ARIOSTO, Malatesta
Figlio di Princivalle, di nobile e antica famiglia bolognese, trasferitasi a Ferrara nel sec. XIV e legata a quella di Ludovico da lontana parentela, nacque a Ferrara sul principio del sec. XV. Ottenne, infatti, il notariato il 5 dicembre 1440: a quell'epoca, dunque, non doveva essere più tanto giovane. Fu per molti anni notaio dei XII Savi di Ferrara: un Malatesta Ariosto notaio viene citato in un documento del 29 sett. 1445 (Arch. notarile di Ferrara, rogito Dulcino Dulcini). La sua giovinezza appartenne all'età di Guarino da Verona, di cui fu uno dei discepoli; prese in moglie una Beatrice, da cui ebbe, tra altri figli, quel Pandolfo, che fu il più intimo amico dell'autore dell'Orlando Furioso. La fonte più ricca di notizie sull'A. è il suo carteggio con il Caligi, capitano di Reggio Emilia (Arch. di Stato di Reggio, Carteggio del Reggimento):da una lettera del giugno 1450 apprendiamo che in questo periodo l'A. era cancelliere ducale in Reggio. Confermato in questo incarico negli anni successivi, fu sostituito dal duca Borso soltanto nel 1453. L'A. fu poco entusiasta della perdita dell'ufficio: dolendosi "de essere rimasto in asso", pregava il Caligi di fargli avere "il suo resto", avendo gran bisogno di denaro (14 febbr. 1453). L'A. godeva la fiducia del duca, che spesso gli affidava delicate missioni diplomatiche, ma egli poco volentieri si allontanava dalla sua città. Ancora convalescente di una malattia, fu, tuttavia, costretto ad accettare una ambasciata presso il duca di Milano, rischiando una pericolosa ricaduta: "si inha confinato una febre doppia quartana..." (lettera al Caligi del 12 sett. 1453); l'infermità era anche aggravata dalla tenace necessità di denaro, male evidentemente ereditario degli Ariosto. Fu cancelliere del Comune di Ferrara dal 1454 al 1460, ma l'anno seguente il duca gli affidava un nuovo incarico a Forlì, presso il conte Ugo Ordelaffi. Pur essendo uno dei Savi di Ferrara (1462-63), in questo periodo le sue condizioni economiche non dovevano essere davvero invidiabili, se il 9 genn. 1466 il duca, accogliendo una sua supplica, gli rimetteva una parte dei suoi debiti con le Gabelle. Dopo esser stato ancora cancelliere di Ferrara, fu capitano di Modena fino al 1471, non esitando in questo ufficio a sfidare, per amore di giustizia, lo sdegno del suo sovrano. Si rifiutò, infatti, di ubbidire all'ordine di somministrare quattro tratti di corda ad un uomo, colpevole di aver offeso il governatore di Bologna, volendo prima accertare se la pena era davvero meritata. Fu ancora Savio del Comune di Ferrara nel 1474. In un documento del 28 maggio 1476 (Memoriale 1476-1505, c.49v.) si legge che l'A. nell'anno precedente era stato esattore della Camera, dopo esser stato "superiore ai catasti". In seguito non si hanno più notizie di lui, se non nel testamento del 7 genn. 1476 (rogato da G. Brusantini, notaio di Ferrara). Il Carducci afferma che egli morì l'8 ag. 1476, senza, però, indicare in base a quale documento.
L'A., primo letterato, insieme col fratello Francesco, della famiglia Ariosto, non ha lasciato opere di gran pregio, pur non essendo priva di valore per la storia del teatro italiano la sua rappresentazione allegorica (vedi più oltre), una delle prime di argomento profano del Quattrocento. Possessore di una ben fornita bbreria, di cui facevano parte un Virgilio e un Boezio (cod. Laurenziano Strozzi 24), partecipò alle dispute del circolo letterario di Leonello d'Este. In un manoscritto del sec. XV, trascritto in gran parte da Fino Fini, letterato ferrarese (Carmina, Orationes et Epistulae variorum, Classe I, 240, Bibl. comun. di Ferrara), è conservato un epitalamio latino scritto dall'A. in occasione delle nozze Iacopo Pirandolo e Veneranda Romei: Epithalamium iacopi de pirandulis et filiae iohannis aromei compositum per malatestam de areostis (cc. 2-4r.), seguito da un breve epitalamio volgare per le stesse nozze. Un altro analogo componimento latino dell'A., scritto per le nozze di Alberto Pricato con Caterina Romei, è conservato in un manoscritto della biblioteca Laurenziana di Firenze: Pro Iohanne Romeo socero d. Alberto Pricato genero epithalamium a Malatesta Ariosto (cod. XLIII, plut. LXXXXI sup., cc. 1-2r.).
Il Carducci e il Levi attribuiscono all'A. altri sette componimenti latini, tutti adespoti, che nel citato codice laurenziano seguono questo secondo epitalanùo, senza che alcuna indicazione suffraghi la loro ipotesi. In verità' l'elegia che racconta la storia pietosa e ormai celebre di Alda, fanciulla ferrarese tradita e uccisa dall'amante, e le altre sei poesie latine, mal attribuite all'A., sono di altri autori. Accurate ricerche, nella Biblioteca Vaticana e in quelle di Parigi e Berlino, hanno reso possibile accertare la loro paternità: l'Alda, rifacimento in latino del sirventese di una elegia di Simone Forestani detto il Saviozzo, è di un "Lippus Platensis", nobile ferrarese, autore di epitaffi e di altri epicedi; le altre poesie sono sicuramente di Porcelio de' Pandoni, nato a Napoli sul principio del sec. XV, girovago, umanista, storico, ma soprattutto poeta latino di inesauribile vena. I due componimenti latini sicuramente attribuibili all'A. non hanno un grande valore letterario: in entrambi gli epitalami i versi dedicati agli sposi sono assai pochi, essendo, uno, una breve storia della genesi dell'universo e, l'altro, una occasione per tessere le lodi di Leonello d'Este. Di chiara imitazione dei modello ovidiano, sono scritti in metro elegiaco: sono versi noiosi e privi non solo di originalità, ma anche di eleganza. D'altra parte, il breve epitalamio volgare non rivela una più sincera ispirazione poetica. L'unica edizione delle poesie dell'A., comprese quelle erroneamente attribuitegli, è a cura del Levi: Le poesie latine e italiane di M.A., Firenze 1904. Nell'epistolario del conte L. Sambonifacio, amico e mecenate di letterati, si conserva una epistola latina in versi dell'A.: Malatesta Areosto a Lodovico Sambonifacio (198 della Tavola del codice Sambonifacio); l'epistola non si discosta dalle simili composizioni encomiastiche: di scarso interesse artistico, essa ha tuttavia un certo valore come documento dell'epoca. Ma l'opera più importante dell'A. è la Rappresentazione allegorica, scritta per l'ingresso di Borso d'Este in Reggio Emilia nel 1453 e conservata nelle Riformagioni del comune di Reggio; essa è stata stampata per la prima volta da A. Levi per le nozze Levi-Sottocasa (Reggio Emilia 1899, e poi riprodotta parzialmente, anche dal Carducci, in La giovinezza, pp. 204-219). Simili feste erano frequenti nel sec. XV, ma di nessun'altra il procedimento e il meccanismo è stato descritto con tanta precisione. La macchinosa rappresentazione si svolgeva in varie parti della città: angeli, santi, virtù e personaggi della storia antica rendevano onori al duca estense e, alla fine, s. Prospero, patrono di Reggio, gli consegnava lo scettro e le chiavi della città. Non è tuttavia, quella dell'A., la prima rappresentazione allegorica profana del teatro itahano, come crede il Levi, ignorando il Trionfo di Alfonso d'Aragona, recitato a Napoli in occasione dell'ingresso di quel principe il 26 febbr. 1443. Anzi, l'A. non si fece scrupolo di plagiare il sonetto caudato di Piero de' Ricci, che in quella occasione veniva recitato da Giulio Cesare e che, tranne qualche modifica dettata dalle circostanze, l'A. fa pronunciare allo stesso personaggio. L'ultima parte della allegoria, cioè l'allocuzione di s. Prospero al duca, era stata senza dubbio composta in volgare; ma l'ignoto trascrittore la ridusse in una prosa latina che ingenuamente vuole nascondere il volgare cortigiano del sec. XV in cui originariamente era stata concepita. I versi italiani dell'A. sono decisamente mediocri; tuttavia egli dedicò ad essi molte cure: in una lettera del 26 giugno 1453, al solito Caligi, si lamentava di aver dovuto comporre la Rappresentazione in soli tre giomi, si raccomandava agli attori e pregava di "remandarmi il libretto indrio", perché non voleva che esso cadesse in mano di estranei... "Povero Maiatesta - conclude argutamente il Carducci - le Muse gli perdonino i brutti versi per la cura che egli ne aveva nel concetto che fossero buoni".
Fonti e Bibl.: A. Frizzi, Memorie storiche della nobile famiglia degli Ariosti di Ferrara, in Raccolta di opuscoli scientifici e letterari, III,Ferrara 1779, p. 105; A. Levi, Resoconto delle feste fatte in Reggio Emilia nell'anno 1453 per l'ingresso di Borso d'Este, Reggio Emilia 1899; A. Segarizzi, Lodovico Sambonifacio e il suo epistolario, in Nuovo Archivio Veneto, n. s., XX (1910), pp. 106 s.; G.B. Pesenti, L'Alda ed altre poesie male attribuite a M. A., in Athenaeum, II(1914), pp. 398-416; M. Catalano, Vita di Ludovico Ariosto ricostruita su nuovi documenti, II, Ginevra 1931, p. 371; G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, I,2, Brescia 1753, p. 1084; G. Carducci, La gioventù di Ludovico Ariosto e la poesia latina in Ferrara, in Ediz. naz. delle Opere..., XIII, pp. 191-221; A. Levi, Le poesie latine e italiane di M. A., Firenze 1904; G. Bertoni, Guarino da Verona fra letterati e cortigiani a Ferrara, Ginevra 1921, pp. 103 s.; I. Sanesi, La Commedia, I, in Storia dei generi letterari, Milano 1954, pp. 197 s., 773.