OLIVIERI, Maffeo
OLIVIERI, Maffeo. – Nacque nel 1484, come si desume dalla polizza d’estimo del 1534 del Comune di Brescia, ove l’«intaliatore» fu registrato cinquantenne, abitante nel quartiere della Cittadella vecchia.
Con lui, capofamiglia, vennero censiti la moglie Barbara ventisettenne, i due figli Marta e Felice di cinque e due anni, la sorella trentacinquenne Cecilia e il fratello quarantenne Andrea, contitolare almeno per un certo tempo dell’impresa di intaglio ligneo .
Altri documenti sui due intagliatori li riferiscono figli di un Baldassarre da Chiari, maestro di ignota professione, già morto nel 1521 (Boselli, 1977, I, pp. 223-226; II, p. 73). È probabile, come rilevato da Andrea Bardelli (comunicazione orale), che fosse loro fratello un Pietro Olivieri residente a Venezia, morto nel 1529, dichiaratosi nel testamento del 1515 figlio del fu Baldassarre (G. Tassini, Curiosità veneziane, a cura di E. Zorzi, Venezia 1933, pp. 411 s.). Documenti posteriori alla morte di Maffeo nominano due altre sue figlie, Angela e Clemenzia (Boselli, 1977, I, p. 227), mentre le polizze d’estimo bresciane del 1568 ne registrano un altro, Giovanni Battista, ventiquattrenne, nato dopo la morte del padre.
Olivieri è detto «da Chiari» nei primi documenti che lo riguardano (Cattoi, 2008), relativi ai compensi recepiti nel 1515 col fratello per l’ancona della parrocchiale dell’Assunta di Tione, in Trentino (Bacchi, 1989, pp. 246-249), nei quali è pure riferito che i due risiedevano nella vicina Modrone, oggi Preore.
Di tale ancona, i cui pagamenti si protrassero fino al 1519 (Cattoi, in corso di pubblicazione), rimangono tre statue nella terza cappella a sinistra della chiesa, raffiguranti la Madonna in trono col Bambino, S. Rocco e S. Sebastiano.
L’attività della bottega in Trentino dovette proseguire in questa fase con una certa continuità per diversi anni (Andrea è attestato in zona ancora nel 1530), cui si fanno risalire almeno due altre ancone, imponenti e non documentabili: quella dell’altare maggiore (e forse quella perduta di uno laterale) nella chiesa dei Ss. Faustino e Giovita a Ragoli – di cui facevano parte alcune sculture depositate al Museo provinciale di Trento e presso la Soprintendenza per i beni artistici e storici della Provincia autonoma di Trento (Annunciazione, Ss. Faustino, Giovita e altri santi) e la Madonna in trono col Bambino nella parrocchiale di Preore (La chiesa..., 2002) – e quella della chiesa di S. Lucia a Giustino, con due figure di sante oggi al Museo diocesano tridentino (Bacchi, 1989, pp. 257-262). Dovrebbero porsi in questa fase anche la Pietà della chiesa dell’Assunta a Riva del Garda (Strocchi, 2008, pp. 17-35), una Madonna col Bambino nella chiesa della Natività di Maria a Bondone (Contributi..., 2008), un’altra di medesimo soggetto, abbinata a due statue di santi, tutte trafugate nel 1969 dalla chiesa di S. Giacomo a Irone (Cattoi, 2004), e una Madonna conservata nella sede distaccata del Museo diocesano tridentino a Villa Lagarina (Castri, 2004).
Il solo Andrea, che nel 1519 aveva riscosso gli ultimi compensi per l’ancona di Tione e nel giugno 1520 stipulato un contratto per un altare non più rintracciabile per una chiesa di Stenico (Ghetta, 1977), era evidentemente responsabile della bottega durante le trasferte del fratello maggiore, rintracciabile in questi anni anche altrove. A Soresina, nel Cremonese, gli è riferita un’ancona in S. Maria del Boschetto (originariamente in S. Antonio), recante la data «MDXVII» apportata da una ridipintura ottocentesca, quasi certamente ricalcata o ripresa dalla scritta originale, comunque coerente con lo stile dell’opera.
Si tratta di un polittico a sei comparti, con cinque statue superstiti dell’originario corredo (i Ss. Giobbe, Pietro Martire, Siro,Rocco e Antonio abate), mentre ne risulta dispersa una centrale, quasi certamente una Madonna col Bambino (Guazzoni, 1992).Un Crocifisso attribuito a Maffeo (Guerrini, 1987), oggi al Museo diocesano di Brescia (G. Fusari, in Sulle tracce..., 2004, p. 113), è identificato nel «cricifixo relevato et messo ad olio» che i pittori Paolo da Caylina e Gian Pietro Zambelli si erano impegnati a procurare per la chiesa dell’Assunta a Botticino Sera nell’ottobre 1517.
La presenza di Maffeo a Brescia, sua definitiva residenza, è documentabile a partire dal contratto del 1° giugno 1521 che impegnava lo «scultor lignarius habitator brixiae» verso Simone Rovati a realizzare «ornamentum de intalio unius anchonae ponendae super altari ipsius domini simonis» nella chiesa bresciana di S. Francesco (Boselli, 1977, II, pp. 73 s.), opera non pervenuta. Né risultano altri lavori in legno documentati nei dieci anni seguenti, durante i quali Maffeo fu alle prese col bronzo per la sua opera più famosa: la coppia di grandi candelabri della cappella dei Mascoli in S. Marco a Venezia, posti in origine presso l’altare maggiore della basilica, uno recante la firma «Mapheus Oliverius Brixianus», e l’altro il nome del committente, il cardinale bresciano Altobello Averoldi, vescovo di Pola e legato pontificio nella città lagunare, che li donò alla basilica il 24 dicembre 1527 (Cattoi, 2008).
La vicenda critica di Maffeo bronzista, favorita dalla fama dei candelabri Averoldi, unica sua opera conosciuta fino alla fine dell’Ottocento, ha preceduto nel tempo quella dell’intagliatore, tanto che, nel segnalare il primo documento rinvenuto sull’artista – la citata polizza d’estimo del 1534 – Stefano Fenaroli (1877) sottaceva la sola qualifica di intagliatore ivi riportata e menzionava Maffeo esclusivamente come bronzista.
La prima lettura propriamente critica dei due candelabri fu il giudizio ancora neoclassicista di Leopoldo Cicognara (1816, p. 349), che, ignorandone l’autore, accusò la «stravaganza» dell’insieme per la sproporzionata composizione delle parti, apprezzando invece la pregiata fattura dei singoli dettagli, «il gusto delle figure, il lor movimento, la grazia delle mescherette, e gli ornati». È per lo più accreditata la loro dipendenza dal più aulico candelabro pasquale realizzato tra il 1507 e il 1516 da Andrea Briosco, detto il Riccio, per la basilica del Santo a Padova. In alternativa, il loro eccentrico stile compositivo è stato ipotizzato in rapporto con la scultura lapidea lombarda del tardo Quattrocento (Rossi, 1977, p. 127), per quella disinvolta sintassi che Maffeo poté esperire anche dalle decorazioni marmoree sulla facciata di S. Maria dei Miracoli a Brescia, compiute entro il 1500.
La moderna storia critica di Olivieri, ancora in veste esclusiva di bronzista, iniziò con Wilhelm von Bode (1909; 1912), che per primo lo trattò in modo monografico e formulò attribuzioni a suo carico, concernenti alcune statuette all’antica, per lo più di soggetto mitologico, in musei e raccolte private d’Europa, in cui ravvisò caratteri di movimento, sensibilità per la forma e ricerca di effetti del contrapposto analoghi a quelli delle figure dei candelabri Averoldi: caratteri addebitati dallo studioso a influssi di Giorgione e Palma il Vecchio. George Francis Hill (1930) ascrisse poi a Olivieri una decina di medaglie con effigi di notabili veneti (tra cui Altobello Averoldi), alcune datate tra il 1522 e il 1530, ma l’attribuzione non fu accolta da Leo Planiscig (1932), che ampliò il catalogo dei bronzi di Maffeo con altre statuette e un busto di donna.
Un più cospicuo incremento apportò Antonio Morassi (1936), che, recuperando una congettura di Fenaroli, attribuì all’artista le parti bronzee del Mausoleo Martinengo, ai Musei civici di Brescia, allora ritenuto databile al 1525, ma risultato da successive ricerche commissionato nel 1503 all’orafo Bernardino Dalle Croci (Boselli, 1977, II, pp. 34 s.). Morassi (1939) riferì indebitamente a Maffeo anche una disparata quantità di marmi (come l’arca di S. Apollonio nel duomo nuovo di Brescia), su cui si formò un’equivoca e duratura interpretazione dell’artista (Zani, 2010). Le proposte di Bode e Planiscig sulle attribuzioni e sull’inclusione di Maffeo tra i ‘Maestri del moto ricercato’ vennero contestate in seguito da Adriano Peroni (1963), che ravvisò nell’artista una dominante mantegnesca e lombarda, suscitata in parte dai marmi attribuitigli da Morassi, e gli assegnò tre bronzi di soggetto sacro (due statuette e un rilievo istoriato), riconfermandogli il gruppo di medaglie composto da Hill (1930).
Sul tema complessivo di Maffeo bronzista si pronunciò infine Francesco Rossi (1977), che limitò la pertinenza dell’artista a pochissimi pezzi tra quelli fin lì discussi dalla critica, prospettando un’inedita ampiezza dello scenario bresciano dei maestri del bronzo, entro cui collocò le altre opere.
Che Maffeo avesse lavorato il bronzo fino alla fine della carriera si può supporre dall’elenco dei suoi beni redatto nel 1544, poco dopo la sua morte (Boselli, 1977, II, pp. 74 s.), comprendente matrici di fusione («tutti li cavi de giesso» e «uno cavo de una serpa de terra»), «medaglij n. 60 grandi e pizoli», e molte figure in cera, tra cui parti scomposte di statue, miniature del Laocoonte e di animali («cavallini» e «uno camelo»), oltre al calco di una «granza». Come rileva Bardelli, che ha decifrato questa parola in un lemma veneziano per ‘granseola’, Olivieri è pertanto il probabile autore di qualcuno dei numerosi calamai bronzei a forma di granchio generalmente ascritti al Riccio o alla sua cerchia padovana.
La documentazione di opere lignee riprende il 17 aprile 1531, quando i domenicani di Rodengo cedettero a Olivieri una porzione di terreno in cambio di una statua di S. Vincenzo confessore, ora dispersa, da porre nell’eponima cappella della loro chiesa.
Gli interessi fondiari dell’artista, talora condivisi col fratello Andrea, risulterebbero più concentrati in questo decennio (Boselli, 1977, I, pp. 223-226), quando dovette stabilizzarsi il nucleo familiare registrato nel 1534 dal citato documento anagrafico, che vedeva due soli figli di Maffeo in tenerissima età.
L’attività d’intaglio di Maffeo torna documentabile col contratto stipulato il 9 giugno 1538 per il Crocifisso destinato alla chiesa dei Ss. Faustino e Giovita a Sarezzo, tuttora conservato (Guerrini, 1980; Begni Redona, 1985), e con l’avvio, il mese seguente, della lunghissima sequenza dei pagamenti per la grandiosa ancona dell’Assunta di Condino, le cui parti furono realizzate a Brescia (Strocchi, 2008, pp. 57-67, 153-157). Può darsi che Maffeo abbia anche disegnato la cassa d’organo di S. Eufemia a Brescia, commissionata l’agosto seguente all’intagliatore Giovanni Maria Zambotti (Boselli, 1977, II, pp. 35 s.).
La serie contabile di Condino proseguì dopo la morte di Maffeo, cui andò un compenso l’8 gennaio 1543, ultima attestazione anche della sua esistenza in vita (i pagamenti ripresero a distanza di un anno, in favore del fratello Andrea, che ricevette quello finale nel 1551 e morì l’anno seguente).
La morte di Maffeo avvenne entro il 31 agosto 1543, quando si data il primo di una serie di documenti relativi alla tutela dei suoi figli e alla gestione delle proprietà da loro ereditate, nel quale si dice fra l’altro che Andrea Olivieri era temporaneamente residente a Roma (ibid., I, p. 226). In uno di questi atti è citato il testamento di Maffeo, rogato in data imprecisata dal notaio Michele Lograti (ibid., p. 227), non risultante oggi tra le carte di questo notaio presso l’Archivio di Stato di Brescia.
Il già citato elenco dell’8 gennaio 1544 dei beni superstiti nel laboratorio di Maffeo registrava numerose statue lignee di ogni sorta, finite o appena sbozzate (con alcuni soggetti alquanto ripetuti, come i santi Rocco e Sebastiano), e una quantità di altri manufatti soprattutto in terracotta, cera e bronzo. Lo stesso documento informa che tutto fu venduto all’intagliatore Vincenzo Rovetta, il quale prese anche in affitto la bottega.
La storiografia scoprì Maffeo intagliatore solo nel 1890, grazie ai documenti sull’ancona di Condino (Papaleoni, 1890, pp. 254-256). La preponderanza della sua produzione lignea emerse poi progressivamente dalle indagini sul territorio e negli archivi trentini e bresciani. Non si hanno notizie sulla sua formazione, mentre gli è stato ipoteticamente riferito un Compianto in S. Martino a Groppello Cairoli, nel Pavese, databile al 1505-10, dunque precedente alle sue prime opere certe (Casciaro, 2000, pp. 102-104).
Nello stile figurativo dell’arte lignea di Maffeo, segnata da un’emotività legata alla funzione delle opere e non riscontrabile nei candelabri Averoldi, è ravvisato un retaggio tardo quattrocentesco, in chiave lombarda e anche emiliana (in questo caso in rapporto ai Compianti fittili), con rimandi alla pittura, prevalentemente di Foppa, Romanino e Moretto (Passamani, 1989). Come intagliatore, dovette risentire fortemente del linguaggio lombardo introdotto nel Bresciano a fine Quattrocento da Pietro Bussolo, attivo a Salò per lungo tempo, ma non fu immune dall’espressionismo di Crocifissi di maestri veronesi, come quelli di Giovanni Teutonico e Francesco Giolfino, approdati rispettivamente nelle cattedrali di Salò e Brescia a metà Quattrocento e inizio Cinquecento. Per aggiornare il repertorio, si servì anche di fonti seriali, come nella statua della Madonna col Bambino dell’ancona di Giustino, che traduce in un monumentale tutto tondo la figura di un piccolo stiacciato bronzeo del Moderno (Collareta, 1999). Simile scelta di adeguamento classicista poté forse dipendere anche dal confronto col più colto collega bresciano Stefano Lamberti (a cui era in precedenza riferita la statua di Giustino), attivo sulle stesse piazze, al quale Olivieri sembra essersi ispirato nella concezione decorativa delle sue ancone.
Nella ricostruzione dell’operosità a intaglio degli Olivieri resta aperto il problema della distinzione di mano tra i due fratelli. Numerose altre opere sono state riferite a Maffeo e alla bottega, in area sia bresciana (Guerrini, 1986; 1987; 1988; 2006) – particolarmente importanti quelle di Coccaglio e Gottolengo (G. Fusari - M. Rossi, in Sulle tracce..., 2004, pp. 114 s.) – sia trentina (Passamani, 1967; Castri 1996). Al suo catalogo va aggiunto un busto ligneo di Madonna col Bambino, di ignota ubicazione, visibile in una fotografia della fototeca della Fondazione Zeri di Bologna (scheda 79411, foto INVN 147861, recante sul verso l’annotazione di Federico Zeri «Attr. Sc. Brescia, 1500-1525»).
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