MARCHE
(XXII, p. 219; App. II, II, p. 262; III, II, p. 28; IV, II, p. 387)
Popolazione. - Nel ventennio 1971-91 la popolazione regionale ha ripreso a crescere passando da 1.359.907 ab. a 1.429.205. L'incremento medio regionale (5,1% nel ventennio) è stato assai più elevato nella provincia di Pesaro (+6,1%) che altrove (Ancona +4,9%, Ascoli +5,7%, Macerata +3,2%), quasi a ribadire il persistere di una differenziazione antica tra la parte settentrionale (dove la regione si tinge di romagnolo) e quella centrale e picena. Per quanto riguarda i comuni delle città capoluogo, Pesaro è passata da 84.719 ab. a 88.713 (ma erano 90.147 nel 1981), facendo registrare il maggiore incremento; Macerata si è mantenuta sostanzialmente stabile (rispettivamente 43.537 e 43.040 ab.), mentre in decremento risultano i comuni di Ascoli Piceno (55.217 ab. e 53.591) e soprattutto di Ancona (109.789 ab. contro i 101.285 del 1991). In particolare, l'incremento demografico regionale, dopo il censimento del 1981, subisce comunque un cospicuo rallentamento a causa del crollo della natalità e al conseguente saldo naturale negativo, sicché la modesta crescita va attribuita unicamente al saldo migratorio positivo.
Che la transizione agli anni Ottanta fosse distinta da nuove dinamiche emigratorie è confermato dal ridursi, sia pur moderatamente, della popolazione urbana nei capoluoghi rispetto agli altri centri: questa nel 1991 scende al 19,9% mentre venti anni prima era il 21,6%. In ciò vanno letti anche il ridursi della capacità polarizzatrice dei centri maggiori e l'esaurirsi della spinta espulsiva dell'entroterra: gli spostamenti di residenza si sono ridotti di numero e di raggio, mentre dalle regioni meta di antica emigrazione vanno aumentando i rientri che proseguono negli anni successivi (nei primi dieci mesi del 1992, per es., il saldo emigratorio è di 4579 unità). Nel decennio 1971-81, i 45 comuni montani hanno perso il 4,4% della popolazione (ma nel decennio precedente il decremento era stato di oltre il 18%) che va per lo più a beneficio dei centri più dinamici del fondovalle.
Condizioni economiche. − Le forze di lavoro della regione costituivano, secondo le stime ISTAT del 1992, il 51,6% della popolazione complessiva, valore superiore sia alla media italiana (49,9%), sia a quella delle regioni dell'Italia settentrionale (51,4%), a testimonianza di una notevole vivacità economica che, tuttavia, non è in grado di assorbire la manodopera complessivamente disponibile. Sensibile è, infatti, la dimensione raggiunta dalla disoccupazione, anche in conseguenza della recessione economica degli anni 1992-93, che ha colpito in modo particolare le imprese di medie e piccole dimensioni, ossia la parte preponderante del tessuto produttivo delle Marche. Ancora elevata è l'incidenza dell'agricoltura (9,7% delle forze di lavoro contro una media nazionale pari all'8,4%), e superiori alla media italiana sono pure le forze di lavoro occupate nell'industria (35,4% per le M. contro il 31,4% della media italiana).
La contrazione degli addetti in agricoltura rilevata dalla statistica, in una regione a forte diffusione del part-time, è indubbiamente inferiore al reale, e la crescente meccanizzazione (oltre 130.000 macchine) va letta, da un lato, come conseguenza di una maggiore propensione all'investimento e all'affermazione di vaste aziende (di alcune centinaia di ha) a struttura capitalistica, e dall'altro, come necessità per la miriade di piccoli poderi, condotti da anziani, dove i lavori più impegnativi vengono effettuati, nel breve weekend o nel periodo di ferie, dai figli, per lo più operai nell'industria o impegnati nel terziario. In quanto alla localizzazione di questi due tipi di imprese, la prima predilige il piano e la bassa collina e la seconda trova la maggiore diffusione sull'alta collina interna e, talora, sulla montagna.
Nonostante la tendenza alla ristrutturazione aziendale, cui almeno in parte si deve la diminuzione del numero delle aziende (−13,3% tra il 2° e il 3° censimento dell'agricoltura, −6% tra il 3° e il 4°), la superficie agricola utilizzata è notevolmente diminuita (rispettivamente dell'11,7% e del 3,4%). La montagna risulta l'area maggiormente penalizzata e qui la contrazione numerica delle aziende è piuttosto frutto dell'abbandono che del riaccorpamento. Questo processo, in aggiunta a scelte di politica agricola comunitaria non sempre favorevoli, ha prodotto negativi riflessi sul patrimonio bovino che si è più che dimezzato (−56,5%) nel periodo 1970-82 ed è ulteriormente sceso nell'intervallo tra i due ultimi censimenti dell'agricoltura (−36,5%), lasciando vuoti e inutilizzati i numerosi capannoni, costruiti con finanziamento statale, e in abbandono pascoli della montagna e dell'alta collina. Una diminuzione più contenuta ha registrato anche la zootecnia suinicola soprattutto per la scomparsa del piccolo allevamento domestico e del venir meno dell'economia di sussistenza. Di qui anche il ripiego sulle monocolture cerealicole (frumento, mais, sorgo, orzo e avena), su quelle industriali (soprattutto barbabietola da zucchero, girasole, soia e, di recente, il tabacco), sulla viticoltura e olivicoltura, nonché sul frutteto (peschi, meli, peri e noci) e sull'orticoltura (cavolfiori, finocchi, pomodori, ecc.) che trova vantaggio nell'adozione di semplici ed economiche strutture per la coltivazione in serra.
Infine, accanto all'accorpamento di aziende e alla trasformazione di piccoli conduttori diretti in impresari agricoli, vanno ricordati numerosi esempi di cooperative di produzione e di servizio che sembrano testimoniare una volontà di ripresa agricola soprattutto nelle aree fin qui meno favorite dell'entroterra e della montagna.
La presenza di porti con antica tradizione marinara (Fano, Ancona, Civitanova, San Benedetto) rende la pesca una risorsa importante, nonostante i noti problemi dell'Adriatico (eutrofizzazione, inquinamento, eccesso di pesca, ecc.). All'inizio degli anni Novanta la produzione di pescato (pesci, molluschi e crostacei) è di 421.800 q, pari al 59,9% di quella dell'Italia centrale e al 12,5% di quella nazionale. Accanto alla tradizionale pesca a strascico, per la cattura di specie pregiate di fondale, si è diffusa anche la pesca di specie pelagiche (alici, sarde, sgombri) di cui un buon quantitativo viene venduto a industrie straniere. La l. 41 del 1982, che prevede la riorganizzazione dell'attività ittica sia sul piano tecnologico che su quello ecologico, commerciale e cooperativistico, non ha prodotto sensibili risultati, nonostante che l'ammodernamento dei natanti, il ricorso a sofisticate strumentazioni e la contrazione del periodo di permanenza in mare abbiano prodotto maggiore reddito e migliori condizioni di vita per il pescatore.
Lo sviluppo industriale, su basi per lo più di piccole e medie unità, non ha annullato l'artigianato che continua ad avere un ruolo nelle M., ravvivando tradizioni del passato (lavorazione del rame e del ferro) accanto a nuove attività. Il numero delle imprese artigianali si è stabilizzato su 50.000 ed è per lo più formato da imprese individuali (ma talora sotto forma societaria e di cooperativa). Esso ha rappresentato il primo passo verso l'industria che nelle M. ha assunto le note tipologie della piccola impresa su base familiare, con modesti capitali iniziali, integrazione con attività tradizionali e lavoro a domicilio, deverticalizzazione produttiva, sviluppo della monoproduzione e assemblaggio finale. Questo modello, che nella sua prima articolazione era distinto da bassa tecnologia e subordinazione rispetto alle grandi industrie del Settentrione, ha subito un'ulteriore evoluzione portando all'ascesa di imprese che hanno saputo diversificare la produzione di articoli appartenenti a uno stesso settore (elettrodomestici per la cucina, per il bagno) e realizzare fabbriche medio-piccole che s'integrano nel tessuto sociale ed economico dell'entroterra. Se le ridotte dimensioni hanno costituito una delle chiavi di successo di un modello di sviluppo che ormai si è diffuso lungo tutto il versante adriatico, dal Veneto alla Puglia (via adriatica allo sviluppo), in vista di una più completa integrazione europea si sta passando alla ristrutturazione in senso globale degli impianti e delle imprese, sebbene questa riconosciuta necessità di coagulazione produttiva e d'internazionalizzazione sembri scontrarsi con l'anima regionale, ancora sostanzialmente prudente nei confronti di nuove strategie, ma anche con le strutture industriali e del marketing troppo minute (salvo rari casi) per affrontare processi a più ampia scala.
La localizzazione industriale vede il mobilio e una fitta rete di piccole industrie a esso collegata, nel Pesarese; il Fanese è distinto dall'abbigliamento e dalla maglieria con propaggine, per quanto riguarda il settore dei jeans, nell'alta Valle del Metauro (Urbania, Sant'Angelo in Vado e Mercatello): a Fano comunque si trovano cantieri specializzati nella costruzione di pescherecci e di imbarcazioni da diporto. L'Anconetano possiede tre aree principali: quella presso il porto, dominata dai Cantieri navali riuniti e, a Falconara, dalla raffineria dell'API; quella dei piani della Baraccola, ai piedi del nuovo quartiere di Brecce Bianche; e quella di Jesi-Monsano. Il Fabrianese, assai più che dalla famosa cartiera, è connotato dal complesso Ariston-Merloni, cui si deve la fiorente vitalità economica dell'alta Vallesina e delle aree contermini. Il Recanatese, con la vicina Castelfidardo, è la sede dell'elettronica musicale e il Fermano-Civitanovese è l'area delle calzature. A parte i poli interni di Tolentino e San Severino, carattere di asse industriale ha da tempo assunto la Valle del Tronto, tra Ascoli e Porto d'Ascoli. Industrie disperse e isolate si trovano un po' ovunque nell'entroterra, favorite dalla moderata tecnologia come nel caso del mobile, delle calzature e dell'abbigliamento. Di diverso peso e importanza il cementificio (presente ora solo a Castelraimondo giacché i complessi di Senigallia e di Porto Recanati hanno sospeso l'attività), il settore meccanico (Pesaro e Urbino) e, tra le industrie alimentari, lo zuccherificio di Fano, e con ben più moderni e grandiosi stabilimenti, quelli di Fermo e Jesi. L'industria estrattiva si limita alle cave di inerti fluviali che sono ora regolamentate da provvedimenti regionali e che hanno interessato le vallate fino a ridosso dei rilievi appenninici; questi sono stati intaccati da cave per pietrisco minuto e per massi da utilizzare per le scogliere frangiflutto a protezione di una costa sottoposta a forte erosione.
Alla metà degli anni Ottanta le industrie risultano di poco inferiori alle 45.000 unità con netta prevalenza di quelle impegnate nell'edilizia (14.700), seguite dalle calzaturiere-abbigliamento (9.900), dalle industrie meccaniche (6.000) e da quelle del legno (4.700).
Col moltiplicarsi dell'attività produttiva e col diversificarsi delle funzioni sociali, nonché con l'aumentata domanda di beni di consumo e di servizi, il processo di terziarizzazione ha subito un cospicuo impulso: le banche hanno aperto nuovi sportelli denunciando una più forte mobilità territoriale mentre stanno attivando processi di fusione; il settore dei servizi sociali è in fase di riorganizzazione con potenziamento delle strutture poste nelle aree di maggiore concentrazione demografica; il turismo, pur nei suoi connotati di organizzazione estiva e per famiglie, costituisce un'attività importante che si dilata su un retroterra assai vario e ricco di emergenze culturali e ambientali; la rete commerciale all'ingrosso e al dettaglio ha intensificato il processo di concentrazione e di ridistribuzione dei punti di vendita, attivando nuove direttrici di flusso per merci e persone; in aumento è l'attività dei trasporti sia ferroviari, sia stradali, aerei (dall'aeroporto Raffaello Sanzio di Falconara il traffico di passeggeri è di circa 74.000 unità) e marittimi, soprattutto per il porto di Ancona. Qui, dopo lo spostamento del terminale da parte di alcune compagnie verso altri porti, il numero di containers si è stabilizzato sulle 18.500 unità. Le merci manipolate riguardano cereali, metalli, legname, prodotti chimici e, inoltre, mangimi, carbone, fertilizzanti e semi oleosi. Il traffico passeggeri (193.000 imbarcati e 172.000 sbarcati) sembra suscettibile d'incremento in seguito all'intensificazione dei collegamenti con la Iugoslavia e la Grecia.
Come conseguenza di una sfavorevole congiuntura internazionale il turismo straniero (per lo più tedesco, ma anche svizzero, inglese, francese e austriaco) sembra in via di ridimensionamento rispetto a quello nazionale (nel 1990, 178.816 stranieri contro 1.135.520 Italiani) e comunque prevalentemente concentrato sulle spiagge pesaresi. In lieve incremento sono tuttavia le presenze e l'utilizzazione di esercizi alberghieri (1109 unità da 5 a 2 stelle), per lo più lungo la costa o nelle immediate adiacenze, il che farebbe prevedere una tendenza che, se confermata, sarebbe di cospicua importanza.
La bilancia commerciale delle M. è distinta da saldi positivi. Il 50% in valore monetario delle esportazioni è costituito da prodotti del cuoio, tessile e abbigliamento, e il 25% da quelli metalmeccanici; a distanza seguono i settori del legno, carta e gomma. In importazione sono, per circa un terzo, i prodotti energetici, seguiti da quelli agricoli e, quindi, del legno, carta e gomma, prodotti alimentari, metalmeccanici, del cuoio e dell'abbigliamento.
La viabilità, dopo la costruzione dell'autostrada A14, non ha subito sensibili modificazioni nei tracciati costieri, mentre è stata ammodernata lungo le valli, la cui parte terminale è percorsa da scorrevoli superstrade. Ma il collegamento veloce con la Toscana, attraverso l'alta Valle del Metauro, è ancora lontano dal completamento e l'auspicata pedemontana resta un progetto per ora sulla carta. La ferrovia Roma-Ancona è in fase di raddoppio, ma limitatamente ai tratti privi di accidentalità geomorfologiche, e questo non basterà a porre rimedio all'obsolescenza del tracciato e delle infrastrutture fisse, con conseguenti penosi ritardi e lunghi tempi di percorrenza. Soppressi sono stati i rami ferroviari interni a eccezione della Civitanova-Pergola che si annoda alla Roma-Ancona a Fabriano. Le sedi universitarie tradizionali, Urbino, Macerata e Camerino, sono ormai affiancate da quella di Ancona che, accanto alle facoltà di Economia e Commercio e di Medicina, sta avviando quelle di Agraria e di Biologia marina.
Bibl.: V. Balloni, La direttrice adriatica allo sviluppo industriale del Mezzogiorno. Prime osservazioni sulle tendenze demografiche e sulle strutture produttive delle Marche, in Economia Marche, 6 (1979); M.L. Scarin, Forme collettive residuali di utilizzazione della terra, Macerata 1979; B. Egidi, Il ruolo delle Marche nel commercio estero, in Studi Urbinati, serie BB 1, 56 (1983); Famiglia e mercato del lavoro in un'economia periferica, a cura di M. Paci, Milano 1983; P. Persi, Per uno studio geografico delle Marche, Urbino 1984; F. Bronzini, P. Jacobelli, Il modello produttivo diffuso nelle Marche: caratteri territoriali e tendenze evolutive, in Economia Marche, 2 (1985); G. Ferrante, Le aree interne dell'Ascolano: condizioni per il recupero, in Riconversione e recupero della collina interna e della montagna marchigiana, a cura di P. Persi, Urbino 1986; G. Vaciago, Innovazioni finanziarie e banche locali, in Prisma, 2 (1986); A. Melelli, Verso una politica di riassetto territoriale della collina interna e della montagna marchigiana, in Riconversione e recupero ..., cit., Urbino 1986; P. Persi, Les structures laitières et fromagères des Marches. Approche géographique, Caen 1987; Id., Dall'ambiente naturale allo spazio organizzato: la viabilità delle Marche nel tempo, in Atti Deput. St. Patria per le Marche, 1987; Id., Profilo geografico delle Marche, in La Geografia nelle Scuole, Verona 1987; G. De Rita, Lo sviluppo umbro-marchigiano verso gli anni 90, in Economia Marche, 1988; F. Merloni, Il processo di internazionalizzazione d'impresa: il Gruppo Merloni termo-sanitari, ibid.; M.A. Bertini, Marche. Industria diffusa e terziario emergente, in I sistemi locali delle regioni italiane (1970-85), a cura di P. Landini e F. Salvatori, Soc. Geogr. Ital., 43, Roma 1989.
Preistoria e protostoria. - Nell'ultimo quindicennio molti scavi e nuovi studi hanno continuato ad arricchire il quadro della preistoria marchigiana. Per il Paleolitico sono ora meglio documentati i ripetuti mutamenti ambientali, anche per l'antistante regione in seguito sommersa dal Mare Adriatico. La conoscenza degli aspetti culturali resta, tuttavia, essenzialmente legata alla caratterizzazione delle industrie litiche, continuando invece a mancare reperti scheletrici umani. La possibile attribuzione di alcuni manufatti alle prime industrie su ciottolo italiane non è finora comprovata da dati stratigrafici. Il primo documento certo di presenza umana rimane, così, il deposito archeologico alla base della stratigrafia rilevata negli anni Sessanta presso la cima del Monte Cònero. Tale deposito, che ultimamente si tende a riferire al periodo della glaciazione alpina di Mindel (500-350.000 anni fa), restituì un'industria dell'Acheuleano antico non iniziale. La stessa stratigrafia, poi, proseguiva mostrando, ormai alle soglie della glaciazione würmiana, il compiuto sopravvento di un'industria litica di tecnica e facies levalloisiana, che, con varianti tipologiche di significato solo in parte cronologico, è attestata da sempre più numerosi rinvenimenti in tutta la regione.
Ricca e varia, ma in prevalenza circoscritta al triangolo Arcevia-Serra San Quirico-Fabriano, è la documentazione relativa al Paleolitico Superiore. Con date al C14 scaglionate tra 20.000 e 10.000 anni fa, essa permette di seguire, a partire dai livelli gravettiani finali della stazione all'aperto di Ponte di Pietra, tutto lo sviluppo della successiva facies epigravettiana attraverso il sito all'aperto di Fosso Mergaoni, Cava Romita, Grotta della Ferrovia (o dell'Abbondanza) e Grotta del Prete. In alcuni di questi scavi si sono identificate aree di lavorazione della selce e piani di frequentazione o d'abitazione con buche di palo e di focolare. Da Grotta della Ferrovia provengono, invece, ciottoli con decorazione a tacche e a motivi geometrici incisi, che interessano la sfera delle attività artistiche, cognitive e di calcolo.
Mentre per il Mesolitico l'unico giacimento segnalato resta quello di Lucciano, già alla metà del 6° millennio a.C. il Neolitico è attestato in una località interna come Maddalena di Muccia con una facies a ceramica impressa, ma con industria litica ed economia di sussistenza ancora sostanzialmente di tipo mesolitico. Le nuove scoperte hanno riguardato soprattutto gli orizzonti neolitici più recenti, documentando a Villa Panezia e a Fontenoce una facies di matrice meridionale con alcune anse di tipo Serra d'Alto e notevole incidenza di ceramica dello stile di Diana (presente, questa, fino in Romagna). Cronologicamente tale facies sembra interporsi fra quelle esemplificate dai già noti insediamenti di Ripabianca e di Santa Maria in Selva, delle quali vale a bilanciare, insieme alla più generale diffusione dell'ossidiana liparese e a rarissimi frammenti di figulina dipinta, i legami con gli ambiti padani rispettivamente di Fiorano e della Lagozza.
L'articolato insieme delle facies archeologiche eneolitiche, che intorno al 3° millennio a.C. mostrano le prime tracce di un'attività metallurgica anche locale (Cava Giacometti), attende ancora di essere compiutamente ricomposto nei suoi fondamentali lineamenti geografici e cronologici. Una certa continuità di vita rispetto all'ultimo Neolitico può riconoscersi sia nella parte montana della provincia di Ancona (Attiggio, Berbentina, Cava Giacometti, ecc.) che nel distretto gravitante attorno al Monte Cònero (Camerano e, meno direttamente, Fontenoce). Di questi due comprensori, però, l'uno si caratterizza per la presenza di tombe per lo più a grotticella e con oggetti di corredo di tipologia rinaldoniana (Fontenoce, Recanati-Via Duomo, Loreto, Camerano, Vescovara e Monticello dei Frati), mentre l'altro registra nel villaggio fortificato di Conelle la sostituzione della facies omonima, con vasi di forma askoide e a bande punteggiate, a quella più antica con ceramica a decorazioni plastiche applicate. Una serie di siti con ceramica a squame, segnalati un po' in tutte le M. (Ancona, Castelfidardo, Collecchio, Offida, Cervidone, Fossombrone, ecc.), e qualche sconfinamento di elementi del Bicchiere Campaniforme nelle valli del Marecchia (Monte Ceti) e del Metauro (Ca' Balzano) complicano ancora il quadro del periodo, ormai alle soglie dell'età del Bronzo.
Questa nuova età, che supera entrambi gli estremi del 2° millennio a.C., vede il succedersi di facies archeologiche diverse, di cui quella appenninica, con insediamenti di recente scoperta anche a Castel di Lame, Monte Urano e altrove, è ora ristretta al solo 14° secolo a.C., mentre le più antiche, note sia da vecchi scavi (Ancarano, Grotte del Mezzogiorno, del Carbone e dei Baffoni) che da rinvenimenti degli ultimi anni (Ancona, Forcella, Castel di Lame, ecc.), sono ancora poco documentate. Importanti ripostigli di bronzi, emblematicamente collocati poco dopo l'inizio (Acquaviva, Fermignano, Ripatransone) e alla fine del periodo (Monte Primo e Marsia), testimoniano di una metallurgia anche localmente (panelle enee di Offida) in forte sviluppo e sempre più inserita, accanto alle altre attività artigianali e di sussistenza (agricoltura e allevamento), nell'economia produttiva di comunità ormai socialmente stratificate in modo irreversibile. In questo quadro la decisa incidenza della pastorizia, osservata per es. a Grotta del Mezzogiorno, rappresenta un fatto non solo cronologicamente delimitato, ma anche geograficamente circoscritto a sedi submontane di frequentazione secondaria od occasionale.
Almeno a partire dalla tarda età del Bronzo (13° secolo a.C.) sia presso la costa, dove presto giungono dal Sud rari vasi micenei (Treazzano e Montagnolo), sia lungo i principali assi vallivi, diventano sempre più frequenti abitati come quello subappenninico di Cortine di Fabriano. Qui, in una favorevole posizione di fondovalle, in seguito insistentemente rioccupata, le tracce di grandi capanne rettangolari denotano condizioni sociali ed economiche di relativa stabilità e sicurezza, le stesse che rendono possibili concomitanti e più estesi processi di graduale selezione degli insediamenti e di concentrazione del popolamento. Tali fenomeni proseguono nell'età del Bronzo Finale, caratterizzata dalla facies protovillanoviana della necropoli a incinerazione di Pianello e degli abitati di Monte Croce Guardia e di Ancona, e si manifestano anche con casi di continuità insediativa di varia durata e consistenza fino alla prima età del Ferro (Pollenza, Casale Superiore) e ancora oltre (Ancona e Numana).
Durante l'età del Ferro (9°-3° secolo a.C.) due sono le facies archeologiche attestate nelle M., la Civiltà Picena e quella attribuita ai Galli Senoni. La prima, che interessa più o meno largamente anche le regioni finitime e che corrisponde a una realtà paleoitalica ben più ampia e complessa di quella dei Piceni storici (o Picentes), si articola in sette fasi cronologiche principali, di cui solo l'ultima è parallela allo svolgimento della facies gallica. Anche se indizi di uno sviluppo più avanzato sembrano scorgersi a Numana e, forse, anche in altri centri similmente favoriti da speciali condizioni storiche e ambientali, un carattere complessivamente non urbano deve ritenersi comune all'intera civiltà picena, come provano sia la fitta rete di piccoli insediamenti rilevata nell'Ascolano sia gli scavi condotti negli abitati (in particolare sul colle di Montedoro presso la foce del Cesano). Tale carattere non è contraddetto dall'uso della scrittura, che a partire dal 6° secolo a.C., sia a sud (iscrizioni sudpicene) sia a nord (iscrizioni di Novilara), fu marginale e sporadico, prerogativa in ogni caso di pochissimi individui. La ricchezza variamente profusa nei corredi funerari delle numerose necropoli a inumazione riflette comportamenti rituali (ed economici) che anche attorno al 5° secolo a.C., quando una forte importazione di vasi attici s'incontra con un significativo afflusso di bronzi votivi e altri prodotti etruschi, continuano sostanzialmente a dipendere dagli usi insorti nel 7° secolo a.C., presso le barbariche aristocrazie indigene (tombe di Fabriano e di Pitino), al contatto con i centri di cultura orientalizzante del Lazio e dell'Etruria.
A un guerriero gallico d'alto rango appartiene la tomba isolata di Moscano, posteriore di pochi decenni all'incursione di Brenno su Roma e alla quale fanno seguito alcune necropoli (Filottrano, Osimo, Serra San Quirico, Piobbico, Cagli e Montefortino), attribuite ai Senoni non solo per la presenza di armi e altri oggetti di tipo celtico, ma in genere anche per la ricchezza dei corredi. Questi, infatti, in contrasto con la crescente sobrietà e uniformità dei contemporanei corredi piceni di Camerano, Numana e Ancona, si rifanno piuttosto al precedente uso locale, analogamente a come la pratica celtica del mercenariato (fonte non secondaria dei beni riposti nelle sepolture) si sovrappone alle attività belliche e di rapina già alla base della civiltà picena. Per il resto, in un contesto regionale che durante il 4° secolo a.C. è ravvivato anche ad Ancona dalla presenza di coloni siracusani e dall'edificazione nel medesimo centro di un tempio greco, le modalità e le conseguenze dell'inserimento dei Senoni, nonché la stessa più precisa composizione etnica delle loro comunità (probabilmente mai del tutto pure) rimangono ancora in larga misura indeterminate, sia per la mancata esplorazione di qualcuno degli abitati corrispondenti alle necropoli maggiori sia per la rarefatta e squilibrata distribuzione sul territorio della documentazione relativa all'ultima fase della civiltà picena. Vedi tav. f.t.
Bibl.: Oltre alle opere d'interesse sovraregionale, ai notiziari della Rivista di Scienze Preistoriche e di Studi Etruschi e agli importanti contributi editi nei periodici marchigiani Le Marche archeologia storia territorio (dal 1987), Nuovi studi fanesi (dal 1986), Picus (dal 1981), Studia Oliveriana (n.s. dal 1981) e Studi Maceratesi: D.G. Lollini, Sintesi della civiltà picena, in Jadranska Obala u Protohistoriji. Kulturni i Etnički Problemi (Simpozij održan u Dubrovniku od 19 do X 1972), Zagabria 1976, p. 117 ss.; G. Baldelli, Tomba con vasi attici da Monte Giove presso Fano, in Archeologia Classica, 29 (1977), p. 277 ss.; U. Moscatelli, Il problema dell'urbanizzazione nell'area della civiltà del ferro picena: proposta per una diversa valutazione di fatti già noti, ibid., p. 191 ss.; M. Coltorti, B. Sala, Resti fossili nella Gola di Frasassi, in Natura e montagna, 1 (marzo 1978), p. 27 ss.; L. Mercando e altri, in I Galli e l'Italia. Catalogo della Mostra, Roma 1978, p. 163 ss.; M. 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Archeologia. - La presenza gallica, più che da nuovi rinvenimenti, per altro limitati a fatti episodici e locali, acquista contorni sempre più definiti in base allo studio di importanti siti quali Montefortino d'Arcevia, Numana, Serra San Quirico e al riesame critico di rilevanti complessi quali, per es., il fregio di Civitalba. All'epoca ellenistica sono attribuibili alcune tombe di via Cardeto e via Matteotti in Ancona e strutture in blocchi di arenaria nell'area dell'anfiteatro della stessa città che, già nel secolo scorso, aveva restituito la nota necropoli con gli argenti e i letti funebri in osso e in bronzo.
Il completamento e la revisione del restauro del gruppo equestre da Cartoceto (v. in questa Appendice) rendono ora possibili ricerche più approfondite sulla ritrattistica, sulla tecnica metallurgica e sulla doratura delle statue bronzee. Una statua femminile arcaizzante in marmo è stata rinvenuta a Forum Sempronii, dove sono ripresi con regolarità gli scavi di una domus con impianto termale e della zona del foro, caratterizzato da strade basolate. Altre statue marmoree provengono da Potentia, nell'area del tempio circondato da un ampio porticato. La città di Suasa ha restituito una domus con mosaici, (1°-4° secolo d.C.) una statua femminile e un ritratto di Augusto; nell'anfiteatro sono stati identificati una praecinctio, il podio e il livello dell'arena.
La pittura, dopo le isolate testimonianze di Ancona, mostra esempi di più ampio respiro quali il fregio con scene di lotta di animali e maschere lunari riconducibile al cosiddetto terzo stile pompeiano nel criptoportico di Urbs Salvia, dal quale provengono anche un ritratto femminile e uno maschile della prima età imperiale; l'edificio ipogeo circonda il tempio dedicato alla Salus Augusta. Lungo la costa, nei pressi di Cupramarittima, sono venuti alla luce vani con pareti decorate a riquadri, tarsie marmoree e nicchie rivestite di conchiglie, probabilmente piccoli ninfei. A Sentinum lo scavo, ulteriormente ampliato, ha permesso d'identificare un quartiere industriale per la lavorazione dei metalli e dei vetri: vasellame e lastre per finestra; nell'area suburbana è situata una villa con peristilio e pavimenti in opus sectile. A Septempeda prosegue il restauro e lo scavo delle mura in blocchi di arenaria databili alla fine del 1° secolo a.C., delle terme e di un impianto artigianale per la produzione di vasellame in terra sigillata.
I frequenti lavori edilizi che interessano i centri storici di Ancona e Ascoli Piceno hanno aumentato in ambedue le città le conoscenze sulle caratteristiche urbanistiche in epoca romana. In Ancona sono stati rinvenuti un'ampia area archeologica con strutture databili fra il periodo repubblicano e quello paleocristiano (via Menicucci), una necropoli e un quartiere artigianale (piazza Stamira), tabernae con mosaici e tracce di affreschi (via Carducci), resti di una domus con mosaici (corso Mazzini). In Ascoli Piceno sono stati probabilmente identificati un'area attigua al forum (piazza del Popolo) e un tratto del decumanus (corso Mazzini) e sono ripresi i saggi e il restauro del teatro romano. Nel palazzo Panichi ha trovato sede il Museo archeologico dove, oltre ai materiali statali, sono esposti la collezione civica e alcuni mosaici rinvenuti in ambito cittadino (domus del palazzo di Giustizia) e nel territorio (Falerone). A Urbino, presso la Galleria nazionale delle M., è stato aperto il Museo lapidario dove sono state risistemate le oltre quattrocento iscrizioni delle raccolte Fabretti e Stoppani, smontate durante la guerra, insieme a varie urnette, cippi e are.
Nuovi allestimenti, con acquisizione di materiali provenienti dai rispettivi territori, presentano vari musei civici come quelli di Ripatransone, Fano, Iesi, Sassoferrato, Camerino, San Severino, Falerone, Fermo. Consistenti testimonianze della colonia marittima di Sena Gallica, una delle prime dedotte lungo l'Adriatico subito dopo la battaglia del Sentinum (295 a.C.), stanno venendo alla luce nel centro storico di Senigallia; in particolare due tratti di strade basolate che s'incrociano ad angolo retto. Mosaici policromi caratterizzano due vani di notevoli dimensioni a Matelica.
La presenza, la frequentazione, i commerci in età romana, oltre che dallo studio dei centri più importanti, trovano puntuali e continui riscontri nelle frequenti segnalazioni, nei saggi e negli scavi che vengono praticati nelle varie zone delle M. e che consentono di delineare un fitto tessuto di fattorie e insediamenti rustici spesso dotati di una complessa serie di servizi, quali specifiche attrezzature per la conservazione, lavorazione e trasformazione dei prodotti agricoli nonché per la realizzazione di oggetti artigianali, per la produzione della ceramica, del vetro e degli utensili metallici. Tali insediamenti, che compaiono già nel 2° secolo a.C., si sviluppano e s'intensificano nella prima età imperiale non solo lungo le direttrici viarie verso l'interno, ma anche su quelle secondarie, costituendo una vera e propria rete di collegamento con le città, i villaggi, le stazioni di posta tipiche di un territorio completamente romanizzato e pacificato. Ulteriore indizio di questa frequentazione estremamente sparsa e frammentata sono i rinvenimenti di tombe praticamente isolate o riunite in gruppi limitati, caratterizzate da scarsissimo corredo. Indicative sono in particolare le testimonianze nell'alta valle del Foglia, in quella del Metauro, nell'entroterra di Ancona, lungo il Potenza, il Tenna e il Tronto, in relazione con le rispettive centuriazioni. Solo in questi ultimi anni è stata intrapresa una verifica dei rinvenimenti subacquei attestati, fra l'altro, dai recuperi di anfore e di ancore, purtroppo non ricollegabili a relitti sommersi, se si esclude la nave romana adagiata sul fondale antistante Falconara Marittima. Vedi tav. f.t.
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Arte. - La complessa realtà del patrimonio artistico marchigiano, che mostra caratteri di assoluta autonomia nella sua capillare diffusione sul territorio e nel variegato intrecciarsi dei diversi apporti culturali, è stata oggetto negli ultimi decenni di importanti analisi e studi che hanno condotto a una conoscenza, e a un'attenzione, sempre maggiore verso situazioni, personalità, monumenti. Parallelamente all'accrescersi delle conoscenze si è fortemente sviluppato l'interesse per la conservazione e la valorizzazione dei beni culturali. Si è assistito così a un incremento abbastanza generalizzato sia di operazioni culturali − da pubblicazioni a mostre e convegni − sia di interventi volti al recupero dell'ingente patrimonio mobile e immobile.
Grande impegno era stato profuso, all'indomani del secondo conflitto mondiale, in una prima fase di operazioni destinate innanzitutto ai monumenti danneggiati nel corso delle azioni belliche: se in generale la situazione della regione non risultava tra le più compromesse, si dovevano comunque registrare le vaste distruzioni del centro di Ancona, il crollo di un'ala del Museo Civico di Pesaro (le cui opere furono tuttavia salvate), i danni notevoli alla Villa Imperiale nei pressi della medesima città. Era stata di fondamentale importanza − eroica nel contesto in cui ebbe luogo − l'azione del soprintendente di Urbino, P. Rotondi, il quale aveva nascosto e salvato, distribuiti tra i sotterranei del Palazzo Ducale di Urbino e la Rocca di Sassocorvaro, i capolavori della Galleria di Urbino, delle Gallerie dell'Accademia di Venezia, della Galleria Borghese di Roma, la Pala d'oro di San Marco.
È soprattutto dagli anni Settanta che il dibattito diventa più intenso: agli organismi statali preposti alla tutela − gli uffici periferici del ministero per i Beni culturali e ambientali, ossia le soprintendenze archeologica, per i Beni ambientali e architettonici (con sede ad Ancona), per i Beni artistici e storici (a Urbino), con l'aggiunta della soprintendenza archivistica (ad Ancona) − si sono affiancate le strutture della Regione M., che si è data lo strumento giuridico in merito alla gestione del patrimonio regionale di pertinenza mediante la L.R. 30 dicembre 1974 n. 53 e la nascita del Centro per i Beni culturali. La Regione M. ha svolto importante attività legislativa in merito al patrimonio bibliografico − nel territorio sono stati censiti, nelle numerose biblioteche di enti locali, religiosi e private, 4.000.000 di volumi con un rapporto di 3 per abitante − e in merito alle strutture museali. Queste, tra pubbliche e private, ammontano a 154. Si tratta di un dato che mette in luce la particolare situazione delle M., al secondo posto in Italia per densità di musei in rapporto alla popolazione.
I musei e le pinacoteche hanno visto nel complesso una fase di notevole impulso, soprattutto dall'inizio degli anni Ottanta: dalla riapertura nel 1988 del Museo nazionale archeologico di Ancona (chiuso dopo i danni del terremoto del 1973) con un nuovo allestimento, alla risistemazione di numerosi istituti, come la Pinacoteca di Ascoli Piceno o il Palazzo Apostolico di Loreto, e di musei minori come quelli di Senigallia e di Jesi, all'apertura di strutture particolari come la Quadreria Cesarini di Fossombrone. Sono sorti anche numerosi musei della civiltà contadina (Senigallia, Piandimeleto, ecc.).
Particolarmente rilevante il ruolo della Galleria Nazionale delle M., la cui sede, il Palazzo Ducale di Urbino, costituisce uno dei monumenti più noti del Rinascimento italiano: sono aumentate in modo rilevante le aree espositive e importanti acquisizioni di opere d'arte marchigiane (tra cui alcune tavole di artisti marchigiani del 15° secolo, già di proprietà Cini, o i dipinti della Donazione Volponi) hanno incrementato le collezioni. Dopo il clamoroso furto del 1975 delle opere di Piero della Francesca e di Raffaello, e il successivo recupero, la Galleria ha avuto un nuovo ordinamento secondo criteri moderni, curato dal soprintendente P. Dal Poggetto.
Il Palazzo Ducale di Urbino è stato oggetto di imponenti lavori di restauro che hanno portato al recupero e alla fruizione di parti dell'edificio antecedentemente ignorate, come gli ambienti cinquecenteschi del secondo piano, la biblioteca di Federico da Montefeltro, il giardino pensile, i cosiddetti ''sotterranei'' con gli impianti tecnologici che servivano i blocchi delle stalle, delle lavanderie, delle cucine e il bagno del Duca. Il fondamentale studio di P. Rotondi (1950) è stato integrato dalle ricerche compiute in occasione dei recenti restauri, confluite in una mostra (Urbino 1985) e nella pubblicazione di M. L. Polichetti (1985). La città di Urbino, la cui struttura urbana è fortemente connessa con l'impianto del Palazzo Ducale, ha precocemente recepito la necessità di disciplinare lo sviluppo urbano in sintonia con le sue stratificazioni, e, fin dal 1965 − dal piano regolatore di G. De Carlo, successivamente aggiornato con gli interventi di L. Benevolo − ha potuto usufruire di uno strumento urbanistico che ha pianificato la costruzione delle nuove aree in rapporto al nucleo urbano. La legge speciale n. 124 del 23 febbraio 1968, più volte rifinanziata, ha permesso la conservazione e il recupero di vaste aree del centro storico.
Sono stati oggetto di restauro numerosi monumenti: dalle strutture militari − rocche e fortificazioni sono ampiamente diffuse sul territorio − come le rocche di San Leo, di Sassocorvaro, di Gradara, di Senigallia (tutte aperte al pubblico), ai teatri − anch'essi diffusi capillarmente sul territorio, un'altra peculiarità della regione − ai luoghi religiosi. Sono oggetto di interventi costanti il complesso di San Nicola da Tolentino (edifici e pitture murali) e la Basilica di Loreto, uno dei massimi centri della cristianità, che ha subito vari interventi di consolidamento (cupola e mura) e di restauro delle decorazioni (di particolare interesse quello recente delle porte bronzee). Costante, pur nell'esiguità delle risorse, l'azione di restauro verso le cosiddette opere d'arte mobili: particolarmente intensa in una prima fase verso manufatti medievali e rinascimentali (si veda in particolare il catalogo della mostra del 1973 a Urbino, curata da P. Torriti); ampliata in tempi più recenti, in consonanza con i nuovi interessi culturali, verso le testimonianze dei secoli successivi.
S'intrecciano strettamente ai temi della tutela, costituendone la necessaria base, le problematiche più specifiche della cultura marchigiana: alla pubblicazione di importanti testi si è affiancata l'azione divulgatrice di numerose mostre e convegni, soprattutto negli anni più recenti.
Hanno contribuito ad ampliare il panorama culturale le grandi iniziative espositive che hanno toccato tutto il tessuto regionale: da Lorenzo Lotto nelle Marche. Il suo tempo, il suo influsso (Ancona 1981), a Urbino e le Marche prima e dopo Raffaello (Urbino 1983), a Piero e Urbino. Piero e le corti rinascimentali (ivi 1992), alle mostre monografiche dedicate al Sassoferrato (Sassoferrato 1989) e a Cola dell'Amatrice (Ascoli Piceno 1991). Particolarmente indagata la cultura artistica tra Cinquecento e Seicento, in un momento in cui, tra morente Rinascimento e ideologia controriformata, la situazione delle M. diventa esemplare: dalla mostra di Urbino del 1979, Pittura nelle Marche tra Cinquecento e Seicento, ad Andrea Lilli e la pittura nelle Marche tra Cinquecento e Seicento (Ancona 1985), a Le arti nelle Marche al tempo di Sisto V (Ascoli Piceno 1992).
Un'altra rilevante fonte di nuove conoscenze è costituita da una nutrita serie di convegni che, nel corso degli anni, hanno illuminato aspetti vari della cultura e della società marchigiana, con importanti apporti anche storico-artistici: dal convegno sull'architettura nelle M. (1965) a quelli, di scadenza annuale, su tematiche varie, promossi dal Centro studi maceratese, a quelli su Federico da Montefeltro (Urbino 1982), sull'antichità nelle M. (Pesaro 1989), su Ciriaco d'Ancona (1991), su Sisto v.
La Scuola del libro e l'Istituto superiore di arti grafiche di Urbino costituiscono un terreno di formazione assai qualificato sui temi della grafica e del design. Nell'ambito della grafica è stato oggetto di notevole interesse l'esperimento dell'amministrazione comunale di Pesaro che, dall'inizio degli anni Settanta, ha elaborato, su ideazione del grafico M. Dolcini, una linea omogenea sui temi dell'informazione di ''pubblica utilità'' (mostre di Pesaro, 1985, e di Parigi, 1988). Dal 1989 è ripresa l'attività del Premio Marche (che aveva avuto prestigiose adesioni tra il 1956 e il 1967), dedicato alla produzione di artisti contemporanei. Le M. del resto sono state − e sono tuttora − terra di nascita e di elezione per artisti come O. Licini, cui è stata dedicata un'importante mostra ad Ascoli Piceno nel 1988, P. Fazzini, i più giovani V. Trubbiani, E. Cucchi ed E. Mattiacci, per non dimenticare la lunga dimestichezza di Arnaldo e Giò Pomodoro, C. Cagli, O. Tamburi.
Bibl.: Tra le numerosissime pubblicazioni si ricordano, per la loro valenza o progettuale o di sintesi: la ristampa, a cura della Regione M., dei 31 volumi delle Antichità Picene, raccolte da G. Colucci nella seconda metà del 18° secolo; la Pittura nelle Marche (4 voll., Firenze 1988-91) di P. Zampetti, che ripercorre con un vasto apparato fotografico e bibliografico tutta la storia della pittura nella regione. A P. Zampetti va ascritto il merito, attraverso i numerosi studi svolti nell'arco di un quarantennio, dalla mostra del 1950 ad Ancona (La pittura veneta nelle Marche), di aver individuato le specificità di momenti e personalità nell'ambito della cultura marchigiana, collocandone le problematiche nel quadro più vasto della situazione italiana: dalle tematiche connesse alla nascita del gotico cortese, all'identificazione delle scuole locali, alla ricostruzione delle figure del Boccati, di Girolamo di Giovanni, dei Salimbeni, di Carlo Crivelli, di Lorenzo Lotto nella sua attività marchigiana. Anche F. Zeri ha fornito aperture e puntualizzazioni con le sue pubblicazioni, tra le quali si ricorda in particolare Due dipinti, la filologia, un nome, Torino 1961. La rivista Notizie da Palazzo Albani, edita dall'Istituto di Storia dell'arte dell'università di Urbino, le cui pubblicazioni sono iniziate nel 1972, dedica ampio spazio alle ricerche di ambito marchigiano; meritoria attività in tal senso continua a essere svolta da istituzioni ''storiche'' come la Deputazioni di Storia Patria per le M. e l'Accademia marchigiana di scienze, lettere ed arti. V. inoltre, in particolare sul Palazzo Ducale di Urbino, P. Rotondi, Il palazzo ducale di Urbino, Urbino 1950; Il palazzo di Federico. Restauri e ricerche, a cura di M. L. Polichetti, ivi 1985.
Tutela dei beni architettonici. - È necessario attendere la metà degli anni Sessanta per assistere a un'organica e programmata campagna di tutela dei beni architettonici. Dopo aver effettuato controlli, e relative schedature, della situazione generale dello stato di conservazione anche nei centri minori della regione, si è dato inizio a numerosi interventi di restauro. La Soprintendenza ai monumenti ha cercato di finalizzare i restauri non solo alla conservazione dell'edificio − con l'adozione di nuove e avanzate tecnologie, come l'uso del cemento armato che va sempre più affermandosi a partire dagli anni Sessanta − ma anche alla sua valorizzazione e alla sua intellegibilità, mediante un'attenta ricerca storico-critica.
A tale proposito vanno segnalati, tra i numerosi interventi realizzati in quegli anni, i restauri al campanile e alla cattedrale di Fano (1965-69), alla chiesa di S. Caterina a Fermo (1967), al Palazzo Ducale di Urbino, dov'è stato possibile affrontare, grazie alla legge speciale n. 124 del 23 febbraio 1968, un'imponente e programmata opera di consolidamento. Sempre a Urbino sono stati restaurati la chiesa di S. Domenico, la chiesa e il convento di S. Francesco, il Palazzo Odasi, la chiesa di S. Girolamo e quella di S. Donato.
Inoltre, fra i restauri più significativi, eseguiti con fondi ordinari del ministero P.I., si segnalano quelli del castello Brancaleoni di Piobbico, della Rocca Ubaldinesca di Sassocorvaro e di quella Roveresca di Senigallia, dell'ex convento di S. Lucia di Fabriano, del Palazzo Bosdari e dell'ex convento di S. Francesco ad Alto di Ancona; ad Ascoli Piceno sono da segnalare i lavori di consolidamento al Palazzo Panichi e il complesso restauro del Palazzo del Popolo, nonché quello delle chiese di S. Vittore e di S. Angelo Magno; a San Severino Marche, oltre al totale restauro del teatro Feronia, sono stati restaurati il Palazzo Tacchi Venturi e la chiesa di S. Domenico.
Dopo il terremoto del 1972, che ha interessato Ancona e le zone limitrofe, oltre alle province di Ascoli Piceno e Macerata, si resero necessari importanti interventi di restauro, condotti sotto il controllo della Soprintendenza per i Beni architettonici e ambientali delle M., per i quali sono state applicate le più recenti tecniche antisismiche, con metodi e mezzi tra i più avanzati. I più notevoli sono: ad Ancona il consolidamento del campanile e della cattedrale di S. Ciriaco eseguito tra il 1973 e il 1979, di Palazzo Ferretti oggi sede del Museo archeologico nazionale delle M., delle chiese di S. Maria della Piazza e di S. Pellegrino; a Camerino del Palazzo Ducale dei Varano, attuale sede dell'università, il cui restauro è stato realizzato in due tempi tra il 1976 e il 1978, e della Torre del Parco (1979-80).
In questi ultimi anni, altri interventi sono il restauro conservativo delle facciate e l'adeguamento strutturale e funzionale di tre palazzi di rilevante interesse storico-artistico: Palazzo Lazzarini, Palazzo Silvestri e Palazzo Mozzi, adibiti a sede della filiale di Macerata della Banca d'Italia, e quello del Palazzo del Popolo di Ancona, sede del Comune e della Camera di commercio.
Tutela dei beni ambientali. − La progettazione per consentire alla Regione M. di adempiere agli obblighi della l. 431 del 1985 (legge Galasso) è iniziata nel giugno 1986 con la formazione di un gruppo operativo costituito da consulenti territoriali, esperti in materia di legislazione e specialisti nei principali ambiti tematici (geologico, botanico, storico) interessanti la formazione di un Piano Paesistico-Ambientale Regionale (PPAR). È stato necessario adottare un apposito provvedimento regionale, la l. 26 dell'8 giugno 1987, che precisa i caratteri, i contenuti e le procedure del piano paesistico-ambientale, inquadrandolo nel più generale assetto giuridico della pianificazione territoriale regionale. In tale quadro il piano definisce preliminarmente i futuri processi di pianificazione del territorio, da quello regionale a quelli sovracomunali e comunali. Con delibera della Giunta regionale del 13 luglio 1987 il piano è stato adottato e, dopo successive modifiche, approvato con delibera del 3 novembre 1989 dal Consiglio regionale.
Il piano promuove l'istituzione di parchi naturali regionali e riconosce carattere prioritario alla costituzione di quelli dei Monti Sibillini, Monti della Laga, Monti Catria e Monte Cucco, Monte Conero; promuove inoltre l'istituzione di riserve naturali, quali Valle Scappuccia, Gola di Frasassi, Serre di Burano, Falesie del S. Bartolo, Gola della Rossa, Selva di Castelfidardo, Piani di Montelago e le foreste demaniali, che si aggiungono alle riserve di Abbadia di Fiastra e Torricchio, già istituite; promuove inoltre l'istituzione di parchi storico-culturali come Abbadia di Fiastra e di parchi archeologici quali Suasa, Cupramarittima e Faleria.
L'operazione avviata con il PPAR si rivolge a una realtà tanto compromessa da rendere complessa la riqualificazione ambientale, anche in vista di un incremento consistente del turismo che è, fra le industrie trainanti della regione, quella maggiormente sviluppabile. Vedi tav. f.t.
Bibl.: Primo convegno sui beni culturali e ambientali delle Marche (Numana 8-18 maggio 1981), a cura di E. Paleani, Roma 1982; G. Scriboni, S. Dierna, A. Formanelli, La pianificazione paesaggistica e ambientale nelle Marche, Ancona 1990.