Matematica
Tra le scienze oggetto dell'interesse di Federico II e coltivate presso la sua corte, la matematica occupa certamente uno spazio meno ampio di quello che ebbe la filosofia naturale. Costituisce tuttavia una componente non secondaria della cultura federiciana, in primo luogo per il legame che il sovrano e alcuni personaggi della sua corte strinsero con Leonardo Fibonacci, lo studioso che, proprio nei primi decenni del Duecento, stava aprendo la strada a uno straordinario rinnovamento degli studi aritmetici nell'Occidente latino. Con lui le discipline del numero sfuggivano ai limiti entro i quali erano costrette dalla collocazione all'interno del curriculum scolastico delle arti liberali, che assegnava ad esse funzione esclusivamente propedeutica e scarsi collegamenti con la pratica; trovavano al contrario, proprio nell'esigenza di rispondere a bisogni concreti della società del tempo, lo stimolo per ambire a un più elevato impegno scientifico.
Il rapporto che si stabilì tra le curiosità intellettuali della corte sveva e la geniale ricerca del mercante-matematico pisano riassume in qualche modo tutto quanto sappiamo sulla fortuna dell'aritmetica e della geometria nell'entourage di Federico II. Anche perché proprio gli scritti di Fibonacci, in particolare le dediche dei suoi libri, sono la fonte pressoché unica delle notizie su questo argomento; un collegamento con il versante universitario dell'aritmetica e della geometria non risulta infatti documentato se non successivamente, con Manfredi (Gauthier, 1982). Sviluppatosi nell'arco del tempo attraverso contatti epistolari, richiesta di chiarimenti scientifici, dedica e invio di scritti, il rapporto con Fibonacci ebbe un momento importante nell'incontro personale tra il matematico e l'imperatore che si svolse a Pisa in un anno difficile da precisare con certezza (Rashed, 1994, p. 324, lo data al 1226, ma converrebbe forse anticiparlo alquanto). Attorno a questo episodio sembrano annodarsi alcuni dei fili che conducono a personaggi della corte federiciana che manifestano interessi per le discipline matematiche. Scendendo dal Nord verso la Sicilia, la corte si fermò a Pisa, dove Federico non si lasciò sfuggire l'opportunità di incontrare l'ormai famoso matematico (che già nel 1202 aveva pubblicato la sua opera maggiore, il Liber abaci o, come egli preferisce citarlo, Liber de numero). Lo stesso Fibonacci, nell'opera intitolata Flos super solutionibus quarundam questionum ad numerum et ad geometriam vel ad utrumque pertinentium, ricorda che alla presenza dell'imperatore si svolse un'animata conversazione, durante la quale un personaggio della corte, il magister Giovanni (philosophus vester lo chiama Fibonacci rivolgendosi a Federico; su di lui Burnett, 2001, pp. 233-234; Folkerts, 2001, p. 318), dopo aver dibattuto multa de numeris, propose tre quesiti da risolversi con il calcolo algebrico: da notare che il secondo riguardava un'equazione già proposta nel libro X degli Elementi di Euclide (Boncompagni, 18562, pp. 2, 17; Id., 1862, p. 227). Il clima è quello consueto della di-sputa erudita; l'interlocutore di Leonardo Pisano è accreditato di un titolo, magister, che rimanda a una formazione scolastica, e almeno uno dei temi da lui proposti appartiene alla tradizione della matematica euclidea. Anche l'esito letterario della discussione ne rivela il carattere occasionale: probabilmente Fibonacci mise per iscritto le soluzioni elaborate per i tre quesiti e le trasmise all'imperatore, al quale nel testo si rivolge direttamente; mentre poi i tre problemi furono riuniti insieme con altri nel Flos, che nel complesso è dedicato al cardinale Raniero Capocci (Boncompagni, 1854, pp. 20-21; Paravicini Bagliani, 1994, p. 449).
Ancora all'incontro pisano sembra da ricollegarsi la genesi di un'altra opera di Fibonacci, il Liber quadratorum, databile, come il Flos, intorno al 1225 (Boncompagni, 18562, pp. 55-122; Id., 1862, pp. 253-283; Repertorium fontium, 1997, pp. 188-189). L'autore sottolinea che questo lavoro costituisce uno sviluppo, più organico e completo, della soluzione da lui data alla prima delle questioni che gli erano state proposte a Pisa dal magister Giovanni; dall'interesse per questi problemi, che ha potuto cogliere in quell'occasione, e dalle notizie che gli vengono dalla corte sa che all'imperatore "piace di quando in quando dilettarsi con le subtilitates che riguardano i numeri e la geometria" (Boncompagni, 18562, p. 54; Id., 1862, p. 253), e gli destina quindi il frutto delle sue fatiche. Tra le pagine del Liber quadratorum fa la sua comparsa un altro personaggio della corte, la cui personalità è ben più nota di quella di Giovanni, Teodoro di Antiochia. Tra le questioni affrontate da Fibonacci, una si dice suggerita proprio a magistro Theodoro, domini imperatoris philosopho: non si sa se l'occasione sia stata ancora una volta l'incontro di Pisa o vada riportata a un rapporto epistolare tra i due, che è del resto testimoniato: Teodoro è infatti anche destinatario di una lettera nella quale Fibonacci affronta semplici questioni di calcolo (Boncompagni, 1854, pp. 22, 44). La dedica di quest'ultima è interessante, perché allude, in una forma che resta un po' ambigua, al livello di complessità sul quale si sviluppa il dialogo tra il matematico pisano e i suoi interlocutori nella corte. Secondo Fibonacci lo scritto era stato composto su richiesta di un amico del tutto nuovo a questa materia, uno che, come un infante, aveva bisogno di latte, non essendo assolutamente in grado di affrontare il cibo più sostanzioso rappresentato dal Liber abaci (Leonardo riprende qui una vulgatissima metafora paolina); ciò non toglie che l'autore ritiene opportuno inviarlo anche a Teodoro, imperialis aule summe philosophe, che naturalmente ne trascurerà le parti superflue, ritenendo soltanto quelle più utili.
Relazioni tra la corte federiciana e Fibonacci dovevano essersi stabilite già prima dell'incontro pisano, anzi dovevano averlo in qualche misura propiziato. Come ricorda ancora la dedica del Liber quadratorum, in quell'occasione Leonardo era stato presentato all'imperatore da un magister Domenico: si tratta quasi certamente di quel Domenico con il quale egli intratteneva rapporti almeno dal 1220 circa, quando gli aveva dedicato, su sua richiesta, una Practica geometrie, destinata a un largo successo anche nelle versioni volgari. Il carattere pratico di questo testo, già segnalato nel titolo e confermato dalle modalità della diffusione, era sottolineato anche nella dedica. Mentre per la materia trattata nelle opere di cui si è detto precedentemente l'autore precisava che essa può e deve essere affrontata sia con il metodo aritmetico che con quello geometrico, qui egli si propone di adattare il discorso alle esigenze di coloro che intendono procedere esclusivamente secondo dimostrazioni geometriche, o addirittura secundum vulgarem consuetudinem (Boncompagni, 1862).
A tutt'altro clima ci riporta l'interesse mostrato dalla corte federiciana per l'opera maggiore di Fibonacci, il Liber abaci. Qui già la prima edizione, risalente al 1202, doveva essere nota e apprezzata; è lecito anzi supporre che la lettura di quelle pagine tanto innovative abbia alimentato più di ogni altro testo l'interesse della corte sveva per le matematiche. Nel prologo del Liber quadratorum l'autore constata con soddisfazione: "l'imperatore si degna di leggere il libro che ho composto de numero" (Boncompagni, 18562, p. 54; Id., 1862, p. 253); l'incertezza delle date non permette di decidere se l'interesse per l'opera sia venuto a seguito della conoscenza diretta dell'autore, o se al contrario ne abbia costituito la premessa. Certo, il Liber abaci sarà protagonista di un incontro ben più significativo di quello, pur così fertile di contatti e di relazioni, avvenuto a Pisa. La dedica a Michele Scoto, nel 1228, della versione riveduta rappresenta l'offerta alla corte federiciana dell'opera che il suo autore sente come il compendio della nuova matematica, lo strumento che consentirà ai latini di portare le proprie conoscenze in questo settore al livello di quelle che, come Fibonacci ha potuto apprendere nelle sue peregrinazioni, si coltivano apud Egyptum, Syriam, Graecia, Siciliam et Provinciam. Una 'completa dottrina dei numeri', che pur tenendo nel debito conto l'eredità euclidea, vuole fondarsi anzitutto sul metodo elaborato dalla tradizione araba, su quel modus Indorum che Fibonacci "ha scelto come il migliore per questa scienza". Un sapere che è orientato più alla teoria che alla pratica, a differenza di quanto accadeva nella Practica geometrie; nel caso del Liber abaci, partendo dalla consapevolezza della connessione tra aritmetica e geometria, si vogliono invece trattare i problemi geometrici iuxta modum numeri, secondo metodi algebrici (Boncompagni, 1857, p. 1).
Per questo ambizioso progetto Fibonacci individua, presso la corte di Federico, un interlocutore in Michele Scoto, e non per esempio in Teodoro di Antiochia, che pure risulta legato alla cultura islamica, in quanto allievo a Mosul di Kamāl al-Dīn ben Yūnus, e forse inviato a Federico II dal gran califfo (Burnett, 2001, p. 236). Nata tutta sul terreno della pratica, ma poi certamente alimentata da incontri con maestri che rappresentavano raffinate tradizioni scientifiche, l'esperienza che il mercante pisano ha condensato nel Liber abaci va ben al di là degli interessi e delle esigenze della consueta cultura mercantile: ciò spiega come questo suo testo abbia potuto svolgere la funzione di "anello di congiunzione tra la matematica teorica successivamente insegnata nelle università e la matematica pratica, destinata a essere utilizzata dai mercanti" (Folkerts, 2001, p. 320). Nonostante il rapporto con Michele Scoto e nonostante l'interesse manifestato personalmente da Federico II, la matematica esposta nel Liber abaci va forse anche oltre le possibilità di ricezione della corte sveva. Si tratta di un'esperienza che sembra restare, nella sua completezza e complessità, piuttosto estranea ai gusti intellettuali di quell'ambiente, nel quale sono molto meglio testimoniate, per questo settore disciplinare, esigenze legate alla pratica, o semplici curiosità erudite che si manifestano sulla scia della tradizione scolastica, come quelle espresse a Pisa dai dotti della cerchia di Federico.
fonti e bibliografia
B. Boncompagni, Intorno ad alcune opere di Leonardo Pisano matematico del secolo decimoterzo, Roma 1854.
Id., Opuscoli di Leonardo Pisano, Firenze 18562.
Id., Scritti di Leonardo Pisano matematico del secolo decimoterzo, I, Leonardi Pisani Liber Abbaci, Roma 1857; II, Leonardi Pisani Practica geometrie ed opuscoli, ivi 1862.
G. Arrighi, La fortuna di Leonardo Pisano alla corte di Federico II, in Dante e la cultura sveva. Atti del Convegno di studi, Melfi, 2-5 novembre 1969, Firenze 1970, pp. 17-31.
R.-A. Gauthier, Notes sur les débuts (1225-1240) du premier averroïsme, "Revue des Sciences Philosophiques et Théologiques", 66, 1982, pp. 321-374.
A. Paravicini Bagliani, Federico II e la Curia romana: rapporti culturali e scientifici, in Federico II e le scienze, a cura di P. Toubert-A. Paravicini Bagliani, Palermo 1994, pp. 439-458.
R. Rashed, Fibonacci e la matematica araba, ibid., pp. 324-337.
Ch.S.F. Burnett, Le traduzioni sistematiche del XII secolo. Le traduzioni nel XIII secolo, in Storia della scienza, IV, Roma 2001, pp. 224-236.
M. Folkerts, Le discipline matematiche, ibid., pp. 313-323. Repertorium fontium historiae medii aevi, VII, Fontes L-M, Romae 1997, pp. 188-189.