LORENZO di Pietro, detto il Vecchietta
Nacque da Pietro di Giovanni di Lando a Siena, dove fu battezzato l'11 ag. 1410 (Del Bravo).
Si ignora l'origine del soprannome Vecchietta con il quale L. fu più volte registrato nei documenti raccolti in buona misura da Vigni. Nel 1428 risulta iscritto nel ruolo dei pittori senesi.
La ricostruzione della formazione di L., priva del supporto di testimonianze documentarie, costituisce un nodo filologico ancora in parte da sciogliere, risultando largamente dipendente in primo luogo dall'attribuzione, non sempre agevole e talvolta controversa, di un nucleo di lavori eseguiti nel corso degli anni Trenta nei cantieri di Castiglione Olona quale collaboratore di Masolino da Panicale, nell'ambito delle commesse del cardinale Branda da Castiglione.
La presenza del giovane L. accanto al maestro di Panicale, ormai unanimemente accolta, ha contribuito peraltro a corroborare l'ipotesi di un soggiorno a Firenze verso la fine del terzo decennio, già formulata sulla base di una serie di indagini stilistiche; queste avevano evidenziato, nelle prime opere note di L., la sovrapposizione di tratti della rinnovata tradizione senese del Sassetta (Stefano di Giovanni) con un certo umanistico gusto antiquariale, unito alla sperimentazione di soluzioni spaziali e scenografiche senza dubbio coincidenti con quelle elaborate nel contesto della più avanzata cultura visiva fiorentina.
La collaborazione con Tommaso di Cristofano ha inoltre alimentato la supposizione che L. avesse già partecipato giovanissimo, tra la fine degli anni Venti e l'inizio del decennio successivo, nella bottega di Masolino, all'impresa della cappella di S. Caterina nella chiesa romana di S. Clemente e poi alla realizzazione del perduto ciclo di Uomini famosi (Bertelli, 1997, pp. 13, 37) dipinto nel palazzo di Giordano Orsini.
I vari tentativi di isolare il suo contributo negli affreschi clementini attraverso confronti minuziosi e talora suggestivi con i dipinti murali olonesi (Golay, pp. 98 s.; L'Occaso, pp. 46-51) non hanno tuttavia prodotto risultati soddisfacenti, anche e soprattutto perché diverse ipotesi derivano esclusivamente dalla dubbia attribuzione a L. di molti particolari degli affreschi lombardi concepiti invece dal pittore di Panicale.
L'individuazione dell'autografia di L. nelle scene raffiguranti Il seppellimento di s. Stefano e Il martirio di s. Lorenzo, affrescate in piena autonomia sulle pareti absidali della collegiata di Castiglione Olona e quasi unanimemente riferite alla seconda metà degli anni Trenta, ha sollecitato diversi tentativi di individuare le possibili collaborazioni con Masolino anche nel battistero, nel palazzo del cardinale e sulla volta della collegiata stessa.
Spetta a Bertelli (1987 e 1997) l'avere più di ogni altro contribuito a tentare di definire in modo sistematico la difficile mappatura degli interventi lombardi di Lorenzo. Lo studioso ha ritenuto a lui ascrivibili e appartenenti alla prima fase del concorso agli affreschi masoliniani - con una datazione di poco posteriore al 1432 - alcune delle finte architetture delle Storie di Maria sulla volta della collegiata e in particolare quelle dell'Incoronazione, dello Sposalizio e dell'Annunciazione, in base a un'ampia mole di raffronti morfologici con la produzione successiva e all'idea - da molti rifiutata e in effetti non del tutto convincente - che Masolino necessitasse di un collaboratore per elaborare strutture prospettiche matematicamente misurabili e articolazioni spaziali di tale complessità. Secondo Bertelli (1987, pp. 29 s.; 1997, pp. 60 s.) sarebbe da riferire allo stesso periodo anche l'esecuzione della parte sinistra del fregio raffigurante un Paesaggio in una delle sale del palazzo di Branda da Castiglione, attribuito a L. in ragione dei caratteri dell'orizzonte figurativo senese ivi presuntivamente riconoscibili; gli esempi del Sassetta considerati quali diretti modelli sembrano tuttavia francamente non decisivi nella determinazione del suo intervento. Pare infatti improbabile, per limitarsi a questo, che le prospettive di città figurate nella zona di ipotetica competenza di L. possano derivare da quella che occupa una parte affatto esigua dello sfondo destro della predella di Melbourne (National Gallery of Victoria), raffigurante il Rogo di un eretico e facente parte in origine della Pala dell'arte della lana dipinta da Stefano di Giovanni probabilmente tra il 1423 e il 1426. L. - se ci atteniamo ancora alla ricostruzione di Bertelli (1987, p. 31; 1997, pp. 47 s.) - avrebbe quindi proseguito la collaborazione nel battistero verso il 1435, data che compare su una delle pareti affrescate, realizzando, tra l'altro, quasi tutti gli sfondi paesistici, le architetture del Banchetto di Erode e, molto probabilmente, le arcate finte dell'Imposizione del nome al Battista.
In un momento successivo, forse dopo il 1436, quando era ormai rientrato a Firenze Paolo Schiavo, già aiuto di Masolino e iniziatore delle Storie dei protomartiri nelle lunette del coro, tornò a dipingere sulle pareti absidali della collegiata, esibendo sperimentali scorci prospettici nei riquadri, assai rovinati, con Il seppellimento di s. Stefano e Il martirio di s. Lorenzo.
La presenza di un edificio dipinto molto simile alla basilica padovana di S. Antonio nel Martirio di s. Lorenzo e alcuni possibili riflessi negli affreschi della cappella di S. Martino delle opere padovane di Filippo Lippi, perdute ma immaginabili nei loro elementi compositivi attraverso l'esame della produzione pressappoco coeva di Lippi, hanno indotto inoltre Bertelli (1988, p. 302; 1994, pp. 382, 386) a ipotizzare un soggiorno nella città veneta verso la metà del decennio, durante i lavori di Paolo Schiavo. Lo stesso studioso (1994, pp. 386-389; 1997, p. 36) - seguito da Bonaiti (2000-01, pp. 31, 40), ma confutato, sia pure indirettamente, da Franco (pp. 14, 17) - ha esteso la trama di congetture relative al viaggio nei domini della Serenissima suggerendo la possibilità di un intervento di L. nella progettazione della finta architettura che incornicia la Visitazione nella cappella dei Mascoli in S. Marco a Venezia, attraverso l'analisi di una serie di elementi ornamentali e tipologici del mosaico veneziano, presenti tanto nelle opere di Castiglione Olona quanto in quelle senesi dell'artista.
Con ogni probabilità prima del 1439, anno in cui è documentata la presenza a Siena di L., dovrebbe collocarsi infine la cronologia della decorazione della cappella di S. Martino nel palazzo di Branda da Castiglione, recentemente scoperta, che pare facilmente a lui attribuibile in ragione del confronto con gli schemi compositivi maturi.
L. vi rappresentò una Crocifissione sulla parete di fondo, Santi e Gerarchie della Chiesa su quella d'ingresso, dipingendo sulle laterali, a sinistra, Sante martiri e vergini e, a destra, Santi martiri e una Strage degli innocenti.
Nell'ambito degli studi sui cantieri della cittadina lombarda (Natali, pp. 6 s.; Bonaiti, 1997, pp. 247-250) è stata avanzata inoltre l'ipotesi dell'impegno di L. in veste di architetto nel disegno della chiesa di Villa, inscritta in un quadro culturale di matrice fiorentina non dissimile da quello che L., più avanti impegnato tra l'altro in comprovati progetti di fortificazione, dette prova di conoscere nelle numerose rappresentazioni di edifici monumentali che costellano la sua produzione pittorica.
Dopo il ritorno in Toscana, tra la fine degli anni Trenta e l'inizio del decennio successivo, L. ottenne alcuni incarichi di un certo rilievo dall'Opera del duomo di Siena in qualità di scultore. Risale al 1439 l'intaglio di due figure in legno policromo, oggi disperse, raffiguranti un'Annunciazione e realizzate per l'altare maggiore, mentre è datato 4 apr. 1442 un compenso di 30 lire per l'esecuzione di un Cristo risorto ligneo, smarrito anch'esso, che doveva avere la medesima collocazione in occasione della Pasqua.
Nello stesso periodo iniziò a lavorare anche per l'ospedale di S. Maria della Scala, presso il quale fu impegnato per tutto il quinto decennio. Il 30 nov. 1441 L. venne pagato, tra l'altro, per gli affreschi nella sala del Pellegrinaio, dove dipinse tre Storie di Tobia nella prima campata, perdute, decorando inoltre una lunetta con una Allegoria della fondazione dell'ospedale, la cui interpretazione iconografica è stata oggetto di numerose controversie.
Risultano in proposito largamente condivisibili le puntualizzazioni avanzate da Costa e Ponticelli (pp. 120-123) che, confutando alcune poco convincenti ipotesi esegetiche di Scharf (pp. 114-128), hanno proposto di identificare la scena principale con il racconto di una visione che il ciabattino Sorore, mitico fondatore dell'ospedale, fece a un canonico del duomo, suggerendo altresì di interpretare quella nella parte destra del dipinto murale come la rappresentazione dell'elemosina offerta dal canonico allo stesso Sorore, in occasione dell'accoglienza di un orfano. L., allestendo una complessa composizione prospettica, elaborò dunque una celebrazione allegorica delle origini dell'istituzione senese, nata dalla collaborazione tra laici e canonici e posta sotto la diretta protezione della Vergine, raffigurata nell'atto di accogliere in cielo gli orfani al termine di una scala che doveva costituire un'evidente allusione alle funzioni assistenziali e salvifiche dell'ospedale.
Nell'esigua produzione di pittura su tavola di L. trovano non facile collocazione cronologica due opere accomunate da una struttura compositiva simile e in genere considerate dello stesso periodo, assegnategli su base esclusivamente stilistica: il Trittico raffigurante la Madonna col Bambino e i ss. Giovanni Battista e Girolamo del Musée du Petit-Palais di Avignone, riferito in modo persuasivo da Angelini (p. 172) all'inizio del quinto decennio, e la Madonna col Bambino e angeli del Museo civico e diocesano d'arte sacra di Montalcino.
Quest'ultima, se si intende mantenerne l'attribuzione, è da considerare probabilmente di poco precedente rispetto all'opera avignonese, in ragione dei tratti affioranti nel dipinto di una più marcata maniera riconducibile a Masolino e al Sassetta. Pare inoltre poco plausibile la datazione ai primi anni Cinquanta ribadita di recente da Bagnoli sulla base di confronti con gli affreschi del battistero.
Verso la prima metà del quinto decennio dovrebbe porsi anche il S. Giacomo minore in legno policromo di collezione privata, attribuito a L. da Previtali (1964) e confermato dalla letteratura successiva, che presenta i tratti di uno stile ancora vicino ai paradigmi tardogotici.
Il 29 dic. 1445 ricevette un pagamento per la decorazione della cosiddetta "arliquiera", l'armadio che un tempo custodiva le reliquie nella sacrestia grande dell'ospedale di S. Maria della Scala, oggi conservato nella Pinacoteca nazionale di Siena.
L. decorò il lato esterno con Santi e beati senesi, tra i quali spicca la presenza del beato Sorore, di cui evidentemente si intendeva all'epoca promuovere il culto, rappresentando nella parte interna Storie della Passione. L'artista ricorse per la finitura dell'opera alla collaborazione di Pietro di Giovanni di Ambrogio, cui si tende in genere a riferire le zone più deboli delle scene cristologiche.
Tra il 1445 e il 1448 dipinse a fresco una Pietà nella cappella Martinozzi in S. Francesco a Siena (Monteriggioni, Museo del Seminario arcivescovile), elaborando una composizione dal forte effetto drammatico esemplata probabilmente su un modello di origine nordeuropea. Nell'ambito del medesimo tipo iconografico si inscrive anche il gruppo in legno policromo che L. scolpì "pro sua devozione" (Bagnoli, 1989, p. 282), verosimilmente nello stesso periodo, per la parrocchia senese di S. Donato in S. Michele Arcangelo, manifestando un vivo interesse per il patetismo espressivo della plastica donatelliana.
Nella seconda metà degli anni Quaranta fu inoltre impegnato, insieme con una bottega piuttosto ampia, nell'esecuzione del vasto ciclo di affreschi che decora la sacrestia grande dell'ospedale di S. Maria della Scala. L. ottenne un primo compenso il 31 dic. 1446 per l'esecuzione della volta, nella quale sono raffigurati il Redentore, gli Evangelisti e i Dottori della Chiesa. Il 20 sett. 1449 fu invece remunerato per le pitture delle pareti, ove si trovano, nelle lunette, gli Articoli del Credo e, a esse legate da un denso tessuto di rimandi di carattere "figurale", Storie dell'Antico Testamento nei riquadri sottostanti.
Il 7 febbraio dell'anno successivo fu incaricato di dipingere gli Articoli del Credo anche sulle volte del battistero di S. Giovanni insieme con un collaboratore, sulla cui identità si è andata consolidando l'ipotesi relativa a Benvenuto di Giovanni.
L. realizzò anche la Madonna in gloria e angeli sull'arcone absidale, i quattro Apostoli della campata anteriore centrale, nonché, ancora nella zona absidale, i riquadri raffiguranti la Flagellazione, l'Andata al Calvario e l'Annunciazione, tornando a esibire una cultura artistica radicata nella tradizione senese ma non immune dalle suggestioni della pittura fiorentina.
Nel 1457 fu pagato per due sculture lignee raffiguranti l'Annunciazione destinate alla chiesa di S. Maria della Scala e oggi disperse. Nello stesso anno eseguì inoltre su commissione di un certo Giacomo d'Andreuccio, ricordato nell'iscrizione che compare sulla tavola, la pala raffigurante la Madonna col Bambino e i ss. Bartolomeo, Giacomo, Eligio, Andrea, Lorenzo e Domenico (Firenze, Uffizi) e l'affresco con la Madonna della Misericordia dipinto nell'ufficio del sale del palazzo pubblico a Siena.
Alla fine degli anni Cinquanta si è soliti datare lo scomparto di predella con il Miracolo di s. Ludovico da Tolosa (Roma, Pinacoteca Vaticana), cui si lega la complessa vicenda filologica relativa alle tavole tradizionalmente assegnate a L. e raffiguranti il Miracolo di s. Antonio da Padova (Monaco, Alte Pinakothek), la Predica di s. Bernardino (Liverpool, Walker Art Gallery), due Allegorie francescane (Monaco, Alte Pinakothek) e due Flagellanti inginocchiati (Bayonne, Musée Bonnat; Chantilly, Musée Condé).
Bellosi (pp. 40-47, 112), considerandole parti di una pala realizzata forse dallo stesso L. per la chiesa senese di S. Francesco, ha ipotizzato per queste tavolette autografie diverse ancorché riconducibili alla bottega di L., sulla scorta di dettagliate ma non sempre persuasive analisi stilistiche, e assegnato il dipinto di Monaco a Benvenuto di Giovanni e gli altri a Francesco di Giorgio. Allo stato attuale della ricerca le pur fertili congetture presentate non risultano verificabili, ma contribuiscono comunque a rinsaldare l'opinione che nell'"officina" di L. gravitassero tra gli altri i due giovani artisti, come sembra attestare un documento che fa menzione dei tre in rapporto a un debito contratto con l'Opera del duomo (ibid., p. 44). Occorre a ogni modo tenere conto almeno delle ipotesi alternative avanzate da Kanter (che è tornato ad attribuire a L., sia pure senza l'ausilio di solidi argomenti, la Predica di s. Bernardino, le Allegorie francescane e i Flagellanti, collocando invece nel catalogo di Benvenuto di Giovanni i rimanenti scomparti) e di quelle di Strehlke (p. 502), incline a ritenere plausibile la collocazione della complessa predella nel tabernacolo che doveva ospitare il S. Bernardino ligneo (Firenze, Museo nazionale del Bargello) eseguito da L. per la chiesa di S. Francesco a Narni, in una data da anticipare rispetto alla consueta cronologia fissata intorno al 1475.
Sulla base di somiglianze piuttosto evidenti con le opere di questo periodo è possibile stabilire verso il 1457 anche la cronologia della pala in legno policromo con l'Assunzione della Vergine (Fargnoli, p. 52), attualmente conservata nella chiesa di S. Giorgio, ma eseguita con ogni probabilità per l'oratorio dell'Assunta, contiguo alla pieve di S. Lorenzo a Montemerano nel Grossetano.
Tra il 1458 e il 1462 L. scolpì il S. Paolo e il S. Pietro per la loggia degli ufficiali della Mercanzia, uniche due opere in marmo note, che confermano limpidamente la predilezione dell'artista per i modi compositivi di Donatello.
Nel marzo 1460 si recò a Roma per la presentazione a Pio II del modello delle cosiddette "logge del Papa" da edificare a Siena, al quale fu poi preferito il progetto di Antonio Federighi. Durante il papato di Pio II ottenne comunque diversi ordini di grande rilievo. Nello stesso anno ricevette la commissione per la S. Caterina da Siena della sala del Mappamondo in palazzo pubblico, affrescata da L. - verosimilmente entro l'anno successivo, quando Caterina Benincasa fu canonizzata - a chiara imitazione dell'arte scultorea, collocando la figura all'interno di una finta nicchia del tutto simile alle architetture già rappresentate nel Pellegrinaio e nell'"arliquiera".
Tra il 1460 e il 1463, data di consacrazione degli altari, dipinse inoltre l'Assunzione di Maria e I ss. Agata, Pio I, Callisto e Caterina da Siena per il duomo di Pienza.
Il pittore, pur spartendo la scena in tre scomparti, riuscì ad adeguare l'opera alle composizioni unitarie delle altre pale realizzate per la cattedrale, conferendo alla rappresentazione dei pannelli laterali un carattere omogeneo sotto il profilo spaziale attraverso la soluzione delle nicchie all'antica.
Di non molto posteriore all'Assunzione dovrebbe essere la pala raffigurante la Madonna col Bambino e i ss. Biagio, Giovanni Battista, Nicola e Floriano, coronata da una lunetta con l'Annunciazione ed eseguita per la chiesa di S. Niccolò a Spedaletto, dipendente dall'ospedale di S. Maria della Scala (Pienza, Museo diocesano).
Paardekooper (pp. 159-162) ha posticipato di qualche anno il dipinto di L., connotato da significative rispondenze con le opzioni cromatiche di Domenico Veneziano tipiche di questo momento, rispetto alla tradizionale datazione, considerando la possibile data di esecuzione in rapporto alla prima nomina di un parroco per la piccola chiesa avvenuta nel 1466, e ritenendo plausibile la spiegazione dell'insolita presenza di s. Floriano nella pala come un rimando a Floriano di messer Iacomo, camerlengo dell'ospedale tra il 1455 e il 1468, probabile committente del dipinto insieme con l'allora rettore Niccolò Ricoveri, al quale alluderebbe il santo eponimo che affianca Maria.
Bellosi (pp. 22-24, 198 s.) ha proposto di recente di espungere dal catalogo di L. il Monumento funebre di Mariano Sozzini (Firenze, Bargello), realizzato per la chiesa di S. Domenico probabilmente in prossimità della morte del giurista avvenuta nel 1467, assegnando il gisant a Francesco di Giorgio sulla base di un'evidenza stilistica apparentemente così forte da porre in secondo piano, a suo dire, la testimonianza cinquecentesca di un allievo del nipote di Mariano Sozzini a favore di L., ritenuta credibile da un'ampia tradizione anche in virtù del pronunciato realismo dell'opera, peculiare della sua produzione scultorea matura.
Nell'aprile del 1467, con ogni probabilità sulla base del favore incontrato dal progetto su tela oggi conservato nella Pinacoteca di Siena, egli ricevette la commissione per realizzare il Ciborio bronzeo da porre sull'altare maggiore della chiesa di S. Maria della Scala.
Un pagamento del 29 nov. 1472 attesta verosimilmente la fine dei lavori dell'articolata struttura, impreziosita dalla presenza di venticinque figure a tutto tondo di gusto prossimo a quello esemplato dalle Virtù donatelliane del fonte battesimale del battistero senese e sormontata da una figura di Cristo del tutto simile a quello realizzato pochi anni più tardi per la propria cappella sepolcrale. La straordinaria ammirazione che l'oggetto suscitò indusse il governo della città a spostarlo nel 1506 dalla sua originaria collocazione per sistemarlo sull'altare maggiore del duomo, dove ancora si trova.
Il 26 giugno 1467 L. presentò inoltre un modello per la rocca di Sarteano, realizzato in collaborazione con Guidoccio d'Andrea, cui fecero seguito i progetti per alcuni, mai eseguiti, lavori di fortificazione, tra cui quello di Orbetello (Angelini, p. 173).
Nel 1472 firmò la Resurrezione bronzea della Frick Collection di New York, ottenendo effetti squisitamente pittorici attraverso il contenuto rilievo della composizione, in linea con i continui scambi tra le due arti che L. sembrò perseguire durante la maturità in modo sistematico, qualificandosi peraltro, non di rado, come scultore nei suoi lavori di pittura e viceversa.
Nel 1475 L. modellò in legno policromo, con notevole qualità realistica nella resa dei dettagli, un S. Antonio Abate forse per l'omonima chiesa di Narni, oggi nella cattedrale della stessa cittadina umbra.
Nel 1476 inoltrò una richiesta all'ospedale di S. Maria della Scala affinché gli fosse concesso di realizzare una cappella destinata ad accoglierne le spoglie nella chiesa dell'istituzione.
Entro i due anni successivi L. vi collocò la pala raffigurante la Madonna col Bambino e i ss. Pietro, Paolo, Lorenzo e Francesco (Siena, Pinacoteca nazionale), "ob suam devotionem", come testimonia l'iscrizione sul margine inferiore, concependo un'invenzione brillante nell'articolazione dello spazio all'interno di una grande nicchia a lacunari, già parzialmente sfruttata nell'Assunzione di Pienza. Per l'altare della cappella, non più esistente, realizzò inoltre il Cristo risorto in bronzo (oggi sull'altare maggiore dello stesso edificio sacro), connotato da un verismo spiccato e non comune nella delineazione dell'anatomia e delle vene che solcano il corpo del Salvatore e da una modellazione estremamente levigata delle superfici, forse retaggio dell'attività di orafo di cui rimane traccia solo nei documenti (cfr. Milanesi).
Verso la fine del decennio iniziò a scolpire il gruppo degli apostoli intorno al sepolcro di Maria per una grande ancona lignea commissionatagli da una chiesa lucchese o della Lucchesia e raffigurante l'Assunzione della Vergine (Lucca, Museo nazionale di Villa Guinigi), completata dopo la morte di L. da Neroccio dei Landi che eseguì la figura dell'Assunta (Carli, 1980, p. 46).
L. morì a Siena il 6 giugno 1480.
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