PANNUNZIO, Mario
PANNUNZIO, Mario. – Nacque a Lucca il 5 marzo 1910, secondogenito (dopo Alessandra, detta Sandrina) dell’avvocato Guglielmo, di origini molisane con simpatie socialiste poi comuniste, e della contessa toscana Emma Bernardini, pia e aristocratica.
Nel 1922, in seguito alle vessazioni dei fascisti, la famiglia Pannunzio si trasferì a Roma dove prese casa nei pressi di piazza Cavour, vicino al nuovo palazzo di giustizia. Il giovane frequentò il liceo Terenzio Mamiani dalla quarta ginnasiale fino alla licenza liceale, conseguita nel 1927; in quegli anni si divise tra la vita culturale e artistica della capitale e le villeggiature sull’elegante litorale toscano e nella villa di famiglia in Lucchesia. Già emergevano in lui gli aspetti multiformi di un carattere precocemente maturo: per un verso era propenso alla vita sociale, alle belle amicizie, e desideroso di partecipare a quel che il mondo riservava a un giovane fascinoso; e per un altro era proteso a conquistare un carattere autonomo fuori dalle convenzioni della sua generazione. Dopo la licenza liceale, avrebbe voluto iscriversi ad architettura seguendo i suoi innati interessi artistici, ma fu costretto dal padre, a cui era legato da un aspro rapporto conflittuale, a frequentare la facoltà di giurisprudenza, dove si laureò di malavoglia il 6 luglio 1931, archiviando subito dopo un diploma che risultava estraneo alle sue inclinazioni.
Tra la fine degli anni Venti e l’inizio dei Quaranta, si mise alla prova in alcune sperimentazioni artistiche, culturali e professionali per mettere a fuoco il suo futuro professionale. Sapeva ben disegnare e presto coltivò la pittura, sì da essere considerato un artista di sicuro avvenire. Nel 1929 fu invitato con il quadro raffigurante la sorella Sandrina alla Prima quadriennale d’arte nazionale inauguratasi a Roma nel gennaio 1931. Si dedicò poi con intensità alla promozione culturale con alcune riviste su cui apparvero numerosi suoi saggi. Dal 1931 al 1933 collaborò a Il Saggiatore e a Occidente, quindi a Caratteri e Letteratura; come proprietario, garante e direttore responsabile insieme ad Antonio Delfini ed Eurialo De Michelis, varò la pubblicazione di Oggi. Settimanale di lettere ed arti, con la partecipazione di Ugo Betti, Guglielmo Serafini, Elio Talarico e Bonaventura Tecchi. I suoi interessi spaziavano dalla critica artistica (Discorso sulla pittura, 1932; Sulle arti figurative, 1933) a quella letteraria (Del romanzo, 1932; Realismo, 1933), allo spettacolo (La questione del teatro, 1933) in una costante tensione all’unità della cultura (Contributo per una nuova cultura, 1933 ) e al ruolo dell’intellettuale. Fu allora che il poco più che ventenne Pannunzio strinse il sodalizio con Alberto Moravia, si immerse nella vita culturale romana ed entrò in rapporto con intellettuali di diverse generazioni tra cui Angiolo Silvio Novaro, Aldo Palazzeschi, Leonardo Borgese, Guglielmo Petroni, Vitaliano Brancati, Mario Tobino ed Ennio Flaiano. Scrisse il suo unico romanzo, dedicato alla vita romana del tempo: Occhio di marmo, che sarebbe stato riscoperto in manoscritto e pubblicato dopo 70 anni.
Nel 1935 s’iscrisse al primo corso del Centro sperimentale di cinematografia, una nuova istituzione diretta da Luigi Chiarini, persuaso che il cinema rappresentasse ormai la più moderna e rivoluzionaria delle arti, il migliore strumento per comprendere la realtà, più efficace della letteratura e della pittura, ragione per cui dal 1936 si dedicò principalmente alla cinematografia come sceneggiatore, regista e critico. Numerosi i titoli dei suoi lavori, tra cui Alba tragica con dialoghi di Jacques Prévert; I grandi magazzini, regia di Mario Camerini e con Vittorio De Sica; insieme ad Arrigo Benedetti, Duilio Coletti e Piero Tellini Capitan Fracassa, con Osvaldo Valenti e Clara Calamai e, con la regia di Coletti, I cento giorni di Paolina, di nuovo insieme a Benedetti. Nel 1938 costituì a Roma una Società per la preparazione e produzione di film di cui facevano parte, sotto la direzione di Cesare Zavattini, scrittori, pittori, architetti e musicisti come Corrado Alvaro, Sandro De Feo, Mino Maccari, Paolo Milano, Moravia, Gino Visentini e Primo Zeglio.
Nell’estate del 1935, nel mezzo di variegate esperienze culturali, Pannunzio si unì in matrimonio con una giovane attrice ungherese incontrata in un teatro romano, Mary Malina. Nel marzo 1937 fu assunto da Leo Longanesi al nuovo settimanale Omnibus, di cui fu redattore e critico cinematografico. Nel gennaio 1939, alla chiusura del rotocalco per ‘fronda’ al regime, Pannunzio fondò, insieme al conterraneo e coetaneo Benedetti, il nuovo rotocalco ‘d’attualità e politica’ riprendendo la testata Oggi, che restò nelle edicole fino al febbraio 1942, quando l’ambasciatore tedesco a Roma, Georg von Mackensen, ne chiese la chiusura perché dissonante con la propaganda dell’Asse.
In quella stagione l’orientamento di Pannunzio verso il regime può essere definito ‘afascista’, nel senso che non fece parte dei gruppi militanti antifascisti, né fu mai partecipe o connivente con il regime nonostante l’iscrizione al Partito nazionale fascista negli anni liceali (probabilmente per reazione al padre) a cui, però, non fece seguito alcun fiancheggiamento al mussolinismo. Nell’estate del 1943, all’indomani del 25 luglio, pubblicò il saggio a lungo meditato Le passioni di Tocqueville, che segnò la sua metamorfosi da letterato-artista a intellettuale politico d’idee liberali. Quell’unico saggio della sua vita rappresentò non solo una dichiarazione di fede liberale, ma anche un’autobiografia rispecchiata nella vita del gran francese in cui è espresso il malessere di un intellettuale che sotto un regime autoritario s’incammina verso la libertà.
Quale membro del gruppo che ricostituì il Partito liberale italiano (PLI) in clandestinità, auspice Benedetto Croce, Pannunzio fu incarcerato a Roma per antifascismo dall’ottobre 1943 al febbraio 1944, dopo di che assunse la direzione del quotidiano Risorgimento liberale che mantenne fino all’ottobre 1947.
Leo Valiani, esponente azionista del Comitato di liberazione nazionale alta Italia (CLNAI), ha scritto che l’azione di Pannunzio rappresentò il più valido contributo all’antifascismo e alla Resistenza perché «dotò il giornalismo italiano, al momento della partenza dei nazisti e dei fascisti da Roma, del più bel quotidiano che essa abbia avuto in quel quarto di secolo» (Pannunzio, antifascista liberale, in L’Europa, marzo 1968, pp. 35 s.). In effetti il quotidiano, a larga diffusione nell’immediato dopoguerra, fu una voce liberale anticonformista che intervenne con autorevolezza sui controversi problemi della stagione tra guerra di Liberazione e post-fascismo. Polemizzò contro l’epurazione indiscriminata; evitò la retorica dell’antifascismo che poteva dar vita a un nuovo conformismo di massa; seguì la lotta partigiana al Nord e le azioni belliche del ricostituito esercito italiano: in breve tracciò le linee di un nuovo liberalismo fondato sull’antitotalitarismo quale canone della ricostruzione politica, e sulla continuità tra la tradizione liberale e la nuova democrazia di massa post-fascista.
L’indirizzo teorico e pratico di Risorgimento liberale fu dovuto a Pannunzio, che realizzò il quotidiano su basi politicamente più aperte e culturalmente più ricche del semplice foglio di partito, coinvolgendovi non solo personalità quali Croce e Luigi Einaudi, ma anche non pochi intellettuali e politici con cui aveva collaborato negli anni Trenta. Per il PLI Pannunzio fu consultore nazionale fino al 2 giugno 1946, e fece parte, insieme a Nicolò Carandini, Leone Cattani, Mario Ferrara, Francesco Libonati, Panfilo Gentile ed Enzo Storoni, della corrente di ‘sinistra’ che abbandonò il partito nel novembre del 1947 allorché la maggioranza si alleò alle elezioni politiche del 18 aprile 1948 con l’Uomo qualunque di Guglielmo Giannini. Rientrato nel PLI nel 1951 con l’Unificazione liberale promossa da Bruno Villabruna, Pannunzio lasciò di nuovo il Partito alla fine del 1955 per andare a costituire, con il gruppo della sinistra, il Partito radicale (PR), progettato come nucleo promotore di quella ‘Terza forza’ che avrebbe dovuto coinvolgere i democratici laici, i repubblicani e i socialisti liberali alieni dall’alleanza con i comunisti.
Giunto alla soglia dei quarant’anni, diede vita al suo capolavoro, Il Mondo, in cui riversò sapienza e competenza. Volle un «settimanale di politica e letteratura» e quindi d’economia, animato da una forte tensione morale, punto di riferimento per le variegate tendenze liberali, liberaldemocratiche, e liberalsocialiste. Era allora avvertita l’esigenza di un baricentro per i democratico-laici, alternativo alle iniziative dei comunisti e dei clericali perché, a pochi anni dalla rinascita dell’Italia, la situazione politica si era fatta difficile: l’esperimento azionista era fallito, i partiti risorgimentali erano sfiniti, i tentativi terzaforzisti non erano andati in porto. Pannunzio, conquistato dalla passione politica pur non essendo un uomo di partito, si propose di utilizzare lo strumento giornalistico per aggregare individui e gruppi e invertire la disgregazione del suo ambiente. In un’Italia, divisa dopo il 18 aprile 1948 tra guelfi e ghibellini, ritenne maturo il tempo per riannodare le fila della democrazia laica, liberale e socialista promuovendo sul settimanale il dibattito anche di idee difformi. Grazie alla maestria di autentico ‘direttore d’orchestra’ giornalistico, riuscì ad aggregare intorno alla testata l’élite politica e intellettuale italiana, dell’area laica e non solo.
Patrocinarono e scrissero sul Mondo Benedetto Croce, nume tutelare del liberalismo italiano, e Gaetano Salvemini, maestro della democrazia laica che del filosofo liberale era stato un fiero critico; collaborarono, oltre agli esponenti della sinistra liberale tra cui Ferrara, Carandini, Cattani, Libonati, Gentile e Carlo Antoni, gli ex azionisti Ernesto Rossi, colonna portante delle polemiche economiche, Mario Paggi e Mario Boneschi giuristi, Guido Calogero filosofo, Aldo Garosci discepolo dei fratelli Rosselli, Nicola Chiaromonte scrittore e lo storico Valiani, che si legò d’intensa amicizia a Pannunzio. Fecero parte del gruppo ristretto raccolto intorno al settimanale l’intellettuale liberale Vittorio De Caprariis, il giurista Leopoldo Piccardi e i giovani Giovanni Spadolini ed Eugenio Scalfari. Anche autorevoli leader politici riconobbero nel Mondo di Pannunzio la migliore tribuna per i loro interventi: i futuri presidenti della Repubblica Luigi Einaudi e Giuseppe Saragat, il fondatore del Partito popolare don Luigi Sturzo e il leader dei repubblicani terzaforzisti Ugo La Malfa. Accanto ai politici Pannunzio coinvolse nel settimanale numerosi giornalisti e scrittori di vaglia, non solo della generazione già affermata, ma anche esordienti di successo, come Alberto Arbasino.
La cultura politica che il direttore trasfuse ne Il Mondo, generalmente ritenuta d’ispirazione ‘crociana’, aveva in realtà caratteristiche più complesse. Pannunzio era un intellettuale pragmatico, per cui il settimanale prendeva forma mantenendo una continua attenzione alla realtà con l’ottica del liberalismo laico, democratico e riformatore. Il Mondo riuscì così a rappresentare la voce dell’occidentalismo liberale, attestandosi in politica estera sulla solidarietà atlantica e l’unificazione europea. Pannunzio ebbe come bussole l’anticomunismo democratico, ben distinto da quello clericale e fascistoide, l’antifascismo non idolatrato e l’anticlericalismo laico e tollerante: di volta in volta fu attaccato da sinistra, da destra e dal centro per il rifiuto di fare corpo con i comunisti in funzione antifascista e con i fascisti in funzione anticomunista, e di non sposare l’anticlericalismo per difendere il centrismo degasperiano; in particolare fu criticato dai comunisti che non tolleravano una sinistra democratica autonoma dai diktat frontisti. Il gruppo raccolto intorno a Pannunzio rappresentò, a tutti gli effetti, una koiné democratico-liberale unica nella Repubblica con radici nei diritti dell’uomo sanciti dalla Rivoluzione costituzionale americana prima ancora che dalla Rivoluzione francese.
A metà degli anni Cinquanta, Pannunzio accettò l’idea di promuovere sotto l’egida degli Amici del Mondo una serie di convegni per indicare le riforme politiche, economiche e istituzionali necessarie per modernizzare l’Italia: nell’arco di sei anni se ne tennero dodici, dal primo sulla Lotta contro i monopoli (1955) all’ultimo Borse e borsaioli (1961), seguito dalla Commemorazione di Benedetto Croce nel novembre del 1962 a dieci anni dalla scomparsa del filosofo.
Dopo un quinquennio dalla pubblicazione del Mondo, Pannunzio avvertì la mancanza di un riferimento politico che esprimesse compiutamente la sua impetuosa passione per un’Italia civile. L’esperienza del PLI, alla cui ricostituzione aveva contribuito nel 1944 e nel 1951, volgeva di nuovo in direzione conservatrice con la segreteria di Giovanni F. Malagodi. Questa la ragione che indusse i liberali di sinistra, guidati da Pannunzio, a separarsi nel dicembre 1955 dal vecchio troncone liberale per dare vita al nuovo Partito radicale.
Il partito fu così presentato il 6 dicembre 1955 dal Mondo: «Gli uomini che fondarono il Partito liberale nella Resistenza e che per dodici anni combatterono per salvare del liberalismo almeno l’etichetta, non si danno certo per vinti. Accomunati dal vincolo fraterno delle amare esperienze, non rassegnati, non perplessi, non impreparati, si accingono a costituire una nuova larga formazione politica che si ispiri a una concezione moderna e civile del liberalismo, a quella concezione che Benedetto Croce ebbe a definire in una parola “radicale”».
Al PR aderirono i liberali di sinistra che avevano abbandonato il PLI, gli ex azionisti, in primis Rossi, Valiani, Calogero e Paggi, che non si erano indirizzati alle formazioni socialiste, molti universitari dell’Unione goliardica italiana (UGI) e, ancor più, una larga schiera di intellettuali e giornalisti che avevano consuetudine con Pannunzio. Il Partito radicale, di cui Pannunzio fu dapprima membro della segreteria e poi per sette anni mantenne la direzione morale e intellettuale, perseguì l’unità delle forze laiche riformatrici terzaforziste che si espresse alle elezioni politiche del 1958 nella lista comune con il Partito repubblicano italiano (PRI) senza tuttavia conseguire buoni risultati.
Il programma radical-repubblicano di quell’anno rifletteva l’intera gamma dei temi che secondo Pannunzio dovevano essere propugnati da una moderna forza riformatrice: «la separazione tra Stato e Chiesa e la difesa dello Stato laico, l’eliminazione dei monopoli, dei privilegi di casta, delle bardature corporative, dell’elefantiasi amministrativa e del sottogoverno; la creazione di una scuola moderna; la difesa del cittadino contro gli abusi del potere esecutivo; la libertà di stampa e di migrazione interna; la disciplina delle fonti di energia e la lotta contro le speculazioni sulle aree fabbricabili». Erano i temi dei convegni degli Amici del Mondo che si tennero a lato del Partito radicale con la supervisione di Pannunzio, per iniziativa di Rossi, Piccardi e Scalfari e la partecipazione delle migliori intelligenze politiche e culturali libere da dogmi, dell’area laica ma anche cattolica e socialista.
Dopo l’insuccesso delle liste laiche del 1958, nel PR si accrebbe l’opinione orientata da Piccardi e Scalfari di coloro che guardavano con simpatia a un’alleanza organica con il Partito socialista italiano (PSI) che si accingeva all’alleanza di centro-sinistra. Ma, tra il 1961 e il 1962, l’avvocato Piccardi, membro della segreteria del Partito radicale, fu accusato di avere partecipato nel 1939 al convegno italo-tedesco di Vienna su Razza e diritto, per cui il gruppo dei pannunziani guidato da Cattani ne chiese l’estromissione. In realtà la crisi radicale deflagrata sul caso Piccardi aveva origine dal contrasto tra l’ala filorepubblicana e quella filosocialista, un dissidio che si rivelò fatale e portò alla dissoluzione del Partito radicale quale era stato voluto da Pannunzio. Con gli anni Sessanta, la disgregazione del ‘suo’ Partito radicale e l’avvio del centro-sinistra composto da Democrazia cristiana, PSI, PRI e Partito socialista democratico italiano, Pannunzio si dedicò interamente al Mondo.
Nel dopoguerra Pannunzio aveva saputo ricondurre a unità armonica le diverse attività a cui si era dedicato: dopo il successo del quotidiano Risorgimento liberale, il settimanale Il Mondo era stato un’espressione di rigore politico e intellettuale; il PR era rimasto immune da opportunismi politici; e i convegni degli Amici del Mondo avevano costituito la fucina di un vasto programma riformatore che il centro-sinistra non realizzò mai. A metà del decennio Pannunzio constatò che le sue amicizie erano state scompaginate, le speranze di rinnovamento riposte nel centro-sinistra deluse, la diffusione e l’influenza del suo settimanale diminuite. Decise perciò volontariamente di chiudere Il Mondo.
Nell’ultimo numero, l’8 marzo 1966, uscì una sorta di testamento del fondatore: «Questo che oggi diamo alle stampe è l’ultimo numero […] Non sta a noi giudicare il segno lasciato dalla nostra presenza nel dibattito che ha accompagnato il risorgere di un ordine democratico nel nostro paese. Un giornale liberale, un giornale laico e antifascista, un giornale indipendente, doveva impegnarsi sui problemi della libertà e del costume civile, e non vi è stata questione di educazione del cittadino, di rinsaldamento dello Stato e delle istituzioni parlamentari, di efficienza di governo e di moralità pubblica, di politica interna e internazionale, di economia sociale e di conflitto fra l’interesse privato e quello collettivo, di fronte alla quale il giornale non abbia detto quel che gli è sembrato di dover dire, anche se le sue parole sono apparse spesso verità scomode e qualche volte dure. […] Non ci piacciono le mezze verità: non ci piacciono la deferenza e l’unzione per le idee che detestiamo. Ci siamo sempre battuti per dare il nome ai fatti e ai personaggi […] Gli intellettuali, per noi, non si trovano soltanto fra i poeti e i novellieri. Né tanto meno fanno parte di una corporazione di privilegiati, separata dalle altre. L’intellettuale, per noi, è una figura intera. L’uomo politico, se non vuole essere un puro faccendiere, è anch’esso un intellettuale che vive pubblicamente e che fa con naturalezza la sua parte nella società».
Dopo avere trascorso gli ultimi due anni nella biblioteca personale della sua abitazione in cui aveva raccolto 30.000 volumi, Pannunzio, assistito dalla moglie, Mary, da cui non aveva avuto figli, morì a Roma il 10 febbraio 1968.
Opere: Le passioni di Tocqueville, in XX Secolo, agosto 1943, ristampato in Il Mulino, XVII (1969), 118, pp. 496-521; Ai lettori. Il giornale si congeda, in Il Mondo, XVIII (1966), n. 10 [non firmato]; Occhio di marmo. La gazzetta dei veleni - Stampe romane, a cura di M. Teodori, Torino 2011. Articoli di Pannunzio sono pubblicati in Il Saggiatore, dicembre 1931 - ottobre 1933; Oggi, maggio 1933 - febbraio 1934; Caratteri, I (1935), 1; Letteratura, I (1937), 1; Cinema, novembre 1936 - aprile 1938; Omnibus, aprile 1937 - gennaio 1939; Scenario, VII (1938), 2; Tutto, marzo-aprile 1939; Beltempo, 1940, n. 1; Collezione del quotidiano Risorgimento liberale, 1944-1947; Il Mondo, 1949-1966, nn. 1-890 (Il Mondo. Indici analitici 1949-1958e 1958-1966, prefazione di G. Spadolini, Firenze 1987); Il Mondo, numero speciale contenente Le cronache di un commiato, XXI (1969), 892. Una bibliografia completa è in L’estremista moderato, a cura di C. De Michelis, Venezia 1993.
Fonti e Bibl.: Roma, Archivio Teodori; Roma, Fondo “Il Mondo” e Pannunzio presso famiglia Carandini; Roma. Camera dei deputati. Archivio storico, Fondo Mario Pannunzio; Milano. Fondazione Feltrinelli, Fondo Leo Valiani; M. Pannunzio - L. Valiani, Democrazia laica. Epistolario, articoli, documenti, a cura di M. Teodori, Torino 2012. V. De Caprariis, Le garanzie della libertà, 1955-1963, con prefazione di M. Pannunzio, Milano 1966; P. Bonetti, Il Mondo 1949-66. Ragione e illusione borghese, Roma-Bari 1975; M. Del Bosco, I radicali e “Il Mondo”, prefazione di R. Romeo, Torino 1979; A. Cardini, Tempi di ferro.“Il Mondo” e l’Italia del dopoguerra, Bologna 1992; M. P.L’estremista moderato. La letteratura, il cinema, la politica, a cura di C. De Michelis, Venezia 1993; E. Ceccarini, M. P., in Id., Olimpo laico, prefazione di S. Folli, Firenze 1995; M. Teodori, Storia dei laici nell’Italia clericale e comunista, Venezia 2008; Id., P. dal “Mondo” al Partito radicale: vita di un intellettuale del Novecento, Milano 2010; Carteggio P. - Salvemini (1949-1957), a cura di M. Teodori, Roma 2010; G. Nicolosi, “Risorgimento liberale”. Il giornale del nuovo liberalismo. Dalla caduta del fascismo alla Repubblica (1943-1948), Soveria Mannelli 2012.