Marino II
Come avvenuto per Marino I, in alcuni cataloghi di papi il suo nome fu mutato in quello di Martino e vi risulta, dunque, il terzo con questo nome. Questa erronea tradizione fece sì che, nel 1281, Simon de Brie divenisse papa con il nome di Martino IV, senza che vi fossero mai stati un Martino II e un Martino III.
Eletto il 30 ottobre e consacrato prima dell'11 novembre 942, M. era di origine romana, cardinale prete del titolo di S. Ciriaco. Molto scarse risultano le informazioni sulla sua vita. Certamente dovette la propria elezione all'appoggio, e forse all'imposizione, di Alberico, "princeps, patricius ac senator omnium Romanorum", che governava la città da quando, nel 932, aveva spodestato la madre Marozia, e che aveva già imposto la propria volontà nella scelta di Leone VII e di Stefano VIII. Come i suoi immediati predecessori, anche M. non ebbe la possibilità di prendere decisioni che fossero in contrasto con il volere del principe romano, tanto che il cronista Benedetto di S. Andrea del Soratte ebbe a scrivere che "non audebat adtingere aliquis extro [sic!] iussio Alberici principi [sic!]" (Chronicon XLII, p. 167). Monete del tempo di M. riportano sul recto il suo monogramma con il simbolo di s. Pietro e sul verso il nome e il titolo di Alberico.
Fra i documenti pervenuti che testimoniano la sua attività, alcuni si riferiscono a privilegi concessi a recenti fondazioni monastiche, come S. Maurizio di Magdeburgo, già beneficato dal suo predecessore Stefano VIII, o il monastero femminile di Schildesche, fondato nel 939 e ampiamente dotato nel 940 da Ottone I di Germania: alla fondatrice Marksuit, inviata dalla badessa Emma, che portava ricchi doni e la richiesta di una reliquia di s. Giovanni Battista, il papa concesse quanto richiesto, racchiudendolo in uno scrigno. Anche le antiche fondazioni ricevettero benefici. Nel febbraio 943, su richiesta dell'abate Guido di Vézelay, confermò possessi e privilegi del monastero e lo stesso fece nel mese successivo, su richiesta dell'abate Ademaro di Fulda, aggiungendo il privilegio di porre quel monastero sotto la giurisdizione diretta del papa. Un anno più tardi, nel marzo 944, M. accolse sotto la propria tutela i possessi di S. Vincenzo al Volturno e concesse all'abate Leone anche la responsabilità della direzione del monastero femminile.
Fra la primavera 943 e quella dell'anno successivo un monaco di Montecassino che si trovava a Capua dopo la distruzione del suo monastero denunciò al papa l'illecita donazione, che il vescovo di Capua Sicone aveva fatto a un diacono, della chiesa di S. Angelo in Formis, che il suo predecessore Pietro aveva donato ai monaci di s. Benedetto. La risposta di M. non si fece attendere. Sicone, al quale per altro si rivolgeva con il formale appellativo di "carissimo" (significativamente omesso però in alcuni manoscritti), era anzitutto accusato di essere stato consacrato "contra statuta canonum", di occuparsi più di affari secolari che del governo della sua chiesa, di continuare a frequentare laici poco raccomandabili e di non preoccuparsi del progresso spirituale della sua comunità. Venendo poi alla questione di S. Angelo in Formis, M. condannava la sua decisione di donare quella chiesa a un diacono "imperitus et indisciplinatus", che ne avrebbe fatto un luogo di divertimento e di ozio, contravvenendo alla decisione del suo predecessore, cui tra l'altro avrebbe dovuto serbare gratitudine per averlo riscattato dai Saraceni, di destinare quella chiesa ai monaci di Montecassino. Imponeva quindi a Sicone l'immediata restituzione di essa ai monaci, pena la scomunica, aggiungendo che egli aveva anche, con i suoi raggiri, ingannato il principe Landolfo II, che aveva acconsentito, ignaro, alla non canonica donazione. Nonostante il tono perentorio del documento, non sembra che l'ordine di M. sia stato eseguito, perché solo nel 1072 la chiesa di S. Angelo in Formis ricompare tra le dipendenze di Montecassino.
Nel gennaio 944, M. confermò all'abate Baldovino di Montecassino gli innumerevoli possessi nell'Italia centro-meridionale (e fra questi compare per la prima volta il monastero di Canneto) e svariati privilegi, tra cui il diritto di predicare, normalmente riservato al clero e negato ai monaci. Nell'estate dell'anno successivo, papa M. affidò la cura del monastero di S. Paolo fuori le Mura di Roma al medesimo Baldovino, che già ne era stato abate dopo la riforma introdottavi da Oddone di Cluny su incarico di Leone VII; e nello stesso periodo il pontefice provvide a meglio dotare il monastero romano assegnandogli alcune proprietà a Pratica di Mare e nel Grossetano.
Altri documenti di M. testimoniano il suo interesse anche verso il mondo vescovile. A Pietro IV arcivescovo di Ravenna vennero concessi privilegi e fu riconfermata la dipendenza della diocesi di Cervia come suffraganea. Nel novembre 943, su richiesta del vescovo Giovanni, vennero confermati i possessi della diocesi di Benevento, tra cui la chiesa di S. Michele Arcangelo sul Monte Gargano, e nel maggio 944 il papa concesse la residenza a Giovanni III, vescovo di Sabina, e confermò i confini della diocesi. È invece un falso il documento che attribuisce all'arcivescovo di Amburgo il diritto di ordinare vescovi: tale documento fu realizzato attorno al 1122, probabilmente con l'intenzione di riconoscere a quella diocesi tedesca inesistenti prerogative in un momento in cui, con il concordato di Worms e la provvisoria pacificazione nella lotta tra papato e Impero per le investiture ecclesiastiche, si cercavano precedenti da utilizzare come strumenti di pressione. Da un documento indirizzato da papa Agapito II nel 955 a Guglielmo di Magonza, si apprende che, forse all'inizio del 946, M. aveva nominato l'arcivescovo Federico di Magonza vicario apostolico e legato papale per i territori dell'intera Germania e della Gallia, con ampi poteri di giudizio su chierici e monaci, attribuendogli anche la prerogativa di convocare sinodi e di comminare pene. La parte dispositiva del documento di M. (oggi perduto) era probabilmente ricalcata sulle parole del privilegio già concesso allo stesso Federico nel 937 da Leone VII, che a sua volta si rifaceva esplicitamente a quanto deciso due secoli prima in favore di s. Bonifacio per l'organizzazione dell'attività missionaria nei territori germanici. La significativa novità della decisione di M. rispetto a quella di Leone VII consisteva dunque nell'estensione anche alla Gallia del vicariato apostolico dell'arcivescovo di Magonza.
M. morì all'inizio del maggio 946 e venne sepolto in S. Pietro.
fonti e bibliografia
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