Nome («Grande Madre») che i Romani diedero alla dea frigia Cibele, traducendo la formula greca Μεγάλη Μήτηρ, quando il suo culto entrò in quello pubblico romano. Secondo la tradizione la dea fu introdotta a Roma il 4 aprile 204 a.C. per suggerimento dei Libri Sibillini, e vi giunse da Pessinunte e da Pergamo sotto la forma di una pietra nera; ospitata nel tempio della Vittoria al Palatino, il 10 aprile 191 a.C. le fu dedicato un suo tempio. Questa data segna l’istituzione del culto ufficiale della dea, con il nome di M. deum Idoea, cui provvedevano sodalitates religiose; ogni anno le erano tributate feste solenni (Megalesie), dal 4 al 10 aprile, che comprendevano i Ludi Megalenses. Accanto al culto pubblico, nel tempio del Palatino continuava a essere praticato in forma privata, tramite personale sacerdotale frigio, il culto originario di Cibele, interdetto ai Romani; l’autorità romana si limitava a sovrintendere alla cerimonia della lavatio nel marzo di ogni anno, quando il simulacro della dea era portato dal tempio al fiume Almo per essere sottoposto a lavacro rituale.