ORNATO, Luigi
ORNATO, Luigi. – Nacque il 13 aprile 1787 a Caramagna (Caramagna Piemonte, provincia di Cuneo) da Paolo e da Teresa Capelli, «onesti ma poco agiati borghigiani» (Ottolenghi, 1878, p. 5).
La sua prima istruzione fu affidata allo zio materno Felice Capelli, sacerdote e maestro pubblico di retorica. Nel 1801 si trasferì a Torino presso un altro zio materno, avvocato. Nel 1803 fu accolto nella scuola privata fondata da alcuni illustri rappresentanti dell’aristocrazia e della cultura piemontese - Michele Saverio Provana del Sabbione, Filippo Grimaldi e Prospero Balbo, presidente il conte Angelo Saluzzo di Monesiglio - per fornire in prima persona ai propri figli un’istruzione in lingua italiana più consona alla propria cultura di quella impartita nelle scuole.
Nel 1804 i giovani, su proposta di Ornato e Luigi Provana del Sabbione, fondarono l’Accademia dei Concordi, patrocinata da Prospero Balbo, il quale approvò con minime variazioni lo statuto redatto da Ornato.
I Concordi si impegnavano «per un avvenire più rispettoso verso i diritti di patria, quando non sarà più interdetto al giovane italiano studiare la patria lingua», vincolo nazionale «sicuro contrassegno de’ popoli, e l’unico per l’Italia» (Cesare Balbo, presidente dell’adunanza del 21 giugno 1805; resoconto in Rodella, 1874, pp. 406 s.; lo stesso resoconto [p. 415], registra tra gli accademici «il modestissimo Luigi Ornato»: ovvio riferimento alla sua condizione sociale). I Concordi, pervasi da fortissima ammirazione - quasi culto - per Vittorio Alfieri, misogalli, difensori della lingua e della cultura italiana, forse neoguelfi e neoromantici in fieri, si preparavano a operare in prima persona per riportare la cultura italiana alle glorie del passato.
Negli ultimi anni del regime napoleonico Luigi Provana, «il prediletto, “cristiano” contro la propaganda irreligiosa repubblicana», e Ornato si legarono in «triumvirato colendissimo» con Annibale Santorre di Santarosa: «“puri” moralmente e politicamente in contrapposto a coloro che per ambizione o per interesse transigevano colla propria coscienza nel servire lo straniero, ferventi per gli ideali di libertà e di patria, nemici più ancora che del Bonaparte, dell’influsso francese in Piemonte» (Passerin d’Entrèves, 1940, pp. 50 s.).
Dal 1807 arruolato nei veliti di Torino, dal 7 gennaio 1812 Ornato fu, per intervento di Michele Saverio Provana, ripetitore o insegnante di matematica nel Collegio dei paggi imperiali. Dopo la Restaurazione, auspice il fisico Antonio Maria Vassalli Eandi, fu nominato vicebibliotecario dell’Accademia delle scienze. Insieme con Luigi Provana nel 1817 a Torino pubblicò anonima una Scelta di poesie tratte in volgare dal greco, mostrando «di intendere il greco come filosofo e di sentire e traslatare come poeta» (Ottolenghi, 1878, pp. 26 s.).
Nel frattempo i due avevano preso «conoscenza del profondissimo mutamento avvenuto negli spiriti durante il periodo napoleonico: «il “genio” del Bonaparte nel campo della legislazione, i suoi sagaci provvedimenti economici, le abili riforme nell’amministrazione hanno lasciato qualcosa di vitale» (Passerin d’Entrèves, 1940, p. 51). Ornato incitava: «nostro dovere di italiani, di concorrere per quanto può ciascuno a far sì che si pensi di nuovo in Italia. Questa è cosa che nessuno ci può impedire» (Ottolenghi, 1878, p. 20). Ma nel 1818 dovette constatare che l’epoca apparsa nel 1814 «gravida di eventi futuri ed importanti, finì come il parto della montagna» (ibid., p. 244).
Contemporaneamente dovette far fronte a una grave crisi personale: «Giovine ancora egli si era fatto un ideale così squisito della perfezione in ogni genere di umano operare, che non era mai contento di sé medesimo. Ciò produceva naturalmente perplessità e lentezze, ed i suoi amici stavano in timore che non avrebbe condotta a compimento opera alcuna»: ibid., p. 153). Agli amici impazienti rispondeva che l’unica accusa che potessero rivolgergli era di «non lavorare in quel modo, che avevamo determinato una volta, cioè dello adoprarmi in altri lavori fuor di quel tale proposto per noi». Ma aveva dovuto constatare la propria «incapacità assoluta di questo lavoro» (a Luigi Provana, 25 marzo 1818, ibid., p. 237). Gli studi intrapresi sono «di tal fatta, che continuati fino alla fine possono diventare utili, tralasciati a mezzo non giovano a niente» (ibid., p. 244).Queste citazioni di brani epistolari autoanalitici aiutano a comprendere sia pure superficialmente il suo tormento. Agli amici ed estimatori allora e per molti anni dopo la sua morte non rimase che sperare prima e sognare poi scrivanie ingombre di sue opere in attesa di pubblicazione, o già stampate sotto altro nome, o finite in mani rapaci od ostili.
Due anni dopo i suoi amici erano impegnati, sia pure separati da ideologie e finalità non concordi, in un’intensa attività politica. Ornato non ebbe parte alcuna nei rivolgimenti del 1821, ma il 22 marzo fu nominato direttore del gabinetto particolare di Santarosa, neoministro della Guerra del governo costituzionale. Dopo la sconfitta dei costituzionali, Ornato, non compromesso, decise di seguire l’amico in esilio. Partiti da Asti il 9 aprile, si imbarcarono il 13 a Genova per Marsiglia. Santarosa, costretto ad abbandonare la Francia, si trasferì in Svizzera, mentre Ornato rimase a Marsiglia, città che gli offriva maggiori possibilità di lavoro. Non voleva vivere a spese di Santarosa: fu suo costante principio mantenersi col proprio lavoro (aveva solo dei modesti possedimenti agricoli a Caramagna, ove era rimasta la sorella; la madre morì il 16 giugno 1821).
Solo Emanuele Dal Pozzo principe della Cisterna riuscì negli anni successivi ad aiutarlo «con estrema discrezione», fornendogli tra l’altro «un piccol, ma ridente quartiere» a Parigi: Ottolenghi,1878, pp. 56 s.).
Infine, il 9 giugno Ornato raggiunse Santarosa a Montreux, per poi seguirlo, dopo non poche esitazioni, quando, costretto a lasciare la Svizzera, Santarosa si rifugiò a Parigi. A Parigi si mantenne correggendo bozze (collane di letteratura classica) per la casa editrice Didot. Dedicava gran parte della sua giornata alla correzione di «quel numero sterminato di fogli, che gli era mandato ogni giorno», riferisce Giacomo Picchioni che nel 1823-24 lo visitava quotidianamente, aiutandolo perché «gli rimanesse un po’ più di tempo per gli studi di sua elezione, o per passeggiare e conversare cogli amici che venivanlo a visitare» (Id., 1874, p. 8). Anche dopo la partenza forzata di Santarosa il suo alloggio fu frequentato punto di ritrovo degli esuli italiani: insigni studiosi e scienziati erano sicuri di trovare, ciascuno nella propria disciplina, un interlocutore dotto e stimolante. Apparentemente non frequentava le case degli amici: si limitava a riceverli, in Francia come poi in Piemonte. La Francia gli fu anche portale verso la filosofia e cultura tedesca (la prima allora meglio nota grazie a Victor Cousin): apprese perfettamente la lingua – ne aveva già intrapreso lo studio su un dizionarietto a Torino – e fece propria la filosofia di Friedrich Heinrich Jacobi. Poco dopo il suo arrivo a Parigi Santarosa aveva stretto amicizia con Cousin, amicizia che questi estese negli anni a molti esuli politici liberali italiani (cfr. S. Mastellone, Victor Cousin e il Risorgimento italiano, Firenze 1955: l’unico che «vide con amarezza questa colleganza ideale tra Santarosa e Cousin fu Luigi Ornato» [p. 101]).
I rapporti tra Ornato e Cousin furono superficiali: scriverne le vite parallele sarebbe interessante per la comprensione della biografia del primo. Cousin frequentò saltuariamente casa Ornato. In quegli anni di reazione (1821-28) che avevano posto fine alla sua attività di docente acclamato dal pubblico liberale Cousin, pur essendosi dedicato da poco all’ellenistica aveva intrapreso la traduzione di Platone; dopo la pubblicazione del primo volume molti amici di Ornato vi vollero vedere l‘opera sua o almeno suoi notevoli ‘aiuti’. Giovanni Gentile avrebbe commentato: «Curioso davvero che l’Ornato, fra l’ingente e faticosissima fatica […] durata nella correzione degli stamponi […] non trovasse tempo di scrivere un rigo per conto suo, mentre avrebbe scritto tanto per gli altri» (Albori della nuova Italia, I, Lanciano 1923, p. 146 n. 1) e «Rileggendo l’Argument philosophique, che va innanzi il Filebo […] credo sempre assai poco probabile che l’Ornato ne sia stato l’autore» (Storia della filosofia italiana, II ed., Firenze 1962, p. 143 n. 3). Ugualmente complesso fu il rapporto di Ornato con la Francia. In una lunga lettera a Luigi Provana – probabilmente del 1829 – dettagliò la sua visione della Francia: paese «ove si può meglio studiare l’umanità, perché le circostanze indipendenti dagli uomini rendonvi più facile lo studio dell’uomo […] qui si cammina, costì [Italia] si sta fermi; qui è necessità il pensare […] costì è cosa fuor d’uso» (Ottolenghi, 1878, pp. 410 s.). Ma è dovere degli Italiani che lo possono «di andare ad attingere idee colà dove esse sono, e recarle tra loro» (p. 412). Nella stessa lettera riferiva senza simpatia – con obbligo di silenzio – la sua opinione negativa riguardante Cousin (pp. 416 s.).
Tornò a Caramagna nel 1832 per curare l’oftalmia che lo affliggeva. Il suo ritorno fu salutato con gioia dal mondo culturale piemontese. Successivamente si trasferì a Torino ove l’assistenza medica era ovviamente superiore, ma la sua oftalmia continuò a peggiorare, portandolo alla quasi cecità. Anche qui il suo modesto domicilio divenne meta di molti visitatori insigni, uomini di cultura e universitari anche neolaureati e studenti. L’aggravamento della malattia gli lasciò più tempo per le conversazioni. Anche in questo periodo rifiutò di dettare – poche righe al giorno – brevi contributi biografici o commenti in campo ellenistico (cfr. Gioberti, 1862, p. 448).
Domenico Berti, allora studente universitario, ricorda la grandissima «autorità dell’Ornato sopra i giovani studiosi. Egli trattava con noi, imberbi ed indòtti, come coi sapienti e provetti […] per via di domande socratiche ci costringeva quasi sempre a venire nel suo avviso e a cedere le armi […] ci esortava vivamente allo studio delle opere straniere […] Professavasi nondimeno avverso ai sistemi fondati non in altro che nell’ingegno dei loro autori» (1892, pp. 54 s.).
La frequentazione con Gioberti fu breve, poiché questi dovette lasciare Torino nel settembre 1833. Due sue lettere costituiscono l’unica documentazione sia pur indiretta del pensiero filosofico di Ornato. Lo aveva visitato a Caramagna con un gruppo di amici il 9 ottobre 1832. Forse vi furono altri incontri, comunque Gioberti gli scrisse il 7 gennaio 1833 (1970, pp. 163-166) per illustrargli il proprio workin progress. Dalla successiva lunga lettera (ibid., pp. 170-180) del 5 febbraio sappiamo che Ornato rispose «con una lettera che mi fu tanto dilettevole che istruttiva per le notizie che racchiude, e per le considerazioni che mi ha fatto fare. Io ci imparai fra le altre cose che tutte le parti essenziali del sistema del Bruni, salvo la cosmografia, si trovino negli scritti dei nuovi platonici; cosa che io ignorava» e concludeva (pp. 179 s.) «le invio questo rozzissimo abbozzo del metodo che tengo nell’edificare il mio sistema, come un semplice saggio del metodo ch’io chiamo analisi scientifica della sintesi mentale della natura , la quale analisi non mi par del tutto disforme dai saggi precetti da Lei accennati, benché dissentiamo quanto ad alcuni particolari risultamenti di essa» (p. 179; cfr. l’importante nota 11di G. Bonafede, pp. 862 s.: «un tentativo di esposizione sistematica delle idee del Gioberti»).
La corrispondenza si interruppe causa l’oftalmia di Ornato e probabilmente non fu mai ripresa. Di questo «delizioso carteggio» Gioberti riferì a Claudio Dalmazzo «egli mi compiaceva delle sue osservazioni colla dottrina e la schiettezza sua propria imperocché quantunque nei progressi filosofici andiamo buon pezzo via insieme, tuttavia giunti a un segno ci dividiamo egli per seguire il dualismo exoterico di Platone coi recenti perfezionamenti del Iacobi e di altri filosofi di Germania, io per abbracciare un sistema conforme in buona parte a quello della scuola eleatica» (1862, p. 105). Ornato «fa professione di platonico e ripudia l’ontoteismo, ed è questa la più importante differenza di opinioni filosofiche ch’io mi abbia con lui» (p. 108). Esule insofferente, Gioberti scriveva che Ornato era stato il più grande filosofo di Parigi: tra Ornato e Cousin «v’ha lo stesso divario che tra la solidezza e la profondità degli italiani e la leggerezza francese» (1913, pp. 49 s.).
Indubbiamente il ritorno di Ornato a Torino ebbe notevole influenza nell’ambiente universitario e culturale, come mostrano i molti attestati tramandati dai suoi ammiratori. Un’astiosa reazione di Gioberti a un commento critico di Ornato forse non accuratamente riferitogli ne è probabilmente dimostrazione: «Né so capire come l’Ornato col suo ingegno e col suo senno, e dopo un soggiorno decenne in Italia, possa ancora far buon viso a certi grilli di razionalismo che dovettero entrargli nel capo quando respirava l’aura della Senna, impregnata dei miasmi della filosofia tedesca. Egli dunque vuol divenire il Cousin della Penisola? Benché lo scopo non sia molto ambizioso, non gli riuscirà, spero». L’Italia «non si persuaderà mai che il cattolicismo non possa accordarsi cogl’incrementi e più copiosi dell’ingegno umano« (1913,18 novembre 1841, pp. 93 s.). Interessante quindi l’omaggio che Gioberti volle dedicare nel suo Primato morale e civile degli Italiani (II. ed., Losanna 1876, p. 70) a Ornato, «cui la modestia e la sventura tolsero la celebrità meritata... Fu valente in più ragioni di scienza, e nelle lettere greche esercitatissimo; ma queste varie cognizioni, erano da lui indirizzate alla filosofia e alla religione, che sedevano in cima di tutti i suoi pensieri».
Giovanni Maria Bertini, laureatosi in filosofia nel 1839, fu il discepolo del «maestro socratico» che meglio apprese, approfondì e fece proprio il pensiero filosofico di Ornato, e soprattutto ne fu continuatore e assertore nel vivace panorama filosofico-politico piemontese. I suoi scritti sono spesso citati quali testimonianze della filosofia del maestro, se non addirittura riferiti allo stesso.
Ornato morì a Torino il 28 ottobre 1842, in seguito a un colpo apoplettico subito il giorno precedente mentre insieme con Berti ascoltava la lettura bertiniana da lui richiesta della Darstellung des Wesens der Philosophie (1810) del filosofo tedesco Friedrich Köppen.
Fu sepolto al Camposanto Nuovo di Torino: sulla lapide Luigi Provana fece incidere l’iscrizione: «fu tra i primi che col diffondere le dottrine platoniche contribuirono a rialzare la gioventù subalpina dalla abbiezione della scuola sensistica» (Ottolenghi, 1878, p. 139).
Nel 1853 videro la luce a Torino i Ricordi dell’imperatore Marc’Aurelio Antonino. Volgarizzamento con note tratto in gran parte dalle scritture di Luigi Ornato; terminato e pubblicato per opera di Girolamo Picchioni. Come precisato dallo stesso Picchioni (Id., 1874, pp. 22-24) Ornato era arrivato al paragrafo 18 dell’ultimo libro per quanto riguarda la mera traduzione – ma traduzione ‘compiuta’solo fino al paragrafo 41 del libro 6; dal paragrafo 42 «non è altro che un abbozzo di traduzione»; aveva anche lasciato «moltissime note critiche su tutto il testo greco» (ediz. Firenze 1867, p. XII). Lo stesso Picchioni, visto il materiale lasciato presso la sorella (note e appunti riguardanti soprattutto filosofi greci e tedeschi), ritenne che nulla «avesse sembianza di cosa che l’autore volesse pubblicare, ma piuttosto di materiale raccolto per lavori che egli disegnasse di fare in miglior tempo».
Caso assai raro nella storia moderna: la reputazione di Ornato è quasi esclusivamente basata su testimonianze dei contemporanei che lo avevano frequentato (e anche di chi non ne aveva avuto l’occasione) constatando la sua amplissima cultura. Ma le citazioni sono ben rare. Ottolenghi ha pubblicato la sua corrispondenza, prevalentemente precedente l’esilio. Probabilmente molte biblioteche italiane e la Biblioteca apostolica Vaticana custodiscono sue lettere inedite. In Origini della filosofia contemporanea in Italia, I, I platonici (a cura di V. Bellezza, Firenze 1957, pp. 141-159) Gentile inizia il capitolo intitolato a Bertini con uno studio particolarmente accurato circa l’autorevolezza dello scarsissimo materiale noto riguardante Ornato. Bertiniscrisse subito dopo la morte «una necrologia del maestro, la quale, mentre è, finora, il solo documento sicuro del pensiero filosofico dell’Ornato, ci fornisceun riassunto delle dottrine di Jacobi». Sono inoltre documenti indiretti le già citate due lettere di Gioberti. Il tentativo di Gentile di ricostruire il pensiero filosofico di Ornato da Platone a Jacobi basandosi essenzialmente sulla esposizione bertiniana sembra convincente, ma si tratta pur sempre della ricostruzione di una filosofia mai scritta.
Piero Gobetti, in vari saggi pubblicati negli anni 1921-24 (ora raccolti in Scritti storici, letterari e filosofici, a cura di P. Spriano, Torino 1969), delineò una biografia filosofica e politica di Ornato la quale, pur partendo dalle stesse constatazioni gentiliane circa la quasi inesistente documentazione del suo pensiero, giunge a farne una delle figure più rilevanti della storia politica, culturale e filosofico-religiosa del Risorgimento piemontese. «Lo sforzo più intenso per spezzare le catene di una tradizione millenaria fu compiuto» da Ornato, «il filosofo dei moti del 1821 [sic!], il rappresentante più ardito della polemica antidogmatica» (p. 167), «la mediazione speculativa tra Alfieri e Gioberti» (p. 173) e via primeggiando. Nota infine la sua estraneità alla devozione alla Chiesa «come istituto politico» propria del neoguelfismo: Ornato si concentra sul «concetto di Stato e intorno alla praxis statale che gli italiani dovranno inaugurare» (p. 207). Ma ne risulta un interessante saggio di storia del Risorgimento piemontese in cui Ornato è configurato l’ideale artefice di ogni progresso. Però nulla avalla questa biografia.
Può infine essere interessante il brevissimo apodittico commento di Antonio Gramsci: «in molte pubblicazioni sul Risorgimento, è stato “rivelato” che esistevano personalità che vedevano chiaro ecc. (ricordare la valorizzazione dell’Ornato fatta da Piero Gobetti), ma queste “rivelazioni” si distruggono da sé stesse appunto perché rivelazioni; esse dimostrano che si trattava di elucubrazioni individuali che oggi rappresentano una forma del “senno di poi”» (Quaderni dal carcere, a cura di V. Gerratana, Torino 1975, III, p. 1782; nota, IV, p. 2946, § 25).
Fonti e Bibl.: V. Gioberti, Ricordi biografici e Carteggio..., a cura di G. Massari, II, Napoli-Torino 1862, adind.; L. Ottolenghi, Della vita e degli studi di Giacomo Picchioni, ricordi, Firenze 1874, ad ind.; C. Rodella, Studi nazionali in Piemonte durante il dominio francese, in Curiosità e ricerche di storia subalpina, I, Torino 1874, pp. 400-453 (pp. 443-445 e passim); L. Ottolenghi, Vita, studii e lettere inedite di L. O., Torino 1878; D. Berti, L. O. o Ricordi di conversazioni giovanili, in Scritti varii, I, Torino-Roma 1892, pp. 47-75; Lettere di Vincenzo Gioberti a Pier Dionigi Pinelli (1833-1849), a cura di V. Cian, Torino 1913, ad ind.; E. Passerin d’Entrèves, La giovinezza di Cesare Balbo, Firenze 1940, ad ind.; V. Gioberti, Epistolario filosofico, a cura di G. Bonafede, Palermo 1970, ad ind.; A. Leggiero, L. O. (1787-1842): il primato della libertà, in Le due Torino. Primato della religione o primato della politica?, a cura di G. Cuozzo - G. Riconda, Torino 2008, pp. 11-48.