FERRETTI, Ludovico
Nacque il 2 marzo 1776 a Valmontone (Roma) da Giuseppe e Maria Francesca Scaccini e vi fu battezzato nella parrocchia di S. Maria Maggiore coi nomi di Raphael Ludovico Serafino. Nel marzo 1782 si trasferì definitivamente a Roma. Se la scarsità di dati certi rende disagevole valutare i precisi momenti della sua formazione artistica, non è difficile tuttavia poterne collocare i termini di riferimento nella cultura figurativa espressa nella Roma di fine Settecento dagli ambienti del neoclassicismo ormai trionfante all'ombra dell'autorità canoviana, che trova un suo parallelo in campo grafico nell'affermazione incondizionata degli incisori usciti dalla bottega del bassanese G. Volpato, tra i quali emergeva ormai da anni come caposcuola la figura di R. Morghen.
Un suo alunnato incisorio presso Morghen, riportato dalla letteratura, pur non trovando riscontri documentari precisi, è confermato dalla assoluta fedeltà allo stile grafico di quest'ultimo, che si caratterizza nell'uso meditatissimo del taglio incrociato del bulino a dar rilievo alle forme e a graduare le luci della preparazione acquafortistica: debito stilistico ancora esplicito nei tre rami con la Temperanza, la Fede e la Prudenza dalle figure raffaellesche della stanza di Costantino in Vaticano, incisi dal F. per la Calcografia camerale su disegni di A. Baruffaldi e databili, come gli analoghi soggetti realizzati da F. Cenci e C. Petrini, entro la fine degli anni Trenta (cfr. Raphaël invenit, 1985, pp. 114-117). Un suo tirocinio nella pratica del disegno ha invece esiti documentati presso l'Accademia di S. Luca, riconosciuti nel settembre 1795 con il primo premio per la II classe a un suo disegno di Figura panneggiata (matita, acquerello e biacca su carta preparata, Accademia di S. Luca, Archivio storico, Disegni B 494).
Nel giugno 1798, all'epoca del matrimonio con Caterina Catolfi, il F. risulta censito nella parrocchia di S. Nicola dei Cesarini, per poi passare, fino al 1836, a S. Maria in via Lata. In questi anni si collocano le prime sue incisioni databili; tra queste sarebbero da annoverare, secondo il catalogo della Raccolta del Castello Sforzesco (1932), le testate con emblemi, fregi e vignette relative al Dipartimento del Crostolo per gli atti d'ufficio della Repubblica Cisalpina, incise allo scadere del secolo assieme con L. Rados. Una produzione a carattere vedutistico, per l'editore Piale di piazza di Spagna, è individuabile negli anni a ridosso della Restaurazione: nel 1815 con una Piazza Navona, cui dovettero seguire di qualche anno l'Ingresso di villa Borghese e una Piazza di Monte Cavallo, ma cui deve ricondursi anche la più tarda incisione con il Tempio di Esculapio a villa Borghese, datata al 1835.
Dopo essersi cimentato nell'illustrazione libraria, collaborando al volume Costumes et usages des peuples de la Grèce moderne di O. M. Stackelberg (Roma 1825), dalla metà degli anni Trenta l'attività incisoria del F. risulta avvicinarsi all'orbita della Calcografia camerale romana, che stava allora vivendo, tra la direzione di G. Valadier e di P. Camporese, una fase di assestamento delle proprie scelte estetiche, nella stagione delicata del trapasso da un consolidato clima classicistico all'affermarsi di istanze puriste o legate allo studio dal vero. I verbali delle riunioni della commissione artistica della Calcografia camerale, istituita già nel 1826 ma operativa dal 1834 sotto la guida di L. Durantini, T. Minardi e V. Camuccini, costituiscono una fonte preziosa per valutare la collaborazione artistica del F. con quell'istituto, che ebbe inizio intorno al 1833 con l'incisione di una Madonna col Bambino e s. Giovannino da un dipinto del Garofalo (allora nella collezione del conte di Bisenzio), su disegno del minardiano L. Cochetti. Questa scelta conferma l'incidenza delle ormai esplicite tendenze puriste promosse dal Minardi in seno alla Calcografia. L'impegno del F. per la calcografia si fece più fitto a partire dal 1835, con la collaborazione alla serie di rami incisi da disegni di G. B. Borani, sotto la direzione di Camuccini, per il II e III tomo dell'opera dedicata ad illustrare le statue del Museo Chiaramonti in Vaticano.
L'iniziativa, se, sotto il profilo metodologico, seguiva l'impostazione adottata da monsignor G. Marini nel primo volume del 1808, era espressione, dal punto di vista grafico, di una continuità di gusto con i criteri traduttivi adottati non molti anni prima nella vasta campagna di riproduzione delle opere di Canova; quasi tutti gli altri incisori coinvolti - tra cui P. Folo, P. Fontana, A. Banzo, A. Bertini, G. B. Balestra, D. Marchetti, I. Bonajuti, G. B. Molinari e B. Consorti - erano stati attivi per la "calcografia" canoviana. Per il secondo volume, dal titolo Il Museo Chiaramonti aggiunto al Pio Clementino con la dichiarazione di A. Nibby professore di Archeologia nell'università romana... (Roma 1837), nel maggio 1835 il F. presentò alla commissione l'incisione del Tiberio seduto (tav. XXVII), tra il giugno e il luglio successivi quella della Statua di Canefora (tav. XLIII), tra il novembre 1836 e il febbraio 1837 il Busto di Apollo (tav. VI), e ancora la Statua della Fortuna (tav. XIV) e la Testa di Cicerone (tav. XXV). Per il terzo volume, Il Museo Chiaramonti ... e i Monumenti Amaranziani descritti dal marchese L. Biondi...(Roma 1843), la Statua equestre di Commodo (tav. XXIV), assegnatagli il 15 maggio 1838, venne consegnata nel novembre di quell'anno come l'Ara sepolcrale di L. Volusio Saturnio (tav. XXI), mentre il Bassorilievo con Medea e Giasone (tav. XIV), da un disegno di P. Guglielmi, fu terminato nell'agosto 1839. Con questa collaborazione la sua attività per la Calcografia sembra assumere i connotati di un rapporto più fitto e continuativo, in un rapido succedersi di commissioni.
Tra il maggio e il novembre 1840 il F. tradusse in incisione un disegno di P. Guglielmi con il Testamento di Mosè da L. Signorelli, appartenente ad una serie di 12 stampe dedicate agli affreschi parietali della cappella Sistina in Vaticano, realizzate da diversi incisori (Istituto nazionale per la grafica, Calcografia, inv. n. 1113). Ai primi anni Quaranta è riferibile inoltre l'incisione al tratto con il Trionfo di David, su disegno di G. Garocci, da un dipinto del Domenichino in palazzo Rospigliosi al Quirinale. Per l'opera di R. Garrucci (Monumenti del Museo Lateranense descritti ed illustrati da R. Garrucci...), pubblicata solo a distanza di anni, nel 1861, incise tra il giugno 1843 e il gennaio 1844 una statua di Agrippina (tav. XII) e tra aprile e agosto 1844 quella di un Prigioniero barbaro (tav. XXI): tavole in cui l'uso più tradizionale dell'acquaforte denuncia lo scarto cronologico rispetto alle tecniche più moderne adottate nelle altre illustrazioni dello stesso volume. Entro il 1843 va poi riferita l'incisione con S. Cecilia condotta al martirio, dal Domenichino, citata già in quell'anno nel catalogo di R. Weigel.
Morì a Roma nel dicembre 1848.
Le ultime opere documentate rimasero interrotte e furono terminate dopo la sua morte dal figlio Giuseppe, anchegli incisore.
Nel marzo 1845 il nome del F. era stato proposto infatti per l'incisione de IlSalvatore con angeli e con la Giustizia, uno dei quattro tondi del Perugino nella stanza dell'Incendio di Borgo in Vaticano; l'incisione del rame, che lo impegnò dal 1846 a tutto il 1847, fu portata a termine dal figlio solo nel 1855. Analogamente, il disegno assegnatogli nel luglio 1847 dal dipinto con Modestia e Vanità di B. Luini (già collez. Barberini Sciarra Colonna), ma allora attribuito a Leonardo, rimase interrotto nel 1847 per la chiusura temporanea della Galleria Sciarra, che ne impedì i necessari ritocchi confrontati sull'originale, e solo a distanza venne finito dal figlio, subentrato nell'incarico, per l'incisione di G. Marchetti, datata 1854.
Fonti e Bibl.: Roma, Arch. storico del Vicariato, Atti d. not. F. Simi, uff. IV, b. CI; Ibid., Varie del Vicariato, fasc. 56; Ibid., Stati d'anime, parr. S. Maria in Via Lata, 1826-1836); Roma, Istituto naz. per la Grafica, Arch. storico della Calcografia, Adunanze commissione artistica, verbali, s.v. Ferretti; Ibid., Arch. contratti, bb. 7, 10; F. S. Vallardi, Manuale del raccoglitore e del negoziante di stampe...,Milano 1843, p. 340; R. Weigel's Kunstlager-Catalog, IV,Leipzig 1843, pp. 44-48 nn. 13162, 13203, 13228, 13233; V, ibid. 1863, p. 51 n. 23856; Ch. Le Blanc, Manuel de l'amateur d'estampes..., II,Paris 1856, p. 225; A. Andresen, Handbuch für KupferstichsammIer nach dem praktischen Handbuch für KupferstichsammIer von J. Heller, I,Leipzig 1870, pp. 488 s.; E. Ovidi, La Calcografia romana e l'arte dell'incisione in Italia, Roma-Milano 1905, p. 73; P. Arrigoni-A. Bertarelli, Le stampe storiche conservate nella raccolta del Castello Sforzesco. Catalogo descrittivo, Milano 1932, n. 1791 p. 134; Id.-Id., Piante e vedute di Roma e del Lazio conservate nella raccolta delle stampe e dei disegni, Milano 1939, nn. 2661 p. 267, 3634 p. 366; C. A. Petrucci, Catalogo generale delle stampe tratte dai rami incisi posseduti dalla Calcografia, Roma 1953, p. 59, nn. 814, 817, 822, 1009, 1062, 1084, 1113, 1336; Raphaël invenit. Stampe da Raffaello nelle collezioni dell'Istituto nazionale per la grafica (catal.), a cura di G. Bernini Pezzini - S. Massari - S. Prosperi Valenti Rodinò, Roma 1985, pp. 115 ss., 869; A. M. Sorge - M. Tosti Croce, L'Archivio storico dell'Istituto nazionale per la grafica - Calcografia (1826-1945). Inventario, Roma 1994, p. 34; M. Miraglia, I disegni della Calcografia 1785-1910, I, Roma 1995, pp. 125, 128, 132, 134, 141, 149 s., 152 ss., 224, 287 s., 489, nn. 126, 131, 137, 139, 150, 165, 170, 173, 270, 352, 625; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, XI,p. 477; L. Servolini, Diz. illustrato degli incisori ital. moderni e contemporanei, p. 322.