Maccartismo
Con il termine maccartismo, a volte sostituito dalla locuzione 'caccia alle streghe' per gli evidenti rimandi alla psicosi che qualche secolo prima aveva agitato l'America puritana (cfr. il lavoro teatrale The crucible del drammaturgo Arthur Miller, che del m. fu una delle vittime più illustri), si fa riferimento alla crociata anticomunista scatenata negli Stati Uniti nei primi anni Cinquanta ‒ con effetti devastanti anche nel mondo del cinema ‒ dal senatore repubblicano Joseph R. McCarthy (1909-1957). La personalità e l'opera di McCarthy sono state e continuano a essere in patria oggetto di valutazioni contrapposte, dall'apologia del suo ex assistente R.M. Cohn, che lo definiva "uomo coraggioso che aveva combattuto un male smisurato" ammettendo che "poteva, al massimo, aver avuto torto in alcuni dettagli" (1968, p. 279), al giudizio severo di chi, come F.J. Cook, lo riteneva il principale responsabile della diffusione di una pericolosa paranoia, per cui "il più grande paese del mondo sprecava le sue energie cercando comunisti nascosti sotto ogni letto" e "milioni di americani si guardavano timorosi alle spalle, temendo che presto o tardi toccasse a loro di doversi difendere da chissà cosa davanti a minacciosi inquisitori" (1971, p. 3). Sostenuto dalle frange estreme del suo partito e, per tutte le sue campagne, dalle alte sfere della Chiesa cattolica americana (Crosby 1978), McCarthy subì un rapido e ignominioso crollo quando ‒ proprio mentre cercava di estendere la ricerca di traditori e spie all'interno di istituzioni ben più forti e solide di Hollywood, come l'emittente radiofonica governativa Voice of America, le biblioteche dell'USIS (United States Information Service) diffuse in Europa e lo stesso esercito del Paese ‒ il suo assistente Cohn esercitò pressioni sulle alte sfere militari per ottenere licenze a pioggia e condizioni di favore per un suo giovane collaboratore, D. Schine. Ne seguì in Senato una censura formale nei confronti di McCarthy, alla quale si oppose soltanto uno sparuto gruppo di ventidue senatori capeggiato da B. Goldwater; lo stesso R. Nixon, suo collaboratore e sostenitore, ne prese le distanze, elogiandone in un discorso diffuso dalle reti televisive NBC e CBS il "patriottismo nella lotta contro il comunismo", ma deplorandone al tempo stesso "il ricorso a metodi discutibili" (Cook 1971, p. 475). Alla perdita del potere McCarthy sopravvisse soltanto poco più di due anni, ma le conseguenze del suo operato, specie nei confronti di molte delle sue vittime e soprattutto nel campo del cinema, sono difficilmente quantificabili: carriere spezzate o nel migliore dei casi interrotte, lavori non firmati o firmati da prestanome che solo anni dopo critici, studiosi ed eredi delle vittime hanno cominciato a riesaminare, restituendoli ove possibile ai legittimi autori. In verità, l'operato di McCarthy, cui resta il discutibile onore di avere dato il nome all'intero fenomeno, si inserisce in una pagina di storia americana cominciata ben prima del relativamente breve periodo della sua egemonia (1950-1954), come dimostra l'esistenza di un comitato di inchiesta sulle attività antiamericane (HUAC, House Un-American Activities Committee), fondato nel 1938 dal senatore del Texas M. Dies, presieduto dal 1944 dal senatore J. Rankin del Mississippi (come Dies dichiaratamente antisemita) e dal 1947 da J. Parnell Thomas, repubblicano del New Jersey; precedenti all'ascesa di McCarthy erano state anche le misure di sicurezza adottate dall'amministrazione Truman fin dal 1947 per evitare polemiche e accuse di eccessivo 'sinistrismo' da parte della destra, il caso A. Hiss (il funzionario del Ministero degli esteri accusato nel 1948 di essere una spia sovietica), la serie di film accesamente anticomunisti iniziata a Hollywood nel 1947 e il processo ai coniugi J. ed E. Rosenberg, poi conclusosi con una condanna a morte nel 1951. Fin da quegli anni erano evidenti gli stretti legami ‒ a lungo taciuti o sottovalutati anche dalla stampa e dagli storici ‒ fra anticomunismo e antisemitismo, visto che già nel novembre del 1947, come riporta V.S. Navasky (1980, pp. 109 e segg.), Sidney Harmon, un produttore ebreo californiano, faceva osservare al presidente dell'American Jewish Committee, citando anche una testimonianza del regista Billy Wilder, che le accuse rivolte ai 'comunisti' somigliavano sinistramente a quelle rivolte dal nazismo hitleriano agli ebrei, e miravano appunto a colpire i correligionari attivi nel mondo del cinema (ma il presidente del Committee, John B. Slawson, rispondeva invitando al silenzio, per ragioni di 'prudenza'). Nel settembre del 1947, comunque, un'ordinanza del senatore Parnell Thomas impose a varie figure più o meno note del mondo del cinema statunitense, in buona parte di origine o religione ebraica, di non lasciare il Paese senza l'autorizzazione del comitato di inchiesta; e nell'ottobre dello stesso anno il comitato presieduto da Thomas (del quale faceva parte il futuro presidente degli Stati Uniti Nixon) iniziava le udienze tese a scoprire, e possibilmente a estirpare, "influenze sovversive nel mondo del cinema", convocando quarantatré testimoni, diciannove dei quali (dodici sceneggiatori, cinque registi, un produttore e un attore) contestavano a priori l'autorità del comitato e vennero pertanto definiti unfriendly witnesses, ovvero 'testimoni non amichevoli'. Le udienze iniziarono ai vertici con l'interrogatorio di due produttori fra i più importanti di Hollywood, Jack L. Warner e Louis B. Mayer, entrambi abilissimi nel rispondere alle accuse in parte relative a due film, Mission to Moscow di Michael Curtiz e Song of Russia di Gregory Ratoff, da loro prodotti nel 1943 e accusati di aver diffuso un'immagine favorevole dell'allora alleato sovietico; sulle udienze del comitato esiste una ricca documentazione, grazie anche a un libro di Gordon Kahn, Hollywood on trial, apparso nello stesso 1948 (1972²) con una vibrante e coraggiosa prefazione di Thomas Mann. Alcune deposizioni risultano divertenti alla lettura: si può ricordare per es. la sorniona abilità con cui Gary Cooper, sia pure incluso fra gli 'amichevoli', recitò la parte dello sciocco e/o dello smemorato per non citare nessun nome (pp. 55-59), o quella di Bertolt Brecht, che non disse nulla ma lo disse in modo da farsi elogiare dagli investigatori, che lo citarono addirittura a esempio (pp. 121-29); e può far ridere, ma anche rabbrividire, lo zelo della scrittrice Ayn Rand la quale, deplorando Song of Russia, sostenne che sarebbe stato meglio sconfiggere il nazismo senza allearsi con i sovietici, tanto la vittoria era comunque inevitabile (pp. 31-33), o quello della signora Lela Rogers, ancora indignata in quanto sua figlia Ginger era stata costretta a pronunciare, nel film di Edward Dmytryk Tender comrade (1943; Eravamo tanto felici), lo slogan comunista "share and share alike", ossia dividi e dividi in parti uguali (pp. 43-45). In novembre, al termine delle udienze dieci fra i 'testimoni non amichevoli', rei di non avere collaborato con l'HUAC e di non averne riconosciuto l'autorità, vennero condannati per oltraggio alla Corte a un periodo di reclusione da un minimo di sei mesi a un massimo di un anno: si trattava dei registi Herbert Biberman ed Edward Dmytryk, degli sceneggiatori Alvah Bessie, Lester Cole, Ring Lardner Jr, John Howard Lawson, Albert Maltz, Samuel Ornitz, Dalton Trumbo e del produttore Adrian Scott, famosi all'epoca come 'i dieci di Hollywood', per la cui liberazione si mobilitarono personalità del mondo intero. Lo stesso libro si conclude con note quasi trionfalistiche, citando articoli apparsi sul "The New York Times" e sul "Los Angeles Times" (dai quali emergeva, fra l'altro, che l'opinione pubblica americana era quanto meno divisa sulla questione, con un 47% di colpevolisti contro un 39% di innocentisti e un 14% che rifiutava di rispondere), le interpellanze di vari parlamentari ‒ fra i quali H. Gonahan, moglie dell'attore Melvyn Douglas ‒ che chiedevano l'immediato scioglimento dell'HUAC, e messaggi di solidarietà da parte di personalità del cinema come Gregory Peck, Fredric March, William Wyler, Humphrey Bogart, Lauren Bacall, John Huston, Gene Kelly, Judy Garland, Van Heflin, Paulette Goddard, Joseph Cotten, Margaret Sullavan, Burt Lancaster, Lucille Ball, Frank Sinatra, Edward G. Robinson, Robert Ryan e molti altri. In effetti, persecuzioni e proscrizioni erano appena cominciate: in una riunione segreta al Waldorf Astoria di New York (26 novembre 1947) l'associazione dei magnati dell'industria cinematografica decideva a maggioranza, sia pure con qualche esitazione da parte di L.B. Mayer, Samuel Goldwyn, Darryl F. Zanuck e Harry Cohn, di licenziare i dieci condannati e di compilare una vera e propria black list, destinata ad allungarsi in tempi brevi fino a superare di molto la quota di cento nomi, grazie anche all'ascesa di McCarthy e al clima di acceso patriottismo suscitato dalla guerra di Corea. In una seconda tornata di investigazioni dell'HUAC, che iniziò nel 1951, vennero colpiti attori come John Garfield, Gale Sondergaard, Howard Da Silva, registi come John Berry, Joseph Losey, Bernard Vorhaus, Jules Dassin e Abraham Polonsky, scrittori famosi come A. Miller, Dashiell Hammett e Lillian Hellman, e di nuovo gli sceneggiatori Michael Wilson, Leonardo Bercovici, Walter Bernstein, Carl Foreman, Nedrick Young, Ben Maddow, Donald Ogden Stewart, Paul Jarrico, Waldo Salt; anche in questo gruppo la maggioranza dei colpiti era di origine e/o religione ebraica. Venne poi il momento terribile e patetico dei crolli, delle delazioni, del naming names: fra coloro che decisero di collabora-re ci fu anche uno dei 'dieci di Hollywood', il regista E. Dmytryk, il cui esempio venne ben presto seguito dal collega Elia Kazan e da attori noti come Larry Parks, Sterling Hayden e Lee J. Cobb.
Difficile valutare quanto in realtà abbia inciso nella storia del cinema statunitense questa pagina vergognosa, che si sarebbe chiusa ufficiosamente nel 1957, con un Oscar per la migliore sceneggiatura assegnato, per il film di Irving Rapper The brave one (1956; La più grande corrida), a un inesistente 'Robert Rich', e ufficialmente soltanto nel 1975, quando lo stesso Oscar venne ritirato dal vero autore, D. Trumbo (ma già nel 1960 il regista Otto Preminger aveva dichiarato pubblicamente che era lo stesso Trumbo l'autore della sceneggiatura del suo Exodus); ed è arduo ricostruire la filmografia di registi e sceneggiatori che avevano deciso di riparare in Europa, o in America Latina. In alcuni dei film realizzati in quegli anni a Hollywood, e che apparentemente sono film di genere (si pensi a un western come High noon, 1952, Mezzogiorno di fuoco, scritto da C. Foreman e diretto da Fred Zinnemann, o a un film poliziesco come He ran all the way, 1951, Ho amato un fuorilegge, diretto da J. Berry e interpretato da John Garfield), si avverte fra le righe una sorta di subtext angoscioso e segreto, che allude, al di là della vicenda rappresentata, ad altre paure e ad altre violenze. Alcuni dei principali protagonisti ‒ soprattutto fra le vittime ‒ hanno raccontato la loro storia: fra questi D. Trumbo (Additional dialogue: letters of Dalton Trumbo, 1970; trad. it. Lettere dalla guerra fredda, 1977), L. Hellman (1976), Howard Koch (1979), co-sceneggiatore di Casablanca (1942) di Curtiz e sceneggiatore di Letter from an unknown woman (1948; Lettera da una sconosciuta) di Max Ophuls, e successivamente W. Bernstein (1996); a due storici, P. McGilligan e P. Buhle (1997), si deve un ampio volume di interviste ai principali indagati. Ma non sono mancate le voci, e le giustificazioni, di chi era passato dall'altra parte, confessando le proprie colpe e denunciando i compagni: per es. Dmytryk, che in un libro inquietante (1996) rivendica le sue ragioni e lamenta l'isolamento subito in seguito alla sua capitolazione; e un altro grande regista, Kazan, che nell'autobiografia (1988) descrive in pagine lucide e vibranti le prime avvisaglie delle 'purghe', quando Cecil B. DeMille, Leo McCarey e altri registi di destra cercarono, al momento senza riuscirvi, di strappare la direzione del Director's Guild al regista Joseph L. Mankiewicz, e più tardi gli attacchi al drammaturgo A. Miller, nonché la sofferta decisione di 'collaborare'; o ancora l'attore Marc Lawrence (1991), che rievoca in tono più leggero la sua passeggera frequentazione di circoli di sinistra ("più che altro per cercarvi ragazze"), le confessioni all'HUAC di avervi incontrato cinque o sei colleghi e colleghe già abbondantemente compromessi, e il periodo di piacevole esilio in una Roma ormai vicina agli anni della 'dolce vita'.
Da ricordare infine che al m. e alle investigazioni dell'HUAC sono stati dedicati lavori teatrali, in modo indiretto come nel citato The crucible (1953) di A. Miller, e in modo diretto, come in Names (1997) di M. Kemble, e in Are you now or have you ever been (1972) di E. Bentley, il cui titolo deriva dalla formula con cui gli investigatori chiedevano agli imputati se fossero o fossero mai stati comunisti; nonché film di carattere documentario, come Blacklist: Hollywood on trial (1955) di Christopher Koch; veri e propri film a soggetto, come il popolare e apprezzato The front (1976; Il prestanome) di Martin Ritt, sceneggiato dal blacklisted W. Bernstein e interpretato, fra gli altri, dal blacklisted Zero Mostel e Guilty by suspicion (1991; Indiziato di reato) di Irwin Winkler con Robert De Niro; infine anche telefilm, come Blacklist (1964), episodio scritto da Ernest Kinoy e diretto da Stuart Rosenberg di The defenders, serial incentrato sulle vicende di una coppia di avvocati, padre e figlio (Edward G. Marshall e Robert Reed, il primo dei quali, interprete a Broadway del Crucible milleriano, era stato a sua volta incluso nelle famigerate 'liste nere'). Un esame di tutti questi lavori, e anche di altri in cui il tema viene sfiorato o affrontato soltanto in modo indiretto, compare nel libro scritto da B. Murphy (1999).
R.M. Cohn, McCarthy, New York 1968.
F.J. Cook, The nightmare decade: the life and times of senator Joe McCarthy, New York 1971.
L. Hellman, Scoundrel time, Boston 1976.
D.F. Crosby, God, Church and flag: senator Joseph R. McCarthy and the Catholic Church, 1950-57, Chapel Hill 1978.
H. Koch, As time goes by: memoirs of a writer, New York 1979.
V.S. Navasky, Naming names, New York 1980.
E. Kazan, A life, New York 1988.
M. Lawrence, Long time no see: confessions of a Hollywood gangster, Palm Springs 1991.
W. Bernstein, Inside out: a memoir of the blacklist, New York 1996.
E. Dmytryk, Odd man out: a memoir of the Hollywood Ten, Carbondale (IL) 1996.
P. McGilligan, P. Buhle, Tender comrades: a backstory of the Hollywood blacklist, New York 1997.
Th.C. Reeves, The life and times of Joe McCarthy: a biography, Lanham (MD) 1997.
B. Murphy, Congressional theatre: dramatizing McCarthyism on stage, film, and television, Cambridge-New York 1999.
G. Muscio, Cinema e guerra fredda, 1946-56, in Storia del cinema mondiale, a cura di G.P. Brunetta, 2° vol., Gli Stati Uniti, t. 2, Torino 2000, pp. 1437-61.