Monicelli, Mario
Regista e sceneggiatore cinematografico, nato a Viareggio (Lucca) il 15 maggio 1915. Autore di film autenticamente nazional-popolari, capaci di catturare il consenso del pubblico e al tempo stesso di essere specchio critico del costume e della politica, ha puntato sul tratteggio dei personaggi, la scelta degli attori, la costruzione dei meccanismi narrativi, l'invenzione dei dialoghi per sviluppare un racconto di largo respiro dei vari periodi della storia e della società italiane. Nelle sue opere lo stile caustico e cinico tipico della commedia all'italiana, che ha contribuito a elaborare, si fonde con uno sguardo critico nei confronti dei valori dominanti e con un umorismo vivo, graffiante, originale. Nel corso della sua lunga carriera ha diretto i più grandi attori italiani (Marcello Mastroianni, Alberto Sordi, Ugo Tognazzi, Vittorio Gassman, Monica Vitti) e ha concepito l'impegno politico come una precisa scelta morale diventando un punto di riferimento per le generazioni successive: lo provano i numerosi omaggi che gli hanno tributato i nuovi autori di commedie, da Paolo Virzì a Leonardo Pieraccioni. Ha vinto l'Orso d'argento al Festival di Berlino per Padri e figli (1957), Caro Michele (1976), Il marchese del Grillo (1981) e il Leone d'oro alla Mostra del cinema di Venezia per La grande guerra (1959). Ha ottenuto, inoltre, sei nominations all'Oscar (di cui due per la sceneggiatura), quattro Nastri d'argento per la sceneggiatura e uno per la regia, tre David di Donatello per la regia, uno per la sceneggiatura e uno per il miglior film.
Figlio del giornalista e drammaturgo Tomaso, iniziò a interessarsi al cinema durante gli studi liceali, scrivendo articoli di critica su varie riviste, tra cui il settimanale "Camminare", particolarmente attento al dibattito sull'avanguardia artistica. Si accostò alla regia realizzando con il cugino Alberto Mondadori due film in 16 mm, Il cuore rivelatore (1934), codiretto anche da Cesare Civita, e I ragazzi della via Paal (1935), che vinse un premio alla Mostra del cinema di Venezia. Gli si aprirono così le porte del cinema professionale. Nel 1936 divenne aiuto regista di Gustav Machatý (e poi di numerosi altri), ma le collaborazioni più riuscite furono quelle con due registi programmaticamente popolari come Augusto Genina e Mario Camerini; nel 1937 diresse inoltre, con lo pseudonimo di Michele Badiek, Pioggia d'estate, che non fù però mai distribuito. Nel frattempo frequentò l'università, a Milano e poi a Pisa, laureandosi nel 1940 in storia e filosofia. Proprio a partire da quell'anno iniziò a scrivere alcune sceneggiature, divenendo tra il 1945 e il 1955, spesso in coppia con Steno, uno degli sceneggiatori più ricercati, grazie alla sua capacità di adattarsi a generi diversi e di lavorare velocemente e con estrema perizia. Si specializzò nel comico (i film di Mario Mattoli con Totò, di Guido Brignone con Nino Taranto, di Carlo Borghesio con Macario), ma si dedicò anche ai generi avventuroso (per registi come Riccardo Freda e Raffaello Matarazzo), drammatico (per Vittorio De Sica, Giuseppe De Santis, Pietro Germi) e brillante (per Mario Soldati e Gennaro Righelli).Dal 1949 M. e Steno, oltre a scrivere, iniziarono anche a dirigere i loro film: Al diavolo la celebrità è una vertiginosa commedia degli equivoci; Totò cerca casa utilizza in chiave quasi neorealista il popolare comico, con una storia ambientata tra gli sfollati del dopoguerra che cercano disperatamente un'abitazione dignitosa. Nella collaborazione con Steno è attribuibile a M. un'inclinazione più realistica, per es. nell'impiego di un Totò meno surreale e più ancorato ai problemi che attraversano la società del tempo: Guardie e ladri (1951) racconta la miseria delle periferie urbane, e Totò e i re di Roma (1952) narra le umiliazioni quotidiane di un piccolo impiegato. Ascrivibile a M. è anche l'atmosfera da dramma borghese di Le infedeli (1953), diversa da quella dei melodrammi popolari dell'epoca. Interrotta la collaborazione con Steno, M. continuò la carriera di regista: Totò e Carolina (girato nel 1952 ma uscito nel 1955 dopo una lunga vertenza con la censura, che vi effettuò drastici tagli) ha toni insieme patetici e satirici, mentre Il medico e lo stregone (1957) racconta il contrasto tra le tradizioni del passato e la visione moderna del mondo in un paese di provincia. Con I soliti ignoti (1958) M., insieme agli altri due sceneggiatori Age e Scarpelli, impose al cinema nazionale una svolta, inventando lo stile e i caratteri della commedia all'italiana attraverso un modo diverso di intendere l'umorismo, permeato di acredine e volto all'osservazione disincantata delle miserie umane e sociali. La visione della morte, la mancanza di un lieto fine, l'affiorare continuo dei problemi quotidiani raccontano il mondo della piccola criminalità, creando una koinè linguistica di irresistibile divertimento. Con La grande guerra M. precisò ancora meglio la sua concezione della commedia: un umorismo dolceamaro che non esclude la tragedia, una precisa volontà di fornire una versione diversa e antiretorica della storia italiana. Analoga tensione smitizzante e attenzione critica dimostrano la scelte successive: le lotte operaie (I compagni, 1963), il Medioevo (L'armata Brancaleone, 1966), l'emancipazione femminile (La ragazza con la pistola, 1968), il divario Nord-Sud e l'omologazione del proletariato (Romanzo popolare, 1974), la diffusione della delinquenza e la violenza urbana (Un borghese piccolo piccolo, 1977). Se nel primo di questi film la Torino di fine Ottocento, l'ambiente delle fabbriche e le figure degli operai costruiscono una coralità dal respiro romanzesco, nella 'epopea' grottesca di Brancaleone (proseguita nel 1970 con Brancaleone alle Crociate) M. reinventa un immaginario storico lontanissimo da ogni accademismo e riconduce alle radici di un Medioevo epico-popolare il racconto di un'Italia becera e scalcinata, ma ricca di umori geniali e anarchici. Amici miei (1975, di cui avrebbe realizzato il seguito, Amici miei, atto II, nel 1982), girato dopo la morte di Germi che doveva dirigerlo, e che incontrò come i precedenti un enorme successo, adotta della vita una visione malinconica, più intimista e drammatica, anche se sempre accompagnata da un'irresistibile ironia e stemperata in un cinismo acre. Nel 1979 M. girò Viaggio con Anita, da un soggetto scritto da Tullio Pinelli per Federico Fellini, sul viaggio di un bancario al capezzale del padre, che diventa pretesto per uno spietato bilancio di vita, e nel 1980 Temporale Rosy, patetica e tenera storia d'amore; due film che non ebbero un esito commerciale positivo ma che costituiscono un esempio felice della vena più malinconica del regista, senza discostarsi dai suoi temi di fondo. Il successo è tornato qualche anno più tardi con Speriamo che sia femmina (1986): scritta con Suso Cecchi D'Amico, è una graffiante commedia, incentrata sul nuovo concetto di famiglia nell'Italia contemporanea, che tratteggia in maniera convincente personaggi femminili autentici e ironici. La predilezione di M. per il racconto dei grovigli e dei vizi della famiglia media italiana, descritti con una vena di 'humour nero' grottesco e paradossale, che era stata già al centro del curioso Toh, è morta la nonna! (1969), è ritornata con una carica di notevole causticità in Parenti serpenti (1992), in Cari fottutissimi amici (1994) e in Panni sporchi (1999).
Dall'inizio degli anni Ottanta ha lavorato spesso per la televisione e, occasionalmente, anche per il teatro. Ha pubblicato due opere dal titolo L'arte della commedia (1986) e Autoritratto (2002).
O. Caldiron, Mario Monicelli, Roma 1981.
Mario Monicelli: cinquant'anni di cinema, a cura di F. Borghini, Pisa 1985.
S. Della Casa, Mario Monicelli, Firenze 1987.
M. Sabatini, O. Maerini, Intervista a Mario Monicelli: la sostenibile leggerezza del cinema, Roma 2001.
Lo sguardo eclettico: il cinema di Mario Monicelli, a cura di L. De Franceschi, Venezia 2001.