PRAZ, Mario
PRAZ, Mario. – Nacque a Roma il 6 settembre 1896 e trascorse i primi anni in Svizzera, a Winterthur e a Vevey, dove suo padre Luciano, la cui famiglia era di origine valdostana, era impiegato di banca. In seguito alla morte del padre, nell’estate del 1900, Praz si trasferì a Firenze, in via San Zanobi, con la madre, Giulia Testa di Marsciano, che poi si risposò nel 1912.
Poco incline alle attività fisiche (era nato con una malformazione a una gamba che lo costrinse a portare una calzatura speciale e a zoppicare per il resto della vita), fu uno studente particolarmente diligente. Diplomatosi nel 1914 al ginnasio-liceo Galileo, studiò legge all’Università di Bologna e poi in quella di Roma, dove trascorse gli anni di guerra. Alla Sapienza ascoltò anche lezioni di letteratura come quelle del filologo e critico Cesare De Lollis, dove andava con il coetaneo e futuro linguista Bruno Migliorini, poi rimasto suo grande amico. In quegli anni cominciò a studiare privatamente la lingua inglese e a cimentarsi in traduzioni di poeti romantici dell’Ottocento. Si laureò con lode nel 1918, ma ben presto capì che la legge non faceva per lui e ottenne dal padrino di passare altri due anni all’Istituto di studi superiori dell’Università di Firenze, dove studiò lettere e filologia con Giorgio Pasquali ed Ernesto Giacomo Parodi; con quest’ultimo discusse una tesi sulla lingua di Gabriele D’Annunzio. Laureatosi sempre a pieni voti, nel 1920 inviò un contributo alla Critica di Benedetto Croce, il quale lo approvò e lo pubblicò, sia pure con ritardo. Nel 1920 ebbe due incontri fondamentali, con la scrittrice inglese residente a Firenze Vernon Lee, che lo introdusse in un giro di intellettuali britannici e lo segnalò al London Mercury, al quale Praz inviò corrispondenze (Letters from Italy) fino al 1932; e con Giovanni Papini, che lo incaricò di tradurre una scelta di poeti inglesi dell’Ottocento e gli Essays of Elia di Charles Lamb. Questi furono per lui una scoperta e un modello cui rifarsi. Nel 1921 inviò in lettura sue versioni di testi poetici a Emilio Cecchi per ottenerne un giudizio, iniziando con il grande critico un’amicizia durata fino alla morte di quest’ultimo (1966). Nel 1923 ottenne una borsa di studio e di perfezionamento in filologia moderna e passò alcuni mesi a Londra, dove entrò in contatto con parecchi letterati noti e illustri. Al rimpatrio trovò un’Italia scossa da fermenti e frequentò un circolo fiorentino di antifascisti tra cui i fratelli Carlo e Nello Rosselli, Pietro Calamandrei, Gaetano Salvemini, ma se ne allontanò presto, riconoscendo la propria natura indifferente alle lotte e agli schieramenti. Alla fine del 1923 si trasferì a Liverpool come senior lecturer di italiano e vi rimase otto anni, fondamentali per la sua formazione definitiva e per la genesi delle opere.
A I saggi di Elia di Charles Lamb (Lanciano 1924), da lui tradotti e curati, seguirono nel 1925 Poeti inglesi dell’Ottocento (Firenze), di cui venne lodata l’ampiezza della scelta, ma meno l’iniziativa di tentare versioni in versi, e nello stesso anno Secentismo e Marinismo in Inghilterra (Firenze), vera riscoperta e nuova analisi di un gruppo di poeti tra cui John Donne, George Herbert e altri. Thomas Stearns Eliot, il quale stava esplorando quel campo, lo salutò sul Times Literary Supplement come una rivelazione.
L’insegnamento a Liverpool non era gravoso, solo nove ore settimanali; in compenso Praz trovò sempre la città torpida e inospitale, il che lo incoraggiò a gettarsi negli studi. Durante le vacanze viaggiò spesso per l’Europa, fu in Spagna nel 1926, spedizione di cui avrebbe dato conto in Penisola pentagonale (Milano 1928); nel 1927 fu nei Paesi Bassi. Trascorreva le vacanze a Firenze, dove frequentò particolarmente Eugenio Montale, della cui poesia divenne un fervido ammiratore. Nel 1929 iniziò una collaborazione con La Stampa che si protrasse fino al 1940.
È del 1930 il suo libro destinato a diventare il più famoso, La carne, la morte e il diavolo nella letteratura romantica (Milano-Roma), tradotto in inglese nel 1933 come The romantic agony, raccolta di saggi il cui tema comune, fino allora trascurato dalla critica, è l’analisi dell’erotismo decadente presso alcuni grandi scrittori del diciannovesimo secolo. Nel 1934 uscì un altro libro ricco di spunti per gli studiosi futuri, Studi sul concettismo (Milano), con il pionieristico recupero di imprese e altri enigmi dell’iconografia rinascimentale; il Warburg Institute di Londra ne pubblicò la traduzione inglese – Studies in seventeenth-century imagery – nel 1939.
Nominato alla cattedra di letteratura inglese all’Università La Sapienza, lasciò definitivamente Liverpool nel 1934 e si trasferì nella capitale; da poco aveva sposato Vivien, inglese e ventiquattrenne, che era stata sua lettrice durante l’ultimo anno in Inghilterra. La coppia si stabilì in un vasto appartamento di palazzo Ricci in via Giulia, che Praz cominciò ad arredare con una raccolta in continuo aumento di oggetti stile impero, dei quali fu inesausto collezionista e che allora gli antiquari non prendevano in considerazione. Nel 1936 uscì la sua Antologia della letteratura inglese (Messina), e nel 1937 quella Storia della letteratura inglese (Firenze) rimasta strumento indispensabile per generazioni di studenti. Nel 1938 nacque la sua unica figlia, Lucia. Nel 1941 avvenne la separazione dalla moglie.
Frattanto, nel 1940, uscì a Firenze Gusto neoclassico, primo di alcuni importanti lavori in cui le arti figurative e la letteratura si illuminano a vicenda (tradotto in inglese nel 1969, come On Neoclassicism). Negli anni successivi uscirono, tra non pochi altri libri, Machiavelli in Inghilterra e altri saggi (Roma 1942), Viaggio in Grecia (Roma 1942), Fiori freschi (Firenze 1943), il primo volume del Teatro di William Shakespeare da lui diretto (Firenze 1943), Ricerche anglo-italiane (Roma 1944), Motivi e figure (Torino 1945).
Durante l’occupazione tedesca, chiusa l’Università, sfruttò il tempo libero per imparare il russo. Nel 1946-1947 uscirono ancora, per sua cura, il secondo e il terzo volume del Teatro di Shakespeare, Il dramma elisabettiano (Roma 1946), il secondo volume di Studies in seventeenth-century imagery. Nel 1949 fondò la rivista English miscellany, pubblicata a Roma a cura del British Council, che diresse fino al 1958, quando fu affiancato dall’allievo Giorgio Melchiori. Nel 1951, per le Edizioni di storia e letteratura (Roma) uscirono i primi due volumi di Cronache letterarie anglosassoni, serie destinata a continuare a lungo, seguite da La crisi dell’eroe nel romanzo vittoriano (Firenze 1952), tradotto come The hero in eclipse in victoria fiction (1956). Sempre nel 1952 fu negli Stati Uniti per una serie di conferenze, ma l’anno dopo fu costretto a occuparsi a fondo della casa di via Giulia, dove viveva solo con una vecchia ‘perpetua’, in seguito alla morte del suo padrino, che gli lasciò parecchi mobili stile impero. Nel 1955 viaggiò in Austria e pubblicò Il mondo che ho visto (Firenze). Nel 1956 viaggiò in Estremo Oriente. Nel 1957 ebbe la laurea in lettere honoris causa dell’Università di Cambridge. Nel 1958 uscì nei Diamanti mondadoriani, il suo libro più personale e capriccioso, per molti il capolavoro: La casa della vita (Milano), autobiografia mascherata da storia degli oggetti del suo ormai mitico arredamento. Nel 1960 uscì a Milano Bellezza e bizzarria e nello stesso anno Praz fu insignito con il premio Feltrinelli dell’Accademia nazionale dei Lincei per la filologia e la critica letteraria. Nel 1962 fu nominato Knight Commander of the British Empire dalla regina d’Inghilterra. Tra il 1963 e il 1965 fu, tra l’altro, a Parigi, negli Stati Uniti e in Australia. Costretto in quel periodo a lasciare l’appartamento di via Giulia, ne trovò un altro altrettanto vasto e più luminoso sopra il Museo Napoleonico di corso Rinascimento, e vi ricollocò i suoi amati oggetti (oggi è la Casa-museo Mario Praz). Nel 1966 lasciò l’insegnamento per limiti d’età; ci fu una cerimonia cui parteciparono i suoi allievi più illustri, dove furono presentati i due volumi celebrativi di Friendship’s Garland.
Nel 1967 uscì Panopticon romano (Milano-Napoli), cui seguirono Caleidoscopio shakespeariano (Bari 1969) e, nel 1970, negli Stati Uniti Mnemosyne. The parallel between literature and the visual arts, la cui edizione italiana, Mnemosine. Parallelo tra la letteratura e le arti visive uscì poco dopo (Milano 1971). Nel 1972 a Milano uscì Il patto col serpente, integrazione ideale de La carne, la morte e il diavolo. Nel 1975, sempre a Milano, uscì Il giardino dei sensi. Studi sul manierismo e il barocco. I festeggiamenti per gli ottant’anni (1976) non ne rallentarono la produttività, ché in due anni uscirono in rapida successione Panopticon romano secondo (Roma 1977), Perseo e la Medusa. Dal Romanticismo all’Avanguardia (Milano 1979) e Voce dietro la scena. Un’antologia personale (Milano 1980).
Morì a Roma il 23 marzo 1982.
«Potrei dire di me che il mio guardaroba intellettuale contiene pochi capi interi», scrisse di sé lo stesso Praz nella spiritosa introduzione alla sua ultima opera pubblicata da vivo, che è una raccolta di pezzi singoli come la maggior parte dei libri sopra menzionati, rivendicando in ciò la propria discendenza dall’inglese Charles Lamb: «Appartengo anch’io alla categoria delle persone dotate d’intelligenza imperfetta […]. Non troverete in questo libro un sistema filosofico, o, per adoperare il linguaggio del guardaroba, un cappotto o un vestito che possa servirvi di protezione contro l’inclemenza del cielo. No, il mio guardaroba abbonda d’indumenti inutili, seppure indumenti possan chiamarsi: abbonda di cose poco servibili e poco ordinarie, magari più d’un tantino bizzarre e malinconiche; è un documento di poche idee ma di molte manie; è, insomma, piuttosto che un guardaroba, uno di quegli armadi dove si custodiscono, o si custodivano in epoche in cui non c’era da fare economia di spazio, oggetti fuori di moda, lustrini e penne di struzzo e qualche bambola mutilata, relitti buttati su quella riva del gran mare dell’essere; è, insomma, un armadio delle calìe, come si dice in Toscana». Dunque un erudito capriccioso, un cultore di bizzarrie, un curioso di arti minori: tale Praz, ignorando con civetteria i manuali di studio e gli altri contributi accademici prodotti, ostentava di continuare a considerarsi alla fine della sua lunga parabola intellettuale. Ma lo faceva ridacchiando tra sé, con una malcelata punta di orgoglio. Perché a lui come a pochi altri era stato concesso di vedere, con il tempo, le sue predilezioni più personali, le ‘eccentricità’ di una volta, prima accettate dai pochi, e infine condivise dalle masse.
Non aveva mai fatto della propaganda ai propri gusti: li aveva semplicemente formulati perché era un artista, incapace di fingersi diverso. Sull’album del figlioletto di amici disegnò una volta un termometro, e accanto scrisse: «perché non trovi freddo lo stile Impero». All’epoca il fatto che il suo raccogliere cimeli di quel periodo fosse considerato dai critici d’arte non più di una innocente mania lo lasciava indifferente; rendersi conto che la sua collezione valesse miliardi di lire gli fu negli ultimi anni solo fonte di fastidi e di preoccupazioni. Erudito capriccioso, cultore di bizzarrie, curioso di arti minori era stato naturalmente anche considerato dalla cultura ufficiale, quando tali attributi non avevano il carattere elogiativo che avrebbero assunto in seguito, subentrati tempi di diffidenza nei valori cosiddetti positivi. Praz lasciò dire e andò avanti per la sua strada, con tranquilla coerenza e continuità. Il genio ‘sa’: non ha bisogno di conferme, né sul momento né dopo. Quando si immergeva nella poesia barocca, anticipando per quanto riguarda i secentisti inglesi la stessa clamorosa rivalutazione che ne avrebbe fatto Eliot, Praz non investiva in azioni che sperava sarebbero salite; seguiva solo il suo gusto, la sua sensibilità. Così avrebbe anticipato e quindi guidato la moderna rivalutazione dei decadenti; quella dello stile neoclassico; quella del Biedermeier. Così avrebbe segnalato l’importanza per la storia sociale della ‘lettura’ degli ambienti dove la gente viveva nel passato, ovvero dell’arredamento, non soltanto delle dimore più sfarzose. E così sarebbe diventato il principale mediatore tra la cultura anglosassone e quella italiana, che se ne scopriva sempre più attratta.
Persino per quanto riguarda il suo stile letterario, Praz, per tanto tempo non considerato ‘scrittore’ (non fu mai invitato a collaborare al Corriere della sera!) alla fine divenne di moda. Negli ultimi tempi egli stesso rievocò a origine della propria vocazione di saggista l’incontro, affatto fortuito, con i Saggi di Lamb, ricordando come la sua versione apparisse a Emilio Cecchi, che la recensì, formalmente insufficiente, priva di «pulimento, ritmo, frizzo verbale», difettosa «di brio e di mordente». Rinunciando a difendersi da tali censure – quello era stato, dopotutto, quasi il suo esordio –, Praz si limitò a insinuare, fermi restando l’affetto e il rispetto dovuti a uno dei suoi maestri dichiarati, il sospetto che il critico lo giudicasse secondo i criteri della prosa d’arte allora in voga, ma poi screditata. E a ribadire la propria impenitenza, ristampò il volume quasi senza aggiornamenti. Con quale effetto su chi legge? Non tutta la prosa di Praz convince in pieno; certe sue traduzioni, come quelle dal teatro elisabettiano, con il tentativo di ispirarsi alla prosa secentesca italiana, possono sembrare un po’ forzate. Ma per un autore limpido, pacato e sornione, e tutto allusioni sotterranee e vibrazioni segrete come Lamb, sarebbe difficile immaginare una soluzione diversa da quella da lui adottata allora, e in seguito rimasta il suo principale strumento espressivo. Vale a dire una lingua colloquiale, senza preziosità, ma senza cadute nel pedestre, ravvivata qua e là dall’arguzia, dall’estro. In Praz come in Lamb il disordine è solo apparente, le associazioni non sono mai gratuite; una disciplina sorvegliata trasmette un senso di fuoco ardente sotto le ceneri, di passione celata dietro l’autocontrollo e la mediazione di una sapienza esibita obliquamente, quasi come occasione di scherzo. Così durante sessant’anni, affettando di coltivare i suoi hobby, Praz esplorò le letterature e le arti figurative di più Paesi e di più epoche, lasciando un’opera critica imponente per mole e per erudizione, e allo stesso tempo impareggiabile per verve, umorismo, vivacità. Ugualmente essendo solo se stesso, ossia con il suo esempio, senza tentare di fare proseliti, vide formarsi davanti alla sua cattedra di insegnante una scuola di studiosi per varietà di interessi e profondità di preparazione non seconda a nessun’altra nel suo campo, e in tutto il mondo.
Anche come uomo Praz lasciò una lezione di indipendenza. Indifferente alle fazioni nell’Università, fu al di sopra delle parti anche in politica, dove il suo conservatorismo era salvaguardia di valori elementari della civiltà – chi lo conosceva lo sapeva bene, e il suo dev’essere stato il solo caso di collaborazione contemporanea, durante un lungo periodo, a due quotidiani romani come Il Tempo e Paese sera, quando questi giornali erano rispettivamente molto più a destra e molto più a sinistra di quanto avvenga oggi.
La sua obiettività e il suo aspetto insolito – lo strabismo, i favoriti, il piede zoppo, uniti alla solitudine ‒ gli diedero fama di shadenfreude, e persino, ma scherzosamente, di menagramo; e la sua avidità di collezionista, alla quale sacrificava ogni ostentazione di lusso personale, di avaro. Laddove in realtà fu sempre generosissimo dove più conta, ossia intellettualmente, disponibile a tutti, aperto alla curiosità nei confronti del prossimo. Fu uno degli ultimi umanisti, membro di un’accademia ideale che trascendeva i confini delle nazioni, corrispondente di molti tra i letterati più prestigiosi di ogni Paese; e la visita delle sue leggendarie dimore fece parte, per moltissimo tempo, del Gran Tour dei moderni emuli di Goethe.
Opere. Un elenco completo, con più di 2400 voci, può leggersi in Bibliografia degli scritti di M. P., a cura di V. Gabrieli - M. Gabrieli, 2ª ed. riv. e corretta, Roma 1997 (con, in appendice, i saggi: A. Lombardo, Ricordo di M. P.; V. Gabrieli, Master and pupil. A memoir of M. P.; M. Forti, Il museo dell’anima). Un’eccellente, ampia antologia di scritti è il Meridiano Mondadori a lui dedicato: Bellezza e bizzarria. Saggi scelti, a cura di A. Cane, Milano 2002.
Fonti e Bibl.: Friendship’s Garland. Essays presented to M. P. on his seventieth birthday, a cura di V. Gabrieli, I-II, Roma 1966; A. Cane, M. P. critico e scrittore, Bari 1983; Praz memorial issue, a cura di V. Gabrieli, in English miscellany, 1984, n. 30; M. P., a cura di B. Gautier, Paris 1989. Da ultimo si vedano inoltre: D. Dalmas, Il saggio, il gusto e il cliché: per un’interpretazione di M. P., Palermo 2012; A. Arbasino, M. P., in Id., Ritratti italiani, Milano 2014, pp. 413-424.