LAMBERTI, Luigi
Nacque a Reggio nell'Emilia il 27 maggio 1759, primo di quattro figli (il secondo fu Jacopo, figura politica di rilievo negli anni napoleonici), da Francesco e Chiara Bergonzi, possidenti. Formatosi nelle locali scuole dei gesuiti, proseguì gli studi con don G. Fantuzzi - al quale, dopo la soppressione della Compagnia (1773), venne affidata la conduzione dell'istituto - mostrando particolare predilezione per le lingue antiche (greco e latino) e moderne (tedesco, inglese, spagnolo, francese). Per secondare i desideri paterni si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza dell'Università di Modena, ma ben presto prevalse in lui la passione per le lettere, che lo portò a seguire i corsi di eloquenza di L. Cerretti e quelli di greco dell'abate S. Piattoli. Tornato a Reggio senza avere conseguito la laurea, il L. dovette fronteggiare l'ostilità del padre.
La sua prima raccolta di sonetti, pubblicata anonima nel 1783 e ispirata agli stilemi della cosiddetta "scuola classica estense" di A. Paradisi e L. Cerretti, gli fruttò il 15 maggio di quello stesso anno la nomina a successore del Paradisi come segretario perpetuo della locale Accademia di scienze e lettere degli Ipocondriaci, con l'appellativo di Feristo. Poco dopo, insofferente del chiuso mondo reggiano, il L. intraprese, in compagnia del fratello Jacopo, un viaggio d'istruzione nell'Italia settentrionale e in Francia con destinazione Parigi. Raggiunti a Lione da una perentoria lettera del padre, i due dovettero però fare ritorno a casa. Per evadere dall'ambiente familiare, egli decise allora di recarsi a Roma dove proseguì gli studi di greco.
Entrato in Arcadia nel 1784 con il nome di Musonio Filagense, vi conobbe V. Monti - allora segretario del duca L. Braschi Onesti, nipote di Pio VI - con il quale nacque una strettissima amicizia, destinata a durare tutta una vita. Fu probabilmente grazie alle sue raccomandazioni e a quelle del cardinale ferrarese G.M. Riminaldi - residente a Roma e influente in Curia - che nel 1785 il L. ottenne la nomina a segretario del vicelegato di Ferrara, mons. P. Vidoni. Qui vi trovò di quando in quando Monti e fu un assiduo frequentatore del salotto letterario della contessa Orintia Romagnoli Sacrati, in Arcadia Fiordiligi Taumanzia, cui dedicò la sua prima raccolta di traduzioni dal greco (Versioni dal greco, Bassano 1786), comprendente l'inno omerico a Cerere e liriche di Alceo, Anacreonte, Teocrito e altri. Deterioratosi progressivamente il rapporto con il Vidoni, a metà dicembre del 1786 il L. fu costretto a lasciare Ferrara in seguito a un perentorio ultimatum del vicelegato, geloso della sua intima familiarità con la Sacrati. Tornato a Roma senza denaro, senza impiego e con seri problemi di salute per un diffuso herpes che lo affliggeva dall'infanzia, si legò sentimentalmente alla baronessa Laura Astalli Piccolomini, passando con lei diversi mesi nel suo feudo di Sambuci. Di lì a poco, gli incontri con il celebre antiquario romano E.Q. Visconti e con l'ex gesuita dalmata R. Cunich segnarono il suo destino. Sotto la loro influenza rafforzò la propria passione per l'antichità e per il mondo greco in particolare, affinando sempre più la conoscenza delle lingue classiche in una città divenuta il centro della cultura archeologica e antiquaria europea. Contemporaneamente, grazie alle relazioni del Visconti, divenne maestro di camera del principe Marcantonio Borghese, illuminato mecenate e - con i principi Sigismondo e Agostino Chigi - tra i principali propagatori delle idee culturali e scientifiche d'Oltralpe nella Roma di Pio VI. Di questo culto dell'antico, e del diffuso ma informe desiderio di rinnovamento di una parte del mondo intellettuale romano, il L. si fece interprete attivo durante gli anni Novanta, assimilando anche il forte pensiero anticlericale del Visconti, che saldò alla propria malcelata volontà di riscatto nei confronti dell'ambiente pontificio.
Nel 1796 raccolse i frutti del proprio lavoro pubblicando tre opere: la sua più importante raccolta di poesie (Poesie di Luigi Lamberti, Parma), la traduzione italiana dell'Edipo re, compiuta su incitamento del Cunich (ibid.) e, insieme con il Visconti, le Scolture del palazzo della villa Borghese, detta Pinciana, brevemente descritte (I-III, Roma). Da sottolineare, in particolare, la valenza poetica del canzoniere, riuscito esempio di grazia e di equilibrio dal nitore neoclassico, ispirato alla lezione di Orazio ma ricco al tempo stesso di echi sensistici e pariniani, ammirato da U. Foscolo e lodato da G. Carducci.
All'arrivo dei Francesi a Roma (febbraio 1798) gli stretti legami stabiliti dal Visconti con i commissari inviati dal Direttorio - e in particolare con G. Monge - portarono il L. a ricoprire un ruolo importante nella Repubblica Romana: fu membro del Tribunato (sue le mozioni per l'ampliamento della guardia nazionale e il divieto di uscita da Roma delle opere d'arte) e dell'Istituto nazionale di scienze ed arti (classe di poesia e musica, sezione di filosofia, letteratura e belle arti). Fu autore, con altri, dei progetti di legge sulle scuole superiori e sulle feste nazionali. Collaborò inoltre (dal giugno all'agosto 1798) al Monitore di Roma diretto da U. Lampredi (da segnalare un suo Credo repubblicano dai toni fortemente anticlericali e l'ironico nonché brillante Dialogo tra una cedola e un fico) e frequentò il Circolo costituzionale. Alla caduta della Repubblica (settembre 1799) fuggì da Roma insieme con il Visconti, l'ambasciatore francese A.R.C. Bertolio e un nutrito gruppo di esuli romani che, imbarcatisi a Civitavecchia, dopo un avventuroso viaggio raggiunsero Marsiglia. Qui decise di legarsi al gruppo dei patrioti più radicali e di assumere l'incarico - con A. Bruner, G. Jacoucci ed E. Martelli - di sottoporre a N. Bonaparte un articolato piano per la riconquista francese del territorio romano. Giunto a Parigi, dove rimase fino alla primavera del 1801, il L. aderì però ben presto alla svolta conservatrice del 18 brumaio anno VIII (9 nov. 1799). Nei mesi successivi, segnati da continue ma infruttuose richieste di denaro indirizzate al padre, trovò lavoro nella stamperia dei fratelli P. e F. Piranesi - compagni d'esilio e figli del celebre incisore Giambattista - gravitando di nuovo nell'orbita di Monti e Visconti, divenuto nel frattempo professore di archeologia e sovrintendente alle antichità del Louvre.
A Parigi, nel 1801, pubblicò una traduzione italiana dei Cantici militari di Tirteo con note critiche, testo greco e versione latina, e diede alle stampe l'ode La Speranza, dedicata a Bonaparte in occasione del suo ritorno in Italia. Nel frattempo, grazie alle premure del fratello Jacopo, il Comitato di governo della seconda Cisalpina gli aveva assegnato la cattedra di eloquenza e la carica di prefetto degli studi nel ginnasio milanese di Brera, al posto dello scomparso G. Parini.
Da allora, fino alla caduta del Regno d'Italia, il L. fu con il Monti uno dei letterati più considerati e gratificati dal regime napoleonico: fu rappresentante aggiunto dei notabili del Dipartimento del Crostolo ai Comizi di Lione (29 nov. 1801), membro del Collegio elettorale dei dotti (26 genn. 1802) e dell'Istituto nazionale della Repubblica italiana (6 apr. 1803, sezione terza, letteratura e belle arti), direttore della Biblioteca Braidense di Milano (1803), ispettore generale della Pubblica Istruzione (1809), e insegnante di italiano del viceré Eugenio de Beauharnais. Fu creato da Napoleone membro della Legion d'onore e cavaliere della Corona ferrea.
Espose le linee ispiratrici della propria attività letteraria nel Discorso sulle belle lettere, tenuto a Brera il 15 giugno 1801 come prolusione al corso di eloquenza. Vi propugnò la convergenza tra impegno letterario e quello politico e civile, attraverso l'attualizzazione dell'antica Grecia e l'utilizzazione dei parametri estetici della poesia classica per l'interpretazione del presente. Da questi presupposti teorici scaturì la sua successiva "poesia politica" (Ode saffica per la festa del 26 giugno 1803 a Milano, ode Alla maestà di Napoleone del 1805, ode Per le auguste nozze di s.a.i. il principe Eugenio e s.a.r. principessa Augusta Amalia di Baviera del 1806, azione scenica Alessandro in Armozia del 1808), improntata a una retorica celebrativa di stampo neoclassico. Grande rilievo ebbe poi la sua attività di filologo e di ellenista, che incluse le Poesie di greci scrittori recate in versi italiani, Brescia 1808 (ristampa Torino 1990) e culminò nell'edizione del testo greco dell'Iliade (I-III, Parma 1808-09) - finanziata da F. Melzi d'Eril a partire dal 1803 e personalmente presentata a Napoleone il 21 genn. 1810 a Parigi - e nelle Osservazioni sopra alcune lezioni dell'Iliade d'Omero (Milano 1813), pietra miliare della moderna critica filologica nel campo degli studi omerici.
Il suo ruolo di letterato di corte fu all'origine di alcuni vivaci contrasti con il gruppo degli scrittori romantici raccolti attorno a U. Foscolo - fino al 1809 legato a lui da vincoli di amicizia - e ai milanesi Annali di scienze e lettere. Protetto dal governo e dalla cerchia del presidente del Senato - il reggiano G. Paradisi -, nacque allora il Poligrafo. Giornale letterario, fondato dal L. e dal Monti, diretto dallo stesso L. e aperto alla collaborazione di U. Lampredi, F. Pezzi e altri. Settimanale di varia informazione, pubblicato dal 7 apr. 1811 al 27 maggio 1814, il Poligrafo si distinse per il suo connotato filologico-letterario rigorosamente classicista. Oltre a offrire ai lettori prose e poesie inedite di autori vecchi e nuovi, traduzioni e recensioni di opere italiane e straniere, condusse aspre battaglie verbali sia contro il nascente romanticismo sia contro l'esasperato purismo di A. Cesari e il dilagante toscanismo della ricostituita Accademia della Crusca di Firenze, rappresentata dal Giornale enciclopedico di Firenze di G. Rosini.
Ammalatosi nell'agosto del 1813, il L. morì di "idrope al petto" il 4 dic. 1813 nello stesso appartamento di Brera in cui, quattordici anni prima, si era spento Parini.
Ebbe solenni esequie e fu sepolto nella chiesa di S. Marco a Milano. Gran parte dei suoi manoscritti e delle sue lettere venne bruciata dal fratello Jacopo il 21 apr. 1814, poco prima dell'ingresso degli Austriaci a Milano. Due edizioni di sue poesie, prose e traduzioni vennero pubblicate postume nel 1822 (Poesie e prose, Milano; Poesie e versioni inedite o disperse, Reggio Emilia).
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