LUIGI d'Angiò (d'Angiò-Taranto), re di Sicilia
Nacque nel 1320, secondo figlio di Filippo (I) principe di Taranto e di Caterina di Valois. Secondo il testamento paterno del 25 dic. 1331 i Principati di Taranto e Acaia dovevano andare al fratello maggiore, Roberto, e i feudi e le proprietà di Filippo (I) in Campania e nel Principato al fratello più giovane Filippo (II), mentre L. doveva ereditare i feudi del padre in Puglia, tranne il Principato di Taranto. Da novembre 1338 sino a giugno 1341 L. accompagnò sua madre, suo fratello maggiore e Niccolò Acciaiuoli, l'influente consigliere - e forse anche amante - di Caterina di Valois, in una campagna militare nel Principato di Acaia, che non ebbe però tangibili risultati.
Il 9 luglio 1342 L. ricevette formalmente la nomina a capitano generale di un esercito (di fatto comandato da Acciaiuoli) di sostegno alle truppe angioine che assediavano Milazzo. Anche se Milazzo era già caduta il 15 sett. 1342, L. e Acciaiuoli non si imbarcarono per la Sicilia perché dopo la morte di re Roberto d'Angiò il Saggio, nella notte tra il 19 e il 20 genn. 1343, si rinunciò al progetto di assediare Messina.
Non è noto quale ruolo negli anni 1343-45 L. abbia esercitato negli intrighi alla corte di Giovanna I - la nipote di re Roberto, succedutagli sul trono napoletano - che culminarono, nella notte del 19 sett. 1345, nell'uccisione di Andrea d'Ungheria, marito della regina.
L., che il 25 maggio 1345 aveva ricevuto da Giovanna I una rendita annua di 600 onze d'oro, era uno strumento nelle mani di sua madre che voleva assicurare il trono di Napoli a uno dei suoi figli. Caterina di Valois e Niccolò Acciaiuoli furono i maggiori responsabili dell'eliminazione di Agnese di Périgord (che voleva garantire la successione a uno dei suoi figli nati dal matrimonio con Giovanni di Durazzo) e poi dell'uccisione di Andrea d'Ungheria. L. era certamente coinvolto nel complotto, ma non è noto se abbia avuto un ruolo centrale nella sua ideazione. Certo è che il fratello maggiore della vittima, il re Luigi I d'Ungheria, lo perseguitò sino alla morte con odio implacabile, e il fatto che L., nel lungo periodo, abbia tratto profitto dall'uccisione di Andrea spiegherebbe a sufficienza l'avversione del re d'Ungheria nei suoi confronti. Secondo Giovanni Villani (XIII, 51, 99) L. era l'amante di Giovanna I già prima dell'uccisione di Andrea; invece, secondo alcune lettere di papa Clemente VI, questo "onore" sarebbe spettato a Roberto.
In un primo momento anche Roberto di Taranto sembrò trarre profitto dall'uccisione di Andrea d'Ungheria: nell'autunno 1345 decise di sposare Giovanna e chiese a Clemente VI la necessaria dispensa. A questi progetti matrimoniali si oppose Caterina di Valois che aveva previsto di far sposare alla regina L., il suo figlio preferito. Sotto l'influenza di Caterina, Giovanna, che forse da parte sua preferiva L., decise di sposare quest'ultimo, provocando quindi un aperto conflitto tra i due fratelli.
Roberto infatti si alleò con Carlo di Durazzo (marito della sorella di Giovanna, Maria) mentre L., con l'aiuto di Acciaiuoli, arruolò truppe mercenarie fiorentine. All'inizio parve che Roberto ancora una volta avrebbe avuto il sopravvento, poiché con il pretesto di dare una punizione agli assassini di Andrea sobillò una rivolta a Napoli durata dal 6 al 10 marzo 1346, e il 26 aprile impose la sua nomina a capitano generale del Regno; si impadronì poi anche della persona della regina, si stabilì al suo fianco a Castelnuovo e fece pressione su di lei perché chiedesse nuovamente al papa la dispensa per il matrimonio. L., dopo un vano tentativo di scacciare da Napoli il fratello, si stabilì con i suoi soldati a Capua e a Sulmona e il 30 maggio 1346 si fece concedere dalla regina alcuni feudi soprattutto in Abruzzo (fra gli altri Atri, Teramo, San Flaviano, Pescara, Ortona e Lanciano) per un valore di 4000 onze d'oro nonché una pensione annua di 2000 onze, ampliando considerevolmente la base del suo potere nel Regno. Dall'estate 1346 papa Clemente VI fece pressione su Giovanna perché deponesse Roberto di Taranto dalla sua carica per incapacità e lo allontanasse da Castelnuovo poiché la sua permanenza nella reggia provocava ulteriormente la collera di Luigi I re d'Ungheria. Questi, infatti, preparava una spedizione punitiva contro il Regno di Napoli ritenendo Giovanna corresponsabile della morte di suo fratello al pari degli altri membri della famiglia reale, soprattutto L. e Carlo di Durazzo.
La regina sfruttò l'assenza di Roberto in occasione delle esequie di Caterina di Valois (8 ott. 1346) per impedirgli di rientrare in Castelnuovo. Ciò segnò la definitiva vittoria di L. nella lotta per la mano di Giovanna: nel giugno 1347 egli fu nominato vicario generale del Regno e il 22 agosto sposò la regina senza aspettare la dispensa papale.
Nel dicembre 1347 e nel gennaio 1348 l'esercito ungherese al comando di Luigi I d'Ungheria invase il Regno senza incontrare grandi resistenze da parte di L.; un ultimo suo tentativo di fermare l'avanzata nemica, insieme con Acciaiuoli, davanti a Capua e ad Aversa fallì miseramente, perché neppure in quel momento la famiglia reale angioina fu in grado di comporre i suoi conflitti.
Il 15 genn. 1348 Giovanna I, incinta, fuggì in Provenza; due giorni dopo L. la seguì con Acciaiuoli su una piccola nave e dopo una fuga avventurosa che toccò Talamone, Siena, Volterra, Porto Pisano e Aigues-Mortes raggiunse Villeneuve-lès-Avignon. Il 14 marzo entrò in Avignone dove il giorno successivo incontrò Giovanna I.
Per intervento di Acciaiuoli Clemente VI concesse già alla fine di marzo la dispensa per le nozze tra L. e Giovanna, che erano state celebrate l'anno prima, e il 30 marzo concesse a L. la Rosa d'oro. A metà aprile 1348 il matrimonio si poté concludere anche formalmente e nello stesso momento L. assunse il titolo di conte di Provenza, nonostante la promessa fatta poco prima al papa di non assumere il titolo di re di Sicilia o di conte di Provenza sino a che fosse vissuto Carlo Martello, il figlio nato postumo dalle prime nozze di Giovanna.
Poiché Luigi I d'Ungheria alla fine di maggio aveva lasciato il Regno aspettandosi una ripresa della guerra con Venezia per la Dalmazia, Giovanna e L. intrapresero i preparativi per il loro ritorno a Napoli e il 9 giugno, per finanziare l'impresa, vendettero Avignone al papa per 80.000 fiorini (ne incassarono però solo 62.000). Sebbene anche Napoli e le altre città della Campania invitassero Giovanna a tornare e si fossero ribellate ai vicari insediati da Luigi I d'Ungheria, il ritorno della coppia fu ritardato dalla nascita, alla fine di giugno, della figlia Caterina, che morì dopo poco.
L. interveniva sempre più pesantemente nelle questioni del Regno e compiva investiture feudali - il 24 giugno 1348 il suo favorito Niccolò Acciaiuoli ebbe la contea di Terlizzi - sebbene questa formalmente fosse una prerogativa della regina.
Il 28 luglio 1348 Giovanna e L. salparono da Marsiglia e il 17 agosto giunsero a Napoli, dove furono accolti con entusiasmo. Già dal giorno successivo L., con il consenso della regina, assunse il titolo di re di Gerusalemme e di Sicilia, ovviamente senza l'approvazione del papa. Al ritorno la questione più urgente fu la guerra contro gli invasori ungheresi che occupavano ancora vasta parte del Regno.
Già il 2 sett. 1348 L. si mosse con Acciaiuoli e 4500 uomini verso la Capitanata, controllata dal vicario di Luigi I d'Ungheria, il condottiero István Lackfi. Dopo un successo iniziale, L. diede una prima chiara prova della sua incapacità militare e presso Ascoli Satriano e Corleto fu duramente sconfitto; il suo capitano Werner von Urslingen fu catturato ed egli quindi il 16 febbr. 1349 tornò sconfitto a Napoli.
Nonostante questo insuccesso L. volle, ora contro il parere della regina, intervenire attivamente nel governo. Ispiratore era certamente il suo mentore Acciaiuoli, che, durante il soggiorno provenzale della coppia reale, grazie al suo ruolo di intermediario con la Curia, aveva curato per la prima volta parte degli affari di governo e per questo alla fine di giugno 1348 era stato nominato siniscalco del Regno. Acciaiuoli credette che ora gli fosse possibile impadronirsi del potere per mezzo del suo protetto Luigi. Per prima cosa spinse L. ad allontanare dalla Cancelleria e dall'amministrazione del Regno alcuni fidati consiglieri della regina e cominciò a intervenire attivamente nell'amministrazione provenzale.
L. e Acciaiuoli si rafforzarono ulteriormente dopo la sconfitta subita dal contingente dei feudatari napoletani il 6 giugno 1349 presso Aversa contro István Lackfi, quando 25 conti e baroni caddero nelle mani del nemico e Giovanna rimase quindi priva dei suoi più fedeli consiglieri. L. diede inizio allora autonomamente a concessioni feudali ai suoi più stretti consiglieri, soprattutto ad Acciaiuoli, e il 7 luglio 1349 si fece anche investire del Ducato di Calabria.
Dopo che, grazie alla mediazione del cardinale legato Annibaldo Caetani, il 23 luglio 1349 si poté concludere una tregua con István Lackfi, L. cominciò a comportarsi sempre più dispoticamente e cercò di escludere completamente Giovanna dal governo della Provenza e del Regno. La regina quindi, d'accordo con il legato, decise di fuggire nuovamente in Provenza per sottrarsi a L. e porre il Regno sotto la formale amministrazione del papa. Il piano, però, fu scoperto da L. e da Acciaiuoli e il 15 genn. 1350 Giovanna, nel corso di una penosa cerimonia, fu costretta a confessare il suo progetto di fuga e a revocare tutte le lettere alla Curia con le quali aveva chiesto a Clemente VI di intervenire.
Neppure davanti alla seconda invasione del Regno di Napoli da parte del re d'Ungheria, che era sbarcato a Manfredonia il 23 o 24 apr. 1350 e in luglio era già in Campania, si poté stabilire un accordo tra L. e Giovanna; anche per questo non fu organizzata alcuna effettiva difesa di Napoli. Si deve soprattutto a una grave ferita ricevuta dal re d'Ungheria a fine luglio durante l'assedio di Aversa e alle sue difficoltà finanziarie il fatto che egli, all'inizio di settembre 1350, acconsentì a una tregua che impose a Giovanna, a L. e a Luigi I d'Ungheria di abbandonare il Regno sino a una sentenza del papa. Certamente Clemente VI aveva consentito a L., il 20 luglio 1350, di portare il titolo reale; nello stesso giorno però giunse a Napoli una flottiglia provenzale con il legato pontificio Raymond Sequet che per incarico del papa doveva porre fine al conflitto tra L. e la regina e reintegrare Giovanna nei suoi diritti sovrani. In effetti il comandante della flotta provenzale Ugo Del Balzo mise L. agli arresti domiciliari in Castelnuovo, per cui L. fu costretto a dichiarare per lo meno la sua rinuncia a intromettersi ulteriormente nell'amministrazione della Provenza.
Il 17 sett. 1350 L. si imbarcò per la Provenza secondo l'accordo stabilito con il re d'Ungheria. Mentre attendeva nel porto di Gaeta Ugo Del Balzo, trattenutosi a Napoli sino alla metà di ottobre, L. riuscì, con l'aiuto di Acciaiuoli, a portare dalla sua parte la popolazione della città, e quando Del Balzo, il 20 ottobre, giunse a Gaeta L. si impadronì di sorpresa della sua nave, lo accusò di tradimento e lo uccise con le sue mani.
L'eliminazione di Del Balzo significò la definitiva vittoria di L., e soprattutto di Acciaiuoli, nella lotta per il potere. Dopo il ritorno a Napoli egli nominò Lorenzo Acciaiuoli, figlio di Niccolò, vicario generale del Ducato di Calabria per sconfiggere i partigiani di Luigi I d'Ungheria, ancora attivi in quei luoghi; per coprire le spese della guerra, il 20 febbr. 1351 vendette Prato a Firenze per 17.500 fiorini. La campagna militare, condotta in Abruzzo da L. e Acciaiuoli dall'ottobre 1351 al gennaio 1352, che doveva soprattutto liberare L'Aquila dal tiranno Lalle Camponeschi, rimase però senza tangibili risultati.
Ebbero invece successo le trattative che il gran camerario Raimondo Del Balzo e il magister rationalis Matteo Della Porta condussero in gennaio presso la Curia ad Avignone, per conto di L., con i plenipotenziari ungheresi. Il 23 marzo 1352 L. poté finalmente concludere un trattato di pace con il re d'Ungheria che prevedeva l'evacuazione delle zone del Regno ancora occupate dagli Ungheresi o dai loro partigiani e il rilascio dei fratelli di L., arrestati nel 1348. Nello stesso tempo Raimondo riuscì a persuadere Clemente VI a dare l'assenso per l'incoronazione di L., poiché nel frattempo era morto Carlo Martello. Dopo aver battuto, il 30 apr. 1352, Bertrand de la Motte, capitano delle truppe mercenarie provenzali che minacciava Napoli, L. fu finalmente incoronato insieme con Giovanna dall'arcivescovo di Braga Guillaume de la Garde il 27 maggio 1352, giorno di Pentecoste, a Napoli. L. aveva però dovuto rinunciare alla successione nel Regno nel caso che il matrimonio con Giovanna fosse rimasto senza eredi legittimi. L'evento fu rattristato dalla morte della seconda figlia, Francesca, nel giorno stesso dell'incoronazione o poco dopo.
Un anno dopo l'incoronazione, il 12 maggio 1353, il giorno di Pentecoste, L. fondò l'Ordine cavalleresco dello Spirito Santo, secondo il modello dell'Ordine della Nobile Casa creato due anni prima dal re di Francia Giovanni II, per legare più strettamente la nobiltà alla persona del sovrano, in considerazione della sempre più dilagante anarchia causata dall'invasione ungherese. Sotto questo aspetto, però, la fondazione fu un totale fallimento, poiché anche lo stesso fratello maggiore Roberto - che oltre al Principato di Taranto aveva conservato ricchi feudi nella Terra di Bari -, tornato da poco dalla prigionia ungherese, si rifiutò di entrare nell'Ordine dello Spirito Santo.
Nonostante questi conflitti all'interno della famiglia reale, provocati anche da Maria, sorella di Giovanna, e da Luigi di Durazzo, anch'egli tornato dalla prigionia ungherese, dall'estate 1353 Acciaiuoli intraprese iniziative per la riconquista della Sicilia, perduta nel 1282, rese possibili dallo stato di anarchia in cui si trovava l'isola. Effettivamente il 6 febbr. 1354 si concluse a Palermo con la rivale casa reale aragonese un accordo che prevedeva la dedizione dell'isola a L. e a Giovanna e che nel marzo 1354 fu ratificato dalla coppia reale. Nonostante i ristretti mezzi finanziari, ebbe successo una spedizione di Acciaiuoli in Sicilia nella primavera-estate 1354: il 17 aprile Palermo e poi quasi tutta l'isola si sottomisero alla sovranità angioina.
Il compito più importante di L. e di Acciaiuoli era però la lotta contro le compagnie mercenarie che anche dopo la conclusione della pace con Luigi I d'Ungheria erano rimaste nel Regno e saccheggiavano il territorio. Una campagna del più giovane dei fratelli di L., Filippo (II), nell'aprile-maggio 1354 in Abruzzo contro la compagnia dell'ex giovannita "fra" Moriale fallì miseramente, e per l'allontanamento di Moriale dovettero essere versati 40.000 fiorini. Poco dopo scoppiò un conflitto tra L. e suo cugino Carlo di Durazzo, la cui influenza sulla corte angioina era contrastata dai tre fratelli del ramo di Taranto, perché egli, con Giovanni Pipino conte di Altamura e Minervino, nell'aprile 1355 si era apertamente ribellato alla Corona e nel maggio con la Gran compagnia si era spinto sino in Terra di Lavoro. Alla fine di luglio 1355 L. versò 120.000 fiorini per l'allontanamento dei mercenari e la Gran compagnia solo nell'estate dell'anno seguente si diresse verso il Norditalia.
Sebbene a causa della ribellione di Luigi di Durazzo nel 1355 quasi tutte le conquiste dell'anno precedente in Sicilia fossero andate perse, Acciaiuoli sfruttò i conflitti per la tutela del minorenne Federico IV (III) e il 20 nov. 1356 fece vela con una piccola flotta verso Messina, che riconobbe la sovranità di L. e di Giovanna. I due giunsero a Messina il 24 dicembre e vi rimasero sino al 27 ag. 1357, senza peraltro adottare alcuna energica misura per rafforzare la loro sovranità sull'isola; ciò diede ai seguaci di Federico IV l'opportunità di organizzarsi militarmente e il 29 e 30 giugno 1357 presso Acireale essi riuscirono a infliggere alla flotta e all'esercito angioino una dura sconfitta che annientò ogni speranza di sottomettere completamente l'isola.
La permanenza in Sicilia di L. e Giovanna aveva dato nuovo alimento alla rivolta di Luigi di Durazzo che controllava ancora vaste zone della Puglia. Nell'autunno 1357 Roberto di Taranto riuscì a catturare e a giustiziare alcuni alleati di Luigi di Durazzo - i Pipini di Altamura -, mentre con lo stesso Luigi si trovò un compromesso a breve termine nella primavera 1358.
Ugualmente difficile si presentava la situazione in Provenza, dove il fratello minore di L. Filippo (II) che nel gennaio 1356 era stato nominato vicario generale della Contea, cercava invano con le sue scarse forze di contrastare il condottiero Arnaldo de Cervole, detto Arciprete, che nel luglio 1357, con il tacito sostegno del reggente di Francia, futuro Carlo V, aveva invaso la Provenza e per più di un anno aveva taglieggiato la Contea. Solo l'energica reazione delle città provenzali costrinse Cervole, nel settembre 1358, a tornare in Francia, mentre L. nell'agosto 1358, quando il pericolo si era già allontanato, decise di recarsi in Provenza, ma dovette rinunciare a causa di una malattia.
Negli anni 1358-59 si giunse a una seria crisi tra L. e papa Innocenzo VI, le cui relazioni si erano logorate negli anni precedenti perché L. e Giovanna non avevano corrisposto affatto, o solo saltuariamente, il censo feudale annuo di 8000 onze per il Regno. Quando L. tentò ancora di intromettersi attivamente nelle nomine ed elezioni vescovili nel Regno, improvvisamente il papa, il 21 apr. 1359, nominò il cardinale Egidio Albornoz, che doveva restaurare l'autorità pontificia nello Stato della Chiesa, anche legato per il Regno di Napoli, per assumerne di fatto il controllo del governo. Acciaiuoli, che dopo la sconfitta di Acireale nel giugno 1357 era caduto in disgrazia presso la corte per opera dei suoi nemici, all'inizio di dicembre 1359 fu inviato presso la Curia ad Avignone, dove pagò una parte del censo dovuto e riuscì a evitare il diretto intervento del cardinale Albornoz nelle questioni del Regno e perfino a ottenere l'assoluzione di L. e Giovanna dalla scomunica inflitta nel gennaio 1355 per il mancato pagamento del censo.
Già prima della partenza di Acciaiuoli per Avignone, nell'autunno 1359, era scoppiata una nuova rivolta di Luigi di Durazzo; L. si recò in Puglia all'inizio di marzo per sedarla ed ebbe un parziale successo, poiché Luigi di Durazzo dichiarò di rimettere il conflitto con L. e sua moglie a una sentenza del papa. Il Durazzesco cercava di guadagnare tempo per arruolare nuove truppe mercenarie e riprendere la guerra in condizioni favorevoli. Effettivamente nel settembre 1360 egli poté prendere al suo servizio la compagnia di Johannes (Anichino) von Baumgarthen, che nel dicembre si stabilì in Capitanata e compì scorrerie fino nel Principato. L. quindi richiamò Acciaiuoli con la massima fretta da Avignone. Mentre L. perseverava nella consueta letargia, il suo siniscalco riuscì, con l'aiuto di alcuni contingenti di truppe inviati da città toscane, a sbarrare la strada per Napoli e a impedire il congiungimento dei soldati di Baumgarthen con una compagnia ungherese che nel marzo 1361 aveva fatto irruzione in Abruzzo. Alla fine di gennaio 1362 anche Baumgarthen lasciò il Regno dopo che gli era stato consentito di portare con sé tutto il suo bottino, mentre Luigi di Durazzo dovette sottomettersi definitivamente il 6 febbraio. I suoi feudi furono confiscati ed egli fu rinchiuso in Castel dell'Ovo dove più tardi subì un processo per eresia a causa dei suoi rapporti con i "fraticelli".
In Sicilia la posizione degli Angioini era peggiorata dopo la sconfitta di Acireale, per cui la caduta degli ultimi bastioni angioini dell'isola, come Palermo e Messina, sembrava solo una questione di tempo. Solo grazie ad Acciaiuoli, giunto a Messina verso la fine del 1361 con sole tre galee, la situazione si poté ancora una volta almeno stabilizzare, anche se era troppo tardi per riconquistare il territorio perduto.
Mentre il siniscalco si tratteneva a Messina, all'inizio di aprile 1362 L. e Giovanna convocarono un Parlamento generale che con una vasta opera legislativa avrebbe dovuto soprattutto porre termine al brigantaggio diffusosi in tutto il Regno in seguito all'invasione delle compagnie mercenarie. Oltre a una riduzione delle tasse e a un'amnistia generale, fu decisa l'istituzione di una unità operativa militare leggera di 400 uomini che doveva mettere fine alle scorrerie.
Poche settimane dopo questo Parlamento L. - probabilmente in seguito a una lunga malattia della quale soffriva dall'estate del 1358, stando al Chronicon Siculum (p. 18) - morì il 24 maggio 1362 (o secondo altre fonti nella notte tra il 25 e il 26 maggio: cfr. Léonard, 1932-37, III, pp. 480 s.) in Castelnuovo a Napoli e fu sepolto nella chiesa di Montevergine.
Giovanna I - che negli anni 1351-62 era stata quasi completamente esautorata e anche fisicamente maltrattata da L. e da Niccolò Acciaiuoli - non dovette provare un grande dolore per la morte di L., forse da lei amato veramente solo agli inizi della loro relazione.
L. spicca per la sua incapacità e per la sua debolezza di carattere nella storia del Regno di Napoli, ricca proprio nel corso del XIV secolo di figure squallide e oscure. Il giudizio distruttivo che Matteo Villani (X, 100) dà di L. è confermato da altri autori non meno significativi come Francesco Petrarca (Fam., XII 3; XXIII 18), Giovanni Boccaccio (Buccolicum carmen, ecloga IV) e Barbato di Sulmona (Faraglia). Secondo Petrarca, in lui i vizi della vecchiaia si univano all'inesperienza della giovinezza, mentre Boccaccio lo definisce semplicemente vile e "stultus puer".
Fonti e Bibl.: Un elenco quasi completo delle fonti è in Léonard, 1932-37; v. inoltre: Arch. di Stato di Napoli, Arch. Sanseverino di Bisignano, 1ª numerazione, nn. 15-16; Arch. Giudice Caracciolo di Cellamare, cass. 91, n. 16; Arch. Tocco di Montemiletto, 13, 14, 17, 142; Roma, Arch. stor. Capitolino, Archivio Orsini, I.C.IV, n. 2; II.A.V., nn. 15, 40, 42, 43, 47; Subiaco, Biblioteca statale di S. Scolastica, Archivio Colonna, D.120, D.655, D.793; Firenze, Arch. Ricasoli-Firidolfi, Fondo Acciaiuoli, 84; Venezia, Biblioteca naz. Marciana, Mss. lat., III, 76 (=2101), cc. 373v-374v; Firenze, Biblioteca Medicea-Laurenziana, Ashburnham, 1830.I, nn. 66, 89, 125-126, 135, 141, 158-165; 1830.II, n. 173; Napoli, Società napoletana di storia patria, Mss., XXX.C 2 bis: M. Bonito, copia di Nicolò d'Alife, Arcani storici; Storie pistoresi, a cura di S. Adrasto Barbi, in Rer. Ital. 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