FLAMINIO, Marcantonio
Nacque nel 1498 a Serravalle (ora, insieme con Ceneda, forma Vittorio Veneto), da Giovanni Antonio e dalla nobildonna serravallese Veturia, della quale non conosciamo il casato.
Il padre G.A. Zarrabini, che aveva assunto il cognome di Flaminio, aveva seguito una duplice carriera di umanista e di docente. Durante la guerra della Lega di Cambrai anche Serravalle rimase coinvolta nelle ostilità e perciò intorno al 1509Giovanni Antonio decise di rientrare a Imola.
Le prime testimonianze dell'incontro del giovane F. con altri ambienti risalgono a un viaggio a Roma nella primavera del 1514: 10 scopo era quello di donare a papa Leone X una sua raccolta di passi commentati di classici (le Annotationum Sylvae). A Roma il F. incontrò il fiorentino R.L. Brandolini, che insegnava retorica allo Studio, e il bibliotecario Filippo Beroaldo il Giovane, che lo sollecitarono allo studio dei classici e ne incoraggiarono la vena poetica. Prima di rientrare a Imola, nell'ottobre 1515, il F. si recò a Napoli e a Urbino e conobbe I. Sannazaro e B. Castiglione: il rapporto con il Castiglione non si limitò a questo episodio, come suggeriscono le sue lettere e un Compendio di la volgare grammatica del F. che allude al fatto che egli aveva avuto fra le mani una redazione manoscritta del Cortegiano. Nel settembre 1515 uscirono a Fano, presso G. Soncino, i primi versi del F. raccolti sotto il titolo di Carminum libellus, stampati insieme con le Neniae di M. Marullo. La dedicatoria al bolognese A. Bocchi rivela che era stato lui stesso a suggerire la pubblicazione; i contatti con gli umanisti, tra Roma Napoli e Urbino, sembrano aver ispirato tanto la scelta della tematica poetica, mitologica e amorosa, quanto i moduli stilistici. Il rientro a Imola, sollecitato dal padre ostile ad un impegno cortigiano, consentì l'avvio di una fase di studi di impronta tradizionale. Sullo scorcio del 1515 il F. si trasferì a Bologna per seguire i corsi dello Studio e vi restò fino all'estate del 1517.
La facoltà degli artisti aveva al suo interno figure di spicco: P. Pomponazzi, che teneva la lettura ordinaria di filosofia e dal 1515anche quella di filosofia morale, L. Boccadiferro, R. Amaseo e lo stesso Bocchi. Questi raccoglieva intorno a sé anche figure esterne all'ambiente universitario e dedicava al giovane F. versi di stampo catulliano che risalgono presumibilmente all'autunno 1515. Negli incontri fra Flaminio padre, il Bocchi e il domenicano Leandro Alberti maturò il progetto di un'opera collettiva, il De viris illustribus Ordinis praedicatorum, stampata a Bologna presso G. Benedetti, alla fine del 1517: nella stesura delle biografie furono impegnati Giovanni Antonio, il F., che compilò la voce sul beato Maurizio di Parinonia, e il cugino Sebastiano, poi medico fisico accusato di eresia e di omosessualità di fronte al S. Uffizio dì Imola. Agli anni 1516-17risale inoltre la stesura di una riduzione delle Regole grammaticali della volgar lingua di G. F. Fortunio, poi stampata, sempre per i tipi del Benedetti, con il titolo Compendio di la volgare grammatica nel febbraio 1521, un esercizio che chiarisce il gusto didascalico del F. e la sua capacità di "abbreviare" testi redatti da altri autori.
Il F. proseguì gli studi filosofici all'università di Padova che usciva da una situazione difficile: dopo la dedizione del 1509 della città all'esercito imperiale lo Studio aveva interrotto la sua attività sino al 1517, quando il Senato aveva proceduto alla chiamata di nuovi docenti attivi nel campo della filosofia aristotelica. Il più noto era Marcantonio de' Passeri detto il Genua. Tra i suoi uditori era anche il F., forse attratto dal fatto che il Genua leggesse Aristotele in greco anziché in traduzione latina come il Pomponazzi. Del periodo padovano del F. (autunno 1519-estate 1521) occorre ricordare gli incontri con italiani e stranieri frequentatori dello Studio. Nel maggio 1521 era giunto da Oxford il giovane Reginald Pole che vent'anni dopo avrebbe guidato con il F. le discussioni "spirituali" del circolo di Viterbo; non è accertato, ma è probabile, un incontro fra i due che contavano amicizie comuni come l'umanista belga Cristoforo Longolio e Pietro Bembo. Un rapporto di amicizia, seguito da un fitto scambio epistolare, si stabilì fra Longolio e il F.: la loro corrispondenza prese avvio dopo la partenza del F. da Padova per Genova e si interruppe nel settembre 1522 alla morte del belga. Prima della partenza da Padova, nel febbraio 1521, apparve a stampa a Bologna, come si è accennato, l'operetta del F. stesa fra il 1516 e il 1517, che compendiava le Regole del Fortunio.
Da Padova il F. si trasferì a Genova in compagnia di Stefano Sauli con cui aveva già abitato nella città veneta; nell'estate 1521 si trovavano col Sauli il F., G. Camillo detto Delminio e Sebastiano Delio. Nel corso del viaggio avevano sostato a Bologna in casa di A. Manzoli, legato al Bocchi, al cardinal Iacopo Sadoleto e, successivamente. al movimento ereticale bolognese. Il gruppo genovese intorno al Sauli si configurava come una sorta di accademia letteraria, priva di agganci con la vita religiosa che, proprio in quegli anni, a Genova risentiva del clima spirituale della Compagnia del Divino Amore. Con la morte di Leone X e l'ascesa al papato di Adriano VI nel gennaio 1522, il Sauli si recò a Roma e il F. lo accompagnò. Durante il soggiorno romano si ebbe un momento di svolta nella biografia del F. e nella scelta dei "patroni" cui appoggiarsi. Infatti, nel novembre 1524, il marchese Federico Gonzaga lo presentava come già "familiare" di Gian Matteo Gilberti e come "persona che merita favore per le virtù sue et anche per rispetto del patron suo". Per almeno due volte il F. si allontanò da Roma: tra settembre e novembre 1524 era di nuovo a Padova, dove rivide Amaseo e Camillo, e si spinse alla corte dei Gonzaga a Mantova, dove, su invito del Castiglione, rivide ancora una volta la redazione manoscritta del Cortegiano, che sarebbe uscita a stampa nel 1528. Inoltre durante l'inverno 1525-26 si trasferì per un periodo di riposo a Serravalle, dove compose alcuni "lusus pastorales", versi di soggetto bucolico ispirati soprattutto ai classici. Nel corso del viaggio si fermò anche a Venezia dove incontrò P. Giustiniani, il camaldolese già autore con V. Quirini del Libellus ad Leonem X. Il Giustiniani scrisse al F. il 24 marzo 1526 ricordando il loro incontro veneziano.
Anche la prima parte del soggiorno veronese del F. - che durerà dal 1528 all'autunno 1538 - come familiare del Giberti Presenta una documentazione scarna e frammentaria: le lettere conservate datano infatti dal 1533, ma solo a partire dal 1536 consentono di precisare i nessi dell'itinerario culturale e religioso del Flaminio. Il rinnovamento proposto da Giberti alla città e alla diocesi di Verona si giovava della collaborazione di uomini di formazione diversa come G. Fracastoro, F. Bemi, G. Florimonte, Lodovico da Canossa, che mettevano a disposizione le loro risorse culturali al progetto di restaurare la disciplina e di ridare fervore alla vita morale e spirituale di chierici e laici. Questa alleanza fra cultura letteraria e rigorismo religioso fa da sfondo all'esperienza veronese dei F. in un clima assai diverso da quello vissuto nella Roma degli anni che precedettero il sacco del 1527 che venne a segnare una netta cesura, reale e simbolica, nei circoli intellettuali italiani.
Nell'inverno tra 1532 e 1533 il F. propose la sua candidatura alla Congregazione dei teatini, accompagnata dalla richiesta di poter derogare da impegni e regole di vita a suo giudizio troppo rigide. La risposta di Gian Pietro Carafa del 13 febbr. 1533 negava però qualsiasi ipotesi di mediazione, escludendo per il F. ogni concessione di possibili privilegi e mostrandosi allineato allo spirito di quel Memoriale che aveva redatto proprio in quei mesi e in cui esortava, fra l'altro, a un rigoroso controllo sulle licenze di leggere libri proibiti, specie ai laici che, "infiati di lettere secolari", facilmente "saltano nella apostasia": il caso del F. doveva sembrargli esemplare di possibili cedimenti del genere. Nonostante la collaborazione coi vescovo Giberti non mancarono i periodi durante i quali il F. si allontanò da Verona: lo troviamo a Bologna nel 1530, per l'incoronazione di Carlo V, e nel 1536, per la morte del padre; a Serravalle, ove sedeva anche nel Consiglio cittadino; a Milano nel 1534 in casa di D. Sauli; a Roma nel 1536 con Carafa e Pole che riceveva il cappello cardinalizio.
Con gli inizi del 1535 si aprì una fase nuova con il progetto di riprendere a Padova gli studi filosofici interrotti: l'appartenenza alla famiglia del Giberti impedì a F. di risiedere nella città, ma non di riprendere contatto con lo Studio. Era una Padova diversa dall'inizio degli anni Venti, con significativi cambiamenti nel settore scientifico, in particolare nella medicina, e con la diffusione delle opinioni della Riforma che dalle aule universitarie giungevano sin dentro le botteghe artigiane. L'idea del F. era dunque quella di dedicarsi pienamente alla filosofia; e già nel settembre 1535 aveva ripreso fra le mani il XII libro della Metafisica di Aristotele - un testo discusso e commentato dalla scuola filosofica padovana - con l'intenzione di "provare se li discorsi di Aristotele si potessino scrivere con la proprietà et elegantia della lingua latina". La pubblicazione del testo fu rapida: a metà febbraio venne dato in lettura al Florimonte e al Fracastoro; nell'aprile 1536 uscì a Venezia per i tipi del Tacuino con il titolo di Paraphrasis in duodecimum Aristotelis librum de prima philosophia.
Lo scritto rivela conoscenza non solo della Metafisica ma del complesso dell'opera aristotelica: sono infatti presenti rinvii ai libri "rerum animalium", "de generatione anirnalium", "de anima", "meteorum" e, più frequentemente, ai "de motu". Inoltre il F. discute i modi di conciliare i principi dell'opera aristotelica con la tradizione cristiana: vi sono - egli afferma - posizioni mediatrici che accettano la dottrina aristotelica purgandola di quanto sia contraddittorio alla religione cristiana: tra gli antichi, i padri della Chiesa, da Basilio a Gregorio di Nissa, a Gregorio di Nazianzo, e il fondatore della scolastica Tommaso d'Aquino; fra i moderni Giovanni Pico e Gaspare Contarini. Non mancano poi allusioni ad ambienti culturali coevi; fra gli interpreti aristotelici vi sono quelli che negano a Dio una conoscenza della realtà umana e alcuni di loro ardiscono sostenere le loro opinioni non solo nelle scuole ma anche pubblicamente: una chiara eco dell'insegnamento pomponazziano. La Paraphrasis si chiude con un elogio della potenza divina, motore dell'universo di cui i filosofi colgono solo una parvenza: il F. concorda dunque con le posizioni di quanti auspicano un accordo fra teologia cristiana e pensiero aristotelico. La circolazione del libro fu piuttosto ampia, come attestano tanto la presenza del volume nella biblioteca dell'Accademia fondata da Calvino a Ginevra quanto e le successive ristampe di Basilea (1537) e di Parigi (1547).
Nel contempo il F. manteneva i suoi compiti di familiare del Giberti al quale era legato da un'amicizia - scrive il vescovo di Verona - "che non mira ad altro premio che a se stessa"; tra il 1536 e il 1537 egli lo affiancò nella controversia contro i canonici della cattedrale di Verona che rifiutano l'obbedienza al loro ordinario e non accettano che la Chiesa veronese - come scrive il F. al Contarini - divenga "ordinata, modesta et religiosa".
Frattanto il F. componeva la parafrasi di alcuni Salmi, pubblicata poi a Venezia nel 1538 da Giovanni Padovano (Paraphrasis in duo et triginta psalmos) ma alla quale lavorava almeno dal 1533. L'interesse per il Libro di Davide collega ambienti e circoli diversi all'interno della cultura veneta, sia ispirati da un marcato fervore spirituale, sia aperti all'incontro con la cultura ebraica proposto dai "cabalisti cristiani".
L'introduzione alla Paraphrasis (che ebbe una discreta fortuna, tanto da circolare anche in ambienti gesuiti) sottolinea la volontà dell'autore di tenersi aderente al testo originario, salvo in alcuni passaggi dove una fedeltà letterale renderebbe oscura l'esposizione. Il F. non si mostra favorevole alle interpretazioni basate sull'anagogia e sull'allegoria alle quali preferisce nettamente quella letterale; coerentemente alle opinioni del gruppo veronese, si rifà alla patristica latina e soprattutto greca, mentre ignora la scolastica, i commentatori del suo tempo nonché la tradizione rabbinica con cui invece si confonderà nell'Explanatio del 1545.
L'allontanamento del F. dal Giberti avvenuto nel settembre 1538 è certamente legato, di là dal pretesto (la ricerca di un clima più idoneo alle sue condizioni di salute), a una scelta di maggiore autonomia personale, già maturata peraltro nell'estate 1537 e che allora lo aveva spinto a fare una donazione di 1.000 ducati alla Congregazione cassinese dell'Ordine benedettino in cambio di un vitalizio annuo di 100 ducati. Meno agevole cogliere l'eco di un eventuale dissenso nei confronti del suo patrono, anche se durante la quaresima del 1536 il F. fu sorpreso a leggere libri proibiti e si può immaginare che da ciò derivasse una certa freddezza col Giberti che vegliava con rigore sull'ortodossia dei suoi familiari. Di fatto nel novembre 1538 il F. era a Sessa nel Casertano ospite di G. Florimonte, dopo una breve tappa a Napoli. In contrasto con i progetti formulati già prima della partenza da Verona di impegnarsi nella "lettione et meditatione delle cose christiane", il F. riprese interesse alla poesia: a Sessa, poi a Caserta presso G.F. Alois (che sarebbe stato arso sul rogo a Napoli nel 1564 per le sue opinioni ereticali) scrisse dei "lusus pastorales". Tali carmi, che mostrano nel F. una spiccata maniera classica e paganeggiante, sarebbero usciti a stampa solo nel 1548, a Lione (Carminum libri duo..., presso S. Grifio) e a Venezia (nei Carmina quinque illustrium poetarum, presso V. Valgrisi). Contemporaneamente, su un terreno ben distante, si avviava la partecipazione del F. ad un'accesa controversia teologica su predestinazione e libero arbitrio che coinvolse il Contarini, l'agostiniano G. Seripando, T. Crispoldi e T. de' Giusti.
L'origine del dibattito era nel "gran moto" sollevato da alcuni predicatori che avevano affrontato dal pulpito l'argomento in chiave predestinazionista. Il F., che pareva avere nel dibattito un ruolo di guida magisteriale, sosteneva l'opportunità di un riferimento costante al testo biblico, affermando che "senza particulare gratia et aiuto de Dio lo huomo non se astiene di mettere oppositione a quella luce beata" della grazia giustificante.
La sua opinione, modulata su un passo della Lettera ai Romani, è che Dio "eshorta et insegna anchora alli reprobati", ma solo per dimostrare che essi sono "inescusabili, et non per salvargli". Nel luglio 1539 il F., ospite dell'Alois, dettava all'amico una lettera al Seripando: ribadiva di non voler negare il libero arbitrio ma affermava che Dio costringe i predestinati a "consentire alla gratia" con una disposizione che "mollifica ogni durissimo core". Entrando in discussione col suo corrispondente, gli contestava di far "più gagliardo il libero arbitrio che non facciamo noi", mentre le Scritture, i dottori e l'esperienza mostrano quanto esso sia "infermissimo al bene". Per il F. dunque il criterio dell'aderenza al testo biblico si contrapponeva all'argomentare per sillogismi dei suoi oppositori e al ricorso alle distinzioni della scolastica.
Il soggiorno presso l'Alois durò sino agli inizi del 1540: dalla datazione della corrispondenza si arguisce che il 30 gennaio il F. era a Caserta, mentre il 27 febbraio era a Napoli. L'impegno sul fronte teologico con la controversia sulla predestinazione non impedì la ripresa dei temi poetici in chiave paganeggiante e uno scambio di lettere con G.F. Bini, chierico del S. Collegio, dedicato alla reciproca produzione di versi e a motteggi sulla condizione cortigiana. Risale al periodo napoletano il rifiuto dell'offerta di far parte del seguito di consiglieri di G. Contarini che avrebbe dovuto partecipare ai colloqui di religione a Worms (in realtà il Contarini fu sostituito all'ultimo momento dal vescovo di Feltre T. Campeggi): il F. nel motivare il rifiuto insisté sui suoi disturbi fisici e psicologici ma soprattutto affermò di non essere informato sulle materie da discutere in Germania e di aver letto solo cose di edificazione spirituale.
Il soggiorno a Napoli fu soprattutto l'occasione per entrare in relazione con lo spagnolo Juan de Valdès e i membri del suo gruppo: le testimonianze più vive di quest'incontro più che dagli sporadici cenni della corrispondenza fiaminiana si debbono alle deposizioni tratte dal processo del S. Uffizio contro il cardinal Giovanni Morone e dai successivi processi inquisitoriali. Secondo più testimoni il F. era un vero discepolo dello spagnolo se non addirittura un "compagno" e "li sectaturi di Valdesio" erano tutti a stretto contatto con lui. È fitto scambio di opinioni sulla giustificazione per fede, la predestinazione e la misericordia di Dio si traduceva anche nella circolazione ad opera del F. di alcuni testi manoscritti dello spagnolo.
Inoltre, sulla base di affinità stilistiche e di contenuto con il Beneficio di Cristo - attribuito a Benedetto da Mantova - rivisto (e pare anche in qualche parte redatto) dal F., sono stati a questo attribuiti scritti già considerati di Vaidés, cioè il secondo, terzo e quarto dei trattatelli che compongono l'anonimo Modo che si dee tenere ne l'insegnare et predicare il principio della religione christiana (Roma 1545) e che si possono considerare come lettere inviate dal F. ad Alvise Priuli. Occorre infine ricordare la presenza a Napoli del canonico lateranense P.M. Vermigli, poi esule religionis causa: questi aveva con sé scritti di Erasmo, Zwingli e Butzer, predicava con successo e si incontrava per letture bibliche con Valdés e il F., che anzi lo aveva raccomandato al Contarini perché fosse suo consulente ai colloqui di Worms.
Tra aprile e maggio 1541 il F., con P. Carnesecchi ed altri, partì da Napoli per Roma, dove si trovava B. Ochino, e nel corso dei viaggio discussero della "confidentia che si deve haver in Dio et delle iustificatione per la fede". Da Roma i due amici si diressero a Firenze ove il F. incontrò Caterina Cibo, lesse l'Institutio christianae religionis di Calvino e frequentò ancora l'Ochino. Da Firenze, muovendosi verso Viterbo - dove si trovava nel novembre 1541 - il F. sostò a Lucca presso l'umanista F. Robortello che, nella dedicatoria di un suo scritto di poche settimane successivo, riportava un caldo elogio a lui e ai suoi due amici, il cardinal Pole e P. Carnesecchi, e ricordava che il F. aveva lasciato i suoi studi per dedicarsi con passione ed assiduità alla "philosophia Christi" cogliendo così il ruolo che egli aveva assunto all'interno del mondo degli "spirituali". A Viterbo, intorno a Pole, legato del Patrimonio di S. Pietro, si costituì quel gruppo che comprendeva fra gli altri Priuli, Camesecchi e Soranzo e che sarebbe stato definito "Chiesa viterbiense". E F. aveva portato con sé il commento aì Salmi di Valdés, le Considerationi e probabilmente altri scritti dello stesso, oltre a opere apertamente riformate come Lutero sui Salmi e Butzer sul Vangelo di Matteo e sui Salmi (dunque esposizioni e commenti biblici più che opere doginatiche o di controversia): il gruppo di Viterbo tendeva infatti a utilizzare in modo eclettico fonti e testi di ispirazione diversa. Pole trascorreva la giornata in compagnia di Camesecchi e del F. che la sera "dà pasto et alla miglior parte della famiglia de illo cibo qui non perit".
In quest'ambito si ricordi il ruolo, controverso, del F. nella stesura del già citato Beneficio di Cristo, stampato anonimo a Venezia, presso B. Bindoni, nel 1543. Tradizionalmente al F. era attribuita una revisione formale, ma recenti interpretazioni del testo in senso ora valdesiano ora calvinista ora benedettino hanno teso ad accreditare al F. quanto non quadrasse con quelle interpretazioni. Alla molteplicità di fonti del Beneficio corrisponde l'eterogeneità delle letture del F. in questo periodo: le testimonianze del Carnesecchi ci restituiscono l'immagine di una spiritualità tanto fervida quanto eclettica ("servitosi delle fatighe d'altri nelli studi loro... tarnquarn aurum ex stercore colligentes": Processo Gamesecchi, pp. 214, 327). Del resto la corrispondenza del F. nel corso del 1542presenta elementi comuni alle meditazioni spirituali, in particolare sulla provvidenza di Dio e la mortificazione come fondamento della vita del cristiano: questi deve vivere in "perpetuo timore di se stesso" e contrapporre al suo stato di umiliazione "la gratia dell'Evangelio, cioè la giustificazione per la fede". Ancora in una lettera al marchese Galeazzo Caracciolo, poi esule nella Ginevra di Calvino, egli riprendeva il tema dell'imitazione di Cristo.
Già nel settembre 1542 circolavano a Roma voci che insinuavano dubbi sull'ortodossia del gruppo e che mettevano in allarme il cardinale J. Alvarez del Toledo, uno dei capi dell'Inquisizione romana. Certo le carte inquisitoriali accentuano l'immagine "ereticale" del F.: negli atti del processo contro il cardinal Morone si fa riferimento alla "seductione" che i viterbesi avrebbero esercitato su di lui e anzi si dice che il F., con l'appoggio di Pole, "comenciò a cercare di persuadere la doctrina lutherana al detto Morone et tanto contrastò seco che a l'ultimo lo redusse"; sono accuse che il vescovo di Modena non potrà del tutto smentire, ammettendo le discussioni con il F. e il Priuli anche su materie controverse. che avvenivano però più che con contrasti dottrinali "per una certa confabulatione spirituale". Del resto il Morone aveva ricevuto nell'estate 1542 dagli "accademici" di Modena un brevissimo catechismo da essi attribuito al F. e alla "compagnia" di Viterbo, ed ora identificato nel catechismo di Valdés noto come Lacte spirituale: dunque il F. fungeva da tramite fra i valdesiani di Napoli e la comunità di Modena. Si approfondì inoltre la diversità di proposte nella cerchia del Pole e del F., come mostrano i dissensi insorti col Contarini in tema di predicazione e su specifici punti dottrinali, anche se il veneziano restava un punto di riferimento esterno al gruppo. La morte di questo, avvenuta a Bologna il 24 ag. 1542, gettò nel più cupo sconforto il F. che ne giudicava la scomparsa come una "crudelissima ferita".
Negli stessi mesi il passaggio aperto alla Riforma dell'Ochino e del Vermigli dové apparire al F. altrettanto significativo: mentre si trovava alla tavola del cardinale Ercole Gonzaga, commentò che "erano partiti gli apostoli d'Italia" senza che Pole e Gonzaga reagissero in alcun modo. Chiusa l'esperienza di Viterbo, il F., Pole e Priuli partirono da Roma il 26 ott. 1542 diretti a Trento, dove il concilio doveva aprirsi, e vi giunsero il 7 dicembre. Vi fu però un'ennesima dilazione: Pole e il suo seguito, ancora a Trento nel maggio 1543, fecero ritorno a Roma dove il F. trascorse la prima parte del 1544 a stretto contatto con Pole, Priuli, Vittoria Colonna e Vittore Soranzo, mentre fra settembre e ottobre fu ospite a Venezia di Giovanni Della Casa in compagnia del Camesecchi. In una lettera al cugino Cesare del febbraio 1544 riprendeva le riflessioni fondate sull'imitatio Christi, sulla natura corrotta dell'uomo privo della grazia e sulla fede nella promessa di Cristo. Almeno a partire dal giugno 1545 il F. era di nuovo a Trento per l'inaugurazione del concilio con Pole, Priuli, B. Stella e l'abate Parpaglia, già legati al circolo viterbese. Con Priuli e i tre legati del concilio (Pole, M. Cervini, G.M. Ciocchi Del Monte), il F. fu fra i partecipanti del dialogo De reipublicae dignitate che l'autore, G. Vida, narra essersi svolto a Trento nell'estate 1545 e nel corso dei quale il F. avrebbe espresso convinzioni eterodosse in campo filosofico e teologico. Frattanto nel dicembre 1545, in concomitanza con l'apertura del concilio, venne offerto al F. l'ufficio di segretario, già tenuto da Ludovico Beccadelli. Paolo III aveva espressamente indicato il nome del F.: ancora una volta la risposta fu negativa e ricondotta allo stato di salute. Come nel caso del rifiuto a partecipare ai colloqui di religione in Germania, appare l'espressa volontà di non svolgere ruoli di rilievo al servizio della Chiesa romana e di non voler modificare l'immagine dì umanista e di "spirituale" che aveva lasciato i classici pagani per le lettere sacre. A ciò si aggiungeva la netta opposizione del F. alle vocì, circolate nella primavera 1546, di conferirgli un vescovato, che egli dichiarava di considerare "una delle maggiori disgratie" che gli potessero capitare. Risale a questo periodo la pubblicazione di altri due scritti di argomento biblico, una spiegazione breve del Salterio e una parafrasi poetica di trenta Salmi, edite a Venezia nel 1545 e 1546 (In librum Aalmorum brevis explanatio, presso i figli di Aldo, e Paraphrasis in triginta Psalmos versibus scripta, presso V. Valgrisi).
Nella dedicatoria al card. Alessandro Farnese dell'Explanatio, l'autore insiste sul tema del rinnovamento interiore e sul modello di Cristo: al peccatore che confida fermamente nell'aiuto di Dio non sarà negata la salvezza mentre ogni altro apporto va considerato di nessun valore. Nel testo il F. interviene soprattutto per chiarire termini e concetti oscuri, dimostrando una buona conoscenza delle versioni greche della Bibbia e dei commenti ebraici ai Salmi, da Abraham ben Me'ir ibn Ezra a David ben Joseph Kimhi. Assai meno ampio, rispetto alla Paraphrasis del 1538, il richiamo ai padri della Chiesa, mentre frequenti appaiono i riferimenti biblici specie là dove si ravvisano i presagi sulla venuta di Cristo o quando si tratta di illustrare la giustizia e la misericordia di Dio, appunto uno dei temi centrali del Beneficio di Cristo. Il successo del libro non fu trascurabile, e un editore parigino la ristampò nel 1546, integrando il testo con quello della Paraphrasis appena uscita. Più ampie e circostanziate sono le reazioni a quest'ultimo scritto: non si tratta qui di riflessioni da sviluppare in margine alla lettura dei Salmi ma di un testo che rimandava al gusto poetico del F., pur adeguandolo ai suoi nuovi interessi religiosi. Nei versi di accompagnamento al Farnese l'autore sottolineava che i fanciulli non devono più apprendere le favole dei pagani ma i poemi sacri: a questa volontà didascalica è finalizzato lo stile che - avverte lo stesso F. - vuole essere semplice e chiaro.Pole, Priuli e il F. non si fermarono a lungo a Trento. Terminata la quinta sessione del concilio, il cardinale lasciava la città a fine giugno 1546, mentre il F., partito qualche settimana prima, faceva sosta a Verona da dove comunicava a Priuli il netto rifiuto all'offerta di un vescovato; da lì proseguì il viaggio per Roma dove, salvo brevi periodi, sarebbe vissuto sino alla morte. Egli conservò un rapporto costante con la famiglia del Pole e con Vittoria Colonna, che assisté in punto di morte parlandole del vangelo e di s. Paolo; consolidò inoltre la sua relazione col cardinal Farnese grazie al quale aveva ottenuto più volte l'esenzione dal pagamento di decime e facilitazioni per i benefici ecclesiastici di cui godeva. Del resto, alle dediche del F. al Farnese dell'Explanatio del 1545 e della Paraphrasis del 1546 erano puntualmente seguite, ad opera del Farnese, raccomandazioni per l'ufficio di segretario del concilio e per la dignità vescovile.
Della "via della corte" facevano indubbiamente parte quelle poesie d'omaggio che compaiono nei Carmina quinque illustriunt poetarum del 1548. I contenuti encomiastici se non paganeggianti di quei versi sono certo in contraddizione con i temi della corrispondenza: in essa il F. si soffermava ancora con insistenza sull'ampiezza della misericordia divina e sulla salvezza concessa all'uomo "per mera gratia" e non per le opere: in svariate lettere di consolazione spirituale egli ribadiva che il vero cristiano doveva non solo nelle parole ma nei fatti "confessare" Cristo e provare così "tanta dolcezza sotto l'amaritudine della croce".
È significativo come questa impostazione cristocentrica non si esaurisse né con la crisi del 1542 né con il decreto tridentino sulla giustificazione del gennaio 1547, ma continuasse sino alla fine del decennio: così il F. contrapponeva alla natura corrotta dell'uomo lo spirito di Cristo che "purga e rigenera mediante la viva fede i suoi eletti", mutuando analogie di forma e di sostanza dal testo del Beneficio di Cristo, già confutato e condannato.
Frattanto il suo stato di salute tendeva a peggiorare: già colpito nel dicembre 1549 dalla febbre quartana, dopo qualche settimana, afflitto da "un flusso", un costante stato febbrile e un "mal di costa", si spense nella casa romana di Reginald Pole il 17 febbr. 1550. Fu seppellito nella chiesa della nazione inglese dedicata alla Trinità, ma la ricostruzione dell'edificio nel 1575 provocò la dispersione dei resti del F. e della sua iscrizione sepolcrale.
Opere: Oltre a quelle citate: Actii Synceri Sannazarii Odae... - M. Antonii Flaminii Carmina, Venetiis 1529; De rebus divinis carmina, Parisiis, R. Estimme, 1550; Carminum liber ultimus… Venetiis 1552. Si ricordino anche le edizioni settecentesche: M. Antonii Flaminii... Carminum libri VIII, Patavii, Cominus, 1727; Marci Antonii, Ioannis Antonii et Gabrielis Flaminiorum Carmina, a cura di F. Mancurti, ibid. 1743. Le Lettere del F. sono state pubblicate a Roma nel 1978 per cura di A. Pastore.
Fonti e Bibl.: Fonti importanti sono costituite dall'Estratto del processo di Metro Carnesecchi, a cura di G. Manzoni, in Miscellanea di storia italiana, X (1870), pp. 187-573, e Il processo inquisitoriale del cardinal Giovanni Morone, a cura di M. Firpo - D. Marcatto, I-V, Roma 1981-1989 (in riferimento si vedano i saggi di M. Firpo, Inquisizione romana e Controriforma. Studi sul card. G. Morone e il suo processo, Bologna 1992). Altra fonte di rilievo sono le cit. Lettere del F.; utili l'epistolario di R. Pole, a cura di A.M. Quirini, I-V, Brescia 1744-1757, e di L. Beccadelli in Monumenti di varia letteratura..., I-III, Bologna 1797-1804 (su cui C. Dionisotti, Monumenti Beccadelli, in Miscellanea Pio Paschini, II, Roma 1949, pp. 251-268, e G. Fragnito, Per lo studio dell'epistolografia volgare ..., in Bibliothèque d'humanisme et renaissance, XIII [1981], pp. 61-87), da integrare con il ms. Ital. C. 25 della Bodleian Library di Oxford. Si vedano inoltre le seguenti monografie: E. Cuccoli, M.A. F. Studio. Con documenti inediti, Bologna 1897; C. Maddison, M. F. Poet, humanist and reformer, London 1965 (ed Ead., Apollo and the Nine. A history of the ode London 1960, pp. 113-142); A. Pastore, M. F. Fortune e sfortune di un chierico nell'Italia del Cinquecento, Milano 1981 (e Id., Due biblioteche umanistiche del Cinquecento (i libri del cardinal Pole e di M. F.), in Rinascimento, XIX [1979], pp. 269-290); Id., Di un perduto e ritrovato "Compendio di la volgare grammatica" di M. F., in Italia mediev. e uman., XXVII (1984), pp. 349-356. Importanti le testimonianze settecentesche, tra cui: P. Bayle, Dictionnaire historique et critique, II, Amsterdam-Leyde 1730 (ma la prima ed. è del 1695-1697), pp. 1181 s.; J.G. Schelhorn, Amoenitates historiae… Francofurti-Lipsiae 1738, pp. 1-179; D. Gerdes, Specimen Italiae reformatae… Lugduni Batav. 1765, pp. 248-253. Dal tardo Ottocento si infittiscono gli studi: oltre alla monografia di Cuccoli, E. Costa, M.A. F. e il cardinale Alessandro Farnese, in Giorn. stor. della lett. ital., X (1887), pp. 384-387; B. Feliciangeli, Notizie e documenti sulla vita di Caterina Cibo-Varano..., Camerino 1891, ad Indicem; L. Amabile, Il Santo Officio della inquisizione in Napoli, I, Città di Castello 1892, pp. 132-137; P. Paschini, Alvise Priuli: un amico del card. Pole, Roma 1921; H. Jedin, Ein Streit um den Augustinismus vor dem Tridentinum (1537-1543), in Römische Quartalschrift..., XXXV (1927), pp. 351-368; G.F. Cortini, La Riforma e l'Inquisizione in Imola (1551-1578) e M.A. F. luterano, Imola 1928; J. Leclercq, Un humaniste italien ennite. Le b. Paul Giustiniani (1476-1528), Roma 1951, pp. 126 s.; W.L. Grant, The Neolatin "lusus pastoralis" in Italy, in Medievalia et humanistica, XI (1957), pp. 94-98; A. Rotondò, Per la storia dell'eresia a Bologna nel secolo XVI, in Rinascimento, II,(1962), pp. 109, 126 (e Id., La censura ecclesiastica e la cultura, in Storia d'Italia (Einaudi), V, 2, Torino 1973, pp. 14-26, 28 ss.); E. Balmas, Note sulla fortuna del F. in Francia..., in Boll. della Soc. di studi valdesi, CXIX (1966), pp. 25-42; D. Cantimori, Le idee religiose del Cinquecento, in Storia della letteratura italiana (Garzanti), V, Milano 1967, pp. 20 s.; A. Prosperi, Tra evangelismo e Controriforma. G.M. Giberti (1495-1543), Roma 1969; J. C. Nieto, Juan de Valdis and the origins of the Spanish and Italian Reformation, Genève 1970, adIndicem; G. Fragnito, Gli "spirituali" e la fuga di Bernardino Ochino, in Riv. stor. ital., I-XXXIV (1972), pp. 777-813; D. Fenlon, Heresy and obedience in Tridentine Italy. Cardinal Pole and the Counterreformation, Cambridge 1972, ad Indicem; I.D. Mc-Farlane, Notes on the composition and reception of George Buchanan's Psalm Paraphrases, in Renaissance studies…, a cura dello stesso, Edinburgh-London 1972, pp. 23, 25, 30 s.; Benedetto da Mantova, Il Beneficio di Cristo..., a cura di S. Caponetto, Firenze-Chicago 1972; A. Prosperi, Le due redazioni del "Beneficio di Cristo", in Eresia e riforma nell'Italia del Cinquecento, Firenze-Chicago 1974(e Id., Giochi di pazienza. Un seminario sul "Beneficio di Cristo", Torino 1975); P. Simoncelli, Il caso Reginald Pole..., Roma 1977, pp. 27-32, 209 s.; E. Menegazzo, Per la conoscenza della Riforma in Italia..., in Atti e mem. dell'Acc. patavina di scienze, lett. ed arti, XC (1977-78), pp. 212-216; M. Firpo, L'epistolario di M. F., in Riv. stor. ital. XCI (1979), pp. 653-662; S. Peyronel Rambaldi, Ancora sull'evangelismo italiano..., in Società e storia, XVIII (1982), pp. 959-967; G. Fragnito, Il cardinale Gregorio Cortese nella crisi religiosa del Cinquecento, Roma 1983; L. Donvito, La "religione cittadina" e le nuove prospettive sul Cinquecento religioso italiano, in Riv. di storia e lett. relig., XX (1984), p. 464; C. Bologna, Tradizione testuale e fortuna dei classici italiani, in Letteratura italiana (Einaudi), VI, Torino 1986, p. 598; A. Aubert, Valdesianesimo ed evangelismo italiano..., in Riv. di storia della Chiesa in Italia, XLI (1987), pp. 152-175; P. Simoncelli, Inquisizione romana e Riforma in Italia, in Riv. stor. ital., C (1988), pp. 44, 49, 59, 61, 72; M. Firpo, Tra alumbrados e "spirituali". Studi su Juan de Valdès…, Firenze 1990; S. Pagano, Il processo di Endimio Calandra e l'Inquisizione a Mantova nel 1567-1568, Città del Vaticano 1991; C. Bologna, Esercizi di memoria..., in Intersezioni, XI (1991), pp. 467 ss.