LAVAZZA, Luigi
Nacque il 24 apr. 1859 da Battista e da Candida Gonella, a Murisengo, piccolo comune situato sulle colline del Monferrato.
Il padre, al pari della maggioranza dei concittadini, era dedito all'agricoltura, dalla quale ricavava un modesto e incerto reddito. Nell'intento di assicurare all'unico figlio una migliore prospettiva di vita, il capo famiglia spinse il L. a completare gli studi elementari e successivamente gli ottenne un impiego in qualità di contabile in una fornace della zona. L'economia del piccolo nucleo familiare restava comunque precaria, vincolata com'era al lavoro dei campi e ai suoi alterni risultati.
Fu proprio una catastrofica grandinata, avvenuta il 9 ag. 1885, a convincere il L. a seguire l'esempio di altri monferrini prendendo la via dell'emigrazione. Ottenuto dalla locale Società di mutuo soccorso un piccolo prestito di 50 lire, nell'autunno seguente si trasferì a Torino, dedicandosi alle occupazioni temporanee e occasionali che venivano abitualmente riservate alla maestranza di origine contadina. Nel tempo libero si dedicò con assiduità al completamento degli studi, frequentando dapprima la scuola operaia festiva Archimede, quindi la scuola serale di commercio e infine, nel biennio 1889-91, l'istituto municipale di chimica Cavour. Nel 1894 sposò Emilia Morino, una giovane di Murisengo che gli avrebbe dato nove figli. Contemporaneamente decise di intraprendere l'attività per la quale si sentiva più vocato: il commercio. Nel marzo di quell'anno, unite ai propri risparmi le 10.000 lire prestategli dall'ultimo datore di lavoro, egli rilevò una vecchia drogheria situata all'angolo tra le vie S. Tommaso e Barbaroux.
L'esercizio era in cattive condizioni ma, grazie all'ottima posizione e all'energia del nuovo titolare, l'attività progredì rapidamente. Essa faceva perno, oltre che sulla gamma di prodotti tradizionalmente smerciati dalle drogherie, sulla vendita del caffè, acquistato crudo attraverso uno spedizioniere genovese e tostato direttamente nel retro del negozio. Dati i limitati consumi dell'epoca, la torrefazione del caffè non costituiva un'attività particolarmente redditizia, ma conferiva notevole prestigio a chi la praticava. Anche grazie a essa la piccola impresa commerciale acquistò rapidamente clientela e notorietà.
Trasformatasi in società nel 1895 con l'ingresso del cugino del L., Pericle Franco, nel 1900 la ditta vantava un giro d'affari di 4200 lire settimanali e dava lavoro a 6 dipendenti. Alcuni fra questi si dedicavano esclusivamente alla tostatura del caffè, che ormai stava per diventare il prodotto simbolo della Lavazza. Con i proventi ricavati il L. poté estendere le vendite al di fuori della cinta urbana e, nel 1910, trasferire la sede dell'esercizio in locali più ampi situati nella stessa via S. Tommaso.
Allo stesso anno risale la prima fra le innovazioni che avrebbero scandito lo sviluppo della Lavazza: al posto delle singole qualità di caffè utilizzate fino ad allora, il L. cominciò a impiegare per la tostatura miscele da lui stesso elaborate e realizzate. Il prodotto ottenuto, più armonico e soprattutto meno influenzato dall'andamento dei raccolti, ebbe un immediato successo, imprimendo una notevole accelerazione all'attività dell'azienda.
Alla vigilia del primo conflitto mondiale la ditta annoverava già una quarantina di dipendenti e poteva contare su un capitale di 320.000 lire. Con l'inizio della guerra si aprì una fase di notevoli difficoltà per l'impresa, privata di buona parte del personale e della materia prima. Se alla prima carenza si pose riparo ricorrendo all'aiuto dei familiari, nulla si poté contro la crisi degli approvvigionamenti e la contrazione dei consumi: nel 1918 gli incassi settimanali erano scesi dalle 85.000 lire d'anteguerra a 20.000. La ripresa postbellica fu segnata da un'ulteriore spinta verso la specializzazione; l'eterogeneità ereditata dalla vecchia drogheria fu definitivamente abbandonata a favore di una ristretta gamma di prodotti: olio, zucchero e soprattutto caffè torrefatto. Nel 1923 la Lavazza era la prima società italiana di lavorazione del caffè.
Un primato ottenuto grazie anche al trasferimento nella nuova sede di corso Giulio Cesare, dotata di macchinari moderni che consentivano l'impiego nel confezionamento di imballi particolari, capaci di conservare più a lungo l'aroma della tostatura.
La dimensione ormai notevole dell'azienda e il contemporaneo affacciarsi alla soglia della maturità della nuova generazione della famiglia avevano intanto posto all'ordine del giorno il riordino dell'assetto societario dell'impresa. A questo scopo, il 7 nov. 1927 veniva costituita la Società anonima Luigi Lavazza, dotata di un capitale di 1,5 milioni di lire suddiviso fra il L., la moglie e i figli maggiori Mario, Giuseppe e Maria. Un nuovo impulso alla crescita delle attività giunse nel 1931, grazie a un'efficace innovazione del sistema di vendita.
Il metodo della "copia commissione" praticato fino ad allora venne sostituito con la "tentata vendita", con cui l'agente della Lavazza, anziché limitarsi a raccogliere le ordinazioni provvedeva anche alla consegna del prodotto e al relativo incasso. La nuova procedura incontrò l'immediato favore della clientela: al termine dell'anno il caffè venduto ammontava a 9000 quintali - dei quali 3750 di prodotto tostato -, mentre il giro d'affari aveva superato largamente i 2,5 milioni di lire.
La gestione dell'impresa, che all'epoca contava 23 dipendenti, si era intanto gradualmente trasferita dal L., ormai ultrasettantenne, ai due figli maggiori Mario (Torino, 23 maggio 1899 - Genova, 19 dic. 1963) e Giuseppe (Torino, 30 marzo 1901 - Ibid., 21 sett. 1971). Nel 1933 la nuova situazione venne sanzionata da un patto di famiglia con il quale il L. trasferiva le azioni della società ai tre figli maschi; il terzo, Pericle (Torino, 8 sett. 1908 - Murisengo, 18 ag. 1979), aveva appena conseguito la laurea in medicina. Nel 1936 il L. si ritirò quindi a Murisengo, lasciandosi alle spalle un'azienda solida, le cui prospettive apparivano però minacciate dall'addensarsi di nuove crisi internazionali. Le difficoltà cominciarono con le sanzioni comminate all'Italia in conseguenza dell'aggressione all'Etiopia, che provocarono una riduzione degli approvvigionamenti a una media di 4000 quintali annui. La situazione peggiorò ulteriormente dopo il 1940, con il blocco totale dell'importazione di caffè che si mantenne fino alla fine del 1945. La Lavazza, costretta a limitare drasticamente la sua principale attività, si ridusse a sopravvivere grazie al commercio degli oli, del sapone, delle candele. Anche i primi anni del dopoguerra furono segnati da gravi emergenze.
Lo stabilimento era stato danneggiato dai bombardamenti e le risorse finanziarie si erano notevolmente ridotte. Inoltre, la condizione di un paese impoverito e disorientato come l'Italia non permetteva di confidare su una rapida ripresa dei consumi non essenziali.
La lavorazione del caffè riprese soltanto nel maggio 1946: al termine dell'anno ne erano stati prodotti 1200 quintali contro i 3750 del 1931, ma l'anno seguente la produzione era già salita a 4000.
La ripresa dell'attività coincise con un'importante novità sul piano commerciale: il caffè cominciò a essere fornito ai rivenditori in confezioni sigillate che recavano il nome e il logo dell'azienda produttrice. Erano i primi passi di una politica di marketing che richiese, in particolare nella fase iniziale, notevoli sforzi per sormontare le perplessità dei rivenditori. La presenza del proprio marchio in una fase di sensibile aumento dei consumi risultò comunque decisiva per assicurare il primato della Lavazza sul mercato.
Il L. si spense a Murisengo il 6 ag. 1949.
Alla sua morte l'azienda aveva nuovamente imboccato la strada di una rapida espansione. Nello stesso anno, mentre la produzione superava i 15.000 quintali, fu inaugurata la filiale milanese, prima tappa di una politica espansiva indirizzata alla conquista del mercato nazionale. Al sostegno finanziario del progetto avevano provveduto nei mesi precedenti gli stessi fratelli Lavazza, raddoppiando il capitale sociale. Nel 1954, allorché venne acquistato un nuovo stabile in corso Novara, l'azienda avrebbe lavorato oltre 25.000 quintali di caffè, distribuendoli attraverso una rete commerciale capillare che contava 24 concessionari, 15 depositi e oltre 50 rappresentanti, ancora dislocati in gran parte nelle regioni settentrionali. Sollecitate da una crescita così veloce, le strutture organizzative e i metodi gestionali dell'azienda cominciarono intanto a segnalare ritardi e insufficienze vistose, aggravate dalla comparsa di una vivace e agguerrita concorrenza. La scelta delle strategie per farvi fronte divise i tre fratelli. Mentre Mario propendeva per una politica di prudente consolidamento, Giuseppe e Pericle, convinti delle potenzialità di crescita del mercato, erano invece favorevoli a un atteggiamento più dinamico e aggressivo. Il contrasto venne risolto con l'uscita di scena di Mario e la cessione delle sue quote ai fratelli minori. Giuseppe e Pericle, a loro volta, il 26 febbr. 1956 sottoscrissero un nuovo patto che sanzionava e perpetuava il carattere strettamente famigliare della società, impegnandosi a non cedere a terzi le rispettive quote e stabilendo che "al funzionamento dell'azienda sociale potranno prendere esclusivamente parte i discendenti maschi maggiorenni". Messo così al riparo l'assetto proprietario e gestionale dell'impresa, i due titolari poterono dedicarsi alla realizzazione di un ambizioso piano di sviluppo che aveva come meta finale il passaggio definitivo a una dimensione industriale dell'impresa.
Nel 1957 entrava in funzione lo stabilimento di corso Novara, un edificio di sei piani dove il processo di lavorazione veniva realizzato, per la prima volta in Italia, in senso verticale, a caduta. Nel nuovo impianto, capace di lavorare quotidianamente oltre 400 quintali di caffè, iniziò il confezionamento in lattine sotto vuoto spinto, un procedimento messo a punto Oltreoceano che, prolungando la durata del prodotto, consentiva di estendere i confini della distribuzione. La decisione più importante del 1957 fu tuttavia quella di sostenere le nuove produzioni con un massiccio sforzo pubblicitario e di affidarne la gestione al titolare di una piccola agenzia torinese, A. Testa. Ne nacque un lungo sodalizio, i cui esiti segnarono profondamente la storia della comunicazione pubblicitaria e del costume. L'esordio, nel 1958, ebbe per oggetto il caffè Paulista, affermatosi anche nell'innovativa versione macinata grazie ai manifesti e ai caroselli televisivi imperniati sui personaggi di Caballero e Carmencita.
Nel 1965 la Lavazza inaugurò il primo lotto del nuovo stabilimento di Settimo Torinese. La produzione, in quell'anno superiore agli 80.000 quintali, sfiorò la soglia dei 100.000 alla fine del 1967. La difesa di questa leadership in un mercato diventato sempre più competitivo costituì l'obiettivo principale dell'azienda negli anni successivi.
Così, la Lavazza dedicò notevoli sforzi per fronteggiare l'iniziativa della concorrenza - come l'introduzione della lattina a strappo - e soprattutto per diffondere la presenza del marchio in aree del Paese con abitudini alimentari diverse e livelli di reddito inferiori a quelli delle regioni settentrionali.
Nel vivo di questa fase complessa e impegnativa la Lavazza dovette registrare la scomparsa del suo presidente e la guida della società passò a Pericle, affiancato ormai stabilmente dal figlio Alberto e dal nipote Emilio.
Anche negli anni Settanta i risultati della Lavazza ebbero un andamento alterno, in larga misura derivante dalla difficile fase economica e sociale attraversata dall'Italia. Il decremento delle vendite complessive non andò tuttavia a scapito della quota di mercato, preservata e consolidata sia progredendo nella politica di diversificazione dell'offerta, sia incrementando notevolmente gli investimenti pubblicitari, giunti in qualche periodo a sfiorare il 4% del fatturato. Solo alla fine del decennio gli indicatori segnalarono un aumento stabile delle vendite, giunte nel 1979 a superare i 260.000 quintali.
Alla morte di Pericle, nel rispetto del patto del 1956, la presidenza della società passò a Emilio, affiancato nel ruolo di amministratore delegato dal cugino Alberto. Pochi mesi dopo, nel dicembre, l'inaugurazione del Centro per gli studi e le ricerche sul caffè intitolato al fondatore testimoniava la consapevolezza di dover affrontare con strumenti sempre più affinati i problemi del mercato e della competizione. Nel solco di questa tradizione mostrava di volersi inserire anche la nuova generazione quando, presentando il bilancio, nel 1980, riassumeva in 3 regole le ragioni di un successo confermato anche dai dati più recenti: elevata qualità del prodotto, costante rinnovamento dell'offerta, efficacia e intensità del messaggio pubblicitario.
Fonti e Bibl.: N.D. Basile, Eurotavola, Milano 1999, pp. 220-223; Dal 1895 al terzo millennio, suppl. a Notizie Lavazza, Torino 2000.