GIANNINI, Massimo Severo
Nacque a Roma l’8 marzo 1915, primogenito di Amedeo (1886-1960), professore per incarico di diritto della navigazione, ambasciatore, consigliere di Stato e scrittore molto prolifico, e di Olimpia Gaeta.
Studiò al liceo classico Ennio Quirino Visconti e poi si iscrisse a giurisprudenza all’Università di Roma, dove si laureò nel 1936. Della sua tesi di laurea, dedicata all’interpretazione degli atti amministrativi, fu relatore Guido Zanobini, professore di diritto amministrativo, a sua volta allievo di Santi Romano (presidente del Consiglio di Stato e incaricato nella facoltà giuridica romana).
Negli anni universitari ebbe simpatie per il fascismo e nel 1936 scrisse per I Littoriali un articolo nel quale documentava la diffusione del fascismo nel mondo, sostenendone la natura di «dottrina universale» (Il fascismo nel mondo, in I Littoriali, A. II n. 3 [febbraio XIII], pp. 3-6). Dopo la laurea fu per breve tempo incerto se dedicarsi a studi di sociologia, materia allora sconosciuta e poco apprezzata in Italia, oppure di diritto. Scelse di coltivare gli studi giuridici, sotto la guida di Romano. Appena laureato, divenne assistente volontario nell’Istituto di diritto pubblico della Sapienza e ottenne un incarico di insegnamento nell’Università di Sassari.
Nel 1937 sposò Luciana Simonetti (1917-2003), discendente da una famiglia di antiquari romani, dalla quale ebbe due figli, Gaia (1938-2001) e Ivo (n. 1941).
Nel 1938 fu richiamato alle armi prestando servizio a Torino e a Roma. Dopo l’8 settembre 1943 combatté nel Corpo dei volontari della libertà, nel quale raggiunse il grado di maggiore, sotto il comando di Giuseppe Gracceva e in seguito di Sandro Pertini. Aderì alle formazioni socialiste e, insieme con il giurista Giuliano Vassalli, suo amico e coetaneo, e con il medico Alfredo Monaco, organizzò, su direttiva di Pietro Nenni, una rocambolesca evasione di sette detenuti – tra cui Pertini e Giuseppe Saragat – dal III braccio del carcere di Regina Coeli, controllato dai tedeschi.
Insegnò diritto amministrativo dal 1936 al 1985. Professore a Sassari fino al 1939 per incarico, poi straordinario fino al 1940, fu ordinario a Perugia fino al 1953, a Pisa fino al 1959 e, infine, a Roma. Seguendo un’antica tradizione, accanto al diritto amministrativo, insegnò diritto finanziario e scienza delle finanze (a Sassari dal 1936 al 1939 e a Perugia dal 1946), diritto costituzionale (a Perugia dal 1940 e a Roma nel 1983-84), diritto ecclesiastico (a Pisa, dal 1953 al 1956) e teoria generale del diritto (a Pisa, dal 1956 al 1959). Fu docente di scienza dell’amministrazione, contratti della pubblica amministrazione, organizzazione amministrativa al corso di perfezionamento in scienze amministrative dell’Università di Roma dal 1961 al 1980, allorché il corso fu sospeso; quando riprese nel 1986, sempre sotto la sua direzione, vi insegnò amministrazioni degli stati contemporanei. Tenne insegnamenti nelle Università di Parigi, Grenoble, Aix-en-Provence, Madrid, Il Cairo, Istanbul, Tunisi, Caracas, San José di Costarica, Santiago del Cile e conferenze in altre università e istituti culturali. Gli fu conferito il titolo di dottore honoris causa alla Universidad Central de Venezuela, alla Complutense di Madrid, alla Sorbona di Parigi e all’Università di Aix-en-Provence. Fu maestro di circa venti professori di diritto amministrativo e di un gran numero di magistrati e funzionari, e, negli anni Settanta e Ottanta divenne il punto di riferimento di tutti i giovani studiosi di diritto amministrativo, che si rivolgevano a lui per consigli e giudizi. Di tutti leggeva attentamente gli scritti, commentandoli oralmente o per lettera, e suggerendo temi e metodi di ricerca.
La produzione scientifica di Giannini conta quasi 600 scritti, tra cui le opere generali sul diritto amministrativo (lezioni, corsi, istituzioni), sul diritto pubblico dell’economia e sul diritto costituzionale.
Iniziò, giovanissimo, con la pubblicazione di L’interpretazione dell’atto amministrativo e la teoria giuridica generale dell’interpretazione (Milano 1939) e Il potere discrezionale della pubblica amministrazione (ibid. 1939). Nella prima opera distingueva due categorie di mezzi interpretativi, definiti intrinseci ed estrinseci, e osservava che il diritto si interessa dei secondi e non dei primi; l’uso dei mezzi detti estrinseci è disciplinato in due modi, disponendone l’impiego per illustrare e chiarire il significato attribuito al testo dai mezzi intrinseci (interpretazione testuale) o consentendo che con essi tale significato si possa modificare (interpretazione extra-testuale); differenziava inoltre le norme sull’operazione interpretativa da quelle sull’interpretazione e disancorava il problema dell’interpretazione da quello della volontà e della dichiarazione. Nel secondo studio, fondato su un’accurata analisi di casi giurisprudenziali, prospettava la tesi del potere discrezionale come comparazione qualitativa e quantitativa degli interessi pubblici e privati concorrenti in una situazione sociale oggettiva; la discrezionalità è, quindi, ponderazione di interessi essenziali e di interessi secondari.
Nel saggio Profili storici della scienza del diritto amministrativo (in Studi sassaresi, XVIII [1940]), contenente una parte della prolusione del corso sassarese, osservava che il metodo della scienza giuridica era soddisfacente, mentre non lo erano le problematiche, ed esponeva l’idea secondo cui la scienza del diritto amministrativo non coglie la realtà perché dedicata all’astrazione; proponeva l’osservazione diretta dei problemi tramite l’induzione sulle singole leggi e, soprattutto, sulle singole realtà, ritenendo che l’opera del giurista consista nel trarre il sistema dal reale.
Continuò ancora per molti anni a coltivare il tema delle fonti (L'analogia giuridica, Milano 1942; Problemi relativi all'abrogazione delle leggi, Padova 1942; Il governo neofascista e i suoi atti normativi, in Giurisprudenza completa della Corte di Cassazione, 1945; Sulla consuetudine, Padova 1947; Sui regolamenti ministeriali, in Foro italiano, LXXIII [1950]), fino al trattato Illegittimità degli atti normativi e delle norme (Milano 1955) e a quello Alcuni caratteri della giurisdizione di legittimità delle norme (ibid. 1956).
Successivamente, esaminò criticamente la maggiore costruzione teorica di Romano, quella dell’ordinamento giuridico, sostenendone la rudimentalità e applicando la sua visione analitica della teoria dell’ordinamento giuridico – secondo la quale esso consta di tre elementi, la plurisoggettività, la normazione, l’organizzazione – nello studio sul credito (Istituti di credito e servizi di interesse pubblico, in Moneta e credito, V [1949]), in cui sviluppò il concetto di ordinamento sezionale, e in quello sullo sport (Prime osservazioni sugli ordinamenti giuridici sportivi, in Rivista di diritto sportivo, 1949). Inoltre studiò campi prima inesplorati come la disciplina pubblicistica del credito, le decisioni amministrative contenziose e le deliberazioni amministrative, l’autonomia locale, i profili pubblicistici del lavoro e il diritto cosmico all’inizio delle esplorazioni spaziali.
Nelle Lezioni di diritto amministrativo (Milano 1950) innovò la sistematica della materia, innestando il diritto amministrativo su quello costituzionale, per poi passare all’esame delle fonti, dell’organizzazione e dell’attività, e ribadì il principio della sistematicità del diritto amministrativo, considerato come un insieme organico, retto da principi ordinati gerarchicamente (principio che successivamente abbandonò, in considerazione della ‘coralità’ del diritto amministrativo); portò poi primo piano la dialettica autorità-libertà.
Negli anni che seguirono, svolse ricerche in numerosi settori: il diritto internazionale, i sistemi costituzionali, il diritto pubblico dell’economia e il diritto finanziario, il campo della responsabilità amministrativa e contabile.
In un secondo corso di lezioni, più ampio e sviluppato del primo, pubblicato agli inizi degli anni Sessanta (Lezioni di diritto amministrativo, Roma 1961 e 1962) – in cui seguì nel disegno il corso del 1950, ma aggiunse beni, obbligazioni e giustizia – non pose più al centro del diritto amministrativo il conflitto autorità-libertà, criticò l’impostazione geometrica dei diritti e mise in luce la tendenza legislativa ad ampliare la parte dell’amministrazione regolata dal diritto privato, anziché dal diritto amministrativo. Quel decennio, che lo vide impegnato quale consulente e nei dibattiti pubblici sulla riforma regionale e su quella della giustizia amministrativa, sul riordino dell’organizzazione della ricerca scientifica e sulla riforma dell’organizzazione turistica, si concluse con il corso intitolato Diritto amministrativo (Milano 1970), nel quale si può registrare il più importante sforzo di riportare l’intera materia a unità, abbandonando la distinzione tra parte generale e parte speciale del diritto amministrativo.
La quarta opera generale di diritto amministrativo fu Istituzioni di diritto amministrativo (Milano 1981), alla fine della quale dedicò un lungo capitolo alle funzioni, distinguendole in funzioni di azienda (beni e mezzi finanziari), di indirizzo, coordinamento e programmazione, e altre. Una delle novità maggiori dell’opera fu l’individuazione delle ‘invarianti’, ovvero concetti che hanno maggior durata di altri, di cui presentò un’analisi prima di ogni trattazione di diritto positivo.
Nell’Introduzione al diritto costituzionale (Roma 1984), frutto delle lezioni romane di diritto costituzionale dell’anno accademico 1983-84, affermò che lo Stato è divenuto un aggregato di strutture, che partiti e sindacati vanno annoverati tra i poteri pubblici, che il Parlamento è sede di affluenza di interessi ordinati al dibattito pubblico, alla discussione, alla valutazione, alla composizione di interessi, solo eventualmente formalizzantesi in una decisione; che l’organizzazione statale, dal modello a burocrazia compatta, è divenuta multipolare.
Delle altre opere generali sono poi da ricordare Diritto pubblico dell’economia (Bologna 1977, II ed., ibid. 1985) e Il pubblico potere - Stati e amministrazioni pubbliche, Bologna 1986).
Giannini è stato, allo stesso tempo, storicista e razionalista. Infatti non solo ha continuamente ribadito l’idea della storicità del diritto, ma ha anche dato un concreto contributo alla storicizzazione degli istituti e del pensiero giuridico, indagando la storia di istituti come il Consiglio di Stato, gli interventi nelle aree sottosviluppate, i mercati comunali, l’impiego pubblico; di persone, come Piero Calamandrei, Federico Cammeo, Guido Zanobini; di idee, come quella di regione. A sua volta, può dirsi che abbia storicizzato il suo stesso pensiero, mettendo in prospettiva le idee ricostruttive fondamentali e registrandone il mutamento o l’abbandono. Sostenne dapprima la tesi del diritto amministrativo come sistema, ma andò via via attenuando e storicizzando tale idea, così come abbandonò il principio – che pure aveva incontrato un grandissimo successo – del diritto amministrativo come conflitto tra autorità e libertà, riconoscendo che esso è ormai divenuto corale. Oppositore in un primo momento del privatismo portato nello studio del diritto pubblico, si convinse poi della larga penetrazione del diritto privato e dei suoi moduli nel diritto amministrativo, ciò che richiedeva ai suoi cultori di dotarsi della relativa strumentazione tecnica. Sempre critico della pandettistica, approdò alla tesi dell’esclusiva esistenza di invarianti.
Come razionalizzatore del diritto amministrativo, diede un contributo essenziale al sistema dei concetti di base e di quelli applicativi della materia, sempre sottolineandone la mutevolezza ma, nello stesso tempo, fornendone un’architettura concettuale di essenziale limpidità. I suoi motivi di fondo appaiono due: il dominio del diritto come fenomeno unitario, ordinabile in scienza rigorosa secondo principi (o invarianti), e l’attenzione per la realtà. L’unità del diritto costituì sua cura costante, prima nel ricordare agli amministrativisti il diritto privato, con i suoi 3000 anni di vita; poi nel rammentare agli studiosi di diritto privato la necessità di allargare il loro studio, che si trattasse delle figure giuridiche soggettive o della responsabilità o dei moduli negoziali.
Fu il continuatore dell’opera dei maestri della prima e della seconda generazione della scuola italiana di diritto pubblico, come gli fu riconosciuto da Vittorio Emanuele Orlando in una lettera del 18 agosto 1951, in cui gli scriveva: «io sono il passato e lei l’avvenire» (Dalle “carte Giannini”, a cura di S. Cassese - B.G. Mattarella, in Rivista trimestrale di diritto pubblico, 2000, n. 4, p. 1351). Infatti, sia usò sia sviluppò tutti gli strumenti concettuali, i mezzi di analisi sistematica del diritto e le principali conclusioni della scuola che fa capo a Orlando e a Romano. Nello stesso tempo, fu un grande innovatore, sia nella scelta delle tematiche, sia nel modo in cui le affrontò, portando nell’analisi giuridica un acuto senso della realtà sociale e politica e un forte interesse per la riforma del diritto.
Iscritto fin dal 1943 all’ordine degli avvocati, Giannini esercitò sempre la professione legale – salvo i periodi nei quali ricoprì cariche pubbliche – per lo più dinanzi al Consiglio di Stato, ma anche fornendo una minuta attività di consulenza ad amministratori locali che lo conoscevano e apprezzavano, e gli sottoponevano piccoli e grandi problemi amministrativi, ai quali dava sempre risposte molto sintetiche (una lettera, un breve appunto), ma lucidissime, così contribuendo a risolvere un gran numero di problemi pratici di gestione.
In alcune fasi della sua vita fu impegnato direttamente nell’attività politica. Membro del comitato di esperti per la Costituzione promosso da Meuccio Ruini, nel 1945 fu lui, con Vassalli, a proporre a Nenni l’istituzione di un ministero per preparare il lavoro della Costituente, il cui scopo fosse anche quello di convincere gli italiani che la futura assemblea non si proponeva misure sanguinose, come quelle suggerite dal ricordo degli analoghi consessi rivoluzionari francesi. Istituito il ministero, nel 1945-46 fu capo di gabinetto del ministro, chiamato a quel ruolo da Nenni (un’esperienza sulla quale gli fu richiesto più volte di tornare per ricordare l’attività svolta e i programmi di formazione della Costituzione e su cui, in particolare, scrisse l’accurato resoconto Il Ministero per la Costituente e gli studi preparatori per la Costituzione, in I precedenti storici della Costituzione. Studi e lavori preparatori, Milano 1958). In tale veste, promosse e diresse tutti gli studi e le attività preparatorie della Costituzione, dalla commissione per studi attinenti alla riorganizzazione dello Stato alla commissione economica, a sua volta articolata in più sottocommissioni, dalla «Collana di testi e documenti costituzionali» al Bollettino di informazione e documentazione del Ministero per la Costituente. Come componente della commissione per la riorganizzazione dello Stato, insieme con Tommaso Barbara, nel 1946 avanzò la proposta di organizzazione dell’amministrazione per servizi anziché per ministeri.
Nell’anno nel quale diresse l’attività di preparazione della Costituzione mostrò tutte le sue capacità di studioso, di organizzatore e di politico. Ciò nonostante, Nenni non sostenne la sua candidatura all’Assemblea costituente, il che fu motivo di rammarico per lui e per chi – come il giurista e membro dell’Assemblea Costantino Mortati – ne aveva apprezzato il lavoro. Nel periodo della preparazione della Carta suggerì comunque ai costituenti a lui più vicini, come il socialista Lelio Basso, proposte di norme (particolarmente importante il suo ruolo nella formulazione del secondo comma dell’art. 3, relativo all’eguaglianza in senso sostanziale).
Già membro nel 1945 della commissione giuridica del ministero della Ricostruzione, dal 1946 al 1948 fu capo dell’ufficio legislativo del ministero dell’Industria con Rodolfo Morandi.
La sua attività politica subì poi una lunga interruzione, anche per il prevalere della Democrazia Cristiana (DC), del cui leader, Alcide De Gasperi, Giannini non aveva stima, e a causa della caduta della tensione riformistica. Uscì, quindi, da quel circuito politico-culturale del quale aveva fatto parte nel decennio precedente.
Nel 1949 prese le distanze anche dal Partito socialista italiano (PSI), alla cui vita aveva attivamente partecipato negli anni Quaranta e dal quale uscì del tutto nel 1953. Si sarebbe riavvicinato negli anni Ottanta, per allontanarsene nuovamente subito dopo, deluso per l’assenza di un interesse continuativo per i problemi delle istituzioni. Criticava il velleitarismo dei socialisti, convinto che fare politica volesse dire amministrare. Al PSI e ai suoi dirigenti rimproverava, sia negli anni Quaranta sia negli Ottanta, scarsa tenacia nel perseguire gli obiettivi.
Fino al 1975 fu chiamato a far parte di numerosi comitati e commissioni ministeriali, tra cui il comitato tecnico per la legislazione tributaria; la commissione per la legge urbanistica presso l’Istituto nazionale di urbanistica; le varie commissioni per la riforma della legge regionale, provinciale e comunale, e per la riforma della legge sulle municipalizzazioni dei servizi locali, presso il ministero dell’Interno; le commissioni per la riforma della legge di contabilità e per la riforma della legislazione urbanistica, dal 1962 (commissioni Sullo, Pieraccini, Mancini ecc.); le commissioni per la riforma delle leggi sulle società e dei monopoli di Stato. Nel 1977 presiedette la commissione preparatoria dei decreti attuativi del decentramento regionale. Collaborò poi alla redazione delle leggi sulla nazionalizzazione dell’energia elettrica e sull’ordinamento regionale.
Nel 1979-80 fu ministro della Funzione pubblica (governo Cossiga I e II) e in quella veste promosse un’ampia ricerca sulle amministrazioni dello Stato (Formez, Ricerca sull’organizzazione ed il funzionamento delle amministrazioni centrali e periferiche dello Stato: Indice generale dell’indagine, I-IV, Roma 1983) e preparò il Rapporto sui principali problemi dell’amministrazione dello Stato, più noto come «Rapporto Giannini», che, trasmesso alle Camere il 16 novembre 1979, diede luogo all’ordine del giorno della commissione Affari costituzionali del Senato del 10 luglio 1980 (il testo e tutte le relazioni che Giannini promosse come ministro sono raccolti in Rivista trimestrale di diritto pubblico, 1982, n. 2). Giannini vi riprese e sviluppò l’idea esposta nel 1959 in uno scritto dal titolo In principio sono le funzioni (in Amministrazione civile, II, 3, pp. 11 ss.), secondo cui i problemi organizzativi, del personale e procedurali sono accessori e conseguenti a quelli sostanziali, relativi alle funzioni. La stessa idea, tratta dagli studi di scienza dell’organizzazione, fu poi alla base delle analisi delle insufficienze funzionali e dimensionali degli enti locali. Nel Rapporto elaborò inoltre l’idea che l’amministrazione fosse una grande azienda erogatrice di servizi per la collettività e dovesse quindi adeguare le sue tecniche gestionali a quelle proprie delle aziende del terziario.
Uscito nuovamente di scena, tornò all’impegno politico nel 1990-92 quando contribuì alla fondazione di un comitato per la riforma democratica e fu tra i promotori dei quesiti referendari per l’abolizione del ministero delle Partecipazioni statali, dell’intervento straordinario nel Mezzogiorno e del sistema delle nomine bancarie; aderì inoltre al referendum contro il finanziamento pubblico dei partiti promosso dai radicali. Dopo il successo dei referendum del 18 aprile 1993, con altri intellettuali creò (ma con crescente scetticismo) l’associazione Alleanza democratica che diede vita a una lista elettorale, anche per sostenere in Parlamento le riforme referendarie. Alle elezioni politiche del 1994, però, la lista non riuscì a conquistare alcun seggio. L’insuccesso dell’iniziativa contribuì ad aumentare l’amarezza di Giannini e la sua sfiducia nella possibilità di un serio e continuativo impegno nella riforma delle istituzioni.
All’attività universitaria e a quella politica, Giannini ne affiancò una, intensa, di organizzazione culturale. Primo redattore della Rivista trimestrale di diritto pubblico, periodico fondato nel 1951 da Zanobini per assicurare la continuità della scuola italiana di diritto pubblico, la diresse, dopo la morte di Zanobini, dal 1965 al 2000. Partecipò dall’inizio (1958) alla direzione collegiale della Enciclopedia del diritto e, nell’ultima parte della sua vita, ne fu il direttore (fu inoltre autore delle voci: Attività amministrativa [1958], Atto amministrativo [1959], Autonomia [1959], Certezza pubblica [1960], Diritto amministrativo [1964], Impiego pubblico [1970], Inefficacia [1971], Motivazione dell’atto amministrativo [1977], Organi - Teoria generale [1981]). Fece parte delle direzioni o dei comitati scientifici di un gran numero di riviste giuridiche: Rivista di diritto industriale, Rivista giuridica dell’edilizia, Il diritto dell’informazione e dell’informatica, Diritto e pratica dell’aviazione civile, Rivista giuridica della circolazione e dei trasporti, Rivista trimestrale degli appalti, Rivista trimestrale di scienza dell’amministrazione, Rivista di diritto sportivo, Rivista giuridica del lavoro, Giustizia civile, Rivista di diritto farmaceutico, Rivista amministrativa della Repubblica italiana. Importante fu il suo ruolo di commentatore della giurisprudenza con la collaborazione, dal 1945 al 1952, alla Giurisprudenza completa della Corte di Cassazione, dal 1953 al 1962 al Foro amministrativo e, dal 1956 al 1968, alla Giurisprudenza costituzionale. Collaborò, con articoli apparsi nel 1972-1973, al quotidiano Il Giorno e tenne frequentemente conferenze, lezioni, dibattiti, seminari, tavole rotonde, divenendo in questo modo un ‘intellettuale pubblico’, a differenza di molti suoi colleghi, noti esclusivamente nell’ambiente accademico e in quello delle professioni legali.
Membro elettivo del Comitato per le scienze giuridiche e politiche del Consiglio nazionale delle ricerche, promosse la creazione dell’Istituto di studi sulle regioni. Fu presidente del Comitato scientifico dell’Institut international des sciences administratives, vicepresidente dello stesso Istituto e componente di altre commissioni di organismi internazionali. Fu socio dell’Accademia dei Lincei, dell’Accademia complutense e della Real Academia de ciencias morales y politicas, e vicepresidente del Consiglio superiore del ministero dei Beni culturali e ambientali, una problematica cui dedicò molte energie, sia riprendendo la tematica delle cose d’arte sulla base della legislazione del 1939, opera di Santi Romano e di pochi esperti del settore, come Mario Grisolia, sia facendo parte della commissione d’indagine per la tutela e la valorizzazione del patrimonio storico, archeologico, artistico e del paesaggio, detta commissione Franceschini (1964-67), sia fornendo pareri molto apprezzati, anche se poco seguiti, ai ministri che si successero alla guida del dicastero dal 1974 in poi.
Una malattia lo tenne lontano dalla vita pubblica e dagli studi negli ultimi anni. Morì a Roma il 24 gennaio 2000.
Molte delle idee di Giannini sono divenute patrimonio comune. Le sue riflessioni sullo Stato pluriclasse, sugli elementi degli ordinamenti giuridici, sugli ordinamenti sezionali, sulla multifinalità dei poteri pubblici, sulla discrezionalità come ponderazione di interessi, sugli spostamenti del confine tra pubblico e privato e sulla formazione di un’area comune, sulle figure giuridiche soggettive (munus, ufficio ecc.), sulla collegialità, sugli effetti delle certezze pubbliche, sui procedimenti ablatori, sulla tipologia dei contratti pubblici (a evidenza pubblica e a oggetto pubblico), sulla proprietà collettiva, sui beni culturali, sull’ambiente, sulle imprese pubbliche, sono ormai acquisite dalla cultura giuridica.
È stato osservato che Giannini «ha avuto una vita ricca e generosa, nella quale si sono sempre intrecciati uno straordinario lavoro scientifico, una inesauribile passione civile, uno sguardo distaccato e ironico sugli uomini e sul mondo, l’implacabilità del giudizio e l’attenzione per gli altri», che si è ispirato al «modello del giurista come scienziato sociale», che «parte da una rigorosa base tecnica, ma sa bene che bisogna andare al di là di essa» (S. Rodotà, Addio Giannini maestro delle riforme, in La Repubblica, 25 gennaio 2000). Ha ampliato l’orizzonte dei giuristi e arricchito il loro strumentario, insegnato il realismo, ribadito il legame dell’amministrazione con la Costituzione, reintegrato nell’ordine giuridico tutto ciò che da esso era stato escluso, invitato a considerare la molteplicità degli interessi reali, abbandonando il riduzionismo giuridico (S. Rodotà, “Compagni di strada”: Lelio Basso e Massimo Severo Giannini, in Politica del diritto, XXXVI [2005], 4, pp. 677 ss.).
Un elenco (non completo) degli scritti di Giannini è in S. Cassese - C. Franchini - L. Torchia, Scritti in onore di Massimo Severo Giannini, I, Milano 1988, pp. XV-LXVIII. Molti sono raccolti nei dieci volumi degli Scritti, Milano, 2000-08 (non vi sono pubblicati i corsi e le lezioni), un’antologia è in Massimo Severo Giannini, a cura di S. Cassese, Bari-Roma 2010.
S. Cassese, Cultura e politica del diritto amministrativo, Bologna 1971, p. 114; M. D’Alberti, Alcune riflessioni generali sul «Rapporto Giannini», in Rivista giuridica del lavoro e della previdenza sociale, 1980, n. 1-2, pp. 55-63; S. Cassese, In onore di M.S. G., in Rivista trimestrale di diritto pubblico, 1988, n. 2, pp. 303-341; M. D’Alberti, Configurazioni del diritto amministrativo in M.S. G., in L’unità del diritto. M.S. G. e la teoria giuridica, a cura di S. Cassese et al., Bologna 1994, pp. 51-78; S. Cassese, G. e la rinascita del diritto amministrativo, in Giornale di diritto amministrativo, 1997, n. 6, pp. 580-589; P. Grossi, Scienza giuridica italiana. Un profilo storico 1860 - 1950, Milano 2000, pp. 299-301; Vita ed opere di M.S. G., in Rivista trimestrale di diritto pubblico, 2000, n. 4 (numero monografico); M. D’Alberti, M.S. G. e l’intervento pubblico nell’economia, in Stato ed economia all’inizio del XXI secolo, a cura di C. Franchini - L. Paganetto, Bologna 2002, pp. 133-143; A. Sandulli, Costruire lo Stato, la scienza del diritto amministrativo in Italia (1800-1945), Milano 2009, p. 251; M. D’Alberti, M.S. G.: realista e cartesiano, in Giornale di diritto amministrativo, 2011, n. 3, p. 319; A. Pajno, M.S. G. e l’interpretazione della complessità, ibid., p. 325.