Marche
Italia di mezzo
Le Marche sono una regione centrale: non solo nel senso ovvio che sono a metà strada fra il Nord e il Sud; sono di mezzo perché un po’ somigliano alle regioni settentrionali (attive, ricche, industriali) e un po’ a quelle meridionali (contadine, frugali, attaccate alle tradizioni). Non hanno conosciuto la crescita travolgente del Nord né l’incerto sviluppo del Sud. La regione ha seguito un percorso originale ed efficace, che ha valorizzato i bei paesaggi rurali, la ricca rete urbana, le tante tradizioni locali. Oggi vive una crescita tranquilla, più equilibrata e più rispettosa del territorio
di tante altre regioni italiane
Fra l’Appennino Umbro-marchigiano e il Mare Adriatico, il territorio delle Marche non ha pianure. La catena appenninica raggiunge e supera i 1.500 m a nord (Monte Catria, 1.701 m), e quasi i 2.500 a sud (Monte Vettore, 2.476 m). Per lunghi tratti essa rende difficili le comunicazioni: i passaggi sono consentiti da gole scavate da corsi d’acqua (Gola del Furlo, Gola di Frasassi), da valichi in quota (Bocca Trabaria), da depressioni fra le cime, come il Piano di Colfiorito.
Verso il mare, i rilievi appenninici, calcarei e ricchi di fenomeni carsici, si abbassano; subentrano colline di argille e marne, vulnerabili alle frane, fino alla costa; due terzi del territorio sono classificati come collina.
Sul mare si aprono sottili fasce pianeggianti e sabbiose dove si è sviluppato il turismo balneare; solo presso Pesaro e Ancona (Monte Conero), la costa è rocciosa.
Anche il clima varia dall’interno (subcontinentale) alla costa (mediterraneo: il Monte Conero è famoso per la sua vegetazione mediterranea). Sulle colline, la vegetazione è quella coltivata. Sulle montagne si trovano boschi di formazione artificiale (boschi cedui, per la produzione di legname); su quelle più elevate sopravvivono faggete e animali selvatici, protetti nei parchi naturali (come quello dei Monti Sibillini).
Caratteristica è la disposizione dei fiumi marchigiani (i principali sono Metauro, Esino, Potenza e Tronto, il più lungo), che nascono dagli Appennini, scendono al mare senza divagazioni, ricevendo pochi affluenti, e tagliano i rilievi seguendo percorsi fra loro quasi paralleli, a breve distanza l’uno dall’altro.
Si è formato, in questo modo, come un pettine di valli, dalla pendenza dolce e comodo da percorrere: qui sono le strade e i centri principali, uno presso la costa e uno o due nell’interno.
Passare da una valle all’altra, però, è piuttosto difficile, e le relazioni fra l’entroterra e la costa, lungo una stessa valle, sono molto più strette dei rapporti esistenti fra una valle e quella accanto.
Quasi tutta la regione ha conosciuto un insediamento antico e denso: la popolazione marchigiana era, un tempo, ben distribuita e aveva messo a coltura quasi tutto il territorio.
Da qui nasce il bel paesaggio che queste campagne mostrano a chi percorre la regione, così affascinante nel contrasto con la naturalità dei monti – anche se però il diboscamento e metodi di coltivazione troppo brutali hanno a volte danneggiato seriamente i suoli, provocando smottamenti e frane.
Già nel Settecento, però, si verificarono i primi movimenti migratori – verso Roma – che interessarono all’inizio i centri urbani, poi anche le campagne. Tra Ottocento e Novecento l’emigrazione riguardò soprattutto le aree rurali, i piccoli centri della collina interna e quelli degli Appennini.
Era soprattutto una migrazione regionale: la popolazione scendeva verso i centri della fascia intermedia (Urbino, Cagli, Fabriano, Tolentino, Camerino e altri), poi verso quelli più vicini al mare (Jesi, Macerata, Fermo, Ascoli Piceno) o costieri (Pesaro, Fano, Senigallia, Ancona, Civitanova Marche, San Benedetto del Tronto). In seguito, anche i centri urbani della fascia interna cominciarono a perdere abitanti, un fenomeno che si è arrestato, e non ovunque, solo da poco.
Questo processo ha spopolato l’interno e ha concentrato la popolazione sulla costa, dove si erano sviluppavate attività economiche moderne. Negli ultimi decenni, anche gli immigrati e gli emigrati che sono tornati hanno preferito stanziarsi nella fascia costiera.
La nuova immigrazione, in compenso, ha un po’ bilanciato il calo naturale: la popolazione marchigiana, infatti, da decenni non aumentava più e stava rapidamente ‘invecchiando’, come in tutte le aree più sviluppate dal punto di vista sociale ed economico.
La discesa della popolazione verso il mare non ha cancellato le testimonianze del passato urbano delle Marche, terra ricca di città: talmente numerose e ben distribuite, che nessuna è riuscita a imporsi sulle altre come centro decisamente più importante.
Da una parte abbiamo i capoluoghi (tra i quali certo spicca Ancona, capoluogo regionale e città più popolosa, ma con appena 100.000 abitanti) e altre città dalla tradizione urbana antica o medievale (molte furono liberi comuni). Tra queste, Fermo è stata di recente promossa a capoluogo di provincia; Urbino, splendida capitale del Montefeltro, ha appena 15.000 abitanti: e, se non fosse per la sua storia, per l’antica università e per la bellezza architettonica, qualcuno la potrebbe considerare poco più che un paese.
Dall’altra parte, abbiamo molti dei centri già nominati e altri, come Fano, Senigallia, Jesi, Osimo, Castelfidardo, Recanati, sul mare o nell’immediato entroterra, a volte popolosi; o come Sassoferrato, Fabriano, Cingoli, Matelica, Camerino, Tolentino, nell’interno, che in alcuni casi hanno appena qualche migliaio di abitanti, ma conservano tradizioni urbane, monumenti e grande importanza locale.
E, scendendo nella graduatoria per popolazione, troviamo altri centri minori che ebbero funzioni urbane notevoli, come Novafeltria, Urbania, Fossombrone, Pergola, solo per fare pochi esempi nel Nord della regione: tutti centri che è molto improprio definire paesi.
La presenza così capillare di località urbane porta almeno due conseguenze principali.
La prima è evidente: la ricchezza storico-culturale delle Marche. A parte Urbino, inclusa dall’UNESCO nel patrimonio dell’umanità, l’impronta urbana si manifesta nella presenza ovunque di antichi edifici civici; nelle splendide piazze (ad Ascoli Piceno, Fermo, Visso e così via); nelle chiese (ricordiamo solo S. Ciriaco, bellissimo duomo di Ancona); nei castelli, nelle rocche, nelle torri, che difendevano i confini (San Leo, Gradara); nell’eccezionale numero di piccoli musei (oltre quelli nazionali di Urbino e Ancona), di teatri e di istituzioni, sorprendenti testimonianze della cultura di queste città. A questo va aggiunto quanto non era urbano, come gli splendidi edifici religiosi di Fiastra, Fonte Avellana, Tolentino, Loreto.
L’altra conseguenza della diffusione urbana è sociale ed economica. Il passato economico delle Marche è stato quasi solo agricolo e, sulla costa, peschereccio (importante la flotta di San Benedetto del Tronto). Tradizioni manifatturiere erano a Pesaro (ceramica), Fabriano (carta), Ancona (cantieri navali), Castelfidardo (strumenti musicali) e in pochi altri centri. L’agricoltura non era ricca, salvo dove si produceva vino e olio, ma consentiva comunque di accumulare risparmi.
I modesti capitali agricoli e le competenze artigiane fecero nascere, dagli anni Sessanta del secolo scorso, piccolissime imprese che, nelle tradizioni urbane e nello spirito civico (cooperazione, attenzione all’interesse collettivo), trovarono le condizioni per sviluppare distretti industriali (calzature, elettrodomestici, abbigliamento).
Le Marche hanno inventato uno sviluppo poco invadente e rispettoso dei valori locali. Il patrimonio non è stato sperperato: anzi, le economie locali hanno prodotto le risorse per proteggerlo; e oggi il turismo rurale e la riscoperta dei centri minori aiutano a mantenere l’equilibrio fra tradizione e progresso.