Vedi Mali dell'anno: 2012 - 2013 - 2014 - 2015 - 2016
La vastità e l’inospitalità del territorio del Mali, per buona parte occupato dal deserto del Sahara, hanno da sempre segnato profondamente la politica interna e internazionale del paese. Il Mali è come tutti i paesi della fascia saheliana caratterizzato dalle grandi differenze tra nord e sud: mentre più del 90% della popolazione vive infatti nelle regioni meridionali, più fertili e temperate, i territori desertici del nord sono in gran parte disabitati e privi di infrastrutture. Le popolazioni che li abitano, in maggioranza berberi e Tuareg, rivendicano, anche con periodiche rivolte armate, una maggiore autonomia e maggiori investimenti dell’autorità centrale per lo sviluppo del territorio. I Tuareg vivono in un’oasi situata in parte all’interno dei confini maliani e dal 1963 avanzano richieste d’indipendenza, sfociate negli anni Novanta in una sanguinosa rivolta. Nonostante alcune limitate concessioni, il governo non ha mai assecondato le rivendicazioni territoriali dei Tuareg, che, avendo un ampio controllo sulla rotta transahariana, negli anni si sono specializzati nei traffici illeciti di cocaina, armi, esseri umani e rifiuti tossici.
La situazione di di fatto mancanza di controllo del territorio desertico nel nord del paese è precipitata dopo la Primavera araba. Il ritorno dei miliziani già al servizio di Gheddafi, insieme all’improvvisa disponibilità di un grande quantitativo di armi leggere derivanti dal contrabbando di quelle presenti negli arsenali del regime libico, è andato a ingrossare le fila dei movimenti ribelli Tuareg, che a partire dall’inizio del 2012 hanno organizzato una vera e propria rivolta armata. In concomitanza con le elezioni presidenziali previste per l’aprile 2012, le proteste dell’esercito, costretto a combattere contro i Tuareg in condizioni logistiche molto precarie, sono degenerate il 22 marzo 2012 in un colpo di stato contro il presidente uscente, Amadou Toumani Touré. Lo strappo ha colto di sorpresa molti attori internazionali. Da un lato, il Mali è stato considerato per anni un caso di successo di transizione alla democrazia; dall’altro lato, l’intensa collaborazione tra Mali e Stati Uniti nell’ambito della sicurezza e delle azioni contro il terrorismo si è rivelata inefficace sia nel tentativo di limitare la penetrazione di elementi di rischio in Mali, sia nel creare un esercito in grado di combattere contro minacce interne ed esterne. Infatti, alle rivendicazioni dei movimenti di matrice indipendentista Tuareg (come il Movimento per la liberazione dell’Azawad e Ansar al-Din) si sono saldate anche formazioni di ispirazione radicale, come Al-Qaida nel Maghreb islamico (AQIM) e il Movimento per l’unicità del jihad nell’Africa occidentale (MUJAO).
Sebbene i militari responsabili del colpo di stato abbiano restituito i poteri a un’amministrazione civile, grazie anche alle pressioni internazionali e alla mediazione degli attori regionali, a partire dal Burkina Faso, il governo di Bamako – in parte controllato, anche se indirettamente, dai militari, come dimostrano l’arresto e le dimissioni del primo ministro nel dicembre 2012 – non è riuscito a riaffermare la propria autorità nel nord del paese. La Comunità economica degli stati dell’Africa occidentale (ECOWAS), d’intesa con l’Unione Africana (AU) e le Nazioni Unite, si sono pronunciate a favore di una missione internazionale che aiuti l’esercito maliano a recuperare il controllo delle aree settentrionali del paese e a sconfiggere la minaccia rappresentata dai movimenti islamici di ispirazione alloctona che hanno infiltrato la ribellione tuareg. La missione internazionale è stata autorizzata dalla risoluzione 2058 delle Nazioni Unite e avrebbe visto la partecipazione di truppe da Burkina Faso, Ghana, Niger, Nigeria, Senegal e Togo con il sostegno logistico di Francia e Regno Unito. Nel gennaio 2013 però, in seguito a un attacco per sfondare verso sud sferrato dalle formazioni ribelli, la Francia ha dato il via a un’operazione militare che ha presto avuto l’appoggio logistico di gran parte delle nazioni europee e di tutti i paesi della regione, i quali si sono via via uniti alla missione Serval. Le condizioni operative e le difficoltà derivanti dal quadro regionale – pochi giorni dopo l’avvio di Serval, AQIM ha attaccato i lavoratori algerini e stranieri di un giacimento di gas naturale, provocando la morte di 38 ostaggi – fanno pensare a una missione lunga e complessa nel paese.
Dal punto di vista economico, gli interessi del Mali sono invece rivolti prevalentemente a sud-ovest. Cruciali sono, per esempio, i rapporti con il Senegal, in quanto il paese necessita dell’accesso allo snodo portuale di Dakar per l’esportazione dei prodotti del settore minerario. In egual misura il Mali vede nella Costa d’Avorio un partner con cui accrescere i rapporti economici e commerciali, e guarda pertanto con apprensione all’instabilità politica che attraversa questo paese, dove vivono del resto molti cittadini maliani.
La maggiore risorsa economica del paese consiste nell’estrazione mineraria. In particolare, il Mali ha delle riserve di oro – si stima che le miniere contengano tra le 600 e le 800 tonnellate di metallo prezioso, il paese è stato il quindicesimo paese produttore di oro nel 2011 – e importanti sono anche le estrazioni di bauxite, manganese, zinco, litio e rame, mentre vi sono giacimenti minori di uranio e diamanti. Le industrie impegnate nell’estrazione, tuttavia, sono in gran parte straniere, e il paese non è in grado di trarre il massimo beneficio dal possesso di queste risorse. La gran parte della popolazione è infatti impegnata nell’allevamento e nell’agricoltura, attività ancora molto arretrate che hanno in generale un carattere di sussistenza e in alcune aree del paese si associano ancora ad una vita seminomade. Nonostante le ricchezze del sottosuolo, il Mali è tra i paesi più poveri al mondo: l’indice di sviluppo umano, la mortalità infantile e il tasso di alfabetizzazione rivelano lo scenario di un paese in condizioni di forte arretratezza, e che necessita del sostegno internazionale per avviare uno sviluppo economico sostenibile.