Lorenzo il Magnifico
Principe e poeta nella Firenze rinascimentale
Appartenente alla potente dinastia dei Medici, Lorenzo fu uno dei maggiori esponenti del Rinascimento italiano. Signore di Firenze, ebbe un ruolo di grande rilievo nella vita della sua città e dell’Italia. Fu politico, letterato e mecenate, mercante e banchiere, e per le sue doti eccezionali fu denominato ‘il Magnifico’
Il nonno di Lorenzo, Cosimo, era stato il fondatore della potenza dei Medici a Firenze, dove Lorenzo nacque nel 1449. Appena ventenne, Lorenzo era succeduto nel 1469 al padre Piero nell’esercitare, con il fratello Giuliano, la signoria cittadina. Una grave crisi fu da lui superata allorché sopravvisse alla congiura messa in atto nel 1478 contro i Medici, col decisivo concorso della Roma papale e della corte di Napoli, dalla famiglia loro antagonista dei Pazzi, congiura che costò la vita a Giuliano. Lorenzo ne uscì riuscendo a consolidare il proprio primato, che non venne più sfidato sino alla sua morte.
Egli agì in due direzioni: quella della politica interna e della politica estera. In primo luogo accentuò il potere suo personale e poi quello delle potenti oligarchie senza il cui consenso non avrebbe potuto governare, mostrando però l’accortezza di cercare di contemperare gli interessi delle varie parti della società fiorentina. Ridusse l’influenza del Consiglio del popolo e del comune e delle Arti medie e minori e accrebbe quella delle oligarchie a lui legate, che avevano i loro maggiori centri di influenza nel Consiglio dei Settanta e nella cancelleria signorile. In secondo luogo, impose l’egemonia di Firenze su città come Siena e Lucca e su Romagna e Umbria, sottomettendole alla sua autorità.
In politica estera Lorenzo operò in modo da unire gli Stati italiani in un’alleanza (di cui Firenze doveva costituire ‘l’ago della bilancia’) con Milano, Roma e Napoli, avendo lo scopo di pervenire a uno stato di equilibrio volto a preservare la pace. Questo disegno di Lorenzo, tessuto superando varie difficoltà, dopo una prima fase di sostanziale successo venne eroso dal contrasto degli interessi tra gli Stati regionali fino al punto di diventare evanescente.
Ma la minaccia maggiore venne infine dall’esterno, e cioè dai progetti espansionistici prima della Francia e poi della Spagna in direzione dell’Italia. Lorenzo morì nel 1492, proprio quando il re francese Carlo VIII andava già progettando tale invasione, che divenne una realtà nel 1494.
La figura di Lorenzo assurse ben presto al livello del mito, inducendo a opposte valutazioni. Mentre Niccolò Machiavelli e Francesco Guicciardini videro in lui l’incarnazione di un principe di grandi qualità politiche, Girolamo Savonarola e i suoi seguaci, che aspiravano a una riforma politica guidata da intransigenti principi religiosi, lo denunciarono come l’esponente di uno spirito tirannico e corrotto dalla mondanità.
Lorenzo non fu soltanto un politico di grande rilievo, ma anche un finissimo letterato e poeta. Vissuto quando Firenze era grande capitale del Rinascimento italiano ed europeo, contribuì in prima persona allo sviluppo dell’Umanesimo. Si adoperò per lo sviluppo della cultura e delle arti, con un’attività di illuminato mecenatismo, di cui tra gli altri beneficiarono poeti come il Poliziano e filosofi come Marsilio Ficino.
Egli stesso si dedicò alla poesia, con un’ispirazione improntata all’arguzia e al disincanto verso il valore delle cose umane, destinate tutte a perire. Ha lasciato numerose opere divenute un capitolo importante della letteratura nazionale, quali i Canti carnascialeschi, la Nencia da Barberino e le Selve d’amore.
«Due persone diverse, quasi con impossibile congiunzione congiunte»: così Machiavelli definisce Lorenzo il Magnifico. E la diversità è manifesta anche nell’opera letteraria del principe illuminato: poesie colte e delicate, scritti burleschi e sboccati, sacre rappresentazioni colme di devozione. Ma unica è la lingua popolare che egli fu tra i primi a ritenere adatta alle arti e alle scienze non meno che il latino, la lingua dei dotti.«Donne, siam, come vedete,giovanette vaghe e liete.Noi ci andiam dando diletto,come s’usa il carnasciale:l’altrui bene hanno in dispettogl’invidiosi e le cicale»(da Canti carnascialeschi, Canzona delle cicale).