligo. Se l'insegnamento materno, prima, e quello della maestra della scuola materna, poi, non riescono a dare al bambino una corretta pronuncia e una buona sonorizzazione, occorre l'intervento del logopedista professionale, indispensabile per le forme più gravi.
Intesa come vera e propria disciplina riabilitativa, la logopedia trae la sua origine prevalentemente dai contributi dell'otorinolaringoiatra viennese E. Fröschel, autore, nel 1913, di un fondamentale Lehrbuch der Sprachheilkunde (Logopädie) e successivamente di opere che hanno via via approfondito la tematica logopedica sia in direzione neurologica, sia in direzione psicologica e pedagogica. I logopedisti sono 'sanitari' titolari di uno specifico diploma universitario, che li abilita al "trattamento preventivo e riabilitativo di pazienti con disturbo del linguaggio e della comunicazione sia di origine centrale che periferica, sia organica che funzionale, nell'età evolutiva, adulta e geriatrica" (d.m. 25 febbraio 1991). L'attività principale del logopedista resta l'educazione alla parola e, in linea subordinata, la correzione delle imperfezioni fonetiche di tipo esterno o periferico, quali i difetti di pronuncia (rotacismo, sigmacismo, cappacismo, lambdacismo, dislessia, tachilalia, tumultus sermonis, farfugliamento ecc.; v. oltre); non si occupa invece dei disturbi del linguaggio imputabili ad alterazioni corticali superiori, quali si osservano nelle forme afasiche, dei disturbi centrali della motricità, come nelle disartrie paralitiche, dei disturbi di origine traumatico-psicologica. Per adempiere pienamente ai compiti loro assegnati, i logopedisti dovrebbero avere una preparazione addirittura decennale ed essere esperti in anatomia, fisiologia, fonetica, pedagogia, psicologia, foniatria, audiologia, musicoterapia e, soprattutto, in ortoepia. In realtà si è voluto attribuire alla logopedia un ruolo improprio e superiore alle sue reali possibilità, includendola solo nell'arte medica, mentre la correzione dei difetti di pronuncia e l'eliminazione dei disturbi del linguaggio, sia afasici sia disartrici e dislalici, rientrano nella pedagogia e nella fonetica. La logopedia si rivela di grandissima efficacia nella correzione delle imperfezioni esterne, periferiche, che non incidono sulla psiche, ma non può ottenere risultati sensibili e duraturi nella rieducazione dei disturbi del linguaggio di origine traumatico-psicologica. Deve essere autonoma rispetto alla foniatria (che studia, in ambito medico, le alterazioni della voce e alcune malattie del linguaggio di origine organica o funzionale) e deve avere una propria indipendenza. È da sottolineare il grande apporto terapeutico della psicoterapia e della psicologia, perché la maggior parte delle malattie che colpiscono l'uomo sono di natura psicosomatica e non richiedono alcun trattamento farmacologico tradizionale.
Le imperfezioni fonetiche sono difetti che possono essere corretti tramite la logopedia e che vengono denominati in maniera diversa, a seconda del tipo di alterazione che la pronuncia subisce. Cappacismo, dalla lettera greca κ, è un difetto raro che si riscontra nel bambino nei primi anni di vita. Al posto della c si pronuncia la t: per es., 'casa' diventa 'tasa'. Scompare a poco a poco spontaneamente. Gammacismo, dalla lettera greca γ, è un difetto che si osserva, in genere, fino al quarto o al quinto anno di età. Al posto della g il bambino pronuncia la d: 'garofano' diventa 'darofano'. Scompare da solo. Lambdacismo, dalla lettera greca λ, consiste nella omissione o pronuncia parziale alterata della lettera l. Per es., 'mela' diventa 'mea' o 'meia'. Rotacismo, dalla lettera greca ρ, è la mancata o alterata pronuncia della lettera r, la cosiddetta 'r alla francese'. È un suono mouillé e viene denominato anche 'r nobile'. Con questo eufemismo le madri della nobiltà torinese gratificavano le figlie, che dal padre ufficiale francese avevano ereditato tale imperfezione. Questo leggero difetto, di cui molti che ne sono colpiti si preoccupano eccessivamente, si può eliminare totalmente mediante esercizi di impostazione del dorso della lingua contro il palato e il velopendulo. Sigmacismo, dalla lettera greca σ-ς, è l'errata o mancata pronuncia del fonema sa, oppure la sostituzione con il suono cia, o con il th inglese; per es: anziché 'Satana', si pronuncia 'Ciatana' o 'Thatana'. Si elimina stringendo con forza i denti tra loro. Tetacismo, infine, dalla lettera greca θ, è un difetto molto raro, il quale consiste nella mancata oppure nell'alterata (nel senso di più marcata) pronuncia del fonema ta. Per es., 'fata' è pronunciato 'faa'. A queste alterazioni della pronuncia devono essere inoltre aggiunti anche alcuni disturbi della comunicazione, come la dislessia (v.), la tachilalia, il tumultus sermonis e il farfugliamento, che compromettono l'atto locutorio. Il termine tachilalia, composto di ταχύς, "veloce", e λαλέω, "parlo", sta a indicare un difetto che consiste nel parlare troppo velocemente e quindi in maniera poco comprensibile per l'interlocutore. Essa presenta poca differenza rispetto ad altri difetti, come il tumultus sermonis e il farfugliamento.
L'intervento della logopedia non è, di norma, efficace nella rieducazione dei disturbi afasici sopraggiunti in età adulta a causa di ictus e nella rarissima afasia infantile. Quasi nessun risultato si ottiene, altresì, nella disartria paralitica perché c'è un forte decadimento del quoziente intellettivo, mentre un esito discreto si può avere, ma con lunghi e pazienti esercizi fonatori, nella disartria nevrastenica; in questa forma c'è un alto quoziente intellettivo, ma si osserva una più marcata difficoltà articolatoria, una leggera anartria, come succede nella balbuzie di natura disartrica. Nella balbuzie, che è sempre una forma di dislalia ("cattiva parola", ovvero un disturbo della pronuncia), si distinguono una forma tonica, con blocchi improvvisi e parossistici, e una forma clonica, caratterizzata dalla ripetizione di una stessa sillaba all'inizio o all'interno della parola. La difficoltà articolatoria è spesso accompagnata da sincinesie facciali. Mentre è facile l'eliminazione delle prime due forme, risulta difficile, senza una lunga pratica correttiva, risolvere i problemi di balbuzie relativi alle sincinesie facciali. Quando la logopedia non riesce a dare risultati positivi nel trattamento dei disturbi del linguaggio di origine traumatico-psicologica (afasici, disartrici, dislalici), si rende necessario l'intervento della logoterapia, o meglio, della psicoterapia. Se lo psicoterapeuta è un ex balbuziente, che ha sofferto questa limitazione, può capire le gravi difficoltà di chi non riesce a parlare in modo normale e a offrirgli un valido aiuto. Essendo la balbuzie un disturbo sociale, i migliori risultati si ottengono con la partecipazione a corsi intensivi e collettivi, nei quali si sfrutta la psicoterapia di gruppo. La psicoterapia si basa sull'assunto fondamentale che la parola consti di due entità: fonica-voce e psichica-pensiero. Quando viene ristabilita l'armonia tra queste due entità, la parola uscirà dalla bocca e dall'animo nella sua completezza.
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