COSTA, Lorenzo
Nacque dal pittore Giovanni Battista e da una Bartolomea; la data 1460, che ne fissa l'anno di nascita, si desume dal necrologio mantovano che dichiara il pittore settantacinquenne al momento della morte nel 1535 (D'Arco, 1842). L'Achillini (1504) allude a natali ferraresi e ad un successivo trasferimento a Bologna, comprovati dal documento con cui, il 4 apr. 1483, la famiglia di Giovanni Battista, tra i cui figli è Lorenzo, si obbliga a dimorare nella suddetta città (Filippini, 1917).
La produzione giovanile del pittore è interamente vissuta sotto l'egida di Cosmè Tura, Francesco Del Cossa ed Ercole del Roberti, e la sua fisionomia per gli anni Ottanta, prima cioè dell'agosto 1488, data del primo dipinto firmato, è in gran parte frutto della ricostruzione critica longhiana.
Rimane aperto il problema della formazione artistica del Costa. Il padre Giovan Battista, pittore di apparati per cerimonie (Venturi, 1888), non dovette essere più di un bravo artigiano in una Ferrara che, nell'ultimo triennio degli anni '70, aveva un solo altissimo punto di riferimento in Cosmè Tura, esule in Bologna fin dal 1470 Del Cossa, seguito nel 1473 dal giovane Ercole de' Roberti. La formazione del C. presso Cosmè Tura appare evidente nel S. Sebastiano della Gemäldegalerie di Dresda, firmato a caratteri ebraici. All'inizio del 1479, morto Del Cossa, Ercole de' Roberti tornò ad operare in Ferrara: il suo stile arido e drammatico dovette far subito presa sul C., se nelle prime opere certe di questo appare in tutta evidenza lo studio dei testi pittorici del Roberti, segno di una consuetudine con l'artista. L'individuazione di apocrifi robertiani è la strada battuta dal Longhi (1934) per assegnare al primo C. opere che, come la Crocifissione Berenson, allo stesso modo del S. Sebastiano di Dresda, rivelano una conduzione à la manière de, e tali sono appunto i pannelli originariamente per cassone con le Argonautiche, divisi tra i musei di Padova, des Arts décoratifs di Parigi, Thyssen di Lugano e le coll. già Houstoun Boswell di Londra e Rucellai di Firenze, che denotano pure una certa familiarità con le officine miniatorie ferraresi. Nel 1482 Roberti è a Bologna, chiamato da Bartolomeo Garganelli a completare la sua cappella in S. Pietro iniziata dal Del Cossa. Anche se il C. è documentato nella città dal 1483, non è escluso che Ercole lo abbia condotto con sé quale miglior membro della sua équipe, ormai ventitreenne e già affrancatosi, quale pittore autonomo, o in procinto di farlo, se è dichiarato "pictor" nel 1485, in un atto notarile bolognese del 9 maggio, in cui compare quale testimone (Filippini, 1917) e nel documento con cui, il 25 ottobre dello stesso anno, a Ferrara, si unisce in matrimonio con Ludovica Crivelli, figlia del miniatore Taddeo (Bertoni, 1925). Il cronista Ghirardacci (ante 1598) lo ricorda impegnato dopo l'11 gennaio 1483 con altri pittori nella decorazione del palazzo di Giovanni (II) Bentivoglio, "dove con grandissima arte effigiò la Ruina di Troia... "; Baruffaldi (ante 1755) gli riferisce ancora, in questo complesso distrutto dalle annate papali nel 1507, la Storia di Giuditta e l'Oretti (1750 c.) la "camera di Anton Galeazzo Bentivoglio…". Di questi anni è la robertesca pala per la chiesa bolognese di S. Maria delle Rondini, poi al Kaiser Friedrich Museum di Berlino, distrutta nel corso della seconda guerra mondiale; come i pilastrini del Roberti per la pala Griffoni in S. Petronio, quelli dell'ancona del C. sono suddivisi in nicchie contenenti Santini;separati dal contesto originario, sono ora conservati al museo di Atlanta in Georgia; il Baruffaldi (ante 1755) li descriveva nella sagrestia della chiesa ai lati della pala come "... tavolette bislunghe per lo in piedi...". Il S. Girolamo per la cappella Castelli in S. Petronio, in situ, è attribuibile al C. tra il 1484, anno in cui Baldassarre Castelli, morendo, dopo aver ottenuto il suolo della cappella il 21 aprile 1483 (Ricci, 1914), lasciava i mezzi per l'esecuzione dei lavori, e il settembre 1485, in cui Paolo, fratello del defunto, dedicava il sacello al santo.
La rigorosa impaginazione prospettica del dipinto, la struttura ogivale del santo, vera e propria architettura umana, rivelano l'interesse di questi anni per Piero della Francesca, di cui non è escluso che il C. abbia visto la pala urbinate (ora a Brera), una delle opere più impegnate del periodo tardo del maestro, la cui eredità il C. ebbe modo di cogliere già a Ferrara.
Il 6 giugno 1486, come risulta dall'iscrizione parietale, Giovanni (II) Bentivoglio dedicò a S. Giovanni Evangelista la cappella di famiglia in S. Giacomo Maggiore a Bologna. Nello stesso anno, con tutta probabilità, commissionò al C. quattro tele a tempera da porre l'una di fronte all'altra lungo le pareti laterali: Ghirardacci (ante 1598) ricorda che, dopo il 9 sett. 1487, Giovanni (II) "…fe dipingere et ornare la sua cappella..." di cui cita per primo "... [il] quadro [ove] erano dipinti li suoi antecessori pure al naturale...", poi distrutto. La notizia salda l'intervallo di due anni che diversamente intercorrerebbe tra la dedica e il primo dipinto firmato e datato dal C. nell'agosto 1488 raffigurante la Vergine alla presenza della famiglia Bentivoglio, la cui composizione piramidale, sotto una volta a crociera, si rifà allo schema della pala portuense del Roberti ora a Brera, a cui pure si richiama il trono della Vergine dall'elaboratissimo schienale, spunto per raffinate divagazioni profane.
Corrono due anni e tre mesi tra il dipinto e le tele frontali con i Trionfi. Stilisticamente connesso con la Madonna Bentivoglio è il Concerto della National Gallery di Londra, tema esordiente nella pittura italiana con notevole anticipo sugli esempi veneziani: non episodio musicale all'interno di un diverso e più ampio contesto, ma vero e proprio triplice ritratto di cantori, di cui quello al centro rappresenterebbe, secondo G. Boschini (in Baruffaldi, 1846) il C. stesso. L'interesse del C. per la musica e i ritorni sul tema suggeriscono una reale dedizione a tale disciplina. È probabile che nel 1489 il canonico Donato Vaselli, nell'assumere il patronato della cappella di S. Sebastiano in S. Petronio (Frati, 1853), si rivolgesse al C. per la commissione dell'ancona con il Martirio del santo, di fatto, stilisticamente il pezzo più antico della cappella, la cui paternità, riferita univocamente al C. dal Vasari in poi, cominciò ad essere discussa dalla fine dell'Ottocento.
Il Boschini (Baruffaldi, 1846) dice che "il nome di Lorenzo Costa [sta] scritto in ebraico, nella tavola della quinta cappella entrando a sinistra in San Petronio ove è rappresentato un San Sebastiano di forme piuttosto antiquate"; la notizia è avallata dal Laderchi (1857), il quale cita il precedente a tale iscrizione nel S. Sebastiano di Dresda, e da, Crowe e Cavalcaselle (1871).La tempera, dallo strato pittorico debolissimo, porta i segni dei drastici interventi subiti in passato, cui probabilmente è seguita l'asportazione della firma; la continuità d'ispirazione coi Trionfi è evidente, mentre resta sintomatico il giudizio di Venturi (1931) che, senza avanzare attribuzioni, riteneva il S. Sebastiano della stessa mano del S. Girolamo Castelli, dipinto con vicenda critica pressoché identica.
Nel 1490 ripresero i lavori nella cappella Bentivoglio in S. Giacomo Maggiore: il C., nel giugno, firmò e datò il Trionfo della Fama e il Trionfo della Morte, fortemente ispirati al Roberti; per il Gruppo di cavalieri in armi a sinistra della prima tempera esiste (Bayonne, Musée Bonnat) un disegno preparatorio a gesso nero e acquerello bruno.
Le due tele visualizzano l'idea che Giovanni (II) aveva della propria gestione del potere fondato sull'impegno civile, illustrato con esempi tratti dalla storia antica e offerti, quali credo del signore, a monito dello spettatore, e sull'impegno religioso. Citazioni dalla Commedia dantesca erano d'obbligo a Bologna: la porta dell'inferno con l'ingiunzione e i due poeti, la città di Dite, la barca di Caronte a destra nel Trionfo della Fama;la spiaggia e la porta del purgatorio custodita dall'angelo a sinistra nel Trionfo della Morte.
Tali tempere concludono la prima parte del progetto decorativo di Giovanni (II), o comunque suggeriscono una pausa nei lavori, motivabile con la diversa conduzione stilistica dei lunettoni e delle altre parti ad affresco che completeranno la decorazione dell'ambiente alla ripresa dei lavori nel 1494. Connessa con la gloria d'angeli del Trionfo della Morte, èl'Assunzione della Vergine dell'abbazia di Monteveglio, in situ, in origine completata dalla predella tripartita con la Dormitio Virginis ora al Museo di Raleigh, North Carolina; in relazione all'apostolo ammantato all'estrema sinistra del terzo pannello esiste, al Gabinetto dei disegni degli Uffizi, un raffinato disegno preparatorio a penna lumeggiato con biacca e ritoccato a bistro.
Riferibile al C. è pure l'oculo con S. Giovanni a Patmos in S. Giovanni in Monte a Bologna, per il quale il pittore diede il disegno probabilmente all'inizio dell'ultimo decennio del secolo; tradizionalmente riferito a Del Cossa, fu da Ricci e Zucchini (1930) attribuito al C., seppur dubitativamente, attribuzione ripresa con più convinzione da Supino (1938) e poi da Volpe (1958). Gabione Gozzadini, nel suo testamento del 31 ott. 1481 (Zucchini, 1917), dava disposizioni, oltre che per altri lavori in S. Giovanni in Monte, per l'esecuzione dell'oculo; la sua volontà non incontrava però, nell'impegno di attuazione, la sollecitudine del figlio, come già faceva notare Supino. Nell'iter artistico del C., il tondo vitreo con S. Giovanni a Patmos s'inserisce bene nell'ambito di quel recupero del linguaggio cossesco che si attua, via via in modo sempre più consapevole, a partire dal 1491.
Il C. riprese la sua attività per i Bentivoglio a Poledrano, località poco distante da Bologna; qui, la rocca, edificio caro a Giovanni (II), avuta per transizione dal cugino Ercole Bentivoglio il 23 febbr. 1475 (Rubbiani, 1913), venne ampliata nel corso degli anni Ottanta; tale sistemazione può ritenersi conclusa nel 1491, anno in cui, secondo la testimonianza del Bianchetti (ante 1576), Giovanni (II) "pose in fortezza il suo palazzo chiamato il Bentivoglio sul canale del Reno ... e tutto dentro di bellissime pitture abbellì... ".
Nella cappella del complesso, all'interno, lungo le pareti laterali sono affrescati gli Apostoli; nella volta entro tondi gli Evangelisti e al centro il Redentore; sopra la porta una lunetta con i SS. Sebastiano e Cristoforo.
Secondo quanto scrive il Calindri (ms. sec. XIX) all'altare si trovava la pala con "S. Lucia quadro [sic], S. Sebastiano, S. Apollonio, B. V. in alto con due ritratti a lato che credonsi Giovanni II e sua consorte...", oggi perduta. Nella lunetta esterna sopra la porta si scorge, molto abrasa, una Madonna col Bambino, ritenuta dal Gozzadini (1839) "lavoro di Lorenzo Costa", recante l'iscrizione "Ioannes Bentivolus [fi]er[i] fecit Anno Domini MCCCCLXXX... Decembris...", oggi illeggibile. Tra l'indicazione dell'anno e il mese, Gozzadini registra una caduta che sulla base della testimonianza del Bianchetti (ante 1576) si potrebbe integrare ottenendo la data del 1491.
Al C. va assegnato l'intero ciclo di affreschi di questa cappella, per l'estrema coerenza d'ispirazione tra queste figure, gli Apostoli alle pareti laterali della cappella Vaselli in S. Petronio, eseguiti probabilmente a brevissima distanza di tempo, e la pala in origine presso l'oratorio della residenza dell'arte dei Pellacani, firmata e datata dal C. 1491, raffigurante la Vergine col Bambino tra i ss. Giacomo e Sebastiano, ora nella Pinacoteca di Bologna.
Tali opere puntano al recupero della monumentalità cossesca (il S. Pietro di Poledrano è sorprendentemente vicino al S. Pietro del polittico Griffoni) ed inaugurano quel periodo dell'arte del C. caratterizzata da eroiche figure, a volte sproporzionate, spesso, a torto, tolte al pittore sulla base di un giudizio estetico negativo.
Nella cappella Vaselli, dunque, il C. può essere tornato al lavoro nel 1491-92 accanto al Francia, autore delle scene dell'Annunciazione poste in due tele a fianco dell'ancona. La vicinanza di quest'ultimo indusse probabilmente il C. a sciogliere il crudo gigantismo che caratterizza il biennio 1490-92, per puntare sugli esiti più sobri e certo più plasticamente sentiti della pala Rossi, tuttora in S. Petronio, firmata e datata nel 1492, concordemente letta dalla critica in chiave veneziana, passando l'esame stilistico attraverso la pala di S. Giobbe del Giambellino: il Venturi (1914) a questa altezza dell'iter artistico del C. ipotizzava, infatti, un breve soggiorno a Venezia col Francia. Più sentitamente "veneziana" della pala Rossi, ancora affascinata dal forziere ferrarese, appare la lunetta della stessa, con la riproposta di un tema caro al C.: il Concerto mistico di tre angeli, mirabile opera sempre trascurata dalla critica e mai riprodotta. Abbandonata la "maniera un poco secca e tagliente" (Vasari, III), le opere del biennio 1492-94 sono vissute sotto il segno di una conquistata dolcezza: la Madonna col Bambino della coll. Johnson di Filadelfia denota un chiaro accostamento al Giambellino; ad essa si associano il Presepe del Musée des Beaux-Arts di Lione e la Presentazione al tempio con lo stemma Pio da Carpi, degli Staatliche Museen di Berlino Est. Questo dipinto venne molto probabilmente commissionato al C. dal genero di Giovanni (II), Gilberto Pio, che aveva sposato nel 1486 Eleonora Bentivoglio, di cui si può forse ammirare il ritratto nella giovane offerente all'estrema sinistra, confrontabile con il quart'ultimo nella tela del 1488 per la cappella gentilizia di S. Giacomo Maggiore in Bologna. Il 1494 è l'anno in cui tale cappella, la cui decorazione, iniziata nell'87, come s'è detto, aveva subito una prima pausa tra il 1488 e il '90, e una seconda interruzione dopo l'esecuzione delle tele con i Trionfi, acquista una fisionomia definitiva.
Dedicata alla Vergine e a s. Giovanni con un'iscrizione sulla cancellata, il Francia vi eseguì la pala d'altare con la Madonna in trono e santi, mentre il C. affrescò il lunettone frontale all'ingresso con la Visione di s. Giovanni Evangelista, tre degli Apostoli che nella lunetta laterale sinistra fiancheggiano la finestra circolare, nonché la testa del quarto nell'altra metà, completata dalla stessa mano (Amico Aspertini per Venturoli, 1969, p. 428) che eseguì per intero la lunetta destra e quella con Cristo nel sepolcro sovrastante la pala del Francia. Ancora del C. sono il Ritratto di Giovanni II nell'oculo del pennacchio destro, molto ritoccato, e il mirabile busto di S. Giovanni Evangelista nel sinistro.
L'intervento del Cignani nel Seicento snaturò l'aspetto dell'ambiente, poi liberato dalle pesanti ridipinture nella cupola, e tuttora in restauro. Ghirardacci (ante 1598) nella sua accurata descrizione della cappella, ricorda, ai lati dell'arco sovrastante l'altare, l'Annunciazione, che ora appare interamente ridipinta dal Cignani, alludendo evidentemente ad un dipinto cinquecentesco, se non coevo al Costa.
Nel 1496 il pittore firmò la pala di S. Tecla, un tempo nell'omonima chiesa bolognese, oggi nella locale Pinacoteca e nel 1497 la pala Ghedini (Madonna in trono con santi), tuttora in S. Giovanni in Monte che, secondo Longhi (1934) rivela l'accostamento alla problematica antiaccademica di Filippino Lippi, motivabile con la collocazione a questa data di quel viaggio in Toscana di cui il Vasari parla all'inizio della vita del Costa. Questa precisazione si rivela ancor oggi valida a spiegazione di un certo indulgere in senso neogotico che, evidente nelle opere del 1499, è già in essere nella raffinatissima, miniatura con la Vergine e s. Giorgio adoranti il Bambino Gesù al foglio 127v dell'offiziolo di Giovanni (II) Bentivoglio, datato 1497, ora alla Pierpont Morgan Library di New York (Tosetti Grandi, 1982).
Dal marzo 1499 (Cittadella, 1868) il C. è a Ferrara per la decorazione, oggi perduta, del coro della cattedrale; la sosta non dovette protrarsi oltre il 18 settembre di quell'anno, in cui risulta pagato per un dipinto commissionatogli da Ercole I d'Este (Venturi, 1888) e dovette coincidere con le fasi di ristrutturazione dell'Oratorio della Concezione, la cui pala, ora alla National Gallery di Londra, affidata a Giovan Francesco Maineri, rivelando alcuni pentimenti e discontinuità stilistiche, ha fatto pensare, dopo l'analisi di Pouncey (1937), ad un intervento del Costa. Tornato a Bologna, firmò datando 1499 la predella con l'Epifania ora a Brera, ed eseguì la cimasa con Cristo tra le figure dell'Annunciazione (in situ)per la pala con la Natività del Francia (ora alla Pinacoteca di Bologna) all'altare della chiesa della Misericordia: tale complesso fu commissionato ai due pittori da Anton Galeazzo Bentivoglio al rientro da un viaggio in Terrasanta.
Esito notevole, a cui si atterrà il Francia con l'omonimo dipinto di Dresda, l'Epifania mostra l'aggiornamento del C. nei confronti della problematica artistica al passaggio tra i due secoli, mirante al recupero del neogotico: le idee in tal senso circolavano con le stampe tedesche e i soggiorni a Venezia di Bosch (Ballarin, 1978) e di Dürer.
Si situano in questo momento opere come il Presepe coronato d'angeli di Londra (National Gallery) l'Adorazione dei pastori di Worcester (Art Museum) e il Concerto di Lugano (Pinacoteca Thyssen) per l'analogo orientamento di gusto. Nel dicembre dell'anno 1499 l'artista affrescò i tre tondi delle volte di S. Giacomo Maggiore con i SS. Giacomo Agostino e Nicola da Tolentino, sul cui libro compare la datazione suddetta (Tosetti Grandi, 1981). Nel 1501 firmò e datò la Gloria della Vergine tuttora nel coro di S. Giovanni in Monte, di cui esiste un bellissimo studio preparatorio a penna conservato agli Uffizi.
Nella stessa chiesa, per la cappella di Gabriele Scarani, il Perugino eseguì la Madonna in gloria tra il 1499, anno in cui il committente ottenne, il 4 gennaio, il permesso di edificare, e il 1504, in cui lo stesso, nel proprio testamento del 25 novembre, non accennava a lavori in sospeso nella propria cappella (Gerevich, 1908). Il dipinto del C., proprio per il forte ascendente peruginesco che rivela e che non è dato trovare in opere precedenti ma da questo momento in poi in tutta la produzione successiva, può essere stato eseguito contemporaneamente o immediatamente dopo quello del Perugino. I due pittori miniarono inoltre due fogli nel Libro d'ore del senatore bolognese Bonaparte Ghislieri (Londra, British Museum), databile entro l'agosto 1503 per una colletta ad Alessandro VI: il Perugino firmò il Martirio di s. Sebastiano al foglio 132v e il C. eseguì il Re David salmodiante al foglio 104v fortemente ispirato al maestro umbro; all'impresa prese parte anche Amico Aspertini che firmò l'Adorazione dei pastori al foglio 15v. La coincidenza di questi fatti, la presenza cioè dei due pittori in ambiti analoghi e in un giro d'anni così stretto, fa ritenere probabili un soggiorno del Perugino a Bologna, quindi un incontro col C., tra il 1500 e il 1501 (Tosetti Grandi, 1982).
Già il Fischel (1917), concorde il Canuti (1931), postulava implicitamente una presenza del Perugino a Bologna relativamente all'ideazione della parte superiore della vetrata della cappella di S. Antonio in S. Petronio.
Tra il 1502 e il 1505 l'attività del C. è molto intensa: sono di questo periodo la distrutta Circoncisione già al Kaiser Friedrich Museum di Berlino, il S. Petronio in trono tra i ss. Francesco e Domenico della Pinacoteca di Bologna, la Pietà degli Staatliche Museen di Berlino Est, lo Sposalizio della Vergine della Pinacoteca di Bologna, nonché, infine, il polittico conservato nella National Gallery di Londra con la Vergine in trono tra angeli e santi, tutti firmati e datati.
Situabile al 1505 è la bella miniatura raffigurante, entro una iniziale "P", S. Giovannino; si tratta del foglio 21v del Lezionale per le feste principali della chiesa di S. Petronio, ora alla Biblioteca universitaria di Bologna (Tosetti Grandi, 1982). Tra lo scadere del 1505 e l'inizio del 1506, come risulta dalle cronache del Bianchetti (ante 1576), del Ghirardacci (ante 1598) e del Negri (sec. XVII), il C. prese parte col Francia, Bartolomeo Bagnacavallo e Amico Aspertini, alla decorazione dell'oratorio di S. Cecilia a Bologna (cfr. lett. dell'8 genn. 1506 di Anton Galeazzo Bentivoglio da Bologna a Isabella d'Este a Mantova, Luzio, 1913), eseguendo a fresco i due riquadri affrontati con l'Elemosina di s. Cecilia a sinistra e la Conversione di Valeriano a destra, recante la data 1506, a documentare l'interruzione dei lavori a seguito della cacciata dei Bentivoglio ad opera delle armate di Giulio II.
Il C. era da tempo in contatto con la corte di Mantova per il dipinto dello studiolo della marchesa raffigurante l'Allegoria della poesia ora al Louvre; come risulta dalla corrispondenza intercorsa tra Isabella d'Este e Anton Galeazzo Bentivoglio dal 2 nov. 1504 all'8 genn. 1506 (Venturi, 1888; Yriarte, 1896; Luzio-Renier, 1899 e 1901; Luzio, 1909 e 1913; Brown, 1968), la conduzione dell'opera coprì quasi due anni. Il 17 nov. 1506 (lett. di Isabella d'Este da Mantova a Girolamo Casio a Bologna: Luzio, 1900), la marchesa si disse felice di vedere il pittore la cui visita le era stata annunciata; il soggiorno mantovano del C., da situarsi quindi allo scadere del 1506, si trasformerà in breve nella decisione di un definitivo trasferimento. Il 24 dicembre di quell'anno (Malaguzzi Valeri, 1900) il C. riscosse il compenso per quella che dovette essere l'ultima opera eseguita a Bologna prima del trasferimento a Mantova: la pala commissionatagli da Ippolito de Grassi per S. Martino Maggiore raffigurante l'Assunzione della Vergine (in situ).
Il dipinto, significativamente riferito da cronisti locali e storiografi ottocenteschi al Perugino, denota uno stile ormai sapientemente affinato nello studio di quelle dolcezze che andavano riscuotendo largo consenso in questi anni: trasformandole in brillanti sigle cortesi il C. a Mantova le porrà in alternativa all'archeologismo dei Mantegna.Nell'aprile 1507, come si desume dalle comunicazioni a Francesco Gonzaga del soprastante alle Fabbriche Bernardino Ghisolfo (Venturi, 1888) il C. era impegnato col Bonsignori nella decorazione del palazzo di San Sebastiano, distrutto nel 1630 dai lanzichenecchi, in cui risulterà attivo anche nel 1512 (lett. del 29 aprile e 8 maggio: Coddè, 1837; Venturi, 1888). Nondimeno il C. svolgeva un'intensa attività ritrattistica, ponendo la sua ricerca stilistica, con piena soddisfazione dell'erudita marchesa, quale corrispettivo pittorico allo studio della fenomenologia sentimentale indagata negli scritti di Equicola, Calmeta e Bembo. Il documentatissimo Ritratto di Isabella d'Este, eseguito nel 1508, è ancora da riconoscersi nella Dama con cagnolino di Hampton Court; lo scarso realismo del dipinto va a tutto vantaggio di quella decantazione formale che trasforma l'opera piuttosto in un ritratto interiore, giusta l'interpretazione del dipinto come allegoria della fedeltà (Romano, 1981). Nello stesso periodo il C. eseguì anche il Ritratto di Eleonora, figlia dei signori di Mantova (lett. del V, ott. 1508 di Francesco Gonzaga al C.: Venturi, 1888), variamente identificato, da Gronau (1928), nonché più recentemente da Winternitz (1968), con lo stesso Ritratto di dama con cagnolino di Hampton Court. Particolarmente interessante per la ritrattistica è tutto il biennio 1508-10: numerosi sono i ritratti di dama con attributi di sante, come quello pubblicato da Arcangeli (1954) in coll. privata, quelli già in coll. Dowdeswell a Londra e Ruspoli a Roma. Molte opere da cavalletto venivano commissionate al C. dai marchesi come doni a corti amiche o da accattivare in periodi politicamente difficili. Si vedano i casi della perduta S. Veronica per Florimond Robertet (lett. dal 27 nov. 1507 al 17 sett. 1508 da Francesco Gonzaga da Mantova al Robertet a Blois: Brown, 1981), di cui esiste una replica seicentesca in coll. Lynch di New York (Milkovich, 1969), da considerarsi "after Costa" piuttosto che "after Correggio", riferimento peraltro significativo, visti gli ultimi orientamenti del pittore; la Sacra Famiglia per la regina di Francia (lettere dal 31 dic. 1509 al 16 maggio 1510 di Isabella d'Este da Mantova a Iacopo d'Atri, prima a Blois poi a Lione: Venturi, 1888; Yriarte, 1896; Luzio, 1910 e 1913; Tosetti Grandi, 1979) da identificarsi col dipinto firmato di Toledo nell'Ohio (Museum of Art: Venturi, 1914; Brown, 1981); e della Venere per il re di Francia da identificarsi col dipinto del Museo di Budapest (lett. dal 20 aprile al 30 nov. 1518 di Luigi Alessandro Gonzaga da Ambois a Francesco Gonzaga a Mantova; di Vincenzo de Preti da Mantova a Isabella d'Este; di Francesco Gonzaga da Mantova al re di Francia ad Ambois: Luzio 1913; Brown-Lorenzoni, 1970, con trascriz. completa; Tosetti Grandi, 1979; Brown, 1981). L'ultimo dipinto per lo studiolo, raffigurante il Regno del dio Como ora al Louvre, fu ideato dal Mantegna (lett. di Iacopo Calandra a Isabella d'Este del 15 luglio 1506: Kristeller, 1902), che colto dalla morte non lo poté realizzare.
Isabella dovette pensare, come già aveva fatto in un primo momento, di affidarne l'esecuzione al Francia, se col Verheyen (1971) si ritiene che la lett. del 19 dic. 1510, con cui la marchesa riprese le relazioni col pittore, si riferisca a tale dipinto (i contatti col Francia sarebbero infatti precedenti alla commissione del dipinto al Mantegna e risalirebbero al 2 apr. 1505 con la lettera di Isabella d'Este da Mantova a Girolamo Casio a Bologna, e al 17 agosto dello stesso anno con la lettera del Casio ad Isabella, ambedue allusive ad una "historia" da affidare al Francia per lo studiolo; a tali accordi seguì però il nulla di fatto e il passaggio della commissione al Mantegna: Luzio-Renier, 1901; Verheyen, 1971). Il 19 dic. 1510 ripresero i contatti tra la marchesa e il Francia, come s'è detto, e l'11 genn. 1511 il pittore chiedeva misure e lume, ma alla risposta di questa il 6 febbr. 1511, seguì di nuovo il nulla di fatto (Luzio-Renier, 1901; Verheyen, 1971).
Per una forma di riguardo al C. (evidente anche nella lett. di Isabella d'Este da Mantova a Lucrezia Bentivoglio a Bologna dell'11 sett. 1511, riferentesi ad un ritratto da assegnare al Francia: Venturi, 1888), l'ultimo dipinto per lo studiolo venne affidato a questo probabilmente all'inizio del 1511, costituendo la lett. del 6 febbraio un prezioso terminus post quem. Di questo stesso momento è la Circoncisione già in coll. Cabral a Roma poi in coll. inglese Cranstoun: il catalogo della collezione romana (Brown, 1966) rendeva nota l'esistenza della firma del C. lungo il risvolto del lino che copre il tavolo; pure firmato il Ritratto di suonatrice di liuto presso Koetser a Londra nel 1966 (Brown, 1966). Il mirabile Ritratto di cardinale, conservato nell'Institute of Arts di Minneapolis, che Gould (1976) propone di identificare con Ercole Gonzaga, tolto dal catalogo del Correggio (Sotheby's catalogue, 26 giugno 1957, [24]), apre il capitolo del rapporto dare-avere che s'instaurò tra i due artisti, in seguito alla presenza dell'Allegri a Mantova nel 1506, quale frescante della cappella funeraria del Mantenga (Donesmondi, 1616), e nel 1514 quando, l'8 sett., il pittore è documentato a Polirone (Menegazzo, 1959).
L'influsso del C. sul giovane pittore viene rilevato da Gould (1976), tra altre opere, nel Commiato di Cristo della National Gallery di Londra, mentre il rapporto s'inverte nel S. Paolo già Kress, ora a Memphis, Tennessee (Brooks Memorial Art Gallery) il cui ascendente correggesco veniva notato da Longhi (1940), nel S. Gerolamo già Kauffmann poi Lippmann sempre a Berlino, ma soprattutto nella stupenda ancona con S. Antonio da Padova tra le ss. Orsola e Caterina (New York, Metropolitan Museum), firmata ed eseguita su commissione di Alberto Pio per la sua cappella in S. Nicolò a Carpi eretta nel 1518 (Campori, 1855), data che costituisce il terminus post quem per l'esecuzione del dipinto. Per la tela firmata e datata 1522 con l'Investitura di Federico Gonzaga a capitano della Chiesa, in origine in palazzo San Sebastiano (Praga, Museo nazionale), il C. tenne indubbiamente conto di quanto andava facendo il Pordenone, presente a Mantova nel 1520 per la decorazione, oggi perduta, della casa di Paride da Ceresara e a Cremona, fino all'ottobre del 1521, per gli affreschi del duomo (Vasari, 1568, V; Venturi, 1928; Fiocco, 1943). L'ultimo dipinto del C. è la Vergine in trono e santi per la chiesa di S. Silvestro a Mantova, passata in S. Andrea dopo l'abbattimento della sede originaria; firmata e datata dal pittore nel 1525, costituisce la mirabile sintesi degli ultimi aggiornamenti del Costa. L'artista risulta ancora tra gli stipendiati della corte nel 1526, anno in cui è attivo a Castiglione, Canedolo e Marmirolo (Arch. di Stato di Mantova, Spogli Davari, b. Pittori, n. 1, ff. 456 s.); il 3 ag. 1528 Federico Gonzaga si rivolge al C. per avere uno dei suoi aiutanti (Luzio, 1913).
Diversi atti notarili (Tosetti Grandi, 1979) si riferiscono ancora al C. pur senza dare notizie di attività artistica: il 24 genn. 1525 il C. e Giovan Francesco Arnolfi stipularono il contratto di matrimonio a nome dei rispettivi figli Ippolito e Silvia; lo stesso giorno il C. donò tutti i beni immobili al figlio, dichiarandosi tuttavia usufruttuario e libero di disporne; del 7 febbr. 1527 è il testamento dal quale si può dedurre con certo fondamento che aveva due soli figli: uno naturale, Costanza, e uno legittimo, Ippolito; se avesse avuto altri figli, come ritiene il D'Arco (1857) nell'albero genealogico della famiglia Costa, non avrebbe mancato di citarli nel proprio testamento e di dotarli equamente, visto che si ricorda persino di Caterina, la dama di compagnia della moglie Ludovica. Da tali documenti si deduce inoltre che il C. possedeva un vasto patrimonio terriero, messo assieme in quindici anni di oculati acquisti, comprovati da atti notarili riferentisi agli anni 1513, 1515, 1517, 1519, 1521, 1524, 1526, 1527, 1533 (Tosetti Grandi, 1979).
Il C. morì a Mantova il 5 marzo 1535 "...in cont[rat] a Unicorno... de fibbra et uno catar, infirmo die 5, d'età ann[i] 75" (D'Arco, 1842); fu sepolto nella chiesa di S. Silvestro (Vasari, 1568, III).
Fonti e Bibl.: Bologna, Bibl. comun. dell'Archiginnasio, ms. 2355: A. Bianchetti, Cronica delle cose spettanti alla città di Bologna [ante 1576], f. 779; Ibid., Bibl. universitaria, ms. 29011: Marchesi Ratta, Annali di Bologna d'Alamanno d'Achille Bianchetti... tomo II, dall'anno 1450 al 1579 [sec. XVIII], f. 252r; Ibid., ms. 1107: G. F. Negri, Annali della patria connessi alli fatti esterni più memorandi... [sec. XVII], VII, 1, anni 1500-1528, f. 34v; Ibid., Bibl. comun. dell'Archiginnasio, ms. 123: M. Oretti, Notizie de' professori del dissegno... [ca. 1750], I, ff. 195r s.; Ibid., ms. Gozzadini 322, Malvezzi De Medici, S. Calindri, Manoscritti inediti per la continuaz. del dizionario corografico... Repertorio [sec. XIX], VI, cartone 60, f. 163r; G. F. Achillini, Il Viridario, Bologna 1504, p. 187; G. Vasari, Le Vite..., Firenze 1550, II, pp. 443 ss.; Id., Le Vite... [1568], a cura di G. Milanesi, Firenze 1906, III, pp. 132 ss.; V, p. 113; C. Ghirardacci, Della Historia di Bologna, parte terza [ante 1598], in Rerum Italic. Scriptores, XXXIII, 1-2, a cura di A. Sorbelli, pp. 226, 243, 341; I. Donesmondi, Dell'Istoria Eccles. di Mantova, parte II…, Mantova 1616, II, 6, p. 47; G. Baruffaldi, Vite de' pittori e scultori ferraresi [ante 1751], a cura di G. Boschini, Ferrara 1846 (cfr. A. Mezzetti-E. Mattaliano, Indice ragionato delle "Vite..." di Baruffaldi, Ferrara 1980, I, pp. 97 ss.); P. Coddè, Memorie biogr. poste in forma di Dizionario..., Mantova 1837, p. 162; G. Gozzadini, Memorie per la vita di Giovanni II Bentivoglio, Bologna 1839, p. 49; C. D'Arco, Registri artistici necrol. di Mantova, in [M. Gualandi] Mem. originali italiane di belle arti, s. 3, Bologna 1842, p. 8; G. Campori, Gli artisti ital. e stranieri negli Stati estensi [Modena 1855], Roma 1969, p. 169; C. Laderchi, La pittura ferrarese, Ferrara 1857, p. 47; L. Frati, Di un pavimento in maiolica nella Basilica Petroniana alla cappella di s. Sebastiano [1853], Bologna 1879, p. 22; C. D'Arco, Delle arti e degli artefici di Mantova, Mantova 1857, 1, pp. 53, 63 ss.; II, nn. 100 s., 104, 116 s., 122 ss., 263; L. N. Cittadella, Documenti ed illustr. risguardanti la storia artistica ferrarese, Ferrara 1868, pp. 74 s.; J. A. Crowe-G. B. Cavalcaselle, A History of painting in North Italy... [1871], a cura di T. Borenius, London 1912, II, pp. 252 ss. ; A. Venturi, L'arte ferrarese nel periodo di Ercole I d'Este, in Atti e mem. d. R. Deputaz. di st. patria per le prov. di Romagna, VI (1888), 3, pp. 394 ; Id., L.C., in Arch. Stor. d. arte, I (1888), pp. 241-56; C.Yriarte, Isabelle d'Este et les artistes de son temps. Relations d'Isabelle avec L. C. et Francia, in Gazette des Beaux Arts, s. 3, VIII (1896), pp. 330-446; A. Luzio-R. Renier, La coltura e le relazioni letter. di Isabella d'Este Gonzaga, II, Le relazioni letter.: gruppo mantovano, in Giorn. stor. d. lett. ital., XXXIV (1899), 100-101, p. 89; Id., La coltura..., II, Le relazioni letterarie: gruppo emiliano, ibid., XXXVIII (1901), 110-111, pp. 60 ss.; F. Malaguzzi Valeri, Una corte italiana nel Quattrocento, in Emporium, VI (1900), p. 267; A. Luzio, Arte retrospettiva: I Ritratti d'Isabella d'Este, ibid., pp. 344-359, 427; P. Kristeller, A. Mantegna, Berlin-Leipzig 1902, pp. 580 s. n. 180; T. Gerevich, F. Francia nell'evoluz. della pittura bolognese, in Rassegna d'arte, VIII (1908), pp. 121 ss., 142; A. Luzio, Isabella d'Este e Giulio II (1503-1505), in Riv. d'Italia, XII (1909), 2, pp. 863 ss.; Id., La reggenza d'Isabella d'Este durante la prigionia del marito (1509-1510), in Arch. stor. lomb., s. 4, XIV (1910), p. 34; Id., La Galleria dei Gonzaga venduta all'Inghilterra nel 1627-1628. Documenti..., Milano 1913, pp. 27, 206 s., 209; A. Rubbiani, Il castello di Giovanni II Bentivoglio, in Atti e mem. d. R. Deputaz. di st. patria per le prov. di Romagna, III(1913), 4, p. 204; C. Ricci, Un dipinto di Ercole Roberti in Bologna, in Rassegna d'arte, n. s., I (1914), pp. 15 ss.; A. Venturi, Storia d. arte ital., VII, 3, Milano 1914, pp. 768 ss., 806; IX, 3, ibid. 1928, pp. 632 ss. (cfr. Index, a cura J. D. Sisson, I-II, Nendeln 1975, ad vocem);F. Filippini, Ercole da Ferrara ed Ercole da Bologna, in Boll. d'arte, XI (1917), p. 57; G. Zucchini, Le vetrate di S. Giovanni in Monte di Bologna, ibid., p. 90; O. Fischel, Die Zeichnungen der Umbrer, Berlin 1917, p. 24; G. Bertoni, Il maggior miniatore della Bibbia di Borso d'Este "Taddeo Crivelli", Modena 1925, pp. 13 s.; G. Gronau, Portraits of Ladies of the Mantuan Court by L. C., in Pantheon, I (1928), pp. 35 s.; C. Ricci-G. Zucchini, Guida di Bologna [1930], Bologna 1968, ad Ind.; F. Canuti, Il Perugino, Siena 1931, I, p. 110; A. Venturi, La pittura del Quattrocento nell'Emilia, Bologna 1931, p. 77; P. Bucarelli, Due opere ined..di L. C. in Roma, in Boll. d'arte, s. 3, IV (1934), pp. 322-26; R. Longhi, Officina ferrarese, 1934-1940, in Opere complete..., V, Firenze 1956, pp. 51 s., 60, 181 s.; Ph. Pouncey, Ercole Grandi's Masterpiece, in The Burl. Magaz., LXX (1937), pp. 161-68; I. B. Supino, L'arte nelle chiese di Bologna secc. XV-XVI, Bologna 1938, pp. 339 s.; G. Fiocco, G. A. Pordenone [1939], Venezia 1943, pp. 51 s.; F. Zeri, Il terzo pannello degli "Argonauti" di L. C., in Proporzioni, I (1948), pp. 170 s.; Id., Appunti per Ercole de' Roberti. Un nuovo elemento della serie degli Argonauti, in Boll. d'arte, L(1965), pp. 72-80; M. Harrsen-G. K. Boyce, Italian manuscripts in the Pierpont Morgan Library…, New York 1953, pp. X, 47; F. Arcangeli, Una Maddalena di L. C., in Paragone, V (1954), 57, pp. 48-52; G. Marchini, Le vetrateital., Milano 1956, pp. 46 s., 229, nn. 67 ss.; C. Volpe, Tre vetrate ferraresi e il Rinascimento a Bologna, in Arte antica e moderna, I(1958), pp. 30 s., 33; E. Menegazzo, Contributo alla biografia del Folengo, in Italia medioevale e umanistica, II (1959), p. 383; M. C. Brown, L. C. [tesi di dott. Columbia Univ., 1966], Univ. Microfilms Int., Ann Arbor, Mich., 1973; F. R. Varese, L. C., Milano 1967; B. Berenson, Italian Pict. of the Renaissance. Central Italian and North Italian schools, London 1968, I, pp. 95 ss.; E. Winternitz, A Spinettina for the Duchess of Urbino, in Metropolitan Museum Journal, I(1968), p. 105; M. C. Brown, The Church of Santa Cecilia and the Bentivoglio Chapel in San Giacomo Maggiore in Bologna, in Mitteil. des Kunsthist. Inst.s in Florenz, XIII (1967-68), pp. 319-22, 324; P. Venturoli, L. C., in Storia d. arte, I (1969), 1-2, pp. 161-68; Id., A. Aspertini a Gradara, ibid., 4, p. 428; M. Milkovich, The Lynch Collection... Exibition, Binghampton 1969, p. 68, n. 14; M. C. Brown-A. M. Lorenzoni. L. C. in Mantua. Five autograph letters, in L'Arte, III (1970), p. 113; E. Verheyen, The paintings in the Studiolo of Isabella d'Este at Mantua, New York 1971, pp. 18 s.; C.Gould, The Paintings of Correggio, London 1976, pp. 176, 288; J. J. G. Alexander, Italian Renaissance Illuminations, London 1977, pp. 116, 117, tavv. 38 s.; A. Ballarin, in Giorgione, Atti del Convegno internazionale... 1978, Castelfranco Veneto 1979, pp. 227-52; P. Tosetti Grandi, L. C. "Civis Mantuae et Bononiensis": documenti inediti e riflessioni, in Università di Padova, Annali d. Facoltà di lettere e filosofia, VI (1979), pp. 269-99; Id., L. C. in S. Giacomo Maggiore a Bologna: una proposta e la valutazione di una fonte, in Prospettiva, 1981, 24, pp. 37-40; M. C. Brown, Un tableau perdu de L. C. et la collection de Florimond Robertet, in Revue de l'art, 1981, n. 52, pp. 24-28; Id., Una immagine de Nostra Donna, L.C.'s Holy Family for Ann of Brittany, in Cultura figurativa tra XV e XVI secolo, in mem. di G. Bargellesi, Venezia 1981, pp. 113-33; G. Romano, in Storia dell'arte italiana, VI, Torino 1981, p. 54; R. Jones, "What Venus did with Mars" Battista Fiera and Mantegna's Parnassus, in Journal of the Warburg and Courtauld Institutes, XLIV (1981), pp. 193 ss.; P. Tosetti Grandi, L. C. miniatore, in Atti del II Congresso di storia d. miniatura ital., Cortona 1982, in corso di stampa.