IMPERIALI (Imperiale), Lorenzo
Nacque a Genova nel 1612 da Michele (1565-1616), principe di Oria, e Maddalena Spinola, membri di due delle principali famiglie del patriziato genovese. Intorno al 1635 venne a Roma e iniziò la carriera nella burocrazia pontificia. Referendario di Segnatura dal 1638, assunse la carica di vicelegato di Bologna (1639-40) e poi quella di governatore di Fano (1640-42), Ascoli (1642-43), vicelegato di Ferrara (1643), governatore di Viterbo (1644). Nel 1644 divenne inoltre chierico di Camera e commissario generale delle Armi. Questi incarichi, tutti di carattere amministrativo, resero l'I. uno dei migliori conoscitori della macchina di governo pontificia.
Alla fine degli anni Quaranta la carriera dell'I. conobbe un deciso scatto. Nel 1648 fu incaricato di ristabilire l'ordine nella città di Fermo, dove si era verificato un tumulto che aveva portato all'uccisione del governatore Uberto Visconti. La repressione del moto fu rapida ed efficiente. Entrato con un contingente militare nella città marchigiana, l'I. procedette a numerosi arresti e sequestri di armi, riorganizzò l'amministrazione cittadina e, in ottobre, fece eseguire le sentenze di morte contro alcuni dei principali responsabili della sollevazione. Tornato a Roma, fu nominato cardinale in pectore, il 19 febbr. 1652, e poco dopo governatore di Roma, carica che mantenne dal gennaio 1653 all'aprile 1654. Nel 1654 la nomina cardinalizia fu pubblicata e l'I. fu ascritto a numerose congregazioni nelle quali svolse un ruolo minore.
Nell'ultima fase del pontificato di Innocenzo X si diffuse in ampi settori della Curia una crescente insofferenza per il ruolo della famiglia del pontefice, e in particolare per la tendenza della cognata, Olimpia Maidalchini, a intromettersi nell'attività di governo. Alla morte del papa, all'inizio del 1655, maturò quindi nel Collegio cardinalizio la volontà di eleggere un pontefice capace di limitare l'influenza dei parenti e di rilanciare il ruolo del Papato nei confronti delle potenze cattoliche. Si formò così una nuova fazione di cardinali, lo "squadrone volante", che si dichiarava indipendente dalle potenze straniere.
Anche l'I. aderì a questo gruppo e ne divenne, con i cardinali P. Ottoboni, D. Azzolini e G.F. Albizzi uno degli esponenti di maggiore spicco. Le motivazioni che indussero l'I. ad aderire alla fazione non sono del tutto chiarite dalle testimonianze coeve, che pure, in molti casi, attribuiscono all'I. l'iniziativa di costituire lo "squadrone volante". In sede storiografica è stata avanzata l'ipotesi che l'atteggiamento politico dell'I. sia da mettere in relazione ai tentativi di una parte del patriziato genovese e della famiglia Imperiali di sganciarsi dall'alleanza con la Spagna. Più probabilmente, la scelta dell'I. derivò da una realistica presa d'atto del fatto che era ormai necessario pensare a nuove forme di aggregazione politica, data l'inconsistenza dei cardinali nipoti nell'esprimere una reale capacità di direzione.
L'elezione di Alessandro VII, nel 1655, rappresentò un notevole successo per lo "squadrone volante" e consentì all'I. di assumere un ruolo politico di primo piano, che fu messo in discussione solo dalla violenta contesa diplomatica che si accese tra la S. Sede e la Francia nel 1662. Negli esordi del pontificato chigiano l'I. fu spesso chiamato a intervenire sulle principali questioni di governo, come nel 1656, quando partecipò a una congregazione particolare riunita allo scopo di riorganizzare l'amministrazione finanziaria dello Stato della Chiesa. Nel 1657 egli fu però nominato legato a Ferrara e lasciò Roma.
La legazione ferrarese dell'I. durò tre anni e non fu caratterizzata da eventi particolarmente significativi. Il cardinale articolò la sua azione seguendo i nuovi indirizzi di governo seguiti da Alessandro VII, che cercava di realizzare un prudente riformismo, alleggerendo i carichi fiscali ereditati dai suoi predecessori e riorganizzando le strutture amministrative dello Stato. L'I. cercò dunque di migliorare la situazione delle finanze ferraresi e, attraverso un fitto dialogo con Roma, favorì la conversione di alcuni debiti a tassi di interesse minori e una riorganizzazione del bilancio della città. Si ricordano inoltre l'abolizione di alcune vecchie monete di epoca estense, una serie di disposizioni relative ai lavori di regimazione idrica e alcune norme sulla costituzione di archivi pubblici comunali e sulla tenuta della documentazione amministrativa.
Il 14 luglio 1660 l'I. successe a F. Baranzone nella carica di governatore di Roma. Restano ancora oscure le motivazioni che indussero il papa a conferire all'I. una carica che veniva concessa molto raramente a cardinali, ma è probabile che Alessandro VII intendesse soprattutto dare un segno di discontinuità rispetto allo screditato pontificato di Innocenzo X, scegliendo un personaggio di cui erano note le capacità amministrative.
Negli anni Sessanta del Seicento le condizioni dell'ordine pubblico a Roma rimanevano difficili. Alle tradizionali forme di violenza urbana si era infatti aggiunto il problema del controllo dei quartieri circostanti alle rappresentanze diplomatiche delle grandi potenze. Gli ambasciatori, infatti, pretendevano di estendere l'immunità della sede diplomatica ad ampie aree della città, provocando continui scontri con le forze di polizia (i "birri") dipendenti dal governatore e con i contingenti militari papali (la "guardia corsa"). Si trattava di conflitti che esprimevano, a un livello urbano, una crescente tensione tra il Papato e le grandi potenze, in particolare la Francia, che aspirava ormai a manifestare a livello europeo la propria superiorità politica e militare. Le tensioni giunsero al culmine nell'estate del 1662, dopo una serie di deliberate provocazioni dell'ambasciatore francese, il duca Charles de Créquy, nei confronti del governo papale e della famiglia pontificia. Il 20 ag. 1662 alcuni servitori dell'ambasciatore malmenarono un soldato corso. Alcune ore dopo, la soldatesca corsa circondò palazzo Farnese, sede dell'ambasciata di Francia, e lo fece segno di tiri di archibugio. La stessa carrozza della moglie dell'ambasciatore francese fu assalita, con l'uccisione di un paggio. Gli incidenti terminarono solo quando l'I. e il comandante delle truppe, Mario Chigi, ordinarono ai corsi di ritirarsi nei loro quartieri.
Il grave incidente aprì una fase turbolenta dei rapporti tra il Papato e la Corona di Francia, non privo di ricadute sulla vita dell'Imperiali. Dopo alcuni giorni, il Créquy abbandonò lo Stato della Chiesa e si ritirò a Radicofani, nel Granducato di Toscana, mentre il governo francese, dopo aver espulso il nunzio, avanzò una richiesta di riparazioni esorbitanti, che comprendevano anche la deposizione dell'I. dal cardinalato. Al di là delle sue dirette responsabilità nell'episodio, l'I. si avviava a diventare un capro espiatorio nell'ambito di un ampio e intricato gioco diplomatico. Mentre si avviavano colloqui diplomatici per arrivare a una qualche forma di accordo, Alessandro VII cercò di allontanare l'I. dalla scena politica romana. Tra la fine di ottobre e l'inizio di novembre 1662 si parlava di una sua possibile nomina ad arcivescovo di Genova, ma questa prospettiva tramontò presto. Il 3 nov. 1662 il papa lo nominò legato della Marca, una carica ormai desueta - la legazione della Marca era da tempo diventata un governo di rango prelatizio - ma di un certo prestigio. Si trattava, a ben vedere, di una manovra del pontefice, che poteva sostenere di aver acconsentito alle richieste francesi di allontanare l'I. da Roma, ma allo stesso tempo evitava di sconfessare il cardinale. Luigi XIV, però, rifiutò di accettare una simile soluzione di compromesso, che doveva apparirgli come un vero e proprio insulto, interruppe le trattative e reclamò l'arresto dell'I., o quanto meno un suo reale allontanamento da Roma. Le dimissioni dell'I. dalla legazione e la proposta che egli si recasse personalmente a presentare scuse ufficiali non erano a questo punto più sufficienti. Il 28 novembre l'I. lasciò Roma e si recò a Genova, presso il fratello Carlo. Si trattava, forse, di una manovra diversiva che non ebbe molto successo. Temendo la collera di Luigi XIV, nel febbraio 1663, la Repubblica lo espulse dal suo territorio, costringendolo ad affrontare una lunga e romanzesca peregrinazione tra la Liguria e la Toscana. Dopo essersi nascosto per parecchi mesi, dall'autunno 1663 l'I. si stabilì per qualche tempo a Carrara. Nel frattempo, il contrasto tra Francia e Papato era cresciuto ulteriormente di tono, con l'occupazione francese di Avignone e l'invio di una spedizione militare punitiva in Italia. Solo nel febbraio 1664, grazie alla mediazione del granduca di Toscana, fu raggiunto un accordo, il cosiddetto "trattato di Pisa", che umiliava il prestigio della S. Sede, imponendo al papa di punire i capi delle milizie pontificie - il fratello Mario fu costretto ad ammettere la sua colpevolezza - e di inviare a Parigi come legato il nipote, e segretario di Stato, Flavio Chigi e l'I. perché presentassero le loro scuse. I due cardinali arrivarono a Parigi in momenti diversi. L'I. il 21 luglio 1664, dopo un viaggio penoso, anche a causa degli scarsi riguardi degli Stati italiani per un personaggio che si riteneva irrimediabilmente compromesso. Il 18 agosto fu benevolmente ricevuto da Luigi XIV, al quale l'I. rinnovò le sue scuse e le offerte di servire la Francia, ottenendo in cambio il perdono reale.
Nell'ultima fase della sua vita l'I. rimase piuttosto appartato. Lo scontro con la Francia aveva ormai bruciato le sue possibilità di presentarsi in un futuro conclave come possibile candidato ed egli, pur rimanendo un autorevole cardinale di Curia, non aveva grandi possibilità di svolgere un ruolo politico importante.
Anche sul piano del mecenatismo culturale l'I. non si segnalò per una particolare magnificenza. Egli possedeva sicuramente una non irrilevante raccolta libraria, che in seguito confluì in quella, assai più cospicua, del nipote Giuseppe Renato Imperiali, ma non è possibile accertarne le reali dimensioni. Nell'ambito della pittura sembra che si debba riconoscere all'I. una qualche competenza, testimoniata dalla commissione al Guercino di una notevole Flagellazione di Cristo che l'I. donò ad Alessandro VII nel 1658, ma non sembra che il cardinale possedesse una raccolta in grado di misurarsi con le grandi collezioni romane dell'epoca.
Nelle elezioni papali del 1667 e del 1669-70 l'I. si schierò con i suoi amici dello "squadrone volante", ma non riuscì a condizionare più di tanto gli equilibri del conclave, anche a causa del progressivo sfilacciamento della fazione. Sembra anzi che ci siano state delle incomprensioni tra l'I. e un altro capo del gruppo, il cardinale D. Azzolini. Anche in questi anni di ripiegamento l'I. rimase comunque un personaggio di un certo rilievo alla corte di Roma e poté propiziare gli esordi della carriera del nipote, Giuseppe Renato, della cui educazione si occupò personalmente.
L'I. morì a Roma il 21 sett. 1673 e fu sepolto nella chiesa di S. Agostino, in un monumentale sepolcro fatto costruire dai suoi eredi.
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