QUINTILIANO, Marco Fabio (M. Fabius Quintilianus)
Nacque, secondo ciò che gli antichi tramnandano e che pare ormai non suscettibile di ulteriori dubbî, a Calagurris (l'odierna Calahorra) nella Spagna Tarraconese fra il 35 e il 40 d. C. e fu condotto a Roma giovinetto, forse ancora bambino, dal padre che era retore. Quando ebbe compiuti gli studî sotto la guida particolarmente del grammatico Remmio Palemone e del retore e avvocato Domizio Afro, ritornò nel 59 in patria, e quivi assai probabilmente cominciò a segnalarsi come patrono e maestro. Nel 68 Galba, creato imperatore dalle legioni di Spagna, lo ricondusse con sé a Roma dove egli esercitò con nobiltà l'avvocatura e aprì una scuola privata di oratoria, che nel 74 fu convertita in scuola pubblica. Così Q. fu il primo professore di eloquenza stipendiato sui fondi dello stato, onore che gli venne conferito da Vespasiano e al quale si aggiunse più tardi quello della dignità consolare. Per venti anni, come dice egli stesso (I, proem., 1), attese all'insegnamento, senza trascurare la sua attività come oratore giudiziario, anzi acquistando anche in questa molta fama, poiché Marziale (II, 90, 1 segg.) lo saluta gloria della romana toga oltreché insigne moderatore della irrequieta gioventù, e Q. stesso accenna a tre orazioni (IV, 1, 19; VII, 2, 24; IX, 2, 73) fra le molte che dovette pronunziare. Ne pubblicò una sola, e questa, come egli confessa, per giovanile desiderio di gloria: delle altre pubblicate a scopo di lucro da stenografi poco coscienziosi, come pure di due libri Artis rhetoricae messi insieme parimenti su appunti stenografici e divulgati dallo zelo affettuoso ma inconsiderato dei giovani suoi uditori (I, proem., 7), egli rifiuta la paternità.
Le esagerazioni del nuovo stile, che nelle declamazioni troppo concedeva ai lenocinî della forma e troppo poco al vigore dei concetti, lo portarono a trattare de causis corruptae eloquentiae in uno scritto che andò perduto e che pare sia stato composto fra l'87 e l'89 oppure nel 92. Aveva cominciato a comporlo, quando gli fu rapito dalla morte il minore de' suoi figli (VI proem., 3). Dagli accenni di Q. stesso si desume ch'egli si soffermava sulla storia delle scuole di retorica con le loro esercitazioni le quali, fondate dapprima sulla discussione di cose reali, e conformate nell'argomentazione alle norme dei dialettici, erano poi state portate, a cominciare dall'epoca di Demetrio Falereo, nel campo del fantastico ed erano venute sempre più perdendo la coesione con la vita. Tra i classici estremi e i modernisti a oltranza egli riconosceva la necessità dell'evoluzione nell'eloquenza, intesa alla lotta e alla vittoria e quindi portata per sua natura ad assumere forme diverse col variare dei gusti a seconda dei tempi e dei luoghi e anche del giudizio e scopo individuale, ma combatteva gli eccessi e i vizî di quella che a lui appariva oratio corrupta. Così questo scritto di Q., che era stato preceduto dalla caricatura petroniana del pathos innaturale e del vacuo tintinnio della frase nelle declamazioni, fu a sua volta il precursore del Dialogo di Tacito che, considerando la questione come storico, allargava il terreno di essa a tutto il campo della cultura e nelle condizioni morali e politiche dell'età scorgeva un ostacolo insormontabile al rifiorire dell'eloquenza, mentre Q. pensava che questa potesse risorgere con l'aiuto della famiglia e della scuola, particolarmente di una saggia scuola di oratoria. E con questa fede, dopo un'attività di vent'anni quale maestro, si accinse, per insistenza degli amici, alla Institutio oratoria, proponendosi non già una trattazione limitata alla speciale tecnica oratoria, ma, secondo una concezione appena abbozzata, a quanto pare, da Plinio il Vecchio nel suo Studiosus, un corso di educazione del futuro oratore a cominciare dai primi studî dell'infanzia sino alla completa formazione di esso mediante l'apprendimento di tutte le arti che gli possono giovare a divenire perfetto nell'eloquenza. Consacrò all'opera poco più che un biennio, tra l'89 (o 90) e il 92 oppure tra il 93 e l'autunno del 95, e per le sollecitazioni dell'editore Trifone la diede alla luce nel 93, o nel 96 prima della morte di Domiziano che gli aveva conferito il consolato e poi, quando egli stava terminando il quarto libro della Institutio (IV, proem., 1 segg.), gli aveva affidato l'educazione dei due nipoti di sua sorella Domitilla, destinati a succedere nel trono. Il trattato abbraccia, secondo la divisione fatta dall'autore stesso (I, proem., 21 segg.), nel I libro ciò che precede l'opera del retore, precisamente l'educazione del fanciullo sin da bambino e l'istruzione elementare con lo studio della grammatica, della lingua, dell'ortografia, delle discipline costituenti l'ἐγκύκλιος; nel II libro la scelta del precettore e il metodo da seguire nell'insegnamento, i progimnasmi della retorica, la necessità, l'essenza, il fine e la materia di essa. Col terzo libro, dopo un proemio che riassume la storia delle dottrine retoriche e dei loro maestri in Grecia e in Roma, s'inizia la trattazione tecnica, la quale si estende sino a tutto il libro XI, svolgendo la dottrina dell'inventio e della dispositio nei libri III-VII, quella della elocutio, della memoria e della pronumiatio ave actio nei successivi VIII-XI. Il XII, ormai esaurita l'ars, svolge la metodologia per quanto concerne le qualità naturali dell'oratore e la sua cultura filosofica, giuridica e storica, e infine le norme pratiche ch'egli deve seguire nell'esercizio dell'avvocatura e le occupazioni degne di lui dopo il ritiro. Così il trattato svolge le singole parti della doctrina dicendi nel modo più compiuto e vuole essere insieme un libro che segni la via verso un ideale di educazione in cui la teoria s'intreccia con la pratica e la formazione dello spirito non ha importanza minore di quella della mente e della facoltà oratoria. Il compito dell'avvocato vi è elevato a missione altamente civile e umana, e la perfezione morale deve essere presupposto indispensabile della perfezione oratoria, in conformità della definizione catoniana dell'oratore vir bonus dicendi peritus e in armonia con la dottrina stoica, secondo la quale la retorica era la scienza del parlar bene e s'immedesimava con la virtù e la moralità. E l'influsso della dottrina stoica, attraverso le opere di Cicerone e di Seneca e anche lo studio degli stoici antichi, si ravvisa in molti particolari del trattato che rispondeva appieno all'importanza della retorica in Roma come informatrice dell'educazione e dell'istruzione e, completando l'opera di Cicerone, dava alle vedute sull'arte del dire una vera e propria forma didattica e precettistica, senza però attribuire ai precetti stessi un valore generale assoluto, e senza legarsi in particolare a nessuno dei maestri e degl'indirizzi antichi e recenti coscienziosamente studiati e vagliati. All'opera che vuol essere non una costruzione nuova nel senso della teoria ma uno svolgimento di tutta la tecnica, nutrito più o meno direttamente di fonti greche e in comunione più immediata con le fonti latine, specialmente con Cicerone, e aiutato dal giudizio e dall'esperienza personale, Q. sa dare veste adatta, spogliando di ogni aridità i precetti e avvivandone l'esposizione con la forma non scevra di sforzo e di libertà sintattiche ma senza affettazione e con la ricchezza degli esempî, delle osservazioni, degli aneddoti e dei ricordi. E accanto al trattatista di retorica desta non minore simpatia l'educatore che, ponendo a base dell'istruzione l'educazione e toccando con fine intelligenza psicologica una serie di problemi attinenti ad esse, dà l'unica trattazione sistematica di pedagogia che l'antichità ci abbia tramandato. Anche in questa parte si rileva il giudizio sicuro di uno spirito equilibrato che, insieme con la profondità del sapere e con un fine senso filosofico e pratico, fa della Institutio un insigne monumento della sapienza e dottrina antica.
Nel Medioevo la Institutio oratoria era letta comunemente in un testo mutilo: un Quintiliano intero era noto in Francia prima del 1396, ma la diffusione della conoscenza del testo completo fu dovuta all'esemplare scoperto da Poggio a S. Gallo nel 1416 e di cui restano apografi più o meno diretti, come dell'altro esemplare scoperto dallo stesso Poggio nell'anno successivo. Per la costituzione del testo sono fondamentali il codice Bernese 351 del sec. X (Bn) lacunoso e l'Ambrosiano E 153 del sec. XI (A) completo in origine ma ora mancante dell'ultima parte (dal lib. IX, 4, 135 al lib. XII, 11, 22), che è supplita dal Bambergese M 4, 14 del sec. X (Bg): oltre a questi vi sono numerosi altri codici meritevoli di considerazione.
Copiose furono le edizioni dell'Institutio oratoria, dalle due romane di Gio. Ant. Campano e di Gio. Andrea del 1470 a quelle critiche di P. Burmann (Leida 1720), di G. L. Spalding (Lipsia 1798-1816, col "supplementum annotationis" di C. T. Zumpt, 1829, e il Lexicon Quintilianeum di E. Bonnell, 1834), di C. T. Zumpt (ivi 1831), di E. Bonnell (ivi 1854), di C. Halm (ivi 1868), di Ferd. Meister (ivi 1886-87), di Lud. Radermacher (libri I-VI, ivi 1907).
Edizioni parziali: del lib. I a cura di Ch. Fierville (Parigi 1890); del lib. X a cura di C. H. Frotscher (Lipsia 1826), Ch. G. Herzog (2ª ed., ivi 1833), G. A. Herbst (Halle 1834), E. Alberti. (ivi 1858), E. Bonnell (Berlino 1851; 6ª ed. curata da H. Röhl, 1912), G. T. A. Kru̇ger (Lipsia 1861; 3ª ed. curata da G. Krüger, 1888), C. Halm (ivi 1869), Fr. Zambaldi (2ª ed., Firenze 1883), S. Dosson (Parigi 1884), J. A. Hild (ivi 1885), F. Meister (Lipsia 1887), O. Berrini (rifatta da L. Valmaggi, Torino 1902), F. Ramorino (Milano 1893), D. Bassi (2ª ed., Torino 1899), W. Peterson (2ª ed., Oxford 1903), Arn. Beltrami (Bologna 1914), F. Calonghi (2ª ed., Milano 1912) e altri; del lib. XII a cura di Ach. Beltrami (ivi 1912) e, in unione col X, a cura di H. T. Friese (New York 1888).
Bibl.: Sulle fonti retoriche greche e latine di Q.: P. Teichert, De fontibus Quintiliani rhetoricis, Brunsberg 1884; W. Heydenreich, De Quintiliani institutionis oratoriae libro X, de Dionysii Halicarnassensis de imitatione libro II, de canone qui dicitur Alexandrino quaestiones, Erlangen 1900; Fr. Sehlmeyer, Beziehungen zwischen Quintilians Institutiones oratoriae und Ciceros rhetorischen Schriften, Münster 1912; C. Balmus, De Quintiliani fontibus graecis, Jasi 1927. Per i rapporti della Institutio con la filosofia stoica e popolare, v. H. Raubenheimer, Quintilianus quae deberee videatur stoicis popularibusque qui dicuntur philosophis, Würzburg 1911; in confronto col Dialogo di Tacito, v. Eug. Gruenwald, Quae ratio intercedere videatur inter Quintiliani Institutionem oratoriam et Taciti dialogum, Berlino 1883; A. Reuter, De Quintiliani libro qui fuit de causis corruptae eloquentiae, Breslavia 1887; R. Dienel, Quintilian und Tac. Dial., in Wiener St., XXXVII, p. 239 segg. Per i principî pedagogici, v.: G. B. Gerini, Le dottrine pedagogiche di Cicerone, Seneca, Quintiliano e Plinio il Giovine, Torino 1894; Aug. Messer, Quintilian als Didaktiker, ecc., Lipsia 1897; Jo. Loth, Die pädagogischen Gedanken der institutio oratoria Quintilians, ivi 1898; B. Appel, Das Bildungs- und Erziehungsideal Quintilians nach der Institutio oratoria, Monaco 1914; G. J. Laing, Quintilian the schoolmaster, in Class. Journ., XV, p. 515 segg.; A. Nairn, Quintilian on education, in Proc. of the class. ass., 1926, p. 22 segg.; Per il metodo di composizione, v. Ach. Beltrami, La composizione del libro duodecimo di Quintiliano, in St. it. di fil. cl., XIX (1911), p. 63 segg.; D. Bassi, Quintiliano maestro, Firenze 1929.
Le "declamationes" pseudoquintilianee.
La tradizione attribuisce a Q. anche due raccolte di Declamationes, l'una di 19 maggiori oltre a una controdeclamazione di origine medievale e ad excerpta, l'altra di 388 minori, delle quali ci sono arrivate le ultime 145: quelle con svolgimento compiuto, queste solo schizzi corredati spesso d'istruzioni (sermones) sul modo di trattare il tema e di svolgere singole parti. Le due raccolte sono tramandate separatamente: per le maggiori sono fondamentali il cod. Bambergese M IV 13 della fine del sec. X (B) e il Leidese Vossiano lat. in quarto 111 del sec. X-XI (V); per le minori il cod. di Montpellier n. 126 del sec. X (A), il Monacese n. 309 (B) e il Chigiano H VIII 262 (C) del sec. XV. I temi svolti in entrambe, anche se per i particolari del contenuto e per le modalità della trattazione variano in confronto delle Controversie e Suasorie dell'antologia di Seneca il Vecchio, però concordano con esse nella natura fantastica degli argomenti quasi tutti riferentisi a supposte controversie giudiziarie su casi ingegnosamente immaginati e atti a esercitare nell'abile presentazione delle situazioni e nell'efficacia commotiva della parola, ma non tali, per la maggior parte, da rispondere ai requisiti su cui Q. insiste, della verosimiglianza e dell'aderenza alle orazioni reali (X, 5, 1); anzi alcuni temi sono del genere ch egli espressamente condanna (II, 10, 5).
La trattazione metodica della questione intorno alla paternità di queste declamazioni fu iniziata da Costantino Ritter (1881) che distingueva le declamazioni maggiori in quattro gruppi da attribuirsi ad autori diversi e opinava che le cinque migliori fra esse (3ª, 6ª, 9ª, 12ª, 13ª) potessero ritenersi di Quintiliano o d'un suo scolaro, e quanto alle minori scorgeva in esse le reliquie delle lezioni pubblicate dagli scolari di Quintiliano, contro il volere di lui, nel maggiore dei due libri Artis rhetoricae. La distinzione in quattro gruppi fu combattuta da Cas. von Morawski, da C. Weyman, da Alb. Becker, il quale ammette probabile l'ipotesi che le declamazioni maggiori risalgano al 200 circa d. C. e suppone l'autore contemporaneo di Apuleio e di Minucio Felice. Press'a poco alla stessa epoca le assegnano C. Hammer, il quale pensa a un contemporaneo o a contemporanei di Gellio e Apuleio, e Cr. Tosato, che ravvisa nella lingua, nella grammatica e nello stile di esse i caratteri del sec. II d. C. Rispetto alle minori, la loro provenienza dalla scuola di Quintiliano fu sostenuta già da P. Aerodius nell'ed. Paris. del 1563 e trovò difensori in C. Ritter, F. Leo e altri; fu invece oppugnata da A. Trabandt, il quale, rilevando la stretta somiglianza con le controversie lasciateci da Seneca il Vecchio, suppone la progressiva formazione della raccolta nella seconda metà del sec. I d. C., da G. Fleiter e da altri. Resta pertanto l'incertezza sull'autore o sugli autori e sulla data precisa della composizione di entrambe le raccolte che, come ritiene R. Reitzenstein a riguardo delle declamazioni maggiori la cui lingua e retorica in ultima analisi ci riporterebbero alla maniera di Seneca filosofo e tragico, furono attribuite nella tradizione scolastica a Quintiliano quale massimo teorico dell'età imperiale e in parte forse risalgono all'epoca di lui.
Ediz.: Le declamazioni maggiori ebbero copiose edizioni, dalla prima completa di Giorgio Merula Alessandrino (Venezia 1481) a quella fondamentale di P. Burmann (Leida 1720) e alla recente a cura di G. Lehnert (Lipsia 1905). Anche le declamazioni minori ebbero varie edizioni, dalla ed. princeps di Taddeo Ugoleto Parmense (1494) e dalle parigine di P. Aerodius (1563) e di P. Pithoeus (1580) a quella di Cost. Ritter (Lipsia 1884).
Bibl.: Per la tradizione ms. e le questioni intorno all'età e all'autore delle declamazioni maggiori, v. specialmente C. Ritter, Die quintilianischen Declamationen: Untersuchung über Art u. Herkunft derselen, Friburgo e Tubinga 1881 (estende l'indagine anche alle declamazioni minori); C. Hammer, Beiträge zu den 19 grösseren quintilianischen Deklamationen, Monaco 1893; H. Dessauer, Die handschriftliche Grundlage der neunzehn grösseren pseudo-quintilianischen Declamationen, Lipsia 1898; A. Becker, Pseudoquintilianea: symbolae ad Quintiliani quae feruntur declamationes XIX maiores, Ludwigshafen s. R. 1904; G. Lehnert nella prefaz. alla sua edizione; R. Reitzenstein, Zu Quintilians grossen Declamationen, in Hermes, XLIII (1908), p. 104 segg., e Studien zu Quintilians grösseren Deklamationen, Strasburgo 1909. Per la critica del testo, v. anche J. Wiles, in Class. Review, 1922, p. 69 segg.; per le clausole ritmiche, v. G. Golz, Der rhythmische Satzschluss in den grösseren pseudoquintilianischen Declamationen, Kiel 1912; per la grammatica, lingua e stile, v. C. Tosato, Studio sulla grammatica e lingua delle XIX Declamazioni maggiori pseudoquintilianee, Intra 1912, e le memorie sopra citate. Per la tradizione ms. delle declamazioni minori, l'epoca della composizione e l'autore, v. C. Ritter, op. cit. e pref. all'ediz.; A. Trabandt, De minoribus quae sub nomine Quintiliani feruntur declamationibus, Greifswald 1883; G. Fleiter, id., Münster 1890; F. Leo, Quintilians kleine Deklamationen, in Nachr. der Gött. Ges. der Wissensch., philol.-hist. Kl., 1912, p. 109 segg.; Sölve Wahlén, Studia critica in Declamationes minores quae sub nomine Quintiliani feruntur, Upsala 1930.