Marche
I luoghi delle M. attuali (nell'area della dolce terra / latina, If XXVII 26-27) o paese / ... tra Romagna e quel di Carlo (Pg V 68-69; ma per una più esatta delimitazione sia storica sia linguistica, v. MARCA ANCONITANA), si rendono a D. meno familiari e presenti via via che egli si allontana dai confini settentrionali della regione. Otto sono i nomi che rientrano nell'odierna provincia di Pesaro: il Montefeltro con Carpegna e S. Leo (If XXVII 29, Pg IV 25, V 88 e XIV 98); Urbino (If XXVII 29); Focara (XXVIII 89); Fano (XXVIII 76 e Pg V 71); il Catria e Fonte Avellana (Pd XXI 106 ss.). Una città appartiene alla provincia di Ancona: Senigallia (XVI 75); un centro alla provincia di Macerata: Urbisaglia (v. 73); un fiume ad Ascoli: il Tronto (VIII 63). Ipotetici e comunque ancora molto discussi rimangono la localizzazione del Verde di Pg III 131 con il torrente Verde nei pressi di Ascoli; il ricordo, indiretto, di Gradara, ove si sarebbe svolta la tragedia di Francesca; infine l'identificazione della casa / di Nostra Donna in sul lito adriano (Pd XXI 122-123) con S. Maria di Portonovo ovvero, come sostenne il Sassi, con Loreto.
Quale di queste terre D. rievochi per visione diretta costituisce un'impresa ardua e insidiosa: l'evidenza descrittiva di alcune di esse ingenera tuttavia la persuasione che si tratti d'impressioni subitanee e vive. Quel richiamo a S. Leo, con quel vassi, ad esempio, nell'iniziale salita al primo balzo dell'Antipurgatorio (Pg IV 25) ha un carattere di spontaneità così immediata da escludere la supposizione di una reminiscenza indiretta. E d'altra parte il soggiorno dantesco nel Montefeltro, oltre che dalla testimonianza del Boccaccio, si documenta attraverso la conoscenza di situazioni e figure che sono parte integrante delle vicende storiche della stessa regione (per es. V 89 Giovanna o altri non ha di me cura). Lo stesso discorso può ripetersi per il valore pregnante di un altro verbo, il riguardi legato a Senigallia e a Urbisaglia (Pd XVI 73 e 75). Il duplice impegno o missione nei confronti di Fano rende a D. confidenziale l'ambiente della cittadina. Concreto è anche lo schizzo del Catria con il suo eremo di Fonte Avellana.
Più difficile è la ricerca di prove intese a dimostrare la sosta di D. dinanzi alle rovine di Urbisaglia e un suo eventuale viaggio fino a Fermo, dov'è messo in condizione di conoscere le manifestazioni più crude del dialetto della bassa Marca (VE I XI 3 e XII 7), vicina alla patria dell'autore dell'Acerba. L'incontro di D. con un aspetto del nostro idioma popolare e il conseguente giudizio negativo dovettero avvenire lungo questa bassa fascia marina, dov'era nata la stessa canzone del Castra, concepita in funzione parodistica di un costume e di un linguaggio, e dove si udivano appunto espressioni come Chignamente scate, sciate da lui sottolineate. Tuttavia egli non si comporta con il vernacolo marchigiano come con il reggiano, il genovese, il romano, il ferrarese e così via, cui nega ogni possibilità di sviluppo in senso estetico: nel novero dei doctores illustres qui lingua vulgari poetati sunt inserisce anche i Marchigiani (utriusque Marchiae viri, XIX 2). E in questo caso poteva pensare, ad es., a Francesco da Camerino, un gentile poeta ben conosciuto anche nell'ambiente bolognese del suo tempo.
A poca distanza dalla sua scomparsa questo stesso vernacolo della Marca fermana s'inseriva nel tessuto linguistico della Commedia secondo la testimonianza dell'autorevole codice Landiano, che è il più antico manoscritto datato (1336), con termini ancor vivi del dialetto medesimo (‛ cagnare ' per " cambiare ", biastimare ' per " bestemmiare ", ‛ noa ' per " notizia ", ecc.). A soli quindici anni dalla morte di D. il nobile pavese Beccario Beccaria, podestà in varie città e anche a Fermo, e ivi due volte capitano, affidava la trascrizione del codice ad Antonio da Fermo che nel suo lavoro di amanuense non riesce a liberarsi della patina in lui abituale del suo dialetto, donde la quasi coeva revisione voluta dallo stesso committente, per una più decisa caratterizzazione toscana dell'esemplare.
Un Iacopo Aldighieri compare in una pergamena fermana del 1306; di Fermo era il beato Giovanni della Verna, che esercitava su D. le sue ‛ suggestioni mistiche '; a Fermo apparteneva quella ‛ Custodia ' o circoscrizione francescana che assume un'importanza così determinante nell'economia del movimento degli Spirituali; nella Marca fermana rientra infine la patria di Ugolino da Montegiorgio, l'autore degli Actus, attraverso i quali D. poteva giungere alla conoscenza della " materia caratterizzante dei Fioretti " (Bosco) e porsi su un piano di parità polemica con gli stessi Spirituali della Marca nei confronti dei Conventuali e della curia romana.
Queste figure altre ne richiamano di pari rilievo nelle vicende delle M.: s. Pier Damiano, ad es., si pone accanto al suo modello di cui riassume la vita, s. Romualdo (Pd XXII 49), che tanto operò nelle M., ove morì; Cino da Pistoia, giudice collaterale del rettore della Marca d'Ancona (1319-21); quindi il giudice e persecutore di D., Cante dei Gabrielli da Gubbio, podestà e capitano del popolo nel 1304 e nel 1306 a Roccacontrada (Arcevia), dove nel 1320 figura quale vicario del podestà il più famoso Bosone da Gubbio (e Gubbio, si sa, era allora inclusa nelle M. di cui fece parte fino al 1861); il seminatore di scandali Pier da Medicina (If XXVIII 64 ss.), ben pratico della regione e probabile nipote dell'omonimo giudice generale della Marca nella prima metà del sec. XIII, nonché podestà di Castelfidardo nel 1250; Uguccione della Faggiuola, nato tra i monti feretrani, dai quali trassero origine anche i Carpegna, i Montefeltro e i Malatesta così strettamente avvinti agli accadimenti marchigiani sia per la loro provenienza feretrana, sia a motivo di canti come, ad es., il quinto dell'Inferno. Personaggi centrali della Commedia sono: Guido e Bonconte da Montefeltro (If XXVII e Pg V; il primo dei due nel novembre 1296, vestì ad Ancona l'abito francescano), Guido di Carpegna (Pg XIV 98), i fanesi Guido e Iacopo del Cassero e Angiolello da Carignano (If XXVIII 76 ss. e Pg V 64 ss.), l'astrologo Guido Bonatti (If XX 118), che visse a lungo a Urbino e fu molto affezionato al conte Guido, e Federico II di Svevia, che nacque a Iesi nel 1194. Diretta è la partecipazione delle M. all'arricchimento dell'albero dei codici danteschi. Dopo il Landiano saranno da ricordare: l'Urbinate lat. 366, datato 1352, ora nella bibl. Vaticana; il 4022 della Laurenziana, scritto a Sassoferrato nel 1355, inteso a rappresentare " l'ultimo tipo di espansione del testo dantesco avanti l'edizione del Boccaccio " (Petrocchi); il 38 dell'Oliveriana di Pesaro (sec. XIV-XV), quelli perduti della libreria di S. Giacomo della Marca (Monteprandone), i frammenti membranacei di Cagli (sec. XIV), di Fabriano, di Macerata, di Ascoli, di Urbino, il passo di If V nei Memoriali bolognesi vergato da Ser Angelo da Montegranaro, anche se di " tradizione meramente orale " (Petrocchi), il cod. Vaticano Rossiano IX 177 del sec. XIV, forse appartenuto a s. Giacomo della Marca e interpolato da un marchigiano.
Tra le edizioni della Commedia in qualche relazione con le M. sono da ricordare l'incunabolo del 1472 probabilmente iesino (sono tuttora valide le difese del Landoni, dell'Annibaldi, del Ferrazzi e di altri in questo senso, contro le argomentazioni dello Scholderer); e l'edizione veneziana del 1477, in cui ebbe parte Cristoforo Bardi (Vitaletti).
Da un decennio appena era scomparso D. quando ser Angelo da Montegranaro, passando nel 1332 a Bologna, si compiaceva di affidare versi dell'Inferno (V 103-114) a un registro di processi. E sono questi gli anni in cui Antonio da Fermo attende alla trascrizione del codice sopra richiamato, Bartolo da Sassoferrato si dimostra del pari studioso di D., passando dalla lettura della Monarchia a quella dell'opera poetica dantesca (" maestro letterario " di Bartolo ha definito D. in una recente commemorazione il Crosara), e il conte Antonio da Montefeltro coltiva le muse senza deviare lo sguardo dalle rime dantesche. E prima di uscire dal secolo così amico di D., nel 1381 un Antonio pievano di Vado leggeva " coram populo " la Commedia.
Fra l'uno e l'altro secolo D. è ricordato nella sua non scarsa produzione poetica da Malatesta de' Malatesti signore di Pesaro e legato ai da Varano di Camerino per via della moglie Elisabetta. Nel primo Quattrocento, in cui sono stati ripetutamente sottolineati l'" oblio quasi assoluto " di D. e gli attacchi rivolti alla sua opera migliore, contro i vari detrattori si leva la voce di uno dei primi apologisti, detto il padre dell'Antiquaria, e cioè Ciriaco Pizzicolli d'Ancona, che nel famoso ‛ certame coronario ' del 1441 recitò un sonetto: prima di dedicarsi ai viaggi egli attese in Ancona allo studio di Virgilio, sotto la guida di Tommaso Seneca da Camerino, cui in compenso il Pizzicolli insegnava i segreti della lingua italiana sulla scorta della Commedia.
A Costanza, sollecitato da diverse personalità del concilio, l'arcivescovo di Fermo (e più tardi anche di Fano) Giovanni de' Bertoldi da Serravalle offriva a Italiani e stranieri la versione latina della Commedia, con un acuto ed elogiato commento. Altro vescovo di Fano fu Giovanni De Tonsis, che verso la fine del secolo presentava del pari un commento poi smarrito. E a proposito di traduzioni latine il Batines riporta quella di un " Antonius de Marca Picenus ", un tempo forse giacente a Fano e oggi perduta, di questo secolo anch'essa, quando il grande Federico di Urbino possedeva nella sua biblioteca almeno un codice della Commedia; così come nell'estremo sud della regione, a Monteprandone, almeno un altro esemplare dei codici poi passati al De Rossi, e quindi alla Vaticana tramite i gesuiti, aveva nella sua libreria il prediletto dal Sannazzaro, s. Giacomo della Marca, il quale, non diversamente da fra Bernardino da Cingoli e dal beato Pietro da Mogliano, tiene quale vivo e costante modello nei suoi sermoni e nelle sue prediche il poema dantesco. Con fra Bernardino da Cingoli anche il pergolese G. Gaugelli richiama D. nei suoi versi, così come Malatesta de' Malatesti.
Ma fra i maggiori e più autorevoli difensori di D. risalta Francesco Filelfo, che negli anni intorno al 1430 a Firenze in Santa Maria del Fiore faceva precedere la sua lettura della Commedia da due orazioni-prolusioni. Il figlio Giovan Mario nel 1467 la esponeva a Verona e stendeva una Vita Dantis che, se non è priva di divagazioni fantastiche, pure ha fatto parlare di un'interpretazione allegorica della Vita Nuova.
All'alba del Cinquecento un artista marchigiano, anche se di statura inferiore, S. De Magistris di Caldarola, in una chiesa di Offida nell'Ascolano rappresentava nel concetto dei tre regni un Inferno tutto fantasia dantesca. E siamo nel periodo in cui Raffaello, studioso di D. come Michelangelo, gli rende omaggio nei ben noti dipinti murali vaticani, nei quali arricchisce di altri due ritratti l'iconografia dantesca: della sua scuola risente un poco V. Pagani da Monterubbiano (1490-1568), mentre dipinge un Giudizio Universale del pari ispirato alla Commedia.
Ma anche letterati di fama nazionale si dimostrano particolarmente attenti all'opera dantesca: il Caro la richiama " nel grande esperimento letterario dell'Eneide " (Fubini) e nelle sue prose e la suggerisce come lettura collocata al di sopra delle Rime petrarchesche; B. Cintho Scala imita la Vita Nuova; A. Colocci di Iesi studia la lingua di D. in rapporto alle lingue neolatine e lascia alla Vaticana il ben noto codice già ceduto al Petrarca dal Boccaccio tra il 1351 e il 1353; un Franchi di S. Severino M. postilla la Commedia; B. Baldi di Urbino nelle sue Rime si dimostra anch'egli diligente e ammirato studioso di D.; il Castiglione nel Cortigiano si fa acceso sostenitore del volgare illustre nelle sale della corte di Urbino. Alla fine del secolo F. Zuccari con gusto fine e consumato illustra la trilogia dantesca in circa 90 quadri.
Durante il lungo silenzio del Seicento I. Barcellini di Fossombrone, teologo oratore e poeta, si occupa di D. e di Celestino v. " Superiore a' tempi suoi " (Flamini) il Boccalini nei Ragguagli di Parnaso difende l'originalità di D. contro l'incomprensione generale favorita da quella disposizione psicologica estranea al Medioevo e alla Commedia, anche per la sua scarsa rispondenza, secondo quell'indirizzo critico, ai canoni aristotelici. Nelle sale del palazzo urbinate per altro l'ingegno largo e profondo di F. Ubaldini (nato a Siena, ma di famiglia feretrana) pone la scena dei suoi dotti conversari, esemplando sul Cortegiano il suo dialogo Il Giordano, ovvero nuova difesa di D., dove " campeggia come rappresentante delle sue idee, il dotto marchigiano dal quale il dialogo prende il nome " (Cosmo), cioè il vecchio e dotto pesarese Giordani. Nella sua Istoria della volgar poesia (1698) il maceratese G.M. Crescimbeni difende l'opera dantesca e, pur con qualche riserva propria del suo tempo (anch'egli parla di " barbarismi "), cerca di presentar D. nel suo imponente aspetto poliedrico.
Nel Settecento, così animato da serietà di propositi nei confronti di D. e pur così incapace d'intenderne le complesse e sconcertanti risorse creative, sono da ricordare le Annotazioni alla Commedia (1725) di A.G. Artegiani di Arcevia: Ia tragedia " appassionata " che ha come argomento il conte Ugolino di G.L. Semproni di Urbino (1724); gli studi e i cinque sonetti in lode di Beatrice, quale simbolo della teologia, di L. Lanzi di Treia; il manoscritto (nella bibl. Comunale di Ascoli) di L. Pastori che, difendendo lo Stabili, rientra fra gli studiosi di D. fra questo secolo e il seguente.
Nella seconda metà del Settecento il fermano L. Angelini imita lo stile dantesco nei suoi componimenti poetici, mentre il pesarese C. Betti con il poema La consumazione del secolo apre la via alla ripresa del culto di D. in Italia. E così vien fatto di pensare alle dodici Visioni di A. Varano, nato a Ferrara (1705), ma discendente dai duchi di Camerino. Di madre camerinese era anche F. Torti di Bevagna che a Camerino per altro aveva compiuto gli studi delle discipline legali: i suoi rapporti con il Monti, che incensa nel periodo romano e confuta e redarguisce più tardi per le opinioni espresse nella Proposta, lo rendono sensibile alle manifestazioni della scuola classica romagnolo-marchigiana, la quale si propose quale scopo il culto di D. e lo studio della Commedia, con suo centro spirituale a Pesaro appunto, dove risiedeva il conte G. Perticari. Si distinsero inoltre l'anconetano A. Peruzzi (1764-1850), F.M. Torricelli di Fossombrone (con un commento inedito alla Commedia), M. Leopardi, F. Cassi (1778-1846), G. Cardona, G. Marchetti. Quest'ultimo, studioso dall'allegoria nella Commedia, fu noto soprattutto per la cantica Una notte di D. (Milano 1838), il cui motivo ispiratore rientra fra i temi letterari di così larga fortuna nell'Ottocento, ricercati nella vita e nell'epoca dantesca. Seguono quindi S. Betti (1792-1882), il quale tra l'altro recensisce con osservazioni di carattere testuale e stilistico il commento del Lombardi (1821-22); G.P. Marinelli di Camerano (1793-1875), che tutta la Commedia tradusse in eleganti esametri latini; e F. Puccinotti (1794-1872), e altri ancora.
Lo stesso culto di D. si continua comunque per tutto il sec. XIX e con esponenti nelle M. di un respiro più largo di quello regionale: è appena il caso di nominare il Leopardi; e non possiamo omettere di citare T. Mamiani di Pesaro (1799-1885); P. Azzolini di Fermo (1805-1860); L. Mercantini di Ripatransone (1821-1872); il maceratese F. Ilari (1810-1878); E. Camerini di Ancona (1811-1875); S. Fogacci; F. Turris di Corinaldo; A. Massaccesi di Iesi; C. Galanti di Cossignano (1821-1890) e altri ancora. Nella seconda metà del secolo a soggetti danteschi s'ispira il pittore neoclassico F. Podesti (1800-1895) allora reputatissimo (nei primi anni del Novecento saranno invece il De Carolis e Bruno da Osimo a raffigurare D. in forme singolari legate al decadentismo).
Fra l'Ottocento e il Novecento contributi di rilievo offrono G. Acquaticci, G. Castelli, A. Gianandrea, F. Mariotti, E. e G. Mestica, il Vitaletti, gli Annibaldi, Nicoletti, Morici, Cotini, Montanari, A. Camilli, G. Natali. Ma non è certo possibile dare anche un semplice e sommario ragguaglio degli studiosi marchigiani dell'opera dantesca in questo secolo. Concludiamo ricordando che nel 1855 N. Gaetani Tamburini fonda l'Apostolato Dantesco, l'associazione a sfondo patriottico, e il triestino Giacomo Venezian crea la " Società Dante Alighieri ", mentre insegna Diritto romano nell'università di Macerata.
Bibl. - M. Morici, D. e Ciriaco d'Ancona, in " Giorn. d. " VII (1899) 70-77; G. Crocioni, Le Marche, Città di Castello 1914; G. Livi, D., suoi primi cultori, sua gente in Bologna, Bologna 1918, 33-34; G. Vitaletti, Il codice Landiano, in " Atti e Mem. Deputazione St. Patria Marche " s. 3, III-IV (1920-21) 248 ss.; V. Rossi, D. nel Trecento e ne; Quattrocento, in D. e l'Italia, Roma 1921, 285-318; F. Flamini, D. nel Cinquecento e nell'età della decadenza, ibid., 340; G. Vitaletti, Per la fortuna di D. nel sec. XV, Firenze 1922, 4; ID., S. Pier Damiano e D., in " Giorn. d. " XXV (1923); XXVI (1924); ID., Intorno a F. Ubaldini, Roma 1924; ID., La bibl. Rossiana, in " Atti e Mem. Deputazione St. Patria Marche " s. 4, I (1924) 107-108; V. Scholderer, F. de' Conti and the first books printed at Jesi, in Catalogue of books printed in the XV century, VII, Londra 1935, LV-LVI, 110-113; U. Cosmo, Con D. attraverso il Seicento, Bari 1946, 63; A. Vallone, D. e la Commedia come tema letterario dell'Ottocento, in Studi sulla D.C., Firenze 1955; G. Franceschini, Saggi di storia montefeltresca e urbinate, Selci Umbro 1957; G. Petrocchi, Radiografia del Landiano, in " Studi d. " XXXV (1958) 5-27 (rist. in Itinerari danteschi, Bari 1969, 183-203); D.F. Crosara, B. da Sassoferrato. Studi e documenti per il VI centenario, II, Milano 1962, 105-108; G. Franceschini, I Montefeltro nei primi due secoli della loro storia (1150-1350), Sansepolcro 1963; R. Sassi, La Casa di Nostra Donna in sul lido Adriano, in Conferenze dantesche, Fabriano 1965, 7-32; F. Allevi, Con D. nella Marca d'Ancona, in Con D. e la Sibilla ed altri, Milano 1965, 393-463.