CABACIO RALLO, Manilio
Nacque a Sparta verso il 1447, figlio unico di Tommasa Boccali e di Demetrio Cavakis Raul, noto copista di manoscritti greci, amico di Gemisto Pletone e di Giorgio Scolarios e appartenente a una fra le più insigni e nobili famiglie bizantine. Lasciata la patria asservita ai Turchi, Demetrio si rifugiò con il figlio in Italia nel 1466. Il C., che doveva già aver acquisito una solida formazione letteraria nell'ambiente spirituale di Mistrà, la completò a Roma dove si stabilì ed ebbe relazioni con i circoli umanistici della corte pontificia e dell'accademia di Pomponio Leto. Ebbe la fortuna di scoprire in un manoscritto un testo latino, la Collectanea priscorum verborum di Festo Pompeo (compendio del De verborum significatu di Verrio Flacco), che pubblicò a Roma nel 1475, dedicando l'edizione a Pomponio Leto. Nel 1477 ne presentò una seconda edizione; più tardi (1484) mostrò il manoscritto scoperto ad Angelo Poliziano, come racconta quest'ultimo, che definisce il C. come "graecus homo sed latinis litteris adprime excultus" (Miscell., I, cap. 73).
Secondo una lettera del veneziano Geronimo Lippomano, scritta a Roma nel 1517 e riportata da M. Sanuto, il C., "homo dotto e da bene, stete col cardinal San Marco, poi con Papa Julio hessendo cardinal, poi con li do Vincula, e adesso con Medici". Questo breve riassunto della vita e dell'attività del C., svolta nell'ambito della Curia romana al servizio di diversi cardinali, tutti eruditi o protettori delle lettere, viene confermato anche da altre testimonianze. Marco Barbo, il coltissimo cardinale di S. Marco, fu dunque il suo primo protettore. Dal cod. Vat. lat. 2964 (f. 33v) si apprende che il 25 nov. 1485 il C. per conto di questo cardinale prese a prestito un codice della Biblioteca Vaticana, che restituì il 14 genn. 1486. Quando il Barbo morì (1491), egli scrisse un epitaffio in sua memoria. La scomparsa del suo primo protettore e forse l'ascesa al trono papale nell'anno seguente di Alessandro VI Borgia costrinsero probabilmente il C. ad abbandonare Roma e a recarsi a Napoli per alcuni anni. Su questo soggiorno napoletano però le informazioni sono scarse e poco precise. È un fatto che egli mostra nei suoi scritti una particolare stima, per Giovanni Pontano e che il Pontano da parte sua dedicò al C. dei versi elogiativi (Hendecasyll., II, 24). Il C. era inoltre molto legato a Michele Marullo Tarcaniota, il quale gli dedicò alcuni epigrammi. Contatti con la corte napoletana attestano anche i versi indirizzati a Federico I (1496-1501) in segno di gratitudine e alla sorella di lui Beatrice d'Aragona, regina d'Ungheria, per consolarla delle sue disgrazie. In seguito il C. deve essere entrato al servizio del cardinale Giuliano Della Rovere, prima che questi divenisse papa (1503). Dopo di che, sempre secondo il Sanuto, egli ebbe come protettori i due cardinali di S. Pietro in Vincoli, cioè prima Galeotto de Franciottis Della Rovere, vicecancelliere (1503-1507), cui infatti dedicò tre poesie e poi, dopo la morte prematura di questo, il fratello e successore Sisto de Franciottis (1507-1517). L'ultimo protettore del C. fu, sotto il pontificato di Leone X, il cardinale Giulio de' Medici, di cui divenne segretario e a cui dedicherà il suo libro di poesie e in particolare una lunga poesia encomiastica contenuta in esso.
Alla corte di Leone X, fervido sostenitore delle lettere greche, al quale dedicò egualmente una poesia, il C. deve aver avuto un posto privilegiato accanto agli altri eruditi greci come Giano Lascaris, destinatario di una sua poesia, e Marco Mussuro. Il papa dimostrò il suo favore nei confronti del C., forse su raccomandazione del cardinale Giulio, nominandolo arcivescovo di Monemvasia (Malvasia), dopo la morte (25 ott. 1517) del titolare Marco Mussuro. Secondo il Sanuto, aveva allora 70 anni ed il papa "ha fatto bona elezion".
Come il suo celebre predecessore, il C. ottenne, oltre all'arcivescovado di Monemvasia, anche il vescovado di Hierapetra a Creta, uniti sin dal 1514; inoltre gli sarebbe stato conferito anche il vescovado di Cherroniso, alla morte del vescovo in carica Nicolò Dal Monte. Questi privilegi gli vennero confermati il 5 marzo 1520. Non sembra però che il C. si sia mosso da Roma per prendere possesso della sua sede.
Questa sede era rivendicata da un dinamico e tenace rivale, il ben noto umanista greco Arsenio Apostolis che, essendo stato deposto nel 1509 con decreto del patriarca ecumenico dal trono arcivescovile ortodosso di Monemvasia, ambiva ora a quello cattolico. Arsenio si era già recato a Roma e insegnava nel famoso Collegio greco fondato da Leone X. Sostenuto dal doge di Venezia ottenne, nel 1519 0 1520, un breve papale secondo il quale i due arcivescovadi di Monemvasia, l'ortodosso e il cattolico, sarebbero stati unificati dopo la morte dell'uno dei due titolari, il C. o Arsenio. Data l'età avanzata del C., questo breve doveva soddisfare Arsenio. Ma, per ostacolarne i disegni, il C. si dimise dalla carica, concedendola al mantovano Filippo Arrivabene che gli succedette il il ott. 1520. Arsenio reagì a questo stratagemma presentandosi il 13 ag. 1521 davanti al collegio di Venezia e chiedendo l'intervento della Signoria presso il papa per l'esecuzione immediata del breve, essendo rimasto vacante il trono di Monemvasia. Ma non poté ottenere nulla fintanto che il C. era ancora in vita. Solo quando venne informato da una lettera del Lascaris (in Legrand, I, pp. CLXIX s.) della morte del C., l'Apostolis poté prendere possesso finalmente dell'arcivescovado di Monemvasia.
Quest'accordo venne sancito dal papa ed in seguito dal Senato veneziano il 20 genn. 1524. Da ciò risulta che la lettera del Lascaris, scritta ad Arsenio nel mese di luglio, ma senza menzione d'anno, era del 1523 e che di conseguenza il C. morì poco prima del luglio 1523 a Roma. Venne sepolto nella chiesa dei SS. Apostoli, accanto al padre, morto pochi anni prima all'età di 90 anni, come attesta l'iscrizione funeraria composta dal C. e pubblicata anche nella sua raccolta di poesie.
Oltre all'edizione di Festo Pompeo già menzionata e a qualche poesia ancora inedita in diversi manoscritti, il C. pubblicò verso la fine della sua vita una raccolta di poesie, intitolata Iuveniles ingenii lusus. Il rarissimo libro, stampato a Napoli, porta la data 1520, ma è certo che uscì nel 1521 0 1522, perché contiene fra l'altro un epitaffio per l'arcivescovo di Strigonio Tommaso Bakócz, morto l'11 giugno 1521. Questa raccolta comprende non solo liriche amorose scritte in gioventù, ma anche poesie posteriori meno frivole. Oltre ai versi rivolti ai personaggi già ricordati, se ne incontrano altri dedicati ad Angelo Poliziano, a Filippo Buonaccorsi, al generale Prospero Colonna, a Felicia Della Rovere, come pure epitaffi in morte di Alessandro Cortesi, di Agostino Maffei e del capitano greco Demetrio Boccali, zio materno del poeta, morto poco prima del 1480.
Le cinquantasei poesie contenute nella raccolta del C. sono per la maggior parte composte in distici elegiaci; si nota anche l'uso del falecio e dell'asclepiadeo. Lo scrittore maneggia alla perfezione la lingua e la metrica latina, la sua ispirazione poetica però è piuttosto fredda e artificiosa. Le poesie d'amore sembrano un'esercitazione letteraria; anche i versi nostalgici scritti per la patria perduta, malgrado la loro perfezione tecnica, sono lontani dall'intensità raggiunta dal Marullo.
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