Vedi Mali dell'anno: 2012 - 2013 - 2014 - 2015 - 2016
Il Mali appartiene alla fascia saheliana, una regione di scambi e attraversamenti in cui le entità statuali hanno sempre faticato a imporsi, caratterizzata da un complesso mosaico di popolazioni, con tratti ora semi-nomadi, ora stanziali. Oltre ai tuareg, che abitano le zone semi-desertiche, e sono di origine araba, in Mali vivono diversi gruppi appartenenti alle famiglie mandinghe e voltaiche, tra le quali popolazioni che conservano tradizioni ancestrali e cosmogonie elaborate, come i dogon e i bozo. La dualità fra popolazioni arabe e africane ‘nere’ è sfociata spesso in contrapposizioni, anche violente, motivate dalla scarsa rappresentanza delle popolazioni nomadi e semi-nomadi nelle istituzioni politiche e nell’economia nazionale. Una situazione di conflitto emersa definitivamente nel 2012 a seguito sia del golpe militare, sia del caos regionale riconducibile soprattutto alla guerra civile libica e alla deposizione di Muammar Gheddafi , per anni ‘protettore’ degli ‘uomini blu’ del deserto. Approfittando del caos sorto nell’area saheliana, i miliziani tuareg – molti dei quali sono stati al servizio di Gheddafi – lanciarono nel 2012 una nuova rivolta contro il governo centrale di Bamako e proclamarono nell’aprile dello stesso anno l’indipendenza dell’Azawad, la regione nord-orientale del paese a maggioranza arabo-tuareg. Nello stesso periodo, in concomitanza con le elezioni presidenziali, le proteste dell’esercito sono degenerate in un colpo di stato contro il presidente uscente, Amadou Toumani Touré, accusato di non avere affrontato gli insorti con la necessaria fermezza. La crisi del Mali ha colto impreparati gli attori internazionali, poiché il paese era sempre stato considerato uno stato modello quanto a stabilità, nonostante fosse stato scosso da rivolte tuareg a più riprese: l’ultima nel 2008-09, quando le istanze dei tuareg maliani e nigerini si unirono in una ribellione comune. Alle rivendicazioni dei movimenti di matrice indipendentista, come il Movimento per la liberazione dell’Azawad (Mnla) e Ansar al-Din, si sono in seguito saldate anche formazioni jihadiste, fra cui al-Qaida nel Maghreb islamico (AQim) e il Movimento per l’unicità del jihad nell’Africa occidentale (MUJaO). An-sar al-Din e il Mnla sono riusciti a costituire uno stato islamico nell’Azawad, imponendo la sharia a Timbuctu, e minando la storica tolleranza tra le comunità che aveva sempre caratterizzato la città. In seguito alla presa di potere dell’Mnla si sono verificate violenze e persecuzioni contro i cittadini non-arabi. Sebbene la giunta militare, sotto le pressioni della comunità internazionale, abbia restituito i poteri a un governo di transizione guidato da Django Cissoko, dopo le dimissioni di Cheik M. Diarra, Bamako non è riuscita a riaffermare la propria autorità nel nord del paese. Tra giugno e luglio 2012 Ansar al-Din, AQim e MUJaO hanno combattuto l’ex alleato Mnla conquistando Timbuctu, Kidal, Gao e, successivamente, Konna. L’avanzata dei gruppi jihadisti verso la capitale ha spinto il presidente francese François Hollande a lanciare un intervento militare, denominato operazione Serval – sostituita nell’agosto 2014 dalla nuova missione francese Barkhane – a sostegno dell’esercito maliano, per arrestare l’offensiva dei movimenti ribelli. L’azione francese, avviata nel gennaio 2013, è stata avvallata dall’Un. Le truppe dell’esercito congiunto sono riuscite a respingere i combattenti jihadisti verso l’estremo nord del paese e in febbraio, Hollande ha visitato Bamako accolto come un liberatore. In aprile 2013, con la risoluzione 2100, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unit ha autorizzato il dispiegamento di una forza di 12.600 caschi blu per la stabilizzazione del paese e il supporto alla transizione politica: la Mission Multidimensionnelle Intégrée des Nations Unies pour la Stabilisation au Mali (MinUSma) è diventata operativa a partire dal luglio 2013. La MinUSma ha inglobato l’AFiSma, la missione internazionale di sostegno al Mali promossa dall’ECOWaS, la Comunità economica degli stati dell’Africa occidentale, indebolita da carenze di mezzi e scarsa preparazione logistica. La MinUSma non ha mai raggiunto il numero di effettivi inizialmente previsto. Nel maggio 2013 la conferenza dei donatori internazionali ha stanziato quattro miliardi di dollari per il sostegno alla stabilità e alla ricostruzione nel paese. In giugno, anche grazie alla mediazione dell’allora presidente del Burkina Faso, Blaise Compaoré, il governo ha firmato un accordo di pace a Ouagadougou con i ribelli tuareg, le cui formazioni (Mnla e Mia – Mouvement Islamique de l’Azawad) si erano raccolte nell’HCUa (Haute Conseil pour l’Unité de l’Azawad) per avere maggiore peso nei negoziati. L’accordo è stato il preludio all’organizzazione delle elezioni presidenziali in Mali. Sebbene la scelta di andare alle urne sia stata contestata per la sua eccessiva rapidità, le elezioni si sono svolte con regolarità e hanno visto un buon tasso di partecipazione. Ibrahim Boubacar Keïta, politico filo-francese di lungo corso, è stato eletto presidente. Anche dopo le elezioni si sono verificati scontri isolati e i gruppi jihadisti hanno colpito con attacchi mirati. Nonostante il pericolo di destabilizzazione sia stato eluso, nel nord del paese sono continuati gli scontri fra l’esercito francese e i gruppi jihadisti, in particolare a Tessalit, e si sono verificati incidenti anche fra esercito maliano e Mnla. Nel novembre 2013, tuttavia, il movimento tuareg, seppure insoddisfatto della lenta e incompleta applicazione degli accordi di pace e della relativa redistribuzione delle risorse, ha restituito al governo i locali della televisione e il governatorato di Kidal, in cui aveva stabilito il suo quartier generale. Nello stesso mese si sono svolte le elezioni legislative, che hanno visto un sensibile calo della partecipazione. Il partito di Soumalia Cissé, l’Union pour la République et la Démocratie (URD), ha ottenuto un buon risultato, tanto da poter essere considerato oggi il principale partito dell’opposizione. Il partito di Ibrahim Boubacar Keïta (soprannominato anche Ibk), il Rassemblement Pour le Mali (Rpm), ha candidato fra le sue fi la anche esponenti tuareg in un’ottica inclusiva. Il generale Sanogo, leader del tentato colpo di stato del 2012, è stato processato ed è in attesa di sentenza. Con l’arresto di Sanogo, il presidente Ibk ha definitivamente preso le distanze dai putschisti e rinvigorito i suoi rapporti con le forze armate. Nonostante i ripetuti tentativi di Ibk di rassicurare i cittadini maliani e l’opinione pubblica internazionale quanto al ripristino della stabilità e al controllo delle forze congiunte su tutto il paese, nell’Azawad la situazione è lontana dall’essere stata risolta, anche politicamente. Infatti, il 29 novembre 2013, l’Mnla ha posto fine all’accordo di cessate il fuoco di Ouagadougou, lamentando esecuzioni sommarie e torture perpetrate dall’esercito maliano ai danni della popolazione civile e dei simpatizzanti del movimento. Questo repentino precipitare degli eventi ha rafforzato la legittimità della permanenza dell’esercito francese nel paese, anche come forza di mediazione fra l’esercito regolare maliano e l’Mnla. Il ritiro dei contingenti di Parigi si era prospettato come una soluzione percorribile, salvo poi essere accantonato in seguito al rapimento e all’uccisione di due giornalisti francesi, sempre nel mese di novembre. Sostituendo il silenzio al clamore degli esordi dell’operazione Sangaris, nella seconda metà di gennaio 2014 l’esercito francese ha lanciato diverse operazioni anti-terrorismo nei pressi di Timbuctu. Queste operazioni hanno lo scopo di scongiurare la ricostruzione di cellule terroristiche nell’area, poiché il temuto ritorno dei gruppi jihadisti nella zona sta avendo luogo. Nel gennaio 2014, Frank-Walter Steinmeier, ministro degli esteri tedesco, ha avanzato l’ipotesi di un impegno militare più consistente della Germania in Mali. Alla fine di gennaio 2014 Issaka Sidibé, candidato del Rassemblement pour la République (Rpm) e parente di Ibk, è stato eletto presidente dell’Assemblea nazionale.
A due anni dall’inizio di una guerra civile che sembrava incamminarsi verso una soluzione positiva dopo l’intervento francese nel paese, si sono riaccese le tensioni nel nord del Mali, provocando alcune ripercussioni sul piano politico nazionale. Da un lato l’escalation di scontri tra esercito e ribelli nell’Azawad (in particolare nelle aree di Gao e Kidal), dall’altro lo stallo nelle trattative di pace ad Algeri, ha costretto nell’aprile 2014 a un rimpasto di governo che tuttavia non sembra condurre il paese verso un piano di stabilizzazione.
Il governo di Bamako deve oggi confrontarsi con le sfide della stabilizzazione e della ricostruzione, a cominciare dal ritorno e dalla reintegrazione dei rifugiati. Una delle priorità dell’Assemblea nazionale è costituita dal processo di decentralizzazione, oltre che da una maggiore attenzione a politiche di occupazione e alla lotta alla povertà. I temi della sicurezza alimentare, del potenziamento della produzione agricola e della lotta alla desertificazione rimangono centrali nella vita politica del paese.
L’economia non ha subito un crollo nonostante la crisi nel nord, un chiaro segno della marginalizzazione delle regioni semi-desertiche e meno abitate. Oltre alle questioni di sicurezza del nord del paese, anche la questione ebola rischia di rappresentare un nuovo handicap per la ripresa e la stabilizzazione economica del paese, questo nonostante il Mali fino ad ora non sia stato toccato dall’epidemia. Il pil è in costante crescita (5,9%) rispetto agli anni precedenti e le previsioni per il 2015-16 indicano che il trend subirà un impulso positivo. A favorire la crescita economica hanno influito anche gli investimenti pubblici in gran parte finanziati dalle donazioni internazionali. Gli aiuti, inoltre, potranno rivitalizzare il settore delle infrastrutture e in generale rappresentare un’opportunità per la creazione di nuovi posti di lavoro. Ciononostante fatica a riprendersi il settore turistico che ha sempre rappresentato un comparto molto importante per l’economia maliana (4-5% del pil), influenzato ancora dall’insicurezza nel nord del paese.
L’industria estrattiva (il Mali è il quindicesimo paese produttore di oro e importanti sono anche le miniere di bauxite, manganese, zinco, litio e rame, uranio e diamanti) è stata invece in parte penalizzata dall’insicurezza delle regioni settentrionali, ma si è risollevata relativamente in breve tempo grazie soprattutto all’export di preziosi, in particolare verso la Cina.
Nonostante il numero delle organizzazioni non governative già operanti sul territorio da prima della crisi e l’applicazione da parte del governo di un piano quinquennale di lotta alla povertà, il Mali si trova al 176° posto su 187 per indice di sviluppo umano.
Dal 1° agosto 2014 è operativa l’operazione Barkhane, una nuova missione militare di counter-terrorism a guida francese che amplierà e sostituirà i compiti di Serval, l’operazione lanciata da Parigi nel gennaio del 2013 in Mali per fermare l’avanzata dei ribelli tuareg e dei jihadisti di aQIM e del MuJaO nel paese, e di Epervier in Ciad, attiva fi n dal 1986 per sventare un colpo di stato, appoggiato dalla Libia di Gheddafi , ai danni dell’allora presidente Hissène Habré. In sostanza le due missioni sono state fuse per realizzare Barkhane. La nuova missione francese ha come obiettivo appunto quello di contrastare il terrorismo militante nella fascia sahelo-sahariana. Barkhane prevede la presenza di 3000 soldati francesi – di cui per ora un migliaio schierati a Gao, in Mali, e altri 1200 a N’Djamena, in Ciad – che nel corso dei prossimi mesi saranno dispiegati tra Mauritania, Mali, Burkina Faso, Niger e Ciad – paesi francofoni e appartenenti al partenariato politico-economico G5 – e avrà il suo quartier generale nella capitale ciadiana di N’Djamena. Altre basi regionali, equiparate a una sorta di vice stati maggiori di N’Djamena, saranno stabilite a Gao (Mali), Niamey (Niger) e Ouagadougou (Burkina Faso), mentre le basi operative avanzate saranno localizzate a Faya-Largeau (Ciad), Madama (estremo nord del Niger) e Tessalit (nord del Mali al confine con l’Algeria), questi ultimi tutti centri già percorsi da fenomeni di terrorismo jihadista. Tatticamente le truppe saranno composte da squadriglie ridotte (30-50 persone) costituite da elementi delle forze speciali e dell’intelligence francesi in grado di spostarsi in modo più fluido e rapido da un paese all’altro. Le forze sul campo avranno in dotazione tre droni, sei caccia, 20 elicotteri, dieci aerei da trasporto, più di 200 veicoli e si serviranno di informatori locali affidabili. La missione, che non avrà limiti temporali, è guidata dal generale francese Jean-Pierre Palasset, già al comando dell’operazione Licorne in Costa d’Avorio nel 2010-11 e del quartier generale delle forze francesi in Afghanistan nel 2011-12
A seguito di alcuni incontri esplorativi, nel luglio 2014 si sono aperti ufficialmente ad Algeri i negoziati per la pacificazione del nord del Mali. Sotto la mediazione algerina e con la partecipazione dell’Eu, si sono seduti al tavolo negoziale il governo centrale di Bamako e le tre formazioni autonomiste dell’Azawad firmatarie degli accordi preliminari del giugno dello stesso anno: Mnla, Maa, Hcua. I primi problemi sono emersi tuttavia proprio sull’ammissione al negoziato di altri tre movimenti indipendentisti del nord (la Cpa, il Cmfpr e un’altra branca del Maa) che, pur non avendo firmato la carta di giugno dello stesso anno, nel luglio seguente avevano riconosciuto il processo di Algeri. Questi ultimi sono infine stati ammessi, ma le polemiche riguardo alla loro inclusione hanno rallentato i lavori dei negoziatori. Nuove problematiche sono emerse sulla struttura che il negoziato dovrebbe assumere. Alcune formazioni indipendentiste hanno insistito per anteporre agli altri temi (quali la pacificazione del nord e la sicurezza) il raggiungimento di una vera e propria autonomia dell’Azawad e le questioni politico-istituzionali che a quest’ultima si accompagnano. Inoltre le due parti non si sono accordate sulla tipologia dell’autonomia di cui dovrebbe godere il nord del paese: la richiesta ‘federale’ degli autonomisti si è scontrata con l’offerta di ‘regionalizzazione e decentramento progressivo’ avanzata invece da Bamako. Sull’effettività delle trattative hanno pesato poi le assenze di alcune figure chiave: Iyad al-Ghaly, per esempio, carismatico leader degli islamisti di Ansar al-Din, non ha partecipato alla tavola di Algeri, inficiando in parte la validità delle negoziazioni. Da parte maliana, la società civile, invitata a prendere parte al processo, ha abbandonato Algeri alle prime rilevanti discussioni. In questo senso, si è avvertito un forte interesse della diplomazia algerina a sacrificare la rappresentatività in nome della rapidità del processo. L’insieme di queste problematiche ha fatto slittare al settembre 2014 l’apertura delle trattative che avevano però perso quel carattere inclusivo delle molteplici realtà contrapposte del nord e del sud del Mali, dal quale invece traeva forza l’accordo preliminare di Ouagadougou del giugno 2013. Al contrario, restavano rappresentati ad Algeri unicamente il governo centrale di Bamako e i movimenti politici del nord a forte connotazione militare (in realtà parte del problema stesso che i negoziati si prefiggevano di risolvere). Il testo preliminare che usciva dal tavolo di Algeri, che dovrebbe fungere da base per l’accordo di pace finale, risentiva dei limiti strutturali del negoziato e veniva per questo fortemente criticato da tutte le parti in causa. Il documento riconduceva le fratture esistenti sul negoziato a una mera contrapposizione nord-sud (o centro-periferia), ignorando le rilevanti fratture interne alle rispettive parti (le problematiche strutturali e la corruzione del governo centrale, o l’impatto controproducente della presenza delle milizie governative nel nord). Al contempo, le soluzioni individuate si sono dimostrate rovinose poiché già sperimentate senza successo in passato (una su tutte, il tentativo di accrescere la partecipazione politica dei tuareg a Bamako).