Vedi Macedonia dell'anno: 2012 - 2013 - 2014 - 2015 - 2016
Fino al 1991 la Repubblica di Macedonia ha costituito una delle sei repubbliche federate socialiste della Iugoslavia. Come il Montenegro, Skopje riuscì a separarsi pacificamente da Belgrado. La Macedonia è una repubblica parlamentare a struttura unicamerale, con un’Assemblea nazionale composta da 123 deputati che restano in carica per quattro anni. Il presidente viene eletto direttamente dal popolo e ricopre un incarico puramente cerimoniale. Il sistema politico si basa, sin dall’indipendenza, sulla sostanziale alternanza tra due coalizioni di governo, costituite da partiti appartenenti alle due etnie predominanti nel paese, quella macedone e quella albanese. Le coalizioni sono separate anche da una componente ideologica: da una parte si schiera l’alleanza nazionalista dell’Organizzazione rivoluzionaria interna della Macedonia-Partito democratico per l’unità nazionale macedone (Vmro-Dpmne), guidata dal premier Nikola Gruevski e confermatasi ancora una volta al governo nelle elezioni politiche dell’aprile 2014; dall’altra il gruppo guidato dai socialisti del Sdsm (Unione social-democratica di Macedonia), eredi del partito comunista.
Sin dal settembre 1991, quando un referendum sancì l’indipendenza del paese, la frattura tra la maggioranza macedone e la minoranza albanese acquistò nuova rilevanza. Gli albanesi boicottarono il voto, organizzarono un proprio referendum sull’autodeterminazione e proclamarono la nascita della Repubblica di Ilirida, obbligando le Nazioni Unite (Un) a schierare truppe di interposizione che ripristinarono lo status quo e impedirono la secessione e la guerra. Durante il conflitto in Kosovo nel 1999, circa 350.000 albanesi fuggirono dai territori meridionali della regione per riparare nel nord della Macedonia. La creazione di un protettorato in Kosovo sotto tutela internazionale incoraggiò la formazione di una fazione dell’Uçk (l’Esercito di liberazione nazionale del Kosovo) nel portare anche in Macedonia un’insurrezione armata, che gettò il paese in una breve guerra civile (2000-2001). Nell’agosto 2001 la firma degli accordi di pace di Ohrid, che includevano alcune clausole a tutela della minoranza albanese, condusse al definitivo disarmo dell’Uçk. Alle tensioni interetniche, riacutizzatesi nell’aprile 2015 in seguito agli scontri avvenuti in un quartiere periferico a maggioranza albanese della città di Kumanovo tra le forze di polizia macedoni e un gruppo armato non identificato, si associa la crisi politica del governo Gruevski, chiusa con le dimissioni del premier nel gennaio 2016 e l’annuncio di elezioni anticipate per aprile.
Le relazioni esterne della Macedonia sono generalmente tese con tutto il vicinato. Sebbene siano migliorati i rapporti con il Kosovo, soprattutto dopo il riconoscimento dell’indipendenza di Priština, le relazioni bilaterali sono tornate ad essere nuovamente difficili anche a causa dell’emergenza migratoria nella regione balcanica. La crisi migratoria ha fornito un ulteriore motivo di attrito anche con la Grecia, lungo il cui confine condiviso – in prossimità del valico di Idomeni-Gevgelija – l’esercito ha eretto una barriera anti-migranti. La maggiore fonte di tensione tra Skopje e Atene rimane tuttavia la questione del nome della repubblica balcanica. La controversia, sorta sin dalla dichiarazione d’indipendenza dalla Iugoslavia, deriva dal fatto che secondo Atene la denominazione ‘Repubblica di Macedonia’ sottintende una rivendicazione territoriale su tutta o una parte della provincia greca omonima, la seconda regione storica e più popolosa della Grecia. In conseguenza di ciò, dall’aprile 1993 la Macedonia fu costretta ad accedere alle Un con il nome di Fyrom (acronimo di Former Yugoslav Republic of Macedonia), denominazione oggi riconosciuta da tutti i principali attori statuali e sovranazionali, fatta eccezione per la Turchia. Tale disputa impedisce di fatto alla Macedonia di avviare i negoziati di accesso all’Unione Europea (Eu), sebbene con quest’ultima sia in vigore dal 2004 l’accordo di stabilizzazione e associazione e sebbene nel 2005 Skopje abbia ottenuto lo status di candidata ufficiale all’ingresso. Anche le relazioni con la Bulgaria, migliorate con il governo Gruevski, continuano ad attraversare periodi di tensione per il riconoscimento della reale separazione etnica tra il popolo bulgaro e quello macedone, che Sofia continua a non riconoscere, ritenendo i macedoni un sottogruppo dell’etnia bulgara.
In Macedonia il 64% della popolazione è di etnia macedone, il 25% è albanese, a seguire turchi (4%), rom (3%) e serbi (2%). Skopje, la capitale, è a maggioranza macedone, ma si trova in una regione a forte composizione etnica albanese. Il censimento del 2002 – l’ultimo rilevamento ufficiale – aveva confermato inoltre che la popolazione albanese aveva superato la soglia demografica stabilita dagli accordi di pace di Ohrid perché la loro lingua potesse essere considerata ufficiale, accanto al macedone. Tuttavia, tale riconoscimento tarda ancora a essere sancito da un atto istituzionale.
Dal punto di vista religioso la popolazione macedone è composta in massima parte da cristiano-ortodossi, mentre gli albanesi sono quasi tutti musulmani. Dal 1967 la Chiesa ortodossa macedone è autocefala (non riconosce cioè l’autorità della Chiesa ortodossa serba) e per questo nel paese si sviluppano tensioni periodiche tra gli appartenenti alle due ortodossie.
I rapporti tra albanesi e macedoni rimangono tesi. Molti macedoni nutrono ancora forti riserve nei confronti della minoranza albanese e si registrano periodici episodi di violenza. D’altro canto, buona parte degli albanesi condivide sentimenti ultranazionalisti, come dimostrato dalla preminenza del partito albanese Dui (Unione democratica per l’integrazione), gemmazione politica dell’Uçk. Proprio i complessi rapporti tra albanesi e macedoni hanno richiesto l’adozione in parlamento di una procedura decisionale più gravosa rispetto alla maggioranza semplice nei casi in cui l’argomento trattato abbia rilevanza etnica (il ‘principio Badinter’). Poiché dal 2006 il Dui, primo partito albanese, non fa parte della coalizione eletta (al suo posto vi è il Dpa, il Partito democratico albanese), le decisioni sulle minoranze restano bloccate e la disaffezione nei confronti della politica ha condotto a un costante aumento della violenza interetnica, come testimoniato dagli scontri avvenuti nella primavera del 2012.
Altri problemi sociali sono un tasso di fecondità in declino, e di conseguenza una popolazione in diminuzione, e una diffusa percezione di un sistema partitico corrotto. L’Eu ha fortemente criticato l’esteso utilizzo dello spoil system (ovvero la pratica di licenziamento dei dirigenti chiave della pubblica amministrazione all’atto dell’insediamento di un nuovo governo, che passa gli incarichi a funzionari a sé vicini) e del voto di scambio, così come la forte politicizzazione del sistema giudiziario. Le organizzazioni criminali sarebbero infine, oggi, capillari e potenti, tanto da mantenere costanti contatti a livello regionale con le mafie dei paesi vicini per coordinare i traffici illeciti.
L’economia macedone è molto piccola e tra i paesi balcanici è più grande solo di quella kosovara. Il pil pro capite è tuttavia paragonabile a quello detenuto da buona parte degli abitanti della regione. La Macedonia era fortemente integrata con le altre ex repubbliche iugoslave, sia da un punto di vista economico sia sotto il profilo infrastrutturale. Dalla sua indipendenza il paese ha sofferto di un notevole problema di diversificazione industriale, sebbene il settore siderurgico e la metallurgia siano ritenuti fiori all’occhiello della produzione nazionale. Il sistema dei trasporti era inoltre pensato per la vendita e la distribuzione verso l’interno della ex federazione iugoslava. Per questo, se nel 1990 l’industria produceva beni per un valore equivalente al 45% del pil, nel 2012 il peso dell’industria nell’economia si era ridotto a poco meno del 25% del pil.
Alla crisi economica provocata dalla frammentazione della Iugoslavia hanno fatto seguito, nella seconda metà degli anni Novanta, una crisi iper-inflattiva – risolta solo grazie all’intervento del Fondo monetario internazionale (Imf) – e una nuova recessione provocata dalla guerra civile, che bloccò la produzione e provocò un aumento delle spese statali destinate alla difesa. Ancora oggi la disoccupazione – il 29% della forza lavoro – rimane tra i tassi più alti al mondo.
Gli aspetti positivi dell’economia macedone consistono invece nel basso debito pubblico, nella crescente integrazione con i mercati mondiali e nella sua capacità di attrarre investimenti. Una crescita che ha permesso alla Macedonia di arrivare al 12° posto nel rapporto Doing Business 2016 della Banca mondiale. Tuttavia il paese rimane estremamente dipendente sul mercato finanziario dai prestiti concessi dai creditori esteri privati (in particolare banche commerciali) e dall’Imf, restando così fortemente esposto alla volatilità e a potenziali crisi del mercato finanziario internazionale.
Dal 2001 è in vigore un accordo di stabilizzazione con l’Eu, che garantisce al paese accesso senza dazi ai mercati europei; dal 2003 la Macedonia è membro dell’Organizzazione mondiale del commercio (Wto). La piccola economia macedone sta anche conoscendo uno sviluppo costante, interrottosi nel 2009 (-0,4%) e nel 2012 (-0,5%) a causa della crisi congiunturale. Nel 2010 il paese era tornato a crescere e le stime per il 2015 mostrano un’espansione del pil pari al 3,2%. Nonostante gli investimenti e la crescita, le rimesse (pari a oltre il 3% del pil) continueranno a giocare un ruolo importante. Trattandosi di un paese senza sbocco sul mare, la Macedonia dipende dai suoi vicini per l’accesso alle principali rotte commerciali mondiali. Se i collegamenti nord-sud sono buoni, restano problematici, invece, quelli est-ovest con Albania e Bulgaria. Per questo motivo il paese ripone molte speranze negli investimenti programmati dall’Eu per la costruzione del cosiddetto ‘Corridoio paneuropeo 8’, progettato per collegare persone e merci dall’Adriatico al Mar Nero.
La mancanza di accesso al mare rende al tempo stesso la Macedonia dipendente dai propri vicini per quanto riguarda l’approvvigionamento energetico. L’oleodotto più importante è quello che la collega a Salonicco, in Grecia, capace di trasportare l’equivalente di 50.000 barili di petrolio al giorno. Anche sotto il profilo energetico, le infrastrutture più promettenti sembrano quelle con direttrice est-ovest.
In funzione della futura espansione delle capacità di esportazione del greggio centrasiatico attraverso il Mar Nero è previsto un progetto di oleodotto che consenta di aggirare il Bosforo attraversando i Balcani meridionali. L’infrastruttura, chiamata Ambo (Albanian Macedonian Bulgarian Oil Corporation), avrebbe una capacità di 750.000 barili giornalieri e dovrebbe collegare il porto bulgaro di Burgas con quello albanese di Vlorë, transitando per il territorio macedone. Le prospettive di realizzazione dell’infrastruttura dipendono tuttavia dalla disponibilità dei capitali necessari a finanziare la costruzione.
La realizzazione dell’Ambo consentirebbe alla Macedonia di aumentare la diversificazione dei propri approvvigionamenti e soprattutto di incassare i diritti di transito, fondamentali per riequilibrare almeno in parte i passivi di bilancia commerciale derivanti dall’altissimo livello di dipendenza del paese dalle importazioni energetiche. Il mix energetico macedone è dominato dal carbone (47% dei consumi); nei prossimi anni è probabile una crescente diversificazione a favore del gas naturale, soprattutto dopo la realizzazione nell’area balcanica dei grandi gasdotti internazionali destinati a trasportare il gas russo e azero sui mercati dell’Eu.
La Macedonia dispone di un personale di sicurezza di 8000 militari. Il numero è calato progressivamente dai 25.000 di inizio anni Novanta. Nel 2006, inoltre, la Macedonia è stata il primo paese della regione balcanica (seguita pochi mesi più tardi dal Montenegro) ad abolire la leva obbligatoria e a creare un esercito interamente composto da professionisti.
L’esercito, costituito ufficialmente nel 1992, era inizialmente orientato all’autodifesa rispetto alle minacce di aggressione provenienti da nord, ma in seguito ha dovuto affrontare i nuovi problemi originati sia dalle relazioni con il Kosovo, sotto tutela internazionale, sia dall’insurrezione interna del 2000-2001. In virtù del principio dell’uguale rappresentanza delle etnie sancito dall’accordo di Ohrid, la presenza albanese all’interno delle forze di sicurezza macedoni è cresciuta sensibilmente (oggi due generali su dieci sono albanesi). Anche la nomina dei capi di polizia nelle municipalità a maggioranza albanese dovrebbe essere delegata agli enti locali, sebbene il governo abbia cercato di porre una serie di vincoli a tale disposizione. A livello internazionale, nonostante il veto greco continui a inficiare la possibilità di ingresso della Macedonia nella Nato, il paese ha coordinato sin dal 2003 alcune delle sue attività militari con l’Albania e la Croazia (ammesse nell’Alleanza atlantica nel 2009) e oggi continua a ricevere aiuti e sostegno militare da parte degli Usa. A testimonianza dell’impegno diretto di Skopje nelle missioni Nato, la Macedonia partecipa alla missione Resolute Support in Afghanistan con 39 effettivi.
Da alcuni anni in Macedonia sono cresciute le preoccupazioni per il deterioramento delle libertà civili e democratiche dei singoli individui e più in generale per un degrado dell’ambiente politico in senso pluralista. All’interno di questo difficile contesto socio-politico si è innescata nel febbraio 2015 una profonda crisi politica nata dallo scandalo intercettazioni denunciato da Zoran Zaev, leader dell’opposizione socialista. Zaev ha dichiarato in più occasioni di essere in possesso di alcuni nastri audio che dimostrerebbero il coinvolgimento del governo e dello stesso premier Gruevski nelle attività di spionaggio illegale ai danni di circa 20.000 cittadini macedoni (tra gli spiati vi sarebbero anche politici, giornalisti e membri di Ngo). Pur avendo ribadito la sua estraneità e ritenuto il tutto frutto di un complotto straniero, Gruevski non sarebbe nuovo a questo tipo di attività illecite. Già in passato il premier era stato accusato di presunte attività illecite tra cui il controllo della stampa, l’insabbiamento di casi giudiziari e di brogli elettorali. Ne è seguito un lungo e articolato braccio di ferro durato diversi mesi, segnato da molteplici proteste di piazza e dal boicottaggio dell’attività parlamentare da parte dell’opposizione, che ha visto infine il coinvolgimento dell’Eu, nel tentativo di risolvere la crisi politica. L’intesa di massima raggiunta nel luglio 2015 sulla formazione di un governo di unità nazionale si è poi tramutata nella formazione di un esecutivo di transizione che ha visto la partecipazione di ministri dell’opposizione socialdemocratica. Preludio, questo, per il passaggio alle prossime elezioni anticipate, previste per l’aprile 2016.