RAIMONDI, Marcantonio
Incisore, nato circa il 1480 a Bologna, dove, secondo un passo della Cortigiana dell'Aretino, nel 1534 doveva già essere morto. È il più celebre e operoso incisore italiano del Cinquecento. Allievo di Francesco Francia, passò dalla lavorazione del niello all'incisione in rame. Filoteo Achillini, nel Viridario, scritto il 1504, dice già di lui che "col disegno e bolin molto è profondo". Cominciò a incidere su invenzioni sue proprie e del maestro in un modo sottile e metallico, che risente della tecnica niellistica e della "maniera fine" fiorentina, ma in cui ben presto si va manifestando il desiderio di giungere a una più compiuta organizzazione del tratteggio bulinistico, creando così alcuni gioielli come il Davide con la testa di Golia (Bartsch, 8), il ritratto dell'Achillini che suona la chitarra (Bartsch, 469), ecc. Nel 1506 è a Venezia, dove lavora per i fratelli De Jesu, traducendo fra l'altro in rame le silografie della Vita della Vergine del Dürer, che gli avrebbe per questo intentato un processo. La copia delle stampe in legno e in rame del Dürer e lo studio di quelle di Luca di Leida valsero appunto a facilitargli l'intelligenza della forma in rapporto ai mezzi proprî dell'incisione. Nel 1508 è a Firenze, ove attinge al cartone della Guerra di Pisa di Michelangelo per l'incisione di Venere, Marte e Amore (Bartsch, 545) e prepara gli Arrampicatori (Bartsch, 487 e 488), incisi poi nel 1510 a Roma. Qui conosce Raffaello, di cui incide subito, per saggio, la Lucrezia (Bartsch, 192), guadagnandosi la sua fiducia. Comincia così a riprodurre le opere dell'Urbinate, coadiuvato dal familiare di questi, Baviera, che stampa i rami al torchio e ne diffonde le prove. In siffatta impresa Marcantonio impegna tutto sé stesso, studiandosi di conformare sempre più il suo stile ai caratteri dell'arte raffaellesca, andando più in là dei disegni stessi che Raffaello gli forniva e dando loro l'aspetto che avrebbero assunto, se il pittore non li avesse lasciati allo stato di abbozzo. Egli tradisce così il disegno per avvicinarsi piuttosto alla pittura, ma non arriva tuttavia a questa, perché gli manca generalmente il colore. Dobbiamo nondimeno a lui, sotto l'influsso di Raffaello, i primi serî tentativi di risoluzione della macchia chiaroscurale in termini incisorî e di delimitazione dei piani per via di risalti tonali, tentativi che in seguito egli stesso invece sacrificherà del tutto alle esigenze della modellazione lineare, giungendo a quella definizione statuaria e convenzionale della forma, da cui deriveranno poi tutte le degenerazioni accademiche del mestiere. Marcantonio ebbe scolari numerosi ed abilissimi: ricordiamo Marco Dente e Agostino De Musis, detto Veneziano, le cui stampe son così vicine alle sue da non potersene spesso distinguere. Nel maestro "B nel Dado", che operò intorno al 1532, si vuol vedere un suo figlio naturale, chiamato Benedetto Verino. Morto Raffaello, Marcantonio continuò ad incidere, specialmente su invenzioni di Baccio Bandinelli e di Giulio Romano. Da quest'ultimo incise i Modi scandalosissimi, per cui il papa lo fece imprigionare, liberandolo poi per intercessione del Bandinelli. L'Aretino, del quale egli incise un meraviglioso ritratto, s'ispirò a quei rami per scrivere dei sonetti licenziosi. Secondo una leggenda riportata dal Malvasia, Marcantonio sarebbe stato ucciso dal possessore del celebre rame della Strage degl'Innocenti (senza felcetta, Bartsch, 20), per averne egli eseguita una replica (con la felcetta, Bartsch, 18), contrariamente all'impegno assunto. Pare invece che, malconcio e privato di tutto il suo durante il sacco di Roma, l'incisore si sia ritirato a Bologna, ivi morendo "poco meno che mendico".
Bibl.: Oltre alle opere generali sull'incisione, cfr. H. Delaborde, Marc-Antoine R., Parigi 1887; A. M. Hind, M. R., in The Print-Collector's Quarterly, III (1913), p. 243 segg.; A. Calabi, M., in Dedalo, III (1922-23), pp. 24-46; M. Pittaluga, L'incisione italiana nel Cinquecento, Milano 1930; H. W. Schmidt, in Thieme-Becker, Künstler-Lexikon, XXVII, Lipsia 1933.