Pulci, Luigi
Gli echi della Commedia nel Morgante del P. (Firenze 1432 - Padova 1484) sono evidenti e facilmente riscontrabili; non tutti però chiaramente riconducibili a una diretta conoscenza di D., potendo molti essere un retaggio della tradizione canterina: nella seconda metà del sec. XV la Commedia era ormai diventata un repertorio stereotipato di cui si utilizzava il materiale linguistico e concettuale anche a livello di letteratura popolare. Molti motivi danteschi erano poi entrati a tal punto nell'uso quotidiano da potersi ormai considerare frasi proverbiali, patrimonio comune da cui si attingeva liberamente e a volte anche inconsapevolmente.
Nel Morgante due volte D. è citato esplicitamente: la prima all'inizio del poema a proposito di Orlando: " dopo la dolorosa rotta quando... / nella sua Comedìa Dante qui dice, / e mettelo con Carlo in Ciel felice " (I 8 6); la seconda sul finire: " Io mi confido ancor molto qui a Dante, / che non sanza cagion nel Ciel sù misse / Carlo ed Orlando in quelle croce sante, / ché come diligente intese' e scrisse " (XXVIII 40 1). Nel primo luogo il risultato è piuttosto infelice: l'incompiuta citazione rompe l'ordine naturale della sintassi poiché i due passi da cui il P. attinge, If XXXI 16-18 e Pd XVIII 43-44, sono malamente cuciti insieme; nel secondo è evidente l'intento di esaltare, insieme con i campioni della cristianità, anche D., che così alto posto aveva assegnato loro nel suo Paradiso.
Altre volte le parole di D., nominato con l'antonomastico " il Poeta ", servono al P. per dare veridicità, autorità e forza di persuasione alle sue affermazioni: " Ora ècci un punto qui, che mi bisogna / allegar forse il verso del Poeta: ‛ sempre a quel ver c'ha faccia di menzogna ' / è più senno tener la lingua cheta / ché spesso ‛ sanza colpa fa vergogna ' ", XXIV 104 1-5 (da If XVI 124-126); " Quanti gran legni si vede perire, / disse il poeta, all'entrar della foce ! ", XXV 276 6-7 (da Pd XIII 136-138).
Nella maggior parte dei casi però l'influenza della Commedia si rivela nel Morgante sotto forma di reminiscenze causate dall'analogia di una situazione, di un concetto per cui al P. viene spontaneo il ricorso a un'immagine, a un verso dantesco. In questo naturale affiorare di allusioni dantesche la mente del P. non sceglie ciò che conviene, tralasciando ciò che non si adatta all'occasione, ma basta una parola perché torni alla mente la movenza dantesca e l'endecasillabo venga trascritto quasi meccanicamente.
Si vedano i seguenti esempi: " che gentilezza è teco esser villano ", XVII 114 5 (da If XXVIII 150); " tu se' il maestro di color che sanno ", XVIII 199 7 (da If IV 131); " e disse: - Posa, posa, saracino ", XXI 38 3, " e disse: - Posa, posa, Squarciaferro ", XXV 278 1 (da If XXI 105); " e cadde come morto in terra cade ", XXII 244 2 (da If V 142); " qui si nuota nel sangue, e non nel Serchio ", XXIV 141 6 (da If XXI 49); " Averroìs che fece il gran comento ", XXV 254 6 (da If IV 143); " Or qui comincian le pietose note! ", XXVII 116 1 (da If V 25); " La sua loquela mi fa manifesto / ch'a nunzïar quel vien trista novella ", XXVII 177 6-7 (da If X 25).
Accanto a questo gruppo di versi riportati per intero o con lievi modifiche, dovute per lo più al contestó o alla rima, ve n'è un certo numero in cui, pur se ampiamente rimaneggiati, permane il medesimo ritmo e la stessa disposizione lessicale di quelli danteschi, come per esempio: " Or vo' che sappi, pria che tu domandi ", XXII 6 4 (da If IV 33); " tal che fuggìen que' miseri profani ", XXVII 84 5 (da If VI 21). Non mancano poi nel Morgante nomi di personaggi come Farfarello e Rubicante, chiaramente usciti dall'Inferno dantesco.
Il P. dunque, direttamente o indirettamente, attinge ampiamente alla Commedia; però bisogna rilevare che si pone di fronte a essa con un atteggiamento critico che deriva dalla consapevolezza che il capolavoro dantesco rappresenta la testimonianza di una dottrina e di una morale, la condizione di un pensiero che le nuove scoperte hanno ridimensionato. Rinaldo, che con Ricciardetto e altri compagni, dopo aver viaggiato per l'Occidente e l'Oriente, giunto ai " segni che Ercule già pose / acciò che i navicanti sieno accorti / di non passar più oltre... / sopra tutto commendava Ulisse / che per veder nell'altro mondo gisse " (XXV 130, da If XXVI 90-142), ci richiama subito alla mente l'eroe dantesco. Anche Rinaldo, " già vecchio, / avea l'animo ancor robusto e fero " (XXVIII 33 3-4), e come Ulisse è stimolato dal desiderio di seguir virtute e canoscenza a intraprendere un viaggio irto di pericoli verso un mondo ignoto, senza lasciarsi commuovere dal pianto di Carlo e della sua corte. Ma se i due personaggi sembrano usciti dalla stessa matrice, diverso e contrario è lo spirito con cui D., figlio del Medioevo, e il P., figlio del Rinascimento, segnano le creature uscite dalla loro fantasia. C'è, nel poema pulciano, in contraddizione con D. che l'aveva condannata, l'esaltazione dell'insaziabile curiosità scientifica dell'uomo, l'indicazione di una nuova meta all'attività umana.
Ulteriore prova di questa diversità sono le parole che il P. mette in bocca ad Astarotte, quando insegna a Rinaldo che tutti coloro che sono virtuosi e in buona fede possono essere salvati. Con questo il diavolo sapiente contraddice quanto D. afferma in Pd XIX 70 ss., anzi sembra addirittura rimproverare il poeta di poca riverenza verso la divinità.
Bibl. - L.P., Morgante, a c. di F. Ageno, Milano-Napoli 1955: il commento è ricco di riferimenti ai passi della Commedia; ID., Morgante, a c. di D. De Robertis, Firenze 1962; G. Volpi, La D.C. nel Morgante di L.P., in " Giorn. d. " XI (1903) 170-174; G. Brognoligo, La D.C. nel Morgante di L.P., ibid. XII (1904) 17-20; G. Rotondi, Reminiscenze dantesche nel P., nell'articolo Rileggendo il " Morgante ", in " Convivium " VIII (1936) 422-424; D. De Robertis, Storia del Morgante, Firenze 1958, 14, 417 ss.