matrimonio
Unione socialmente riconosciuta tra uomo e donna
Il matrimonio è un’unione tra due persone in qualche modo ‘ufficializzata’, cioè riconosciuta dalla società e dalle autorità religiose o civili. In genere, anche se non sempre, si tratta di un’unione tra un uomo e una donna finalizzata alla procreazione e all’allevamento dei figli. L’istituzione del matrimonio è diffusa in tutte le culture e in tutte le epoche, ma può assumere una varietà pressoché infinita di forme, così come variano nel tempo e nello spazio le regole che stabiliscono i diritti e i doveri reciproci e le relazioni tra coniugi
Secondo alcuni antropologi dell’Ottocento il matrimonio non esisteva nelle prime società umane, all’interno delle quali le relazioni tra i generi non erano regolate da alcuna norma. Questa ipotesi, tuttavia, sembra contraddetta dal fatto che tutte le società e le culture studiate dagli antropologi e dagli etnologi – anche le più primitive – conoscono l’istituzione del matrimonio, un’unione socialmente riconosciuta tra un uomo e una donna che ha come fine la procreazione e la legittimazione della prole.
Se queste sono le caratteristiche più diffuse del matrimonio, esistono però numerose eccezioni che rendono impossibile dare una definizione di questa istituzione che ne abbracci le infinite forme e varianti. Per esempio tra i Nuer, una popolazione del Sudan meridionale, una donna può sposare un’altra donna e sarà considerata il padre ‘sociale’ dei figli che essa avrà da altri uomini. Fra i Nayar, invece, una tribù dell’India meridionale, le ragazze maritate non coabitano con il coniuge e sono libere di avere amanti con cui fare figli. Né il marito né gli amanti esercitano diritti sulla prole, che appartiene al gruppo di discendenza materno.
Un’altra eccezione è costituita dal matrimonio omosessuale, di recente legalizzato in alcuni paesi europei e Stati americani. La procreazione, inoltre, non è sempre una delle finalità prioritarie del matrimonio, come dimostra il numero crescente di coppie regolarmente sposate che oggi nel mondo occidentale scelgono di non avere figli.
Per classificare le forme del matrimonio sono molto importanti le regole che stabiliscono la cerchia di persone all’interno della quale esso è permesso e quella all’interno della quale è vietato. Da tale distinzione derivano due forme fondamentali di sistemi matrimoniali: l’endogamia, che prescrive il matrimonio all’interno del proprio gruppo, e l’esogamia, che lo prescrive all’esterno del proprio gruppo. Il gruppo può essere costituito dalla cerchia dei consanguinei o dalla discendenza in linea materna o paterna, il clan, ma anche da un gruppo religioso, una classe, una casta, un gruppo etnico, una razza. Secondo l’antropologo britannico Edward Burnett Tylor, l’esogamia costituiva l’unico mezzo di cui disponevano le società primitive per stringere alleanze, poste di fronte a una «semplice alternativa pratica: sposarsi al di fuori del proprio gruppo o essere uccisi». Per questo motivo l’esogamia fu istituzionalizzata nella regola che prescrive il matrimonio al di fuori della banda o del clan.
Nelle società occidentali l’affermarsi dell’esogamia fu favorito dal cristianesimo, che tra il 3° e il 4° secolo si oppose a ogni tipo di matrimonio fra parenti. Il diritto canonico sancì il divieto di matrimonio tra consanguinei, parenti adottivi e affini (i parenti del coniuge).
L’endogamia, ossia il matrimonio all’interno del proprio gruppo sociale, è ancora diffusa in India dove vige l’endogamia di casta, che impone di sposarsi con una persona della stessa casta. Forme di endogamia di ceto si sono avute in Europa nella società di antico regime, dove ci si aspettava che i nobili si sposassero fra di loro: la mésaillance, cioè il matrimonio fra un aristocratico e una donna di condizioni sociali inferiori, veniva severamente condannata.
Negli Stati Uniti si è avuta per lungo tempo una forma di endogamia razziale: in molti Stati i matrimoni fra bianchi e neri erano vietati da leggi che sono state perlopiù abrogate solo dopo la Seconda guerra mondiale.
Il matrimonio può essere singolo o plurimo a seconda del numero di persone con cui un uomo o una donna possono sposarsi. Nella poliandria (un termine derivato dal greco che significa «molti uomini») una donna può avere più di un marito. Abbastanza raro, il matrimonio poliandrico è documentato in India, soprattutto nella regione dell’Himalaya.
Molto più diffusa, soprattutto nel mondo islamico (Islam), è la poliginia, cioè il matrimonio di un uomo con più donne. Generalmente questa forma di matrimonio è riservata agli uomini più anziani e potenti, e in alcuni casi è privilegio esclusivo dei capi: le numerose spose sono un segno del potere. Un altro tipo di matrimonio plurimo è il ‘matrimonio di gruppo’, in cui un gruppo di fratelli sposa collettivamente un gruppo di sorelle e i figli vengono allevati da figure parentali collettive. La forma di matrimonio più diffusa nel mondo occidentale è però la monogamia, in cui uomini e donne possono avere un solo coniuge.
In tutte le culture e le epoche storiche il matrimonio è associato a una varietà di riti e di cerimonie. Molto spesso la celebrazione delle nozze è preceduta da una promessa formale di matrimonio, il fidanzamento. In molte società – per esempio tra gli aborigeni australiani, in India e in Cina – i genitori decidevano di fidanzare con qualcuno il figlio o la figlia quando questi avevano solo sei o sette anni o prima ancora che nascessero. Nella Roma antica, gli sponsalia («fidanzamento») venivano conclusi molti anni prima del matrimonio ed erano accompagnati da varie cerimonie, fra cui la consegna alla fidanzata di un anello da parte del fidanzato.
Scomparso nell’alto Medioevo, il fidanzamento riapparve nel 12° e 13° secolo, quando fu introdotta nel diritto canonico la distinzione fra verba de futuro e verba de praesenti («parole per il futuro» e «parole per il presente»): con la prima formula si contraeva il fidanzamento, con la seconda il vero e proprio matrimonio. Fino alla metà del 16° secolo era questa cerimonia, e non quella in chiesa, a essere considerata valida e vincolante.
In quasi tutte le società premoderne il matrimonio comportava un trasferimento di beni, i cosiddetti pagamenti nuziali. Il bridewealth (in inglese «ricchezza della sposa») era un pagamento nuziale corrisposto dal marito, o dalla sua famiglia, alla famiglia della sposa: una specie di risarcimento al gruppo della moglie per la perdita di alcuni diritti sulla donna o sui suoi figli. La dote, invece, era un trasferimento di risorse economiche dai genitori a una figlia che si sposava. Un’altra forma di pagamento nuziale era il servizio per la sposa, con cui l’uomo prima del matrimonio si impegnava a lavorare per un certo tempo per la famiglia della futura moglie. Un famoso esempio di servizio per la sposa si trova nell’Antico Testamento, quando Isacco manda il figlio Giacobbe a prendere moglie dallo zio materno, Labano. Giacobbe si innamora della seconda figlia di questi, Rachele, e per averla in moglie lavora gratuitamente per lo zio per sette anni. Ma alla fine di questo periodo Labano non mantiene la sua parola e gli dà in sposa la prima figlia, Lia. Così, per avere anche Rachele, Giacobbe deve lavorare per lo zio per altri sette anni.
La maggior parte delle società cosiddette primitive conosce il divorzio, cioè lo scioglimento ufficiale del matrimonio, anche se con forme e modalità diverse. Ammesso nell’antica Grecia, il divorzio era molto diffuso a Roma: nell’età di Augusto un matrimonio «concluso dalla morte, non spezzato dal divorzio» era considerato assai raro. Nei paesi musulmani la pratica del divorzio è assai comune: un marito può rompere il matrimonio ripudiando la moglie. Analogamente, nell’Africa subsahariana, dove è ancora oggi molto frequente la poligamia, il divorzio poneva termine a un gran numero di matrimoni. Invece, in Europa, in Cina e in India a porre fine al matrimonio per molti secoli non è stato il divorzio, ma la morte del coniuge.
Avversato dalla Chiesa cattolica, che considera il matrimonio un sacramento e dunque un vincolo sacro, il divorzio fu introdotto nei paesi che aderirono al protestantesimo, per il quale il matrimonio è un contratto civile e non un sacramento. Progressivamente, però, è stato legalizzato anche nei paesi cattolici: in Francia, per esempio, fu introdotto nel 1792 con la Rivoluzione francese, abolito nel 1816 e riammesso nel 1884, in Italia fu legalizzato nel 1970.