CIBO, Lorenzo
Figlio di Francesco detto Franceschetto - pertanto nipote di Innocenzo VIII - e di Maddalena di Lorenzo de' Medici, nacque a Sampierdarena il 20 luglio 1500.
Agli inizi del 1516, ancora molto giovane, il C. fu inviato in Francia al servizio di Francesco I. Questa opportunità gli era stata fornita, anche con l'elargizione di una pensione annua di 3.000 franchi, dal fratello maggiore Innocenzo, innalzato alla dignità cardinalizia da Leone X, loro zio materno. Il C., che dal Bibbiena era definito in quell'epoca "giovane: molto discreto, grave et gentile al possibile" (Epistolario di B. Dovizi..., p. 157), dopo poco più di due anni di soggiorno francese, cominciò ad esprimere il desiderio di tornare in patria, ma fu convinto dal padre a trattenersi ancora qualche tempo presso il re, che lo aveva nominato gentiluomo di camera. Tornò in Italia probabilmente nel corso del 1519 e il 23 dicembre di quell'anno Leone X lo nominò governatore e castellano di Spoleto. Sempre per interessamento del papa l'anno successivo il C. ebbe in moglie Ricciarda Malaspina, vedova di Scipione Fieschi ed erede - del marchese di Massa e Carrara, per la quale anni prima era stata ventilata la possibilità di un matrimonio con Giuliano de' Medici. Il 14 maggio 1520 Ercole d'Este, zio materno, della giovane e suo procuratore, sottoscrisse a Roma i patti nuziali, con un atto ripetuto il 2 giugno. Subito dopo, il C., munito di ricchi doni, si recò ad incontrare la sposa a Massa, dove si svolsero sontuosi festeggiamenti.
Tornato quasi subito a Roma, fu seguito poco dopo dalla moglie. Nello stesso anno egli, entrato in servizio nell'esercito pontificio, dove rimase dieci anni, ebbe il comando di quaranta uomini d'arme e di cento cavalli leggeri. Il suo nome è infatti compreso in una lista delle forze fiorentino-pontificie, alleate dell'imperatore, all'inizio della prima delle guerre di Carlo V contro la Francia. Il giudizio su di lui era però ancora di "giovenoto inesperto" (Sanuto, XXXI, col. A).
Morto Leone X (1° dic. 1521), il C. fu richiamato a Roma dal cardinale Giulio de' Medici. Questi, divenuto pontefice con il nome di Clemente VII, lo confermò il 16 sett. 1524 nella carica, che deteneva già precedentemente, di governatore e castellano di Spoleto. Firmata il 22 maggio 1526 la lega di Cognac, che vedeva gli Stati italiani collegati con Francesco I contro Carlo V, il C. partecipò alle azioni militari al comando di cento cavalli leggeri. Al campo nell'agosto-settembre 1526 davanti, a Cremona, prese poi parte alla conquista. di Monza, che peraltro non oppose che una debole resistenza. Inviato alla fine di novembre a Bologna per assoldare gente, agli inizi dell'aprile 1527 combatteva alla difesa della città, partecipando a qualche scaramuccia e svolgendo, per incarico del fratello Innocenzo, allora legato nella città felsinea, una ambasciata a Cento presso gli alleati, per sollecitarli ad avanzare verso Bologna al fine di alleggerire la pressione imperiale. Il 26 dello stesso mese il C. giunse con resercito alleato a Firenze, ove rimase coinvolto nei moti antimedicei.
Nello stesso 1527 il C. si interessò delle vicende che videro la sorella Caterina, duchessa di Camerino, vedova di Giovanni Maria da Varano, assediata nel palazzo delle guardie dal figlio naturale del marito, Rodolfo, deciso a impadronirsi del ducato. In questa circostanza, più che un aiuto militare, fornito piuttosto dall'altro fratello, Giovanni Battista, inviato da Clemente VII, al C. si dovette un apporto diplomatico, poiché le trattative, che portarono l'8 novembre alla restituzione di Camerino alla duchessa, furono condotte dalla fine di settembre proprio dal C., oltre che dal conte Giulio di Montevecchio e da Girolamo da Vecchiano. Immediatamente dopo egli passò a Orvieto, ove si era rifugiato dopo il Sacco di Roma il pontefice, che l'11 novembre lo nominava capitano della guardia del palazzo apostolico.
Nel 1529 il C., che già aveva avuto in eredità dal padre la contea di Ferentillo, fu creato governatore perpetuo di Vetralla, Montegiove e Giano. Questa carica gli era stata ceduta dal fratello . cardinale, che l'aveva ottenuta il 28 sett. 1528 in riconoscimento di un suo credito di 40.000 ducati, prestati a Leone X e mai restituitigli. L'investitura fu conferita al C. con un breve del 12 dic. 1529, ma si dovettero superare le resistenze dei Vetrallesi, ostili ad una autorità che non fosse quella diretta dei papa e che accettarono la volontà del pontefice obtorto collo soltanto l'11 febbr. 1531.
Il breve suddetto fu ottenuto dal C. quando già egli si era portato a Bologna, dove, nel novembre, si era recato alla testa di uno splendido corteo incontro a Carlo V, il giorno prima del suo ingresso nella città. Durante la cerimonia di incoronazione dell'imperatore, il C., vestito di un saio d'oro, recava lo stendardo della Chiesa e si vuole che nel dipinto di Marco Vecellio nella sala del Consiglio dei dieci in palazzo ducale a Venezia, egli sia raffigurato in primo piano appunto con lo stendardo in mano.
Divenuto il 22 giugno 1530 comandante generale delle milizie della Chiesa e ottenuto il governatorato di Viterbo, il C. nel giugno 1532 fu inviato, durante uno dei contrasti che opposero il papa agli Orsini. a occupare Bracciano; nell'ottobre avrebbe dovuto compiere un'altra spedizione analoga, questa volta contro Vicovaro, ma non poté ottemperare agli ordini perché caduto ammalato; fu sostituito da Luigi Gonzaga, detto Rodomonte, che lasciò la vita nell'impresa.
Quando l'anno dopo Caterina de' Medici partì per la Francia per compiervi il suo destino di regina, il C. fu incaricato di precederla e portò in dono, da parte del papa al duca di Orléans una crocetta di diamanti ed una reliquia della croce. Il dono fu ricambiato con una preziosa coppa d'oro.
Dopo la morte di Clemente VII (26 sett. 1534) il C. abbandonò il servizio della Chiesa e pose la sua residenza ad Agnano (Pisa), dove possedeva dei beni venutigli in eredità dalla madre. Questo sancì definitivamente la sua separazione dalla moglie, l'unione con la quale era stata caratterizzata da aspri dissapori. La marchesa, che gli dette tre figli, Eleonora, nata nel 1523, Giulio, del 1525, e infine Alberico, del 1534, aveva cercato costantemente di tenere il marito lontano dal governo del marchesato, richiedendo già dai primi del 1525, a Carlo V, Pinvestitura direttamente ed esclusivamente nella sua persona e ricevendola il 16 luglio 1529, L'ottenimento, il 21 marzo 1530, di un diploma che lo costituiva condomino con la moglie nel marchesato fu un punto di vantaggio per il C., rimasto però, purtroppo per lui, l'unico della sua vita nei confronti della moglie, la quale, già il 7 aprile 1533 otteneva l'inusitato privilegio di poter scegliere come suo successore quale dei figli volesse. Sembra evidente che l'intento che animò la Malaspina fu quello di escludere dal potere e dalla successione non solo il marito, ma anche i figli di lui, accomunati nell'odio portato al padre, escludendo dal numero l'ultimogenito, con ogni probabilità non generato dal Cibo.
La Malaspina, mentre il C. era ad Agnano, si era da Roma trasferita a Firenze, dove viveva con la madre e la sorella Taddea, da quando il cardinale Innocenzo Cibo aveva assunto un'assoluta preponderanza nella corte di Alessandro de' Medici. Le marchesane, come erano dette le tre donne. abitavano nel palazzo già dei Pazzi, posto nell'attuale via, del Proconsolo, comperato insieme alla loggia dei Pazzi da Franceschetto, padre del C., che lo aveva lasciato a lui ed al fratello Giovanni Battista. Questi rinunciò ai suoi diritti in favore del C. il 14 marzo 1530.
Grazie alla posizione del fratello cardinale, il C. aveva avuto dal duca di Firenze il governo di Pisa e alla morte di Alessandro (6 genn. 1537), ne mantenne il possesso, assumendo un atteggiamento ambiguo nelle lotte per la successione, mentre la città era scossa da disordini e da moti di ribellione. Quando fu chiaro che Cosimo si era impadronito saldamente del potere; il C. prese posizione in suo favore e gli consegnò la città. L'anno dopo, non sappiamo in seguito a quale occasione o sollecitazione, con un gruppo di scontenti e di fuorusciti si impadronì, tendendogli un agguato vicino a porta Quaranta di Massa, di Pietro Gassano, castellano ed amministratore di Ricciarda Malaspina, che il C. riteneva responsabile di molti disaccordi che lo avevano opposto alla moglie. Dopo pochi giorni, però, fallito il tentativo di fare insorgere i Massesi, dovette rilasciarlo per l'intervento del cardinale Innocenzo. Il 26 sett. 1541 la Malaspina, trasferitasi a Roma dal sett., 537 con i figli, stravinceva sul C., ottenendo dall'imperatore la deroga al diploma del 1530. con cui era stata concessa la comproprietà dei marchesato al Cibo.
Probabilmente ormai, il C. si sarebbe adattato a vivere oscuramente e privatamente nelle sue proprietà toscane, se non fossero sopravvenute a trarlo dalla sua rassegnazione le pretese del figlio primogenito, Giulio, sul marchesato di Massa e, Carrara. Costui al principio del 1545, al ritorno in Italia dopo un soggiorno presso Carlo V, incontrò il padre ad Agnano, prima di proseguire verso Roma, dove dette inizio alle sue rivendicazioni nei confronti della madre, che trovarono il C. pienamente consenziente. Avuta risposta nettamente negativa alle sue richieste, il giovane tornò dal padre, il quale si adoperò, con buoni risultati, perché Cosimo de' Medici prendesse Giulio sotto la sua protezione. Inoltre il C. si rivolse ad alcuni valenti giureconsulti, perché gli fornissero i loro pareri sulla questione, peraltro molto controversa, che opponeva il figlio alla madre. Rifugiatosi di nuovo Giulio, nell'aprile del 1546, ad Agnano presso il C., questi, che attraverso il figlio sperava di ottenere la sua rivincita sulla moglie, gli dette tutto il suo appoggio e quando il giovane, forte dell'aiuto di Cosimo de' Medici e. di Andrea Doria, mosse in anni per impadronirsi con la forza di Massa, il C. guidava il grosso delle truppe che nel settembre occuparono la città. Ed allorché fu fornita a Paolo Migliorati la procura per ricevere la rocca dalle mani di Pietro Gassano, essa era fatta a nome di Giulio e del padre. Sopravvenuta però poco dopo l'imposizione di Carlo V di deporre lo Stato nelle mani di don Ferrante Gonzaga, il C. capì che ogni renitenza all'autorità imperiale era inutile. Tanto più che lo stesso Cosimo de' Medici gli dette incarico di convincere il figlio dell'opportunità di ottemperare al più presto all'ordine. Ancora una volta il C. si ritirò in Agnano, dove il 17 marzo fu raggiunto da Giulio, che invano si dibatteva contro la necessità improrogabile di lasciare Massa. Qui Giulio fu arrestato per ordine del Medici. Tre giorni dopo il C., a Pisa, riceveva formalmente, in nome del fratello, lo Stato di Massa e Carrara dal figlio.
Il C. sopravvisse meno di un anno al figlio, decapitato il 2 maggio 1548 a Milano: morì infatti a Pisa il 14 marzo 1549.
Aveva fatto testamento il 23 febbraio, lasciando erede universale il figlio Alberico; aveva costituito usufruttuaria del palazzo e della loggia dei Pazzi la sorella Caterina e aveva, inoltre, lasciato i mobili della casa d'Agnano ad un suo figlio illegittimo, Ottavio. Nel 1573 Alberico riunì in un'unica tomba i corpi del C., della moglie e del figlio Giulio, nella cripta della cattedrale di Massa.
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