DAMERET (Deinaret, Demaretti, Dameretti, Darnaret, Daramet), Luca
I documenti reperiti non consentono di fornire precisazioni biografiche per quanto concerne luogo e data di nascita, apprendistato e prima attività di questo pittore detto anche Monsieur Luca. Si sa che era di origine lorenese, poiché nel 1661 si firmò "Luc Dameret Lorrain" in calce ad un disegno, accompagnato da espressioni di particolare affezione e stima, nell'Album amicorum dell'incisore lionese J. J. Thourneysen (Schede Vesme, III, p. 1045). Del libretto si è persa ogni traccia, ma la data di stesura della dedica risulta particolarmente significativa perché coincidente ad annum con l'incisione di Thourneysen, da uno sconosciuto dipinto del D., raffigurante l'aba'te elemosiniere Lorenzo Scoto, all'età di 73 anni. L'impaginazione del'ritratto, di rinnovato gusto vandyckiano, fornisce, fatta salva la traduzione incisoria, alcune indicazioni sulle inclinazioni pittoriche dell'artista, tuttavia non ancora sufficienti per ricostruirne un possibile catalogo.
Di qualche aiuto risultano alcuni dipinti di soggetto allegorico conservati nel fregio della - camerà dell'alcova in palazzo reale a Torino assegnati al pittore da A. Griseri (1963, p. 39 e tav. 33, a e b). I quadri, che sarebbero meglio leggibili a distanza ravvicinata e dopo un restauro, sembrano accompagnarsi, in modo distinto, ad altre tele dello stesso fregio, ad alcuni dipinti con figure allegoriche delle Virtù dei principi sabaudi, nel fregio della sala degli staffieri o delle virtù, ad alcune tele raffiguranti - Vittoriedei principi sabaudi,nel fregio della sala dei paggi o delle vittorie, sempre in palazzo reale. L'esame di questo primo nucleo di opere consente di avanzare l'ipotesi di un possibile accostamento del D. alla scuola di Vouet o, perlomeno, di una partecipazione del D. alla corrente culturale promossa in Piemonte dal suo più noto conterraneo Charles Dauphin. In tal senso si pronuncia J. Thuillier (1982, p. 378), che pone il D. tra i possibili candidati alla paternità del quadro raffigurante Aichille alla corte di Licomede (Torino, Accademia Albeitina), individuando nel dipinto elementi prossimi a Vouet e, insieme, aspetti molto lontani dal suo atelier. A tanta qualità non corrispondono certo i dipinti per i citati fregi di palazzo reale, tuttavia poco:Impegnativi per la loro stessa ubicazione nella zona più alta e più buia delle sale, e, ancor meno, due delle quattro allegorie nel fregio della sala del trono della regina, la Giovialità e la Soavità, che sembrano acconabili alle tele suddette. A queste , possono essere 1 avvicinate, p'óche opere, già collocato nei fregi dellesale dette delle principesse'e della concordia, tele ora conservate nei depositi del palazzo reale a Torino.
Risale al 1656 il primo documento noto sul pittore (Schede Vesme, II): si.riferisce ad un incarico per il, rifacimento della volta della grande galleria del castello torinese, in occasione della visita di Cristina di Svezia. A quella data, che precede il primo grande incendio devastatore della stessa galleria (1659), l'affidamento di un compito di fiducia attesta la rilevanza della stima già goduta dal D. presso la corte ducale, stima confermata pochi anni più tardi quando, insieme agli artisti accreditati al servizio di Carlo Emanuele II, viene impegnato nel grande e prestigioso cantiere dell'ala nuova del palazzo.
In consonanza con il programma allegorico studiato da Emanuele Tesauro il D. dipinse tele da fregio, da centro soffitto, sovrapporte, ricevendo pagamenti dalla Tesoreria generale della Real Casa dal 1661 al 1663 (Schede Vesme, II, p. 394; I, p., 268, sub voce Caravoglia: monsieur Luca).
Fonte per la distribuzione degli incarichi in palazzo reale a Torino , è l'ottocentesco e ben documentato testo di C. Rovere (1858), che, nel descrivere le due citate sale della concordia e delle principesse, distrutte nel 1835 per fare posto al salone da ballo, fa riferimento anche ad alcune non precisate tele del D. già collocate nelle sale, ad un dipinto da centro soffitto per la sala della concordia raffigurante Giunone auspice delle auguste nozze, a quattro medaglioni raffiguranti Fiumi, dubitativamente assegnati al pittore: opere tutte da considerarsi al momenter disperse insieme ad alcune sovrapporte per le sale dette delle dignità e delle virtù riferite al D. dai documenti.
Di altri dipinti descritti con chiarezza dai documenti non si ha riscontro. Si è persa traccia del quadro raffigurante il Beato Amedeo di Savoia e altri santi commissionato d'ordine di Cristina di Francia da Nincenzo Berrò e collocato sull'altare maggiore della chiesa torinese di S. Chiara il 13 maggio 1663, nella ricorrenza festiva della santa patrona. La stessa sorte ha subito il dipinto raffigurante le Nozze mistiche di s. Teresa, insignita dei suoi attributi iconografici dalla Vergine e da s. Giuseppe, quadro commissionato pure da Cristina di Francia per la chiesa di S. Cristina a Torino, sede conventuale fondata dalla prima madama reale e affidata alle monache carmelitane scalze provenienti, come il D., dalla Lorena (Schede Vesme, II, p. 394; Di Macco, 1984, p. 325). Pure disperso risulta il quadro destinato all'altare maggiore della chiesa della SS. Annunziata a Torino (Schede Vesme, II, p. 395).
Prescelto dagli stessi committenti che promuovevano l'arte di Dauphin in Piemonte il D. svolse la sua attività anche per il ramo cadetto sabaudo, per il principe di Carignano, come consulente per l'acquisto di quadri (i documenti fanno riferimento alla scelta, nel 1663, di tre dipinti su pergamena raffiguranti uccelli, opera di Carlo Paiola) e come autore almeno di una tela, non rintracciata in sede, per la chiesa dei padri cappuccini di Racconigi (Schede Vesme, II, p. 394).
La sfortuna storica ha coinvolto anche opere commissionate al D. dallo stretto entourage di corte: il ritratto di Lorenzo Scoto, noto attraverso la citata incisione, e i quadri descritti dagli Inventari redatti dal medico di corte Francesco Arpino, relativi al proprio Museo di meraviglie (Torino, Bibl. reale, Mss. Storia patria 810: Inventario delle medaglie e monete antiche quali si conservano nel Gabinetto di mé Giacomo Francesco Arpino Dottor Fisico Collegiato Cittadino di Torino Consigliere eMedico di Camera di S.A.R. Insieme con altri ornamenti di detto Gabinetto [post 1664]: in Di Macco, 1984, p. 324). Dimostrando di prediligere tanto Dauphin quanto il D., l'Arpino aveva loro affidato, rispettivamente, il ritratto suo e di sua moglie, esposti in museo, in cornice dorata, tornita e decorata al centro da una ghirlanda. Sempre dei due lorenesi l'Arpino conservava, esposti a pendant, alcuni dipinti in tondo, fra i quali, del D., una S. Maddalena penitente con un bambino tenente l'alabastro, in cornice dorata e intagliata a "foglie di quercia e ghiande". Opera del D. era anche un dipinto raffigurante S. Antonio, racchiuso all'intemo di una cornice nera con una. doppia filettatura in oro.
Citato nel 1665 fra gli artisti più illustri attivi a Torino (Schede Vesme, II, p. 394) il D. risulta particolarmente stimato anche come pittore di ritratti, come si desume da una lettera scritta, da Venezia, dal ministro Benso al duca Carlo Emanuele II, dove viene lodato un suo ritratto di Cristina di Francia.
La fama acquisita dal D. presso i suoi contemporanei dovette superare i confini regionali, come sembra confermare la scelta di Luigi Scaramuccia (1674) che, definendolo "virtuoso pittore", lo elegge quale guida esperta ai tesori d'arte piemontesi.
Il D. morì a Torino nel 1667 (Torino, Accademia Albertina, Archivio della Compagnia di S. Luca).
Fonti e Bibl.: Ricca di notizie è la voce sul D. in Schede Vesme, II, Torino 1966, pp. 394 s., corredata di documenti, fonti e bibliografia ottocentesca (vedi anche, delle Schede Vesme, I, Torino 1963, p. 268; III, ibid. 1968, pp. 967 s., 1045). Vedi inoltre e in particolare: L. Scara muccia, Le finezze de' pennelli ital., Pavia 1674, pp. 155-162; C. Rovere, Descrizione del palazzoreale di Torino, Torino 1858, pp. 68, zio, 115, 159, 161, 193, nn. 18 e 25, 213 n. 112; A. Griseri, in Mostra del barocco piemont. (catal.), Torino 1963, II, Pittura, pp. 30 s., 39 s. e tav. 33, a e b; Id., Le metamorfosi del barocco, Torino 1967, ad Indicem; J. Thuillier, in Claude Lorrain e ipittori lorenesi in Italia nel XVII secolo (catal.), Roma 1982, p. 378; M. Di Macco, CharlesDauphin in Piemonte, in Studi in onore di G. C. Argan, Roma 1984, pp. 324 s.; L. Tamburini, Le chiese di Torino dal rinascimento al barocco, Torino s. d., p. 151.