Malaria
Il termine italiano 'mal'aria', corrispondente al francese paludisme, deriva dall'errata convinzione che gli accessi febbrili osservati nella stagione estivo-autunnale in varie aree del bacino del Mediterraneo fossero causati da miasmi emanati dalle paludi. Il medico militare francese Alphonse Laveran fu il primo nel 1880 a osservare il parassita nel sangue periferico di un paziente affetto da malaria. Pochi anni dopo, Ettore Marchiafava e Angelo Celli individuarono il microrganismo all'interno dei globuli rossi, battezzandolo Plasmodium malariae. La dimostrazione del ruolo della zanzara nella trasmissione del parassita malarico fu il risultato delle ricerche condotte alla fine del XIX sec., sia dal medico militare inglese Ronald Ross sia dallo zoologo italiano Giovanni Battista Grassi in collaborazione con Amico Bignami e Giuseppe Bastianelli. La malaria rappresenta, insieme all'HIV/AIDS e alla tubercolosi, uno dei più gravi problemi di sanità pubblica. Il 40% della popolazione mondiale risiede in aree a rischio e ogni anno circa il 10% della popolazione mondiale soffre di un attacco malarico. Secondo stime recenti, la malaria provoca ogni anno tra 1 e 3 milioni di decessi e 300-660 milioni di accessi clinici. Il 70% dei casi si verifica in Africa subsahariana, il 25% nel Sud-Est asiatico e il restante 5% in America Centrale e Meridionale.
Circa l'80% della mortalità causata dalla malaria è concentrata in Africa subsahariana, dove la malattia rappresenta la prima causa di decesso nella fascia di età 0-5 anni (il 5÷10% dei bambini in questa fascia d'età muore di malaria). Nel corso dell'ultimo secolo, la mortalità da malaria è stata drasticamente ridotta o eliminata in aree a clima temperato. In contrasto con la riduzione della mortalità infantile nei Paesi in via di sviluppo, negli ultimi trent'anni si è assistito in Africa subsahariana a un aumento della mortalità malarica in conseguenza della diffusione di ceppi parassitari farmacoresistenti e del progressivo deterioramento dei programmi nazionali di controllo. Secondo l'Organizzazione Mondiale della Sanità, la malaria costituisce la prima causa di povertà nel continente africano. Stime recenti attribuiscono a questa malattia una perdita economica annuale pari a circa l'1,3% del prodotto nazionale lordo dei Paesi africani. In Africa subsahariana il 40% delle spese sanitarie e delle assenze scolastiche è conseguente alla malaria. I livelli di trasmissione della malattia sono eterogenei, raggiungendo i valori più alti nelle aree rurali dell'Africa subsahariana (nell'ordine delle molte decine o centinaia di punture infettanti per individuo all'anno), valori inferiori alla decina in gran parte delle aree urbane dello stesso continente, fino a tassi di inoculazione molto inferiori che caratterizzano il Sud-Est asiatico, l'America Centrale e Meridionale. L'unica area geografica al mondo in cui sono presenti livelli di trasmissione comparabili a quelli africani è Papua Nuova Guinea. In tutte queste aree la presenza di malaria è stata una pressione selettiva per il genoma umano, favorendo la diffusione di mutazioni che conferiscono resistenza alla malattia. Chiarire i meccanismi alla base di queste resistenze può essere un grande aiuto per la messa a punto di farmaci e vaccini efficaci.
Il ciclo schizogonico epatico decorre in modo asintomatico. Ogni schizonte maturo dà origine a migliaia di merozoiti mononucleati. Il numero di merozoiti prodotti nel ciclo schizogonico pre-eritrocitario varia in rapporto alla specie; nel caso di P. falciparum da ciascun schizonte epatico si liberano 30.000÷40.000 merozoiti, mentre sono circa 10.000 nel caso di P. vivax, 15.000 in P. ovale e circa 3000 in P. malariae. Alla lisi dell'epatocita infetto, gli schizonti riversano nel flusso sanguigno i merozoiti (di dimensione di circa 2 μm). Qui, in seguito a interazioni di tipo recettore-ligando, i merozoiti aderiscono e invadono i globuli rossi, dove avviene il ciclo schizogonico eritrocitario. Questa fase, che si ripete ciclicamente nel sangue, ha una durata di circa 48 ore in P. falciparum, P. vivax e P. ovale e di 72 ore in P. malariae. Nel citoplasma dell'eritrocita, analogamente a quanto avvenuto negli epatociti, il parassita si differenzia in vari stadi di maturazione (forme ad anello, trofozoiti e schizonti). All'interno dell'eritrocita, il merozoita si trasforma in trofozoita mononucleato, dotato di movimenti ameboidi e di un grande vacuolo digestivo che gli conferisce un tipico aspetto ad anello.
L'attivazione del metabolismo del parassita all'interno del globulo rosso comporta una profonda alterazione del metabolismo della cellula ospite e modifiche strutturali, come l'espressione, nel caso di P. falciparum, sulla superficie esterna dell'eritrocita, di molecole che mediano i processi di adesione degli eritrociti infetti alle cellule endoteliali dei vasi capillari di vari organi interni; tale processo, noto come 'sequestro', costituisce uno dei meccanismi patogenetici fondamentali della malaria grave da P. falciparum. I trofozoiti si nutrono digerendo l'emoglobina e metabolizzando il glucosio del sangue per glicolisi anaerobica. Il globulo rosso infetto aumenta di 50÷100 volte il consumo di glucosio e produce acido lattico. La principale fonte nutritiva del parassita è rappresentata dall'emoglobina, che viene digerita nel vacuolo digestivo. L'eme, cioè la parte prostetica dell'emoglobina, non viene digerita e dà origine all'emozoina, un pigmento ferroporfirinico che si accumula sotto forma di granuli nel citoplasma dei parassiti. Il parassita va quindi incontro a una serie di divisioni nucleari e forma lo schizonte eritrocitario, che contiene un numero variabile di nuclei in rapporto alla specie. In P. falciparum gli schizonti eritrocitari possono contenere fino a 24 e, in alcuni casi, 32 merozoiti, mentre sono 12÷18 in P. vivax, 8÷10 in P. ovale e 6÷8 in P. malariae. Al termine della schizogonia eritrocitaria, l'eritrocita va incontro a lisi, i merozoiti vengono liberati nel torrente circolatorio e penetrano in altri globuli rossi e la riproduzione schizogonica riprende. La lisi degli eritrociti è generalmente sincrona e avviene a intervalli di 48 ore nel caso di P. falciparum, P. vivax e P. ovale e di 72 ore in P. malariae. In seguito alla liberazione appaiono i sintomi clinici della malattia, caratterizzata dagli accessi febbrili tipici delle cosiddette 'terzane maligne' (P. falciparum) e 'benigne' (P. vivax e P. ovale) e delle 'quartane' (P. malariae).
Dopo un numero variabile di cicli schizogonici eritrocitari, una frazione dei merozoiti si differenzia in forme sessuate, i macro- e i microgametociti, che rappresentano gli stadi infettanti per l'ospite invertebrato, che si infetta dunque esclusivamente a seguito dell'ingestione, durante il pasto ematico, degli stadi sessuati del protozoo. Nel vettore avviene la fase sessuata del ciclo biologico dei plasmodi, detta 'fase sporogonica'. Nell'intestino medio ha luogo la fecondazione con formazione di uno zigote, che dopo circa 24 ore si differenzia in uno stadio dotato di capacità di penetrazione nello spessore della parete intestinale dell'anofele, detto 'oocinete'. A seguito di una divisione meiotica e di una serie di divisioni mitotiche, si forma una oocisti di dimensioni di circa 40-80 μm contenente migliaia di sporozoiti. Alla rottura della oocisti gli sporozoiti vengono riversati nell'emolinfa presente nelle cavità celomatiche della zanzara e migrano in varie direzioni, raggiungendo tra i vari organi le ghiandole salivari.
A questo livello, mediante meccanismi di riconoscimento molecolare di tipo recettore-ligando, gli sporozoiti aderiscono specificamente alla superficie delle ghiandole salivari, invadendole. Una volta all'interno di quest'organo gli sporozoiti si accumulano inizialmente nei vacuoli secretori delle cellule salivari e successivamente si dispongono a raggiera intorno al dotto salivare, da dove vengono inoculati nell'ospite vertebrato nel corso dei successivi pasti di sangue. Poiché in una zanzara possono svilupparsi talvolta anche alcune decine di oocisti, le ghiandole salivari possono arrivare a contenere migliaia di sporozoiti. La durata del ciclo sporogonico varia in relazione alla temperatura esterna e alla specie plasmodica. A 28 °C il ciclo sporogonico ha una durata di circa 8÷10 giorni per P. falciparum e P. vivax, di 12÷14 giorni per P. ovale e di 14÷16 giorni per P. malariae. Al di sotto di una certa temperatura (18 °C per P. falciparum e 16 °C per P. vivax) il ciclo sporogonico si interrompe. Il fatto che la durata del ciclo sporogonico vari in rapporto alla specie plasmodica e, all'interno di ciascuna specie, in relazione alla temperatura esterna, ha importanti implicazioni nella efficienza di trasmissione e nella distribuzione geografica delle quattro specie. Per esempio, a parità di condizioni di temperatura esterna, P. falciparum e P. vivax vengono trasmessi con maggiore efficienza in conseguenza della più alta probabilità che il vettore sopravviva per il tempo necessario al completamento del loro ciclo sporogonico, che è più breve per queste specie che per P. ovale e P. malariae.
Il quadro clinico della malaria è determinato dagli stadi eritrocitari del parassita. Le fasi schizogoniche epatiche, corrispondenti al cosiddetto 'periodo di prepatenza', che culminano con la lisi degli epatociti infetti e il passaggio dei merozoiti nel torrente circolatorio, sono asintomatiche. Il periodo di incubazione, corrispondente all'intervallo di tempo che intercorre tra la puntura infettante e la comparsa dei primi sintomi clinici, varia in rapporto alla specie ed è di 9÷14 giorni per P. falciparum, 12÷17 per P. vivax, 16÷18 per P. ovale e 18÷40 per P. malariae. Il grado di patogenicità è variabile rispetto alla specie, essendo P. falciparum l'unico plasmodio 'umano' in grado di provocare quadri clinici potenzialmente letali. Nelle infezioni da P. vivax, P. ovale e P. malariae il quadro clinico è quasi sempre benigno ed è dominato da accessi febbrili che hanno una cadenza di 48 ore per le prime due specie (febbri terzane benigne) e di 72 ore nel caso di P. malariae (febbre quartana). Molto rare sono le complicazioni nel corso di queste infezioni: possibili quadri di anemia grave nelle infezioni da P. vivax e di insufficienza renale nelle infezioni croniche da P. malariae.
Il quadro clinico dell'infezione da P. falciparum varia in relazione a molti fattori e l'infezione può decorrere in modo asintomatico nei soggetti semi-immuni. L'infezione può provocare accessi febbrili semplici, simili a quelli osservati nelle infezioni da P. vivax, P. ovale e P. malariae, fino a determinare forme di malaria grave caratterizzate da coma, anemia, insufficienza respiratoria con possibile decesso del paziente. Schematicamente si possono distinguere tre categorie di fattori che intervengono nel determinare lo spettro di possibili esiti clinici dell'infezione da P. falciparum: (a) fattori del parassita, come il grado di sensibilità ai farmaci, il ritmo di moltiplicazione, le vie di invasione del globulo rosso, il grado di citoaderenza degli eritrociti infetti agli endoteli dei capillari degli organi interni, la tendenza a formare rosette (ammassi di globuli rossi) nel sangue periferico, il polimorfismo antigenico; (b) fattori dell'ospite, quali il livello di immunità antimalarica, il background genetico, l'età, la gravidanza, la presenza di coinfezioni; (c) fattori socioeconomici come la disponibilità di farmaci antimalarici e l'accesso a strutture sanitarie efficienti.
Il quadro clinico di malaria semplice o non complicata è caratterizzato, nella fase iniziale, da sintomi aspecifici che possono includere malessere, cefalea, astenia, disturbi addominali, dolori alle ossa e alle articolazioni seguiti da febbre, nausea, vomito e diarrea. A questa fase, che può durare qualche giorno e che corrisponde ai primi cicli schizogonici eritrocitari, e cioè a condizioni di basse densità parassitarie, segue il tipico quadro dell'attacco malarico, caratterizzato da una fase iniziale della durata di qualche decina di minuti (10÷90 minuti) di rapido aumento della temperatura corporea, forte sensazione di freddo, forte cefalea, brividi intensi e diffusi. Segue quindi una breve fase di vasodilatazione periferica con cute calda e secca e temperatura corporea che permane su valori molto elevati. Dopo questa fase caratterizzata da sensazione di caldo intenso, interviene un periodo, della durata di 2÷4 ore, di profusa sudorazione e progressiva discesa della temperatura, con possibile ipotensione arteriosa. Questi attacchi si ripetono generalmente con una cadenza regolare che riflette la durata del ciclo eritrocitario nel caso di P. vivax, P. ovale e P. malariae, mentre nelle infezioni sintomatiche da P. falciparum molto spesso il quadro clinico assume un andamento irregolare (continuo o continuo-remittente).
L'evoluzione verso forme cliniche di malaria grave può avvenire solo nelle infezioni da P. falciparum. Si definisce 'malaria grave' una infezione da P. falciparum associata a uno o più dei seguenti sintomi e segni clinici: coma (con assenza di risposte motorie intenzionali a stimoli dolorosi), convulsioni generalizzate (più di due crisi nelle 24 ore); anemia grave normocromica normocitica (ematocrito 〈15% o emoglobina 〈5g/dl); insufficienza renale (diuresi 〈400 ml/24 ore negli adulti o 12 ml/kg nelle 24 ore nei bambini, che non migliora a seguito di reidratazione; creatininemia >265 μmol/l o >3mg/dl); edema polmonare/distress respiratorio; ipoglicemia (glicemia 〈2,2 mmol/l o 〈40 mg/dl); emorragie spontanee; acidemia/acidosi metabolica. In popolazioni residenti in aree con altissimi livelli di infezione (iperoloendemiche), circa il 2% delle forme non complicate di malaria evolvono verso tipologie gravi della malattia, e i gruppi a rischio sono prevalentemente rappresentati dai bambini della fascia di età inferiore ai 5 anni e dalle donne in gravidanza, soprattutto se primipare. L'esposizione cronica alle infezioni malariche produce progressivamente uno stato di semi-immunità che, pur mantenendo una condizione di suscettibilità all'infezione, protegge parzialmente l'individuo dai sintomi clinici della malattia.
Diversa è invece la situazione in zone a bassa endemia, dove la malaria grave può colpire individui appartenenti a tutte le classi di età e dove l'evoluzione verso forme gravi, in assenza di appropriati interventi terapeutici, ha una frequenza molto più elevata che nelle zone iperoloendemiche. Il tasso di mortalità da malaria grave in assenza di terapie appropriate è intorno al 50% e non scende al di sotto del 10÷15% in contesti ospedalieri ben equipaggiati. Studi epidemiologici condotti in Africa subsahariana hanno dimostrato che il quadro clinico di malaria grave è strettamente legato al contesto epidemiologico: in aree a bassa trasmissione (con meno di 10 punture infettanti per individuo all'anno) prevalgono forme cliniche di malaria cerebrale e la fascia di età interessata è tanto più ampia quanto più basso è il livello di trasmissione; nelle aree ad alta trasmissione, il quadro clinico più frequente è rappresentato dall'anemia grave e la fascia di età più colpita è compresa tra 0 e 2 anni. La diagnosi di malaria viene tradizionalmente effettuata mediante osservazione microscopica del sangue periferico. In base alle caratteristiche morfologiche degli stadi ematici del protozoo è possibile distinguere le varie forme di malaria. Recentemente sono state inoltre introdotte alcune procedure immunocromatografiche e molecolari che consentono di effettuare diagnosi anche in assenza di competenze parassitologiche.
Nel corso degli ultimi anni notevoli progressi sono stati compiuti nella comprensione dei meccanismi patogenetici della malaria grave. Vi è unanime consenso che si tratti di un disordine riguardante contemporaneamente più tessuti e organi, anche quando le manifestazioni cliniche più evidenti sembrano interessare un singolo organo, come il sistema nervoso centrale. In particolare, l'acidosi metabolica è stata riconosciuta come principale caratteristica patofisiologica, sia della classica sindrome di malaria cerebrale sia delle forme caratterizzate da anemia grave. L'acidosi metabolica, nella maggioranza dei casi conseguente a una acidosi lattica, si associa frequentemente a una sindrome di distress respiratorio, che da sola costituisce tra i più importanti fattori prognostici della malaria grave. Nel paziente affetto da malaria grave esistono varie possibili cause di acidosi lattica, che vanno dall'aumentata produzione di acido lattico da parte del parassita (attraverso diretta stimolazione citochinica) alla ridotta clearance a livello epatico. Tuttavia, è altamente probabile che, in corso di malaria grave, l'effetto combinato di più fattori contribuisca a determinare una diffusa riduzione del rilascio di ossigeno ai tessuti.
Una caratteristica chiave della biologia di P. falciparum, con importanti implicazioni patogenetiche, è la sua capacità di determinare l'adesione degli eritrociti infetti alle cellule endoteliali dei capillari di vari organi interni. Questa caratteristica ha un notevole valore adattativo per il parassita, in quanto, bloccando l'eritrocita infetto nella circolazione profonda, ne riduce drasticamente l'eliminazione da parte del sistema reticolo-endoteliale. I meccanismi molecolari alla base del fenomeno del sequestro coinvolgono recettori endoteliali (CD36, ICAM-1) e placentari (nella donna in gravidanza sono descritti recettori specifici come il condroitin solfato A, CSA) e proteine del parassita espresse prevalentemente in corrispondenza di estroflessioni citoplasmatiche dell'eritrocita infetto, dette 'knobs'. In particolare, è ben descritto il ruolo della Plasmodium falciparum erythrocyte membrane protein 1 (PfEMP1). Questa proteina, codificata da un'ampia famiglia di geni detti var, coinvolti nella variabilità antigenica clonale, ha un ruolo centrale nella patogenesi della malaria grave da P. falciparum.
Il grado di variabilità di questa famiglia genica è molto ampio e numerosi geni var sono presenti in una popolazione parassitaria. Sebbene ciascun parassita all'interno di un globulo rosso esprima un unico gene var, altri geni var (sui 60 presenti nel genoma del parassita) possono essere espressi (fino al 2% del repertorio) in ciascun ciclo di crescita del parassita. I parassiti sequestrati nella microcircolazione degli organi profondi possono provocare una ostruzione meccanica alla perfusione tessutale. Inoltre, in corso di malaria grave sono descritte alterazioni a carico della deformabilità (da cui dipende la capacità di procedere nel lume dei capillari) degli eritrociti non parassitati che contribuirebbero, in associazione allo stato di acidosi metabolica, a compromettere i processi di scambio gassoso a livello tessutale. Questi pazienti sono inoltre spesso disidratati e relativamente ipovolemici (cioè hanno un volume ematico ridotto) e questo può ulteriormente ridurre la pressione di perfusione a livello tessutale. Va infine sottolineato che la frequente condizione di anemia del malato di malaria contribuisce ulteriormente alla compromissione degli scambi periferici di ossigeno. Il quadro di anemia grave in corso di malaria è conseguente a tre meccanismi fondamentali: distruzione di globuli rossi non infetti da parte del sistema reticolo-endoteliale, in particolare a livello splenico (si stima che per ogni globulo rosso infetto eliminato ne vengano distrutti circa sette non infetti), disordini dell'eritropoiesi e lisi degli eritrociti infetti.
Osservazioni epidemiologiche consolidate mostrano come, nel corso degli anni, l'individuo esposto cronicamente a malaria sviluppi progressivamente una condizione di semi-immunità che protegge dai sintomi clinici dell'infezione. Tanto più alto è il livello di trasmissione cui l'individuo è esposto, tanto più rapidamente viene acquisita una condizione di parziale resistenza clinica. L'immunità antimalarica è complessa ed è essenzialmente sia specie- che stadio-specifica. La generazione e il mantenimento di risposte immunitarie protettive verso la malaria clinica richiedono ripetute infezioni nel corso della vita dell'individuo. I principali meccanismi di immunità adattativa alla malaria comprendono lo sviluppo di risposte anticorpali antisporozoitiche, che interferiscono con l'invasione degli epatociti da parte dello stadio infettante del parassita, la stimolazione di risposte cellulari citotossiche (CD8+) che bloccano le fasi di sviluppo del parassita negli epatociti, l'induzione di risposte anticorpali che inibiscono l'invasione degli eritrociti da parte dei merozoiti, la produzione di anticorpi che prevengono i fenomeni di sequestro degli eritrociti infetti, bloccando il legame molecolare tra il parassita (PfEMP1) e le molecole di adesione degli endoteli vascolari degli organi profondi (CD36, ICAM-1, CSA), l'attivazione di risposte cellulari CD4+ che attivano la fagocitosi di eritrociti infetti e di merozoiti liberi. Limitate sono le conoscenze rispetto al possibile ruolo dell'immunità innata nell'infezione malarica. Studi condotti nell'uomo e nel topo suggeriscono un ruolo importante dei macrofagi, legato alla capacità di queste cellule di fagocitare eritrociti infetti in assenza di specifici anticorpi citofilici od opsonizzanti. L'attivazione precoce di cellule dendritiche sembra costituire un ulteriore possibile meccanismo, ma i dati disponibili sono limitati e controversi. Il possibile ruolo di cellule NKT (cellule che hanno caratteristiche fenotipiche e funzionali tipiche dei linfociti T e delle cellule natural killer) nella risposta innata agli stati pre-eritrocitari del parassita è stato descritto in modelli di malaria murina.
La malaria ha certamente rappresentato nel corso dell'evoluzione umana uno dei principali fattori di selezione. Tuttora, ciascun abitante delle zone rurali dell'Africa subsahariana viene infettato quotidianamente, in alcuni casi più volte nel corso di una singola notte, da un agente infettivo potenzialmente letale come P. falciparum. Gli adattamenti genetici dell'uomo alla malaria costituiscono il modello più conosciuto e più studiato nella genetica della suscettibilità alle malattie infettive. Nel 1949 John B.S. Haldane ipotizzò che le malattie infettive potessero rappresentare un importante fattore evolutivo nel modellare il make-up genetico umano e la sua malaria hypothesis è stata confermata dalla scoperta, negli ultimi cinquant'anni, di diverse varianti genetiche associate alla resistenza alla malaria. Queste comprendono principalmente polimorfismi di geni espressi nei globuli rossi, ma più recentemente, considerate le potenziali implicazioni nello sviluppo di vaccini antimalarici, molta attenzione è stata rivolta ai geni coinvolti nella regolazione e nella modulazione della risposta immunitaria. La malaria è il fattore selettivo che ha prodotto i polimorfismi per l'anemia falciforme, le talassemie, l'enzimopenia per la glucosio-6-fosfato-deidrogenasi e per altri difetti eritrocitari, che nel loro insieme costituiscono i più comuni disordini mendeliani dell'uomo.
L'emoglobina S (HbS), l'allele che in omozigosi provoca l'anemia falciforme, costituisce il classico paradigma dei polimorfismi bilanciati in popolazioni umane. È una variante della catena β dell'emoglobina, che ha avuto origine indipendentemente in diverse aree endemiche per la malaria e che è mantenuta a frequenze spesso superiori al 10%. Gli omozigoti per questa mutazione sono malati di anemia falciforme, condizione quasi sempre letale nel corso dei primi anni di vita, mentre gli eterozigoti hanno un rischio dieci volte più basso di incorrere in forme gravi di malaria rispetto alla popolazione normale. Altre varianti della catena β dell'emoglobina associate a protezione verso la malaria sono l'emoglobina C, presente in Africa occidentale, e l'emoglobina E, nel Sud-Est asiatico. Difetti nella sintesi delle catene α e β dell'emoglobina, rispettivamente all'origine delle α- e β-talassemie, sono anch'essi associati a ridotta suscettibilità alle forme gravi di malaria. L'esempio probabilmente più eclatante di adattamento genetico dell'uomo alla malaria è rappresentato da una mutazione del recettore chemochinico FY, che determina il gruppo sanguigno Duffy negativo che è associato a una completa resistenza alla malaria da P. vivax. In questo caso, a differenza delle resistenze genetiche verso la malaria da P. falciparum, in cui la mutazione conferisce una minore suscettibilità verso i sintomi clinici della malattia, mantenendo però la suscettibilità del portatore all'infezione, il soggetto diviene completamente resistente all'infezione, in quanto viene a mancare sulla superficie dei suoi globuli rossi il recettore di invasione dei merozoiti. La mutazione alla base del gruppo sanguigno Duffy negativo è fissata nelle popolazioni dell'Africa occidentale, dove conseguentemente P. vivax è assente.
Evidenze sul possibile ruolo nella suscettibilità alla malaria di geni coinvolti nella risposta immunitaria sono state ottenute in studi di genetica di popolazioni umane, che hanno mostrato, in diversi contesti epidemiologici, differenze nei loci HLA (Human leucocyte antigens) tra popolazioni appartenenti allo stesso background genetico, ma esposte a diverso grado di endemia malarica. Inoltre, studi caso-controllo condotti in Africa occidentale hanno mostrato associazioni protettive tra alleli HLA di classe I e II e la suscettibilità alle forme gravi di malaria da P. falciparum. Un'ulteriore indicazione del possibile coinvolgimento di geni della risposta immunitaria nella resistenza genetica alla malaria è stata ottenuta nel corso di studi interetnici comparativi condotti in aree iperendemiche dell'Africa occidentale. Nel gruppo etnico dei Fulani è stata osservata, rispetto a popolazioni simpatriche con diverso background genetico, una più efficiente risposta immunitaria alla malaria da P. falciparum associata a maggiore resistenza parassitologica e clinica. L'insieme di questi studi ha escluso il coinvolgimento di geni eritrocitari classici e suggerito fortemente che la più efficiente risposta antimalarica dei Fulani sia attribuibile a fattori genetici coinvolti nella regolazione della risposta immunitaria. Studi su larga scala sono in corso in varie aree geografiche e in diversi contesti epidemiologici, allo scopo di ottenere informazioni sulla genetica della risposta immunitaria alla malaria che possano contribuire alla messa a punto di vaccini antimalarici efficaci.
Le strategie di controllo della malaria attualmente disponibili non sono in grado, anche se applicate in condizioni ideali, di interrompere la trasmissione della malattia in Africa subsahariana. Diversa è la realtà nelle aree endemiche al di fuori dell'Africa (con l'eccezione di Papua Nuova Guinea), dove l'applicazione integrata delle strategie di controllo disponibili, in presenza di risorse economiche appropriate e di volontà politica, potrebbe consentire teoricamente di puntare al blocco della trasmissione. Nel 1998 l'Organizzazione Mondiale della Sanità ha lanciato una nuova fase di lotta alla malaria denominata Roll Back Malaria, il cui obiettivo consiste nella riduzione, entro il 2010, del 50% della mortalità provocata dalla malattia. L'iniziativa è basata sull'applicazione integrata delle seguenti strategie: diagnosi e terapia precoce dei casi clinici; migliore accesso alle strutture sanitarie; maggiore disponibilità di farmaci antimalarici; profilassi nei gruppi a rischio (bambini di età inferiore a cinque anni e donne in stato di gravidanza); lotta antivettoriale con insetticidi ad azione residua; riduzione dei contatti uomo-vettore attraverso l'impiego su larga scala di zanzariere o tende impregnate di insetticida; sviluppo di sistemi di sorveglianza epidemiologica nelle aree a rischio epidemico; educazione sanitaria delle popolazioni; ricerca applicata.
Molte speranze e molti investimenti sono diretti alle strategie basate sulla riduzione dei livelli di trasmissione soprattutto in Africa subsahariana. Nel corso degli ultimi dieci anni è stata avviata una politica di progressiva introduzione su larga scala di materiali impregnati di insetticidi piretroidi (permetrina, deltametrina) a effetto prolungato, in particolare zanzariere e tende. Tale strategia, volta alla riduzione dei contatti uomo-vettore, consente di ridurre drasticamente, di valori superiori al 90%, anche nelle zone di alta endemia, i carichi sporozoitici, cioè il numero di infezioni che il singolo individuo riceve nell'unità di tempo. La valutazione su larga scala di questa strategia ha dimostrato, in diverse aree geografiche del continente africano, un impatto variabile del 20÷30%, nell'arco di 1÷2 anni di valutazione, sulla mortalità nel gruppo di età 0÷5 anni. Nonostante non siano disponibili dati solidi sull'impatto di questa strategia nel lungo termine e i dati epidemiologici a livello continentale non suggeriscano una relazione diretta tra i livelli di trasmissione malarica e la mortalità, si è ritenuto comunque opportuno procedere a una massiccia campagna di lotta alla malaria basata su questo approccio.
Un'ulteriore strategia in fase di avanzata valutazione in aree endemiche è basata sulla somministrazione periodica di dosi terapeutiche di farmaci antimalarici (IPT, Intermittent preventive treatment) nei gruppi a rischio, cioè ai bambini e alle donne in gravidanza. Questa strategia ha mostrato risultati promettenti in diversi trial condotti in Africa subsahariana, soprattutto rispetto all'incidenza delle forme cliniche dominate dall'anemia grave nella fascia d'età 0÷5 anni e rispetto alla malaria grave nelle donne in gravidanza. La necessità di disporre nei prossimi anni di nuovi strumenti di controllo della malattia assume oggi particolare rilievo, in considerazione della progressiva diffusione di ceppi parassitari farmacoresistenti. I farmaci a basso costo, come clorochina e sulfadoxina-pirimetamina, hanno infatti perso gran parte della loro efficacia sia nelle aree di origine della farmacoresistenza (Sud-Est asiatico), sia in Africa subsahariana, dove il livello economico delle popolazioni non è in grado di sostenere il costo dei farmaci di ultima generazione, in particolare di quelli basati su associazioni di più molecole tra le quali l'artemisina.
I farmaci antimalarici costituiscono uno strumento imprescindibile di lotta alla malaria, che può essere utilizzato sia a scopo preventivo che terapeutico. Sono classificati in relazione allo stadio parassitario su cui agisce il principio attivo e si distinguono in: schizonticidi epatici o tessutali (per es., proguanile), attivi contro gli stadi pre-eritrocitari asessuati inclusi in alcuni casi gli ipnozoiti (primachina); schizonticidi ematici (chinino, clorochina, meflochina, artemisina), attivi sugli stadi eritrocitari asessuati; gametocitocidi, attivi sugli stadi sessuati (artemisina). Possono essere inoltre distinti in prodotti di origine naturale (chinino e derivati del qinghaosu, estratto dalla pianta Artemisia annua) e prodotti di sintesi (4-ammino-chinolinici, 8-ammino-chinolinici, aril-ammino-alcoli, antifolici e antifolinici, antibiotici). Nel tentativo di limitare la selezione e diffusione di ceppi farmacoresistenti del parassita, è attualmente in fase di progressiva applicazione l'uso di terapie basate su associazioni di farmaci. In particolare, considerata la completa sensibilità del parassita ai derivati delle artemisine, vengono utilizzati farmaci antimalarici classici in associazione all'artemisina (Artemisinin-based combination therapy, ACT). Questa strategia, oltre a garantire l'efficacia del trattamento, dovrebbe consentire di evitare o, quantomeno, di ritardare la selezione di quei ceppi parassitari resistenti all'artemisina.
In questo quadro la messa a punto di vaccini viene considerata, parallelamente allo sviluppo socioeconomico delle popolazioni residenti in aree endemiche, la prospettiva a più alto potenziale di impatto nel controllo della malattia. Gli attuali investimenti internazionali nello sviluppo del vaccino antimalarico ammontano a circa 70 milioni di dollari all'anno. Varie evidenze suggeriscono la possibilità di mettere a punto vaccini antimalarici: esperimenti di immunizzazione condotti su volontari con sporozoiti di P. falciparum o P. vivax, attenuati mediante irradiazione, hanno dimostrato la possibilità di ottenere protezione completa nel 90% dei soggetti successivamente esposti a sporozoiti vitali. Inoltre, è stata ottenuta protezione anche mediante trasferimento passivo di sieri iperimmuni in volontari umani. Infine, ben note sono le osservazioni epidemiologiche che dimostrano che in aree endemiche, parallelamente all'età e quindi all'esposizione cumulativa alla malattia, viene sviluppata un'immunità naturale che comporta progressivamente una riduzione dei tassi di mortalità e dell'incidenza delle forme gravi, una migliore capacità di controllo delle densità parassitarie e una riduzione dei tassi di infezione.
Tre tipi di vaccini antimalarici sono attualmente in fase di sperimentazione: (a) vaccini pre-eritrocitari o anti-infezione, diretti contro gli stadi infettanti del parassita e verso gli stadi epatici; questi vaccini inducono risposte anticorpali verso proteine di superficie degli sporozoiti (proteina circumsporozoitica, CSP; Thrombospondin related adhesive protein, TRAP), prevenendo l'invasione degli epatociti e/o stimolando risposte cellulari citotossiche contro gli epatociti infetti; (b) vaccini ematici o antimorbilità/mortalità, diretti verso gli stadi eritrocitari asessuati responsabili del quadro clinico della malattia; inducono risposte anticorpali contro antigeni di superficie del merozoita (Merozoite surface proteins, MSP), bloccando l'invasione degli eritrociti, e contro antigeni espressi sulla superficie dell'eritrocita infetto, interferendo con i processi di adesione degli eritrociti infetti agli endoteli (vaccini antisequestro); (c) vaccini bloccanti la trasmissione: sono basati sulla presenza, nel pasto ematico del vettore, oltre che del parassita, anche di anticorpi e del complemento dell'ospite vertebrato: nel corso del ciclo sporogonico nell'intestino medio del vettore, gli antigeni degli stadi sessuati del parassita vengono esposti e possono essere riconosciuti e bloccati dall'eventuale risposta indotta mediante vaccinazione nell'ospite vertebrato. Questi vengono anche definiti 'vaccini altruistici', in quanto non determinano una protezione diretta del soggetto vaccinato, ma una protezione della popolazione attraverso una riduzione dei livelli di trasmissione del parassita. Questo tipo di vaccini potrebbe essere particolarmente utile in zone di bassa endemia per bloccare la trasmissione.
Nell'ambito delle strategie di controllo in fase di sperimentazione va infine menzionato il tentativo di mettere a punto zanzare transgeniche refrattarie alla trasmissione del parassita. Progressi notevoli in questa direzione sono stati ottenuti nella comprensione dei meccanismi molecolari alla base della risposta immunitaria innata del vettore verso il parassita e delle interazioni molecolari tra ospite invertebrato e parassita, che si verificano nel corso del ciclo sporogonico (per es., durante la penetrazione dell'oocinete nella parete intestinale del vettore e/o nel processo di invasione delle ghiandole salivari). A questi indubbi progressi sperimentali non corrisponde però, allo stato attuale, un progresso parallelo delle conoscenze sulla fattibilità di sostituire popolazioni selvatiche del vettore con l'eventuale zanzara transgenica refrattaria e sulla possibilità di risolvere gli ostacoli etici che tale operazione, inevitabilmente, comporterebbe.
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