CREMONA, Luigi
Nacque a Pavia il 7 dic. 1830 da Gaudenzio, un novarese di famiglia assai agiata poi caduta in rovina, e da Teresa Andreoli. Ebbe tre fratelli tra i quali Tranquillo, noto pittore.
Il C. s'indirizzò verso gli studi classici frequentando il liceo-ginnasio della propria città dove ebbe come compagni due dei fratelli Cairoli, Enrico e Giovanni.
Allo scoppio della prima guerra d'indipendenza abbandonò gli studi per arruolarsi nel battaglione volontari "Italia libera". Di idee monarchiche, vicino alle posizioni dei gruppi moderati lombardi, partecipò alla difesa di Venezia, dove rimase sino alla capitolazione (fine agosto 1849).
Tornato a Pavia privo di mezzi di sussistenza (nel frattempo erano deceduti entrambi i genitori) e affetto da una grave forma tifoidea, dopo qualche tempo riprese gli studi interrotti. Si iscrisse quindi al corso di laurea in matematica presso l'università della propria città, dove ebbe come maestri Antonio Bordoni e Francesco Brioschi: quest'ultimo in particolare esercitò su di lui una fondamentale influenza.
Conseguito nel 1853 il titolo di "dottore negli studi d'ingegnere civile ed architetto", iniziò la carriera dell'insegnamento. Fu dapprima professore di matematica elementare nel ginnasio di Cremona, poi dal 1859 nel liceo "Beccaria" di Milano. Nel '60, avvenute nel frattempo le nozze con Elisa Ferrari, sorella di un suo caro compagno d'armi, Nicola, dalla quale ebbe tre figli, gli fu affidata la cattedra di geometria superiore allora istituita presso l'università di Bologna. Nel 1867, benché il provvedimento non incontrasse il suo favore, fu nominato professore di geometria superiore e statica grafica nell'Istituto tecnico superiore di Milano e quindi nel 1873 fu chiamato a Roma dal ministro della Pubblica Istruzione Scialoia a sovrintendere la Scuola d'applicazione per gli ingegneri, dove teneva anche l'insegnamento di statica grafica. Dopo qualche tempo, dietro sua richiesta, gli fu affidata la cattedra di matematiche superiori presso l'ateneo di Roma, mantenendo però l'incarico di direttore della Scuola.
Fino a questo momento l'attenzione rivolta dal C. al mondo politico fu piuttosto discontinua, impegnato com'era nell'insegnamento e nella ricerca scientifica. La sua nomina asenatore, conferitagli il 16 marzo 1879 per speciali meriti scientifici, doveva tuttavia mutare questo stato di cose. Il nuovo mandato e gli accresciuti incarichi governativi che fu chiamato a ricoprire dovevano infatti distoglierlo dalla sua attività di studioso e ricercatore.
Profondo conoscitore dell'ambiente scolastico e universitario, era naturale che la sua attenzione si rivolgesse soprattutto a questo campo. In particolare, egli si dedicò al problema della riforma dell'istruzione superiore, del resto da più parti auspicata. L'idea centrale del C., maturata in tanti anni di esperienza diretta, era quella di una università selettiva, luogo di studio e ricerca, al quale potessero accedere solo i più meritevoli. Meglio pochi atenei con poche facoltà altamente qualificate che un numero elevato di cattedre che avrebbe inevitabilmente comportato un abbassamento del livello medio di cultura. Bisognava quindi chiudere le sedi spopolate, sopprimere le facoltà poco frequentate, tagliare i rami secchi. Egli inoltre guardava ad un modello di università che conciliasse in pari tempo il sistema di rigido centralismo alla francese (e che era anche quello che vigeva in Italia in seguito al "regolamento" Matteucci del 1862) con il sistema di assoluta autonomia di stampo germanico.
E tali convincimenti il C. ebbe modo più volte di esprimere nel corso della sua lunga vita parlamentare. In particolare nel 1885 quando l'Ufficio centrale del Senato gli affidò l'incarico di presentare un progetto di legge sulla riforma dell'istruzione superiore.
Tale progetto seguiva un disegno di legge sul medesimo argomento elaborato da Guido Baccelli, ministro dell'Istruzione Pubblica fino al marzo 1884. Il progetto Baccelli, che prevedeva un ampio sistema di autonomie e una serie di proposte sullo stato giuridico dei professori e l'organizzazione interna degli atenei, era riuscito a passare alla Camera, dopo lunghe discussioni, con debole maggioranza (28 febbr. 1884). Il Senato, però, vi si oppose e il proprio Ufficio centrale tracciò le linee essenziali di un controprogetto, che il C. ebbe appunto il compito di svolgere in maniera definitiva.
Il disegno di legge presentato dal C. manteneva in vigore le disposizioni ancora valide della legge Casati del 1859, completandole con norme e provvedimenti mutuati da quei sistemi universitari europei che meglio si adattassero alla realtà italiana. In tal senso si proponeva la creazione di grandi istituti che scaturissero dalla fusione di più facoltà (ad esempio un'unica grande "Facoltà delle arti" che fosse il compendio della facoltà di scienze con quella di lettere e filosofia e, analogamente, una grande "Facoltà politecnica" che nascesse dall'aggregazione alle università delle scuole di applicazione degli ingegneri). Si raccomandava ancora di dare alle cattedre titoli più generali onde permettere ai docenti maggiore libertà d'insegnamento e la creazione di una nuova classe di professori, quella degli aggiunti, per dare maggiore regolarità alla carriera dei docenti. Era prevista inoltre la retribuzione diretta da parte degli studenti ai loro insegnanti e venivano toccati anche punti assai controversi della nostra legislazione scolastica, come il sistema degli esami, la questione degli edifici, la disciplina universitaria. Dopo lunga discussione il progetto fu approvato dal Senato nel gennaio 1887, ma non riuscì a venire discusso alla Camera per la caduta del settimo governo Depretis e, in seguito, non fu più ripreso.
Nel corso del medesimo anno (1887), però, il C. ripropose le sue tesi, opponendosi al pareggiamento delle università di Genova, Messina e Catania a quelle di primo grado. A suo parere, se compito precipuo dell'istruzione superiore doveva essere quello di far progredire e avanzare la scienza, la mancanza di un valido corpo insegnante e la cronica ristrettezza finanziaria scoraggiavano ulteriori ampliamenti dell'organizzazione universitaria nazionale. La sua opposizione fu però respinta dal Senato ed egli, con quella decisa presa di posizione, si alienò non poche simpatie da parte del mondo accademico.
In questi anni il C. ricoprì anche alcuni importanti incarichi governativi. Uomo d'azione, energico, scrupoloso, stimato per le sue provate qualità morali ed intellettuali, veniva spesso chiamato a risolvere questioni delicate e spinose. Già nel giugno 1880 F. De Sanctis, ministro della Pubblica Istruzione, lo aveva nominato regio commissario per il riordinamento della Biblioteca Vittorio Emanuele di Roma da tempo al centro di accese polemiche. Si parlava di ampie sottrazioni di volumi, cambi sfavorevoli, incompletezza e disordine dell'inventario e del catalogo, nonostante grosse somme stanziate per il riordino. Il C., dopo circa due anni di accurate inchieste, provò molte delle accuse formulate e rimise tutto nelle mani del De Sanctis.
Frattanto, nel maggio del 1881, aveva rifiutato il portafoglio dell'Istruzione offertogli dal Sella, incaricato di formare un nuovo governo, per non trovarsi nella spiacevole posizione di dover far parte di un ministero che doveva succedere a quello presieduto da B. Cairoli, al quale era legato da vecchia amicizia. Accettò però tale incarico molti anni dopo, nel 1898, nel governo di Rudinì che rimase in carica meno di un mese dal 1º al 29 giugno, in una situazione politica molto agitata e in un pesante clima di repressione seguiti ai tumulti di Milano.
Una progressiva forma di angina pectoris, che intanto cominciava ad affliggerlo, non impedì tuttavia al C. di restare sulla scena politica. Nel corso del 1900, tra l'altro, fu chiamato dal ministro dei Lavori Pubblici, A. Branca, a presiedere due importanti commissioni d'inchiesta che dovevano far luce su delicate questioni connesse con lo sviluppo e l'ampliamento di Roma capitale: una riguardante lo stato delle vicende edilizie della città, l'altra volta ad accertare le cause della caduta di oltre duecento metri dei muraglioni del Tevere, avvenuta in quello stesso anno. In entrambi i casi il C. si comportò con la consueta meticolosità, ma alla fine, forse per evitare ulteriori scandali, non accertò precise responsabilità.
Il C. morì a Roma il 10 giugno 1903.
Dell'iniziale approccio del C. alla geometria testimonia il suo primo lavoro Sulle tangenti sfero-coniugate, apparso nel 1855 negli Annali di scienze mat. e fis. di Tortolini, VI (1855), pp. 382-92. Qui il C. trova spunto alle sue ricerche in una nota di Bordoni dedicata alla teoria delle tangenti coniugate di Dupin. Lo stesso C., riprendendo cinque anni più tardi questa questione, generalizzerà i suoi risultati, considerando non più delle sfere come superfici tangenti ad una curva data ✄ su una superficie S in un punto P, ma delle superfici tali che i loro punti di contatto con S siano punti ombelicali (intuitivamente, superfici che nell'intorno di un tale punto hanno la forma di una sfera).
Nell'educazione scientifica ricevuta dal C. all'università si trovano le radici dell'atteggiamento da lui avuto verso la polemica sviluppatasi nel secolo scorso tra sostenitori dei metodi "sintetici" e di quelli "analitici" in geometria: il suo atteggiamento emerge con grande chiarezza in una recensione (in Annali di mat., I [1858], pp. 125-28), dei celebri Beiträge zur Geometrie der Lage di K. G. von Staudt, geometra tedesco convinto sostenitore del metodo sintetico. In questa occasione il C., opponendosi alla "esclusività" delle vedute dello Staudt, scriveva: "le proprietà descrittive e le proprietà metriche delle figure sono così strettamente connesse tra loro, che è sconveniente e svantaggioso il volerne fare sì completo divorzio" con ciò richiamandosi a Chasles, che aveva "messo in piena luce la meravigliosa fecondità della simultanea considerazione dei due generi di proprietà". Opinione questa che egli ribadiva qualche anno più tardi in una lettera a R. F. Clebsch, il grande matematico tedesco al quale il C. fu legato d'amicizia fin dall'inizio degli anni Sessanta, quando entrambi - sia pure con metodi diversi - lavoravano alla teoria delle polari. "Fortunatamente viviamo in un periodo in cui la geometria analitica e quella sintetica hanno cessato di combattersi e sono ben liete d'imparare una dall'altra" gli scriveva nel 1863 Clebsch (cfr. M. Noether, p. 18), cuiil C. rispondeva dichiarandosi "pienamente convinto circa la mutua assistenza che l'analisi e la sintesi si prestano nella geometria" (cfr. Rend. d. Acc. dei Lincei, classe di sc. fis., mat. e nat., II [1903], p. 668).Questa concezione della geometria si può riconoscere nell'intero arco della produzione scientifica del C., anche in quei lavori che, a prima vista, presentano una trattazione puramente sintetica delle questioni. Per più di vent'anni, dall'aprile del 1858 all'aprile 1879, uno degli argomenti preferiti e dei temi ricorrenti nelle sue ricerche fu lo studio delle cubiche gobbe, per le quali egli stabilì un gran numero di teoremi e di proprietà. Si tratta di uno studio che ebbe inizio, come ha scritto G. Loria, con il "primo lavoro veramente originale del nostro matematico e finisce con quello che si potrebbe dire l'ultimo" (p. 142).Numerose sono le memorie dedicatevi dal C. a partire dalla prima di esse, Sulle linee del terz'ordine a doppia curvatura, in Ann. di matem., II (1859), pp. 19-29.Sono queste le "linee sì importanti" per le quali egli propone il nome di cubiche gobbe e che studia con un metodo analitico basato sulla definizione della cubica gobba come l'intersezione di due coni di secondo ordine aventi una generatrice in comune. Dall'espressione analitica della curva il C. ne ricava le proprietà fondamentali, alcune delle quali già enunciate da Chasles senza dimostrazione nel suo celebre Aperçu historique. A queste egli fa seguire le ricerche sull'aspetto duale della questione, indagando "la natura di tutte quelle coniche iscritte in una stessa sviluppabile del quarto ordine (e terza classe) generalizzando così per lo spazio teoremi enunciati da Steiner e Trudi per le coniche iscritte ad un quadriangolo.
Il periodo bolognese fu forse il più produttivo dell'attività scientifica del C., che lavorò in stretto contatto con due altri grandi matematici italiani, E. Beltrami e D. Chelini.
Alla fine del 1861 apparve la memoria Introduzione ad una teoria geometrica delle curve piane, nelle Mem. d. Acc. delle scienze... di Bologna, XII (1861), pp. 305-436, ben presto tradotta in tedesco (Greifswald 1865) (e in cecoslovacco per opera di E. Weyr, allora allievo del C.); memoria che gli assicurò fama europea. Con questo lavoro, come ha scritto M. Noether, il C. "con i suoi metodi e con le sue concezioni ha ristabilito i rapporti tra la geometria pura e l'intero sviluppo analitico-geometrico che si era affermato con Plücker, Hesse e Clebsch, con Salmon e Cayley". Motivazione al suo lavoro, dice il C., è stato "il desiderio di trovare, coi metodi della pura geometria, le dimostrazioni degli importantissimi teoremi enunciati dall'illustre Steiner nella sua breve memoria Allgemeine Eigenschaften der algebraischen Curven. "Da poche proprietà di un sistema di punti in linea retta - aggiunge il C. - ho dedotto la teoria delle curve polari relative ad una data curva d'ordine qualsivoglia, la qual teoria mi si è affacciata così spontanea e feconda di conseguenze, che ho dovuto persuadermi risiedere veramente in essa il metodo più naturale per lo studio delle linee piane". Nella prima parte "che non presenta per sé molte novità" il C. espone "le dottrine fondamentali costituenti in sostanza il metodo": si tratta dei concetti di birapporto, proiettività, della teoria dei centri armonici e dell'involuzione, del concetto di numero di condizioni che determinano una curva d'ordine n, (che è n [n + 3]/2). Nella seconda parte tratta la teoria delle polari "con metodo geometrico, semplice e uniforme" riottenendo e generalizzando teoremi di Steiner e altri ricavati per via analitica da Phicker, Cayley e Hesse; infine nella terza parte applica i risultati ottenuti alla curva generale del terzo ordine.
Ancora al periodo bolognese (1862) risalgono le prime ricerche sulle trasformazioni oggi dette "cremoniane": sulla base delle sue ricerche sulle curve algebriche piane e stimolato da una nota dell'astronomo Schiaparelli dedicata alle trasformazioni piane in cui ad ogni retta corrisponde una retta e ad ogni fascio di rette una conica iscritta in un triangolo fissato, il C. affronta la questione di studiare tutte le trasformazioni birazionali di un piano, cioè trasformazioni biunivoche tali che esse e la loro inversa siano razionali. Nella memoria Sulle trasformazioni geometriche delle figure piane (in Mem. d. Acc. delle scienze... di Bologna, s. 2, II [1862], pp. 621-31; in Giorn. di mat., I [1863], pp. 305-311) egli osserva allo scopo che alle rette di un piano corrispondono una doppia infinità di curve di ordine n, che ammettono una rappresentazione parametrica razionale, formano una rete di curve tali che due qualunque di esse hanno un sol punto in comune oltre ai xr punti base comuni di molteplicità r. I numeri r e xr sono legati da due equazioni tali che ad ogni trasformazione birazionale del piano corrisponde una soluzione del sistema delle equazioni. Riprendendo la questione qualche tempo dopo in una nota dallo stesso titolo (in Rend. delle sessioni della Accademie d. scienze... di Bologna, [1864-65], pp. 18-21; in Memorie dell'Accademia delle scienze... di Bologna, s. 2, V [1865], pp. 335; in Giornale di matematica, III[1865], pp. 269-80, 363-76), il C. osservava che "naturalmente queste equazioni ammettono in generale più soluzioni" ciascuna delle quali "offre una speciale maniera di trasformazione". Un primo caso particolare era già stato studiato dal geometra francese Jonquières, i cui metodi, dice il C., "si possono estendere anche alle trasformazioni che corrispondono a tutte le altre soluzioni delle due equazioni". Strumento fondamentale è l'analisi delle proprietà della curva luogo dei punti doppi delle curve di una figura che corrispondono nella trasformazione alle rette dell'altra ("curva jacobiana"): essa, scrive il C., "si decompone in più linee di vari ordini e i numeri delle linee di questi vari ordini costituiscono una soluzione delle due equazioni". In queste due memorie (tradotte anche in francese nel 1873) il C. aveva gettato le basi della teoria di queste trasformazioni, in cui risiede forse la sua maggior gloria.
Nel 1866 l'Accademia di Berlino poneva come tema del premio Steiner la dimostrazione e il completamento dei teoremi enunciati dal geometra svizzero nella memoria Über die Flächen dritten Grades. Sollecitato dalla questione posta dall'Accademia, il C. redigeva il Mémoire de géometrie pure sur les surfaces du troisième ordre (che vinse il premio ex-aequo con uno di Sturm) in cui, come si legge nel rapporto redatto da Kummer per l'Accademia, si "fonda infatti la teoria delle superfici cubiche su una preliminare ed approfondita ricerca sulle proprietà generali della superficie di ordine qualunque. I teoremi di Steiner si ricavano per questa via completamente come casi particolari di teoremi generali, ne emerge così più chiaramente il vero significato" (cfr. Loria, p. 162). Con questo lavoro, pubblicato solo nel 1868 nel giornale di Crelle (Mémoire de gèometrie pure sur les surfaces du troisième ordre, in Journal für reine und angewandte Mathematik, LXVIII [1868], 1, pp. 1-133), si collega direttamente la lunga memoria Preliminari di una teoria geometrica della superficie (1867) (in Rend. d. Acc. d. scienze... di Bologna, [1865-66], pp. 76 s.; [1866-67], pp. 72 s.; in Memorie d. Acc. delle scienze... di Bologna, s. 2, VI [1867], pp. 91-136; VII [1867], pp. 29-78) che conclude il periodo bolognese del C. e rappresenta il completamento dell'opera intrapresa con l'Introduzione; tradotta in tedesco (Berlin 1870) e pubblicata congiuntamente alla traduzione del Mémoire e ad altre aggiunte dell'autore, quest'opera rappresentò per molto tempo il trattato più completo e organico per lo studio geometrico delle superfici algebriche, condotto sulla base della teoria delle superfici polari ad una superficie d'ordine qualunque.
Nel 1867 il C. venne incaricato di tenere i corsi di geometria superiore presso l'Istituto tecnico superiore di Milano (l'attuale Politecnico), fondato nel 1863 dal Brioschi.
Nell'anno successivo, per iniziativa del Brioschi, all'Istituto tecnico si teneva un celebre corso congiunto in cui Brioschi stesso, il Casorati e il C. esponevano la teoria delle funzioni ellittiche e abeliane, i primi due secondo le vedute rispettivamente di Abel e Jacobi e di Riemann, mentre il C. ne trattava l'aspetto più propriamente geometrico, avendo come traccia il recente volume Theorie der Abelschen Functionen di Clebsch e Gordan. "Sono veramente felice che a Brioschi sia venuta l'idea di combinare questo corso triplice" - scriveva il C. nel febbraio 1869 al matematico genovese Tardy - così da un lato ci aiutiamo a vicenda: e dall'altro l'obbligo di far lezione ... ci costringe a studiare e lavorare con fervore. ... Assisto alle lezioni di Casorati, e cosi comincio a vedere un po' entro ai misteri riemanniani. È proprio vero che l'unione fa la forza: da solo non sarei mai riuscito a fare questi studi, de' quali ora vedo tutta l'importanza anche per la geometria" (Genova, Bibl. universitaria, Archivio Tardy). Lo studio delle teorie di Riemann e dell'opera di Clebsch e Gordan, ad esse strettamente ispirata, portò il C. ad occuparsi della teoria delle curve algebriche dal punto di vista del genere e, a seguito del corso all'Istituto tecnico di Milano, pubblicò un'ampia memoria (Sugli integrali a differenziale algebrico, in Mem. d. Acc. di scienze... di Bologna, s. 2, X [1870], pp. 3-33) in cui, seguendo una via geometrica, riotteneva la classificazione degli integrali abeliani nei tre tipi fondamentali e, unitamente col Casorati, un lavoro in cui verificava, con considerazioni geometriche dirette, per il caso p = 5 o 6 la celebre formula di Riemann 3 p - 3 che dà il numero dei moduli di una curva di genere p (Intorno al numero dei moduli delle equazioni e delle curve algebriche di dato genere. Osservazioni, in Rend. d. Ist. lombardo di scienze lettere ed arti, s. 2, II [1869], pp. 566-571).
L'insegnamento all'Istituto tecnico di Milano e la collaborazione col Brioschi alla direzione scientifica degli Annali di matematica non distolsero il C. dall'attività di ricerca vera e propria, in questi anni dedicata prevalentemente allo studio delle trasformazioni razionali dello spazio e alla rappresentazione piana delle superfici, argomenti che rappresentavano una prosecuzione delle sue ricerche sulle trasformazioni delle curve piane e che all'epoca erano oggetto di un crescente interesse da parte soprattutto dei geometri tedeschi e di Cayley. Per la sua complessiva produzione scientifica gli verrà attribuito nel 1874 il premio Steiner dell'Accademia di Berlino, cui si accompagnò il riconoscimento delle più prestigiose accademie e istituzioni scientifiche.
Negli anni trascorsi a Milano, probabilmente spintovi dal Brioschi allora impegnato a livello governativo in un'opera di riforma della pubblica istruzione, il C. si dedicò ancor più che nel passato a problemi di didattica della matematica: famosa è rimasta la sua battaglia a sostegno dell'insegnamento della geometria elementare nei licei, basato sugli Elementi di Euclide, mentre nell'insegnamento degli elementi fondamentali della teoria proiettiva delle coniche negli istituti tecnici secondari trovarono origine i suoi Elementi di geometria proiettiva (I, Torino 1873), un trattato che fu tradotto in francese, inglese e tedesco e a lungo adottato nelle scuole. Negli anni successivi saranno sempre più rari i suoi contributi originali: nominato senatore nel 1879, si dedicherà pienamente all'attività politica, confinando nelle sue lezioni all'università l'antico amore per la geometria. "Anche se Cremona non ebbe alcun ruolo nella tendenza oggi sempre più diffusa in Italia verso ricerche astratte - scriveva M. Noether nel 1904 dal momento della sua morte - tuttavia la sua spinta verso la generalizzazione, lo spirito delle sue concezioni generali sono penetrate rapidamente e in profondità dai suoi libri e dalle sue ricerche sulle trasformazioni nell'indirizzo geometrico del suo paese; e l'opera di questo ricercatore e metodologo è diventata senz'altro parte integrante della storia della geometria pura".
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U. Bottazzini-L. Rossi