MARCHE (XXII, p. 219; App. II, 11, p. 262; III, 11, p. 28)
Tradizionale regione agricola, e come tale interessata da un forte esodo demografico, le M. da alcuni anni registrano saldi positivi passando da 1.396.965 ab., riscontrati nel censimento 1961, a 1.359.907 ab. di quindici anni dopo, valore comunque più basso di quello del 1951, quando la popolazione era di 1.364.030 ab. Nel ventennio infatti il saldo naturale di + 174.758 è stato annullato dall'emigrazione di - 178.881 unità, fenomeno che ha inciso particolarmente nel periodo 1951-61 (111.876 emigrati), riducendosi nel decennio successivo (-67.005 unità). Alla dinamica emigratoria extraregionale si è accompagnato e sovrapposto un profondo movimento interno che ha portato all'abbandono delle zone elevate per i fondovalle e, in maggior misura, per le fasce costiere.
Si calcola che nei territori facenti parte delle comunità montane interessanti 118 comuni, il calo demografico sia stato del 25%, con punte di 45%. Il resto del territorio è stato invece investito da un flusso consistente, che ha provocato, nello stesso intervallo di tempo, una crescita del 16%. In questa area, riguardante 128 comuni costieri o della bassa e media collina, i maggiori incrementi si sono verificati nei capoluoghi di provincia, in cui ora si trova inurbato oltre un quinto della popolazione regionale: il comune di Pesaro ha registrato l'incremento maggiore pari al 57%, seguito da quello di Macerata con il 38%, di Ancona con il 28% e di Ascoli con il 23%. Pertanto all'ultimo censimento le aliquote demografiche dei residenti distinte per provincia risultavano le seguenti: Pesaro 23%, Ancona 31%, Macerata 21% e Ascoli 25%. Mutate le condizioni economiche, l'esodo verso altre regioni si è ridotto, mentre si è avvertito un riflusso in senso opposto, per cui in un paio di anni gli abitanti sono saliti a 1.374.500 unità e questo nonostante che il tasso di natalità continui a diminuire (dal 14,4‰ nel 1971, al 13,7‰ nel 1972 e al 13,4‰ nel 1973) e il tasso di mortalità accenni ad aumentare (dal 9,5‰ del 1971 e 1972 al 9,9‰ del 1973). Il tasso d'incremento naturale è sceso a +3,5‰, mentre il tasso migratorio è passato a + 2,3 o/oo con un incremento complessivo di +5,8‰ (1973). Tali variazioni, cui sono andate soggette soprattutto le classi di età in condizione lavorativa (tra il 1961 e il 1971 l'indice d'invecchiamento è aumentato da 0,47 a 0,56), ha provocato trasformazioni assai cospicue nella popolazione attiva, discesa da 640.000 unità del 1951 a 513.940 del 1971, pari rispettivamente al 46,9% e al 37,8% della popolazione residente alle due date; nel 1973 gli occupati ammontavano a 535.000, cioè il 38,9% dei residenti.
Nonostante la contrazione numerica, spiegabile con l'abbandono del settore primario, la percentuale degli attivi è perciò rimasta superiore al valore medio nazionale, calcolato intorno al 35% dei residenti nel 1971, ed è migliorato ulteriormente nel corso del 1973. Un tale dato va tuttavia ridimensionato tenendo presente l'apporto ancora assai elevato degli attivi agricoli, caratterizzati per di più da anziani: un quarto di questi ha superato i 60 anni.
Tra il 1961 e il 1971 l'ambiente agricolo marchigiano ha subito i maggiori rivolgimenti e principalmente: 1) forte esodo dalla campagna alla città al ritmo di quasi −6% all'anno (1963-72), superiore al −4,5% riscontrato in sede nazionale; il fenomeno ha intaccato soprattutto la categoria dei coadiuvanti passati in 20 anni dal 67% degli addetti agricoli al 34%, quando l'aliquota dei lavoratori in proprio è salita dal 27% al 52%;
2) mutamento della conduzione aziendale con dimezzamento del numero e della superficie delle imprese mezzadrili e passaggio alla conduzione diretta del tipo noto come piccola proprietà contadina (+16% delle unità e +58% della superficie) e a quella con salariati e/o compartecipanti (+35% nel numero e +53% nella superficie);
3) diminuzione del numero di aziende, passate da 118.301 a 100.332 (−15%), e della superficie interessata, da 900.644 ha a 846.430 (−6%). Al secondo censimento dell'agricoltura la superficie agraria utilizzata è risultata di 616.519 ha, costituiti da seminativi (489.960 ha), da prati permanenti e pascoli (97.308 ha) e da coltivazioni permanenti sul resto. Nonostante la lunga tradizione contadina il settore risulta ampiamente in crisi non solo per le condizioni sociali e psicologiche in cui si trova il lavoratore della terra e la sua famiglia, ma soprattutto per il fatto che il reddito lordo per occupato è inferiore di circa la metà a quello delle altre categorie.
Per quanto riguarda il patrimonio zootecnico l'ultimo censimento registrò 418.539 capi bovini distribuiti in 55.000 aziende, con una media di 7,6 capi per azienda; tale valore scende a 5,6 nel caso della conduzione diretta del coltivatore, mentre sale a 8,4 nelle imprese mezzadrili, che dispongono del 55,6% del contingente bovino, e a 22,8 nella conduzione con salariati e/o compartecipanti. Ne risulta nel complesso una polverizzazione del fenomeno che annulla ogni competitività e giustificazione economica attuale. La distribuzione degli allevamenti vede 373.829 capi nella fascia collinare e 44.710 in quella montana; appare evidente il modesto contributo di quelle aree che per vocazione naturale sono più idonee alla zootecnia.
Un'altra attività colpita da crisi è quella della pesca, che si sviluppa in centri di antica tradizione marinara come Fano, Ancona, Porto Civitanova, San Benedetto. Ciò spiega la rilevante contrazione della quantità di pesce sbarcata, scesa tra il 1970 e il 1973 da 315.812 q, pari al 13,7% del totale nazionale, a 269.921 q, cioè il 10,4% del pescato italiano. Nel 1975 tuttavia, la produzione sbarcata è salita a 342.493 q (13,2% del paese).
Sostenuto è stato lo sviluppo industriale della regione che tra il 1961 e il 1971 ha visto un aumento del 6% delle unità locali e del 50% degli occupati. L'armatura industriale è costituita da piccole e medie imprese, di cui tre quarti possiedono meno di 100 addetti, sviluppatesi nella totale assenza di un coordinamento, favorite da notevoli disponibilità di manodopera, impiegata in produzioni che richiedevano modesta qualificazione professionale e, soprattutto, un ridotto impegno di capitali. Si spiega così la proliferazione del fenomeno, il notevole frazionamento (la dimensione media di 6 addetti nel 1971 era, però, di 4,4 nel 1961 e di 3,1 nel 1951) e la scarsa presenza di alcuni settori come il metallurgico, il meccanico, ridotto a pochissimi poli, e quello chimico. La localizzazione del fenomeno denota: a) una considerevole concentrazione territoriale, effetto di un forte potere selettivo per cui alcune aree si son trovate più favorite di altre; b) una cospicua specializzazione settoriale, per cui particolari tipi industriali hanno finito con l'individuarsi con precisi spazi regionali. Pertanto i settori industriali prevalenti sono quattro: procedendo da Nord a Sud, quelli del legno-mobilio (prov. di Pesaro) e dell'abbigliamento (province di Pesaro e Ancona), degli strumenti musicali e delle pelli-calzature (Macerata e Ascoli).
Nel censimento 1971 risultarono 27.400 unità industriali di cui il 76% costituito da manifatturiere, il 22% da edilizie, l'i % da elettriche e il resto da estrattive, ormai di ridottissima importanza (nel 1972 solo 11 avevano oltre 10 addetti per un totale di 198 operai). La manodopera di 166.300 unità è ripartita per il 79% nelle manifatturiere, per il 18% nelle edilizie e per il 2% circa nelle industrie elettriche.
A margine dello sviluppo industriale, ma anche presupposto indispensabile, sta la questione energetica. La produzione nelle M. di 643 milioni di kWh (1973), di cui un centinaio di tipo termoelettrico, è insufficiente al fabbisogno, che non viene coperto neppure con le importazioni dal Lazio, Abruzzo e Umbria.
Le attività terziarie hanno accolto circa un terzo delle 125.000 unità lavorative resesi disponibili in seguito all'abbandono delle campagne dopo il 1964, una quota cioè doppia di quella finita nell'industria. Ciò spiega l'incremento del settore, valutabile intorno al 20% degli addetti. La provincia che maggiormente ha visto espandersi la terziarizzazione è quella di Ancona; non va esclusa la coincidenza con il centro urbano più popoloso che negli ultimi tempi è diventato anche capoluogo regionale.
Il turismo, nonostante le oscillazioni che generalmente lo caratterizzano, ha ripreso la sua ascesa passando da 10.069.000 presenze del 1971 a 10.865.000 del 1975, di cui il 35% negli esercizi alberghieri e il 65% in quelli extralberghieri. L'area maggiormente investita dal flusso dei villeggianti è la provincia di Pesaro che assorbe da sola il 43,7% delle presenze; qui d'altra parte si trova più del 40% delle 29.883 camere degli esercizi alberghieri regionali. Per comprendere il fenomeno va tenuto presente che, pur non mancando premesse per vari tipi di turismo (artistico, culturale, sportivo, ecologico, agrituristico), qui si tratta pressoché totalmente di turismo balneare, concentrato nel trimestre giugno-agosto con conseguenti problemi di congestione in centri costieri abitualmente spenti.
I collegamenti marchigiani sono costituiti da un sistema a pettine con asse portante rappresentato dalle longitudinali costiere e con rami di penetrazione diretti verso il crinale appenninico. Sul litorale si affiancano la strada statale Adriatica, la ferrovia Milano-Lecce, a cui si è aggiunta recentemente l'autostrada A 14 (Bologna-Taranto). L'importanza di tale fascio di comunicazioni viene accresciuta dalla sua coincidenza con il sistema portuale (Pesaro, Fano, Ancona, San Benedetto; ad Ancona nel 1975 si ebbero, tra arrivi e partenze, 195.977 passeggeri e 4,8 milioni di t di merci) e con l'aeroporto internazionale di Falconara. Le valli trasversali sono risalite da strade statali, alcune delle quali ripetono, con anacronistiche peculiarità, il percorso delle antiche consolari romane. Tra i rinnovi vanno segnalati il tratto di Flaminia tra Fano e Fossombrone, sostituito con una superstrada, e la strada statale Vallesina, pressoché completamente rinnovata nel tracciato, sostituito da lunghi viadotti e gallerie, sì da permettere un rapido collegamento tra Ancona e il valico di Fossato di Vico e di qui con Foligno-Roma. Con lo scopo d'irrorare economicamente le aree interne sono in corso di progettazione altri due assi stradali longitudinali, posti a distanza differenziata, e paralleli alla costa: la Pedemontana Appenninica e la Medio Collinare.
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Archeologia. - Dopo l'ultima guerra mondiale nuovi scavi e numerose, interessanti scoperte si segnalano nelle Marche. Un giacimento del Paleolitico Inferiore si rinvenne alle pendici del Monte Conero (Ancona); altri, a Ponte di Pietra presso Arcevia, nella Grotta del Prete presso Pianello di Genga, nella Grotta dell'Abbondanza, sono riferibili alla fine del Paleolitico Superiore. Recentissimo il ritrovamento a Gagliole di due giacimenti del Paleolitico Medio e del Paleolitico Superiore. Insediamenti neolitici sono testimoniati da resti di capanne (Attiggio di Fabriano), spesso con il piano scavato nel terreno (Donatelli di Genga, Pianacci di Genga, Santa Maria in Selva di Treia, Ripabianca di Monterado e Maddalena di Muccia); si nota in questo periodo la lavorazione dell'osso, la presenza dell'ossidiana, la varietà della ceramica che documenta contatti con le culture di Fiorano, di Ripoli e della Lagozza.
La cultura eneolitica è affine a quella di Rinaldone e del Gaudo. Tra le scoperte più interessanti è eccezionale quella di un grandioso fossato a Conelle di Arcevia (profondo m 8, largo superiormente m 7) che era stato scavato a difesa di un insediamento. Si segnalano inoltre i recenti rinvenimenti di tombe eneolitiche a Recanati, a Loreto, a Camerano. Il materiale ceramico è molto ricco; frequenti sono le armi di pietra, tra cui le punte di freccia, le tipiche asce-martello e le teste di mazza forate.
Durante l'età del Bronzo è ampiamente attestata la civiltà appenninica, legata a un'economia pastorale e all'uso della transumanza. Si conoscono insediamenti in grotta (Grotta di Frasassi, Grotta dei Baffoni, Grotta del Mezzogiorno, Grotta del Grano) e all'aperto (Spineto di Genga, Monte Santa Croce di Sassoferrato, Massignano di Ancona, Santa Paolina di Filottrano, Bachero di Cingoli). Sono caratteristici di questa civiltà i manufatti connessi alla lavorazione del latte (quali per es. i "bollitoi") e la ceramica riccamente decorata a motivi geometrici incisi.
Della fase protovillanoviana importanti resti di abitato si sono ritrovati ad Ancona sul colle dei Cappuccini, a Monte Croce Guardia di Arcevia, mentre eccezionale finora è il ritrovamento della necropoli di Fermo, databile all'8° secolo a.C., con tombe a incinerazione di tipo villanoviano. Se rari sono tuttora i ritrovamenti di abitati piceni (Numana, Osimo, Pollenza, Pitino di San Severino), frequenti e notevoli sono quelli di necropoli. Nella necropoli di Numana sono numerosissime le tombe a inumazione con corredi ricchi di bronzi, di ceramica locale e importata, databili dal 7° al 4° secolo a.C. (vi si è rinvenuta inoltre una tomba a pozzetto di tipo villanoviano databile al 9° secolo a.C.); notevoli le tombe di Moie di Pollenza con sepolture a circolo dell'8°-7° secolo; eccezionali i corredi delle tombe a fossa di Pitino di San Severino, dove, oltre alla tipica ceramica, ai vasi attici, agli argenti, ai numerosi bronzi (armi, onnamenti, dischi, situle, vasellame, ecc.) si è trovato un uovo di struzzo con decorazioni incise e aggiunte in lamina d'oro, ricco materiale d'avorio lavorato, tra cui una pisside con fasce a disegni zoomorfi a rilievo. Lo studio approfondito del materiale rinvenuto nelle tombe galliche a Trivio di Serra S. Quirico e a Moscano di Fabriano, in relazione a quello dei vecchi scavi, potrebbe chiarire alcuni dei problemi connessi con la civiltà gallica nelle Marche.
Per quanto si riferisce all'età ellenistica, interessanti tombe e alcune stele funerarie sono venute in luce ad Ancona, integrando il panorama già noto da precedenti ritrovamenti e riproponendo lo studio dei rapporti culturali e commerciali di Ancona in quest'epoca. A questo stesso periodo appartengono le fondazioni in tufo di un tempio rinvenuto, sempre ad Ancona, sotto la Cattedrale di S. Ciriaco.
In provincia di Ascoli Piceno, a Monterinaldo è stato scoperto un santuario ellenistico-italico, databile tra il 3° e il 1° secolo a.C., con un portico a colonne doriche e ioniche, resti del tempio e terracotte architettoniche di varie fasi, particolarmente importanti per lo studio della coroplastica, finora nota dal fregio di Civitalba. Tra i ritrovamenti più interessanti di età romana si segnala il gruppo frammentario di statue e cavalli di bronzo dorato rinvenuto a Cartoceto di Pergola e datato a epoca giulio-claudia. Abbastanza rare altre sculture: alcuni ritratti marmorei; alcuni bronzetti; una serie di blocchi architettonici con varie decorazioni a rilievo da Villa Potenza. Ad Ancona, in seguito alle ricostruzioni del dopoguerra, sono venuti alla luce un edificio termale, una domus con affreschi di secondo stile, un mosaico policromo con testa di Oceano probabilmente del 3° secolo d.C., mentre recentemente, durante i restauri di Santa Maria della Piazza, si sono scoperti alcuni mosaici del pavimento più antico della chiesa inferiore e resti delle mura repubblicane simili a tratti rinvenuti in precedenza. Analogamente sono state rinvenute case con pavimenti musivi a Fano (2° secolo d. C.) e ad Ascoli Piceno nell'area del Palazzo di Giustizia (2°-3° secolo d. C.). Altri pavimenti a mosaico sono venuti in luce sporadicamente a Cantiano, Pesaro, San Vittore di Cingoli, Matelica, Camerino, Madonna del Piano di Pergola.
Con scavi sistematici a Sentinum. si è scoperta parte della città romana; a Urbs Salvia si sono resi visibili il teatro e l'anfiteatro; ritrovamenti sporadici a Helvia Ricina non servono che a una conoscenza parziale della città romana. Qui si è rinvenuto, inoltre, un tesoretto di denari repubblicani; un altro è stato recuperato presso Fermo; la minima parte di un terzo tesoretto, sempre di denari, si è trovata a Morrovalle. Oltre al ritrovamento di tombe sporadiche, lo scavo di alcune necropoli ha fornito dati, anche se piuttosto esigui, sull'instrumentum domesticum: la necropoli di Portorecanati, riferibile alla colonia di Potentia, con suppellettile piuttosto povera, databile tra il 3° secolo a. C. e il 4° secolo d. C.; parte della necropoli romana di Urbino (1°-3° secolo d. C.); alcune tombe di Fano sulla Via Flaminia (2°-3° secolo d. C.); parte della necropoli di Falerio.
Vedi tav. f. t.
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