Marino I
In alcuni cataloghi di papi il suo nome fu mutato in quello dell'ultimo papa martire: Martino I, e vi risulta, dunque, il secondo con questo nome. Nato a Gallese da un presbitero di nome Palumbo, entrò ben presto a far parte del clero romano. Già chierico all'età di dodici anni fu nominato suddiacono da Leone IV.
Nell'860 assistette all'arrivo a Roma dei legati del "basileus" Michele III, venuti per tentare di risolvere la contesa sulle immagini e la questione foziana (nel novembre dell'858, il patriarca di Costantinopoli Ignazio era stato deposto e relegato nell'isola di Terebinto per volontà dell'imperatore bizantino e del coreggente Bardas. Era stato poi designato successore al patriarcato, benché laico, il protospatario Fozio). Nell'862, Niccolò I lo promosse diacono e, nel novembre dell'866, lo inviò a Costantinopoli, insieme al vescovo di Ostia Donato e al presbitero Leone, per regolare la questione bulgara (v. Niccolò I, santo): Michele III e Fozio reclamavano con insistenza la tutela religiosa dei Bulgari, contrapponendosi tuttavia al disegno del re Boris di impiantare colà una Chiesa autonoma con un vertice al più alto livello, addirittura un patriarca, come accadeva a Costantinopoli. L'ambasciata fallì e M., insieme ai suoi compagni, venne fermato alla frontiera bizantina.
Nell'869 M. fu nuovamente inviato a Costantinopoli, questa volta da Adriano II, insieme a Donato vescovo di Ostia e Stefano vescovo di Nemi, per presiedere ai lavori dell'VIII concilio ecumenico, durante il quale Fozio fu deposto come illegittimo e l'unione delle due Chiese venne ristabilita (aa. 869-870; per le travagliatissime vicende dell'VIII concilio ecumenico che videro protagonista Anastasio Bibliotecario, lì presente come legato imperiale ma anche su incarico di Adriano II). Al suo ritorno venne promosso, dallo stesso pontefice, vescovo di Cere (Cerveteri). La sua familiarità con la situazione bulgara gli procurò una certa fama presso il re Boris, che lo candidò alla carica di arcivescovo di Bulgaria. Adriano II si oppose al suo trasferimento invocando proprio quella norma ecclesiastica - secondo la quale un vescovo non poteva trasferirsi (o essere trasferito) da una sede all'altra senza il consenso di una istituzione ecclesiastica che ne avesse riconosciuto l'utilità per la Chiesa - cui poco tempo prima si era appellato Niccolò I ad evitare che quella medesima sede venisse attribuita a Formoso vescovo di Porto. La norma sarà del resto infranta poco dopo, proprio in occasione dell'elezione di M. a papa.
Alcuni storici della fine del secolo scorso erano soliti attribuire a M. una terza missione in Oriente all'indomani del concilio foziano. Fozio aveva riottenuto la carica patriarcale il 23 ottobre dell'877 - Ignazio, il suo antagonista, era morto - e lo stesso Giovanni VIII, dopo lunghe esitazioni, "aveva ingoiato la pillola amara della riabilitazione di Fozio" (G. Arnaldi, La Chiesa romana secondo Giovanni VIII, p. 143) nell'aprile dell'878 in cambio - sembra - di aiuto da parte dell'imperatore bizantino per l'Italia meridionale, depredata dai Saraceni. Secondo questa ipotesi, il pontefice avrebbe inviato, nell'autunno dell'880, M. a Costantinopoli per condurre un'inchiesta sui lavori dell'VIII concilio ecumenico, dal momento che a Roma gli atti del concilio erano noti solo attraverso la traduzione fatta da Anastasio Bibliotecario per incarico di Adriano II. Al diacono sarebbe stato impedito di compiere la sua missione: Duchesne racconta che M. venne tenuto prigioniero dal patriarca bizantino per trenta giorni e che Giovanni VIII, nel febbraio dell'881, nel corso di una celebrazione solenne, lanciò un nuovo anatema contro Fozio. Si sarebbe così aperto un "secondo scisma di Fozio". Già A. Lapôtre nel 1895 e in seguito F. Dvornik e V. Grumel hanno dimostrato l'inconsistenza di questa ipotesi che vorrebbe M. ancora una volta a Costantinopoli intorno all'880 e il verificarsi di un secondo scisma foziano; i pochi documenti a sostegno di questa teoria si sono rivelati fortemente "di parte" - essendo stati prodotti negli ambienti del partito ignaziano, composto da fautori del deposto patriarca Ignazio - e avevano l'obiettivo di mostrare come tutti i papi, da Leone IV a Formoso, avessero ribadito la condanna di Fozio.
Nell'882 M. fu inviato a Napoli da Giovanni VIII, in qualità di vescovo e di "arcarius" (tesoriere) della Santa Sede, con lo scopo di porre fine all'alleanza che l'arcivescovo della città Atanasio aveva stretto con i Saraceni, pena la scomunica. Poco dopo, nel dicembre, fu assassinato Giovanni VIII. Nonostante la sua posizione irregolare (in Curia era arcidiacono e tesoriere, ma era anche vescovo di Cere), M. venne eletto e consacrato all'unanimità.
Proprio Giovanni VIII, durante il concilio di Troyes (settembre dell'878), aveva ribadito il XV canone del concilio di Nicea, che proibiva ai vescovi il passaggio da una sede all'altra. Negli Annales Fuldenses di Meginardo (ad a. 882) si dice apertamente che "Marinus, antea episcopus, contra statuta canonum subrogatus est" e poche righe dopo si narra dell'uccisione di un certo Gregorio "superista" e molto ricco, avvenuto in pieno giorno nel vestibolo di S. Pietro (indizio, forse, di una certa difficoltà nella scelta del nuovo pontefice). Nella Continuatio Ratisbonensis degli Annales Fuldenses (ad a. 883) si narra invece di M. arcidiacono: "In cuius [Iohannis] vice omni populo Romano unanimiter confortante Marinus, qui in id tempus Romano in urbe archidiaconus habebatur, ordinari compactus est" (non abbiamo purtroppo la testimonianza del Liber pontificalis poiché la biografia di M. è assente, come del resto quelle di Giovanni VIII e di Adriano III). Malgrado le circostanze "irregolari" di questa elezione, sembra che la legittimità di M. non sia mai stata contestata in Occidente, mentre senza dubbio lo fu in Oriente. È ben noto che durante i lavori dell'VIII concilio ecumenico vi fu un'interruzione di ben tre mesi tra l'ottava e la nona sessione per le accese discussioni tra il legato romano e il "basileus": M. non aveva esitato in questa occasione ad umiliare Fozio e a resistere alle ingiunzioni dell'imperatore bizantino. Questi ultimi non si lasciarono certo sfuggire l'occasione di dichiarare nulla l'elezione di un personaggio così scomodo.
Non si ha alcuna prova certa che M., dopo la sua consacrazione, avesse inviato a Costantinopoli la sinodica della presa di possesso, ma da una lettera di Stefano V (di pochi anni successiva) diretta a Basilio I, nella quale egli difende strenuamente M. dalle accuse mosse nei suoi confronti dal "basileus", si arguisce che l'imperatore e il patriarca si erano sempre rifiutati di riconoscere la legittimità di M. (in P.L., CXXIX, coll. 785-89). Era, comunque, la prima volta che un vescovo passava dalla propria diocesi alla Sede apostolica. Non si sa neanche se l'elezione sia stata approvata da qualche "missus" imperiale (come stabilito nell'824 da Lotario I nella Constitutio Romana). Rimangono di M. solamente tre epistole: una nella quale autorizzava il monastero di Solignac (diocesi di Limoges) a fortificarsi "propter persecutionem infidelium Christianitatem devastantium"; una seconda nella quale venivano confermati i privilegi dell'abbazia di Savignone (diocesi di Genova) e una terza in cui comunicava ai monaci del monastero di St-Gilles (diocesi di Nîmes) l'arrivo di un visitatore apostolico, il presbitero Amelio.
Il pontificato di M. sembra aver rappresentato per alcuni aspetti una rottura con la precedente politica di Giovanni VIII, in particolare per quanto riguarda la questione formosiana (v. Formoso). Il nuovo papa, infatti, subito dopo essere stato consacrato, autorizzò il rientro a Roma di quanti, nell'876, erano stati giudicati colpevoli di aver congiurato ai danni di Giovanni VIII e condannati all'esilio, e, inoltre, sciolse Formoso dal giuramento prestato nel già citato concilio di Troyes, durante il quale il vescovo era stato riammesso alla comunione laica a condizione che non mettesse mai più piede a Roma, neanche come pellegrino, e che non tentasse mai di riappropriarsi della propria sede vescovile. In quella occasione era stato fatto firmare a Formoso un vero e proprio impegno scritto. M., contrariamente al suo predecessore, non solo lo riaccolse a Roma ma gli restituì anche il vescovato di Porto. Durante il suo breve pontificato le principali preoccupazioni di M. furono costituite, oltre che dalla dilagante presenza saracena nel Sud dell'Italia - il monastero di Montecassino nell'883 fu dato alle fiamme, e i Saraceni in questa occasione fecero strage di monaci e decapitarono ai piedi dell'altare, mentre celebrava messa, lo stesso abate Bertario - anche dalle mire di Guido III, duca di Spoleto, sulle terre del Patrimonio e sulla stessa Roma. Nella primavera dell'883, M. raggiunse a Modena l'imperatore Carlo il Grosso, sceso finalmente in Italia, e lo incontrò nel monastero di Nonantola (Annales Fuldenses, Continuatio Ratisbonensis, ad a. 883) con l'intento preciso di sollecitarlo ad intervenire concretamente in aiuto delle terre di S. Pietro. Guido di Spoleto venne accusato di vero e proprio tradimento (il pontefice sosteneva che si fosse alleato con i Bizantini) e fu messo al bando dall'Impero. Lo spoletino si ribellò, Carlo il Grosso ordinò la confisca delle sue terre e comandò a Berengario, marchese del Friuli, di spogliare Guido del suo Regno ("vero consanguineus imperatoris mittitur ad expoliandum regnum Witonis", Annales Fuldenses, Continuatio Ratisbonensis, ad a. 883, p. 110). Ma, grazie all'alleanza con il marchese di Toscana e ad una epidemia di peste scoppiata nell'esercito di Berengario, Guido riuscì a fermare l'offensiva imperiale.
M. morì il 15 maggio dell'884 dopo un anno e cinque mesi di pontificato e fu sepolto nel portico di S. Pietro.
fonti e bibliografia
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