marginalismo
Metodo di analisi basato sul principio marginalistico e, in particolare, sull’individuazione delle scelte ottime degli agenti economici attraverso il confronto tra beneficio e costo marginale (relativo all’ultima unità di produzione o consumo), nonché particolare indirizzo teorico, conosciuto come indirizzo neoclassico (➔ anche neoclassica, economia), basato sul medesimo principio e fondato da C. Menger, W.S. Jevons, M.-E.-L. Walras. A differenza della scuola classica, i marginalisti ritengono che il valore di un bene non sia dovuto solo al costo oggettivo del lavoro sostenuto per la produzione dello stesso, bensì anche all’utilità o valore d’uso soggettivo che il consumatore attribuisce al bene.
Nell’impostazione basata su tale principio, un soggetto economico decide di compiere una data azione soltanto se il sacrificio iniziale gli appare minore della soddisfazione, e persiste nell’azione fino a quando l’incremento marginale del sacrificio (➔ marginale) non supera quello della soddisfazione. Questo metodo presuppone che sia possibile dividere in parti uguali e infinitamente piccole la soddisfazione e il sacrificio, e che con il procedere dell’azione l’incremento marginale della prima si riduca e quello del secondo aumenti o non diminuisca. Per es., un’impresa incrementa la produzione finché il costo marginale di un’unità aggiuntiva non eccede il ricavo marginale, pari al prezzo del bene prodotto in concorrenza perfetta; un individuo aumenta la quantità consumata di un bene rispetto a un altro finché l’utilità marginale che ne ricava, ponderata per il prezzo (la spesa marginale) non si riduce al livello degli altri beni di consumo. In tale schema concettuale, la decisione degli agenti è ottimale quando i valori marginali delle variabili di scelta (costi e ricavi, utilità rispetto ai prezzi) sono uguali.
La corrente di pensiero chiamata economia marginalistica, conosciuta anche come scuola neoclassica (in opposizione alla scuola classica di A. Smith, D. Ricardo, J.S. Mill), è legata soprattutto all’opera di Menger, Jevons e Walras, e risale agli anni 1870. Il nuovo sistema marginalistico fu caratterizzato dalla mancanza di interesse per il fenomeno dello sviluppo economico, che era invece il grande tema delle teorie economiche di Smith, Ricardo, Marx e di tutti gli economisti classici. L’attenzione dei marginalisti si concentrò piuttosto sui problemi dell’allocazione di risorse date. Scriveva Jevons: «Il problema economico può essere formulato come segue. Dato: una certa popolazione con vari bisogni e poteri di produzione, in possesso di certe terre e di altre fonti di materia; da determinare: il modo di impiegare il lavoro meglio atto a rendere massima l’utilità del prodotto» (The theory of political economy, 1871). Nell’analisi delle condizioni che assicurano l’ottima allocazione di risorse date fra usi alternativi, il pensiero neoclassico individuò un principio di validità universale. La tendenza a estendere il modello di base a tutte le branche dell’indagine economica si andò rafforzando nel corso del 20° sec., fino a culminare nella tesi di P.A. Samuelson, secondo cui ci sarebbe un principio semplice al cuore di ogni problema economico: una funzione matematica da massimizzare sotto vincoli. Un’altra caratteristica che accomuna i 3 padri fondatori, e che resterà un pilastro del sistema teorico neoclassico, è la loro adesione all’approccio utilitarista. Il contributo teorico più importante fu rappresentato, oltre che dalla riformulazione completa e coerente della teoria del valore-utilità e dell’ipotesi di utilità marginale decrescente, dal modo in cui essi modificarono le fondamenta utilitaristiche dell’economia politica. Il loro m. accreditò una speciale versione della filosofia utilitaristica, quella per cui il comportamento umano è esclusivamente riducibile al calcolo razionale teso alla massimizzazione dell’utilità, e a tale principio fu riconosciuta validità universale. Un terzo elemento distintivo riguarda il metodo, basato sul principio delle variazioni delle proporzioni, il cosiddetto ‘principio di sostituzione’: nell’ambito della teoria del consumo si assume sostituibilità tra un paniere di beni e un altro; nell’ambito della teoria della produzione, sostituibilità tra una combinazione di fattori e un’altra. L’analisi è condotta nei termini delle possibilità alternative tra cui i soggetti, siano essi consumatori o produttori, scelgono in modo ottimale. Tale metodo presuppone che le alternative in gioco siano ‘aperte’ e che le decisioni prese siano reversibili. Una quarta caratteristica distintiva dell’approccio neoclassico riguarda gli operatori economici. Se essi devono essere soggetti capaci di effettuare scelte razionali in vista della massimizzazione di un obiettivo individuale, quale l’utilità o il profitto, devono essere al più aggregati sociali ‘minimi’ caratterizzati dall’individualità dell’unità decisionale, come le famiglie o le imprese. Così escono di scena i soggetti collettivi, le classi sociali, i ‘corpi politici’, che invece i mercantilisti, i classici e Marx avevano posto al centro dei loro sistemi. Una quinta caratteristica dell’approccio neoclassico è rappresentata dal definitivo raggiungimento di un obiettivo cui molti classici avevano spesso aspirato, ma che nessuno aveva mai realizzato completamente: l’astoricità delle leggi economiche. Assimilata l’economia alle scienze naturali, e alla fisica in particolare, le leggi economiche vengono ad assumere finalmente quel carattere assoluto e obiettivo che si attribuisce alle leggi di natura. Infine, un sesto importante elemento distintivo della teoria neoclassica consiste nella sostituzione di una teoria soggettivista del valore a quella oggettivista. Alla base del principio del valore soggettivo sta la tesi secondo cui tutti i valori sono individuali e soggettivi, nel senso che scaturiscono da un processo di scelta di un singolo individuo. L’elemento della soggettività indica che un valore è tale perché qualcuno lo sceglie per questo fine; l’elemento dell’individualità postula che deve esserci un particolare soggetto cui imputare quel fine. Viceversa, nell’opposta concezione, quella del valore oggettivo, i valori esistono indipendentemente dalle scelte individuali. Una conseguenza immediata e importante dell’approccio neoclassico alla questione del valore è che la teoria della distribuzione del reddito diventa un caso particolare della teoria del valore, un problema di determinazione dei prezzi dei servizi dei fattori produttivi, piuttosto che di ripartizione del reddito tra classi sociali.