Maimonide (ebr. Mosheh ben Maimon, detto Rambam)
(ebr. Mōsheh ben Maimōn, detto Rambam, sigla di Rabbī Mōsheh ben Maimōn; ar. Abū ‛Imrān Mūsa ben Maymūn ben ‛Abd Allāh, noto ai latini come Mosè Maimonide o Mosè l’Egiziano) Teologo, filosofo, giurista e medico ebreo andaluso (Cordova 1135 - Il Cairo 1204). Attivo e celebre nella sua comunità soprattutto in quanto giurista, dovette sfuggire alle persecuzioni antiebraiche messe in atto dal dominio almohade in al-Andalus, ripiegando prima in Marocco, a Fez, e poi in Egitto, dove per vivere praticò la medicina.
I temi filosofici e teologici della sua riflessione si rintracciano principalmente in due opere: la Mishnēh Tōrāh («Seconda Legge»), in ebraico, una summa della legge orale rabbinica in 14 libri, la prima parte della quale costituisce il cosiddetto Libro della conoscenza; e la Dalāla al-Ḥā’irīn (trad. it. La guida dei perplessi) redatta verso il 1190 in giudeo-arabo, cioè arabo scritto in caratteri ebraici, e tradotta in ebraico da Shĕmū’ēl ibn Ṭibbōn nel 1204 (con il titolo Mōrēh nĕbūkīm). Divisa in tre parti (la prima su Dio e i suoi attributi, la seconda sul mondo, la creazione e la rivelazione, la terza sull’uomo, la conoscenza e l’etica), La guida si presenta al contempo come una summa di teologia filosofica e un trattato sul rapporto tra fede e ragione: essa deve infatti guidare i fedeli che, imbattutisi nella filosofia di tradizione aristotelica nonché nella speculazione islamica, restano «perplessi» di fronte ai dati della fede. L’opera esercitò una certa influenza sul pensiero latino medievale e scatenò intense discussioni in ambito ebraico. Tre sono i temi portanti della riflessione di M.: quello del rapporto tra fede e ragione e quelli – al precedente intimamente legati – della profezia e dell’interpretazione dei testi sacri. È infatti sulla base della certezza della rivelazione (e sul conseguente concetto di verità rivelata) che M. affronta i temi cruciali della speculazione teologica e filosofica dell’epoca: la creazione, l’esistenza di Dio e la discussione dei suoi attributi, la provvidenza e il rapporto tra creazione, legge e libertà. La discussione di tali temi si costruisce peraltro sempre anche in base alla discussione delle opinioni filosofiche e teologiche precedenti (importante è il confronto con la teologia islamica, il kalā’m).
Elemento determinante della riflessione di M. è l’idea di una ragione che solo in quanto consapevole dei propri limiti si dimostra in grado di cogliere l’unica verità, o di tendere a essa. Questa posizione comporta peraltro un’interessante critica della ragione, e della massima autorità in tale campo: Aristotele. La ragione e il suo «maestro» sono infatti dichiarati infallibili riguardo a tutto quel che interessa il mondo sublunare, ma il loro potere è ridotto a quello della mera congettura per ciò che concerne il mondo celeste o divino. È in base a un’autolimitazione della ragione che è possibile indirizzare o qualificare le congetture possibili sul mondo celeste (che mai contraddiranno l’insegnamento biblico): per es., va esclusa ogni teologia positiva a favore della teologia negativa, l’unica che la ragione umana sia in grado di praticare senza errori. Gli attributi di Dio non vengono quindi affermati, ma negati (non si dirà che Dio «è onnisciente», bensì che «non è ignorante», ecc.). Quando poi la speculazione razionale giunge ad affermare qualcosa di Dio, per es. la coincidenza in Lui tra essenza ed esistenza – come peraltro aveva argomentato Avicenna – l’affermazione è sempre accompagnata dalla consapevolezza dell’impossibilità di coglierne il suo vero significato. Nel solco della tradizione precedente (soprattutto al-Fārā´bī, in cui M. trova un vero punto di riferimento, e in parte, Avicenna), anche M. vincola la teoria della profezia a quella della conoscenza, individuando nel profeta la perfezione intellettuale dell’uomo (necessaria e tuttavia non sufficiente a determinare la profezia, che dipende come tale sempre dal dono divino). La conoscenza si realizza grazie a tre elementi, quello divino e attuale dell’intelletto agente, e quelli potenziali e umani: la capacità razionale, sempre più perfezionata, da una parte, e l’immaginazione, dall’altra. Si individuano così tre classi di sapienti, ossia tre generi di conoscenza: quello perfettamente razionale (dei sapienti o filosofi), quello immaginativo, in cui l’immaginazione è illuminata dal principio agente e che è proprio degli indovini, ma anche dei governanti preveggenti e provvidenti, e quello profetico, in cui sono illuminati a un tempo l’intelletto e l’immaginazione; in questo caso, la verità è non solo colta dalla ragione, ma anche comunicata e comunicabile attraverso i simboli dei sogni e delle profezie. Un posto a parte va infine riconosciuto a Mosè, il cui messaggio profetico è confermato dai miracoli e da atti dal carattere pubblico e solenne. Dato il suo carattere di «guida» dell’élite intellettuale ebraica, La guida dei perplessi propone il problema dell’autentico pensiero filosofico di Maimonide. La critica ha infatti sottolineato come nelle posizioni della Guida non sia sempre possibile distinguere su ciascuno dei vari temi affrontati (per es., eternità del mondo versus creazione) il vero pensiero dell’autore. Il tema della comunicazione della verità e del rapporto tra simbolo religioso e discorso filosofico interessa, d’altronde, M. come Averroè.
Le fonti di M. sono peraltro in gran parte le stesse della falsafa. M. è influenzato soprattutto da al-Fārā´bī, e in parte da Avicenna e al-Ġāzālī. La guida giocò un ruolo importante per il pensiero filosofico. Nell’ambiente ebraico, in gran parte ostile alla filosofia, scatenò fervide discussioni (all’entusiasmo di alcuni si opposero le accuse di altri; particolarmente accesa fu l’ostilità in Francia, a Montpellier, e in Spagna). Per il mondo cristiano di lingua latina, la Guida costituì un importante punto di riferimento, non solo per i grandi temi dottrinali affrontati, ma anche per la discussione e la critica che vi si offriva delle opinioni teologiche e filosofiche precedenti. Tradotta diverse volte in latino (importante la versione realizzata alla corte di Federico II), la Guida è stata utilizzata fra gli altri da Alberto Magno, Tommaso d’Aquino, Duns Scoto, Eckhart). La Guida ebbe una discreta diffusione anche in ambito arabo cristiano: trascrizioni dell’opera in caratteri arabi circolarono soprattutto negli ambienti cristiani d’Egitto. Altre opere di rilievo di M. sono la Maqālā fī ṣinā’at al-manṭiq (Millot ha-Higgayon nella trad. ebraica), e il Kitāb al-farā’iḍ («Il libro degli obblighi religiosi» o «dei comandamenti», in ebr. Sefer Hamitzvot), entrambi tradotti da Ṭibbōn (➔). Il primo è un manuale di logica che ebbe una certa circolazione, il secondo descrive e commenta 613 mitzvot o precetti religiosi selezionati fra tutti quelli sparsi nella Tōrāh.