Machiavellismo
La ‘fortuna’ di Machiavelli, vale a dire la sorte del fascino e della ricezione e circolazione dell’analisi contenuta nel Principe, deriva anche dalle molte pesanti critiche rivolte alla sua concezione della politica. Fin dalle prime traduzioni, i critici condensarono le loro obiezioni nell’espressione ‘machiavellismo’: una deteriore combinazione di cinismo, crudeltà, dissimulazione, immoralità. Per Machiavelli, le leggi della politica non hanno nulla a che vedere con i precetti morali e religiosi. Di qui l’attribuzione a Machiavelli della frase «il fine giustifica i mezzi», da lui mai scritta. Il ‘fine’, ovvero la conquista e la conservazione del potere politico, giustificherebbe il ricorso alla crudeltà e alla dissimulazione, alla forza e al- l’astuzia. Al proposito, è spesso citato il famoso invito rivolto al principe a «pigliare la golpe e il lione: perché el lione non si difende da’ lacci, la golpe non si difende da’ lupi». Gli estimatori di Machiavelli non negano che il loro autore con- sigli al principe tutti gli strumenti utili a diventare e rimanere tale. Alcuni si sono spinti fino a cogliere in Machiavelli il desiderio di riacquisire un ruolo tecnico-politico, di consulente del principe, di spin doctor. I denigratori di Machiavelli sostengono che Il Principe esprime una visione della politica immorale e riprovevole con insegnamenti diabolici, da re- spingere con sdegno. Entrambi, ma di più i denigratori, hanno sbagliato l’interpretazione.
Machiavelli cercava un principe che prestasse ascolto alle sue idee e alle sue proposte, ma non era disposto a riformulare quanto aveva scritto per compiacere un qualsiasi principe. Desiderava che quel principe adoperasse le sue considerazioni e le sue lezioni per conseguire l’unificazione dell’Italia, un bene di gran lunga preferibile a qualsiasi ambizione personale, persino, come scrisse, alla salvezza della sua anima. Ricercando la ‘verità effettuale’, l’analista non diventa ‘consigliere’ del principe. Machiavelli non desidera un posto da chi governa. Opera e scrive al servizio di una certa idea di scienza e conoscenza, di politica e di governo, delle virtù repubblicane (ovvero del buongoverno a favore del popolo). Sa che la conquista, il mantenimento e l’esercizio del potere di governo richiedono comportamenti che chi non ha cariche e responsabilità trova criticabili, ma nient’affatto incomprensibili nell’ottica dell’autonomia e della libertà del principato.
Nel corso del tempo, il ‘machiavellismo’ è stato valutato in maniera più sfumata. Però, l’accusa di ‘machiavellismo’ con- tinua a essere rivolta contro leader politici che appaiano manipolativi, che operino con scarsa trasparenza, che, pur in situazioni democratiche, tramino nell’ombra. Per queste pratiche, François Mitterrand, presidente della Quinta Repubblica francese dal 1981 al 1995, fu apostrofato come le florentin. Una delle prime e più importanti biografie di Franklin Delano Roosevelt, scritta da James MacGregor Burns, fin dal titolo, The Lion and the Fox (1956), fa riferimento positivo alle modalità con le quali il presidente degli USA dal 1932 al 1945 usò il suo potere combinando la forza del leone con l’astuzia della volpe. Nei comportamenti di Roosevelt e di Mitterrand, al servizio delle rispettive repubbliche, Machiavelli riconoscerebbe senza esitazioni le modalità più appropriate del ‘machiavellismo’ a lui attribuito.
di Gianfranco Pasquino