Islam
La sottomissione a Dio e a Maometto, il suo inviato
Col termine arabo Islam, letteralmente "sottomissione a Dio", si intende, oltre alla religione musulmana fondata da Maometto nel 7° secolo in Arabia, quell'insieme di pratiche sociali, politiche e culturali che a tale religione fanno riferimento. L'Islam si è diffuso rapidamente con le conquiste militari, coprendo nel corso dei secoli una vasta area: dall'Atlantico all'Asia centrale, fino al Sud-Est asiatico. E proprio per la vastità del suo territorio e per le diverse popolazioni che lo abitano, è improprio parlare di un Islam come di un insieme organico e omogeneo: si tratta, infatti, di un sistema con aspetti e caratteri molteplici che riflettono una pluralità di modi di intendere, adattare e mettere in pratica lo stesso credo
L'Islam è l'ultima delle religioni rivelate, dopo ebraismo e cristianesimo. Maometto, che ha ricevuto attraverso l'arcangelo Gabriele il Corano, è l'ultimo, il "sigillo" dei profeti (i musulmani riconoscono tutti i profeti biblici precedenti: anche Gesù è considerato un profeta, ma non il figlio di Dio). Religione universale, aperta a tutta l'umanità, l'Islam si fonda su un netto monoteismo e sulla rivelazione, che è parola di Dio. Strettamente legato all'unicità di Dio è l'altro aspetto dell'Islam: l'inestricabile connessione tra religione e ogni ambito della vita pubblica e privata del credente. L'Islam, infatti, propone una concezione diversa di religione, una concezione che abbraccia sia la nostra idea di religione sia la nostra idea di politica. Tuttavia i due ambiti, benché non debbano essere separati, vanno distinti. Sebbene non abbia una Chiesa gerarchicamente organizzata, l'Islam si è però avvalso nel corso dei secoli di un corpo di dotti (ulama) che hanno interpretato la dottrina. È essenzialmente la parola di Dio, il Corano, a regolamentare la vita del musulmano (muslim). Ma con il tempo le norme del Corano non potevano bastare, e a queste si è aggiunta la sunnah, cioè la "tradizione" (letteralmente "modo di vita") che raccoglie i fatti e i detti (ma anche i silenzi) del profeta Maometto, gli hadith. Un accurato lavoro di selezione da parte dei dotti musulmani ha condotto a sei raccolte canoniche di hadith. Lavoro, questo, che è stato svolto attraverso la pratica del consenso (ijma'). Infatti Maometto in un hadith avrebbe detto che "la comunità dei credenti non si accorda su un errore".
Maometto, membro di una potente tribù di Mecca, Quraysh, riceve le prime rivelazioni intorno ai quarant'anni; i primi ad abbracciare l'Islam sono sua moglie Khadija, suo nipote 'Ali, Abu Bakr e 'Umar, futuri califfi (califfato). Ma la potente aristocrazia Quraysh non vede di buon occhio la predicazione di Maometto, che nel 622, stanco delle insidie degli abitanti di Mecca, lascia la sua città natale, per emigrare (hijra) con i suoi compagni a Medina (antica Yathrìb), dove fonda la prima comunità musulmana: è l'anno 1 della storia islamica. Dopo una serie di battaglie storiche (Badr nel 624; battaglia del fossato nel 627), nel 630 Maometto e i suoi riconquistano Mecca, entrano nella Ka'ba (l'edificio all'interno del quale è custodita la Pietra nera, probabilmente un meteorite, ritenuta sacra) che ripuliscono dalle divinità politeiste e si muovono verso il Nord. Due anni dopo (632) Maometto, compiuto il pellegrinaggio a Mecca, muore tra le braccia della sua moglie prediletta 'Aysha senza lasciare alcuna indicazione per il suo successore.
Sarà proprio sulla questione della successione che la comunità dei credenti conoscerà la prima grande frattura (con la separazione del gruppo detto degli sciiti). Ma, nonostante questo, la fase iniziale dell'Islam è considerata il periodo d'oro, preso a esempio dalle epoche successive.
Continuano l'opera di conquista iniziata da Maometto i califfi "ben guidati". Le linee di diffusione sono grosso modo tre: una verso nord (la Palestina e la Siria), una verso est (la Mesopotamia), l'altra verso ovest (l'Egitto, da dove parte poi la conquista dell'Africa settentrionale). Nel frattempo, durante la campagna di Siria inizia anche la conquista della Persia: nel 636-637 i musulmani sbaragliano l'Impero sasanide aprendosi la strada per la capitale Ctesifonte. Le forze arabo-musulmane riescono laddove i Romani avevano fallito, conquistando l'intera regione compreso il Khorasan, base per le future operazioni in Asia centrale. Sconfitti i Bizantini in Palestina (639) e in Siria, i musulmani si dirigono in Egitto che conquistano definitivamente nel 645.
L'Islam in poco più di un decennio, partendo dall'Arabia, ha ormai conquistato la regione siro-palestinese, l'Egitto, l'Iraq e la Persia. Sotto il califfato omayyade l'esercito musulmano giunge in Spagna (712), dove in seguito si svilupperà una vera e propria dinastia indipendente, e sotto il califfato abbaside la dinastia turca selgiuchide conquista l'Anatolia (10° secolo); successivamente, nell'11° secolo, altre popolazioni turche conquistano l'India. Nel frattempo, però, anche grazie agli scambi commerciali, l'Islam si è propagato nell'Africa subsahariana (11° secolo), nell'Africa orientale (12° secolo) e nel Sud-Est asiatico (13° secolo).
In epoca recente i flussi migratori in Europa e America hanno dato vita a numerose comunità musulmane.
Accusati di avere usato la spada per guadagnare le conversioni, i musulmani in realtà non hanno imposto con la forza il loro credo religioso. L'Islam riconosce uno statuto speciale ai non musulmani ebrei e cristiani (Ahl al-kitab "Gente del libro"), denominati dhimmi ("protetti"): essi non hanno l'obbligo di convertirsi, possono dunque restare nella dar al-Islam ("casa dell'Islam", cioè tutti i territori musulmani) a patto che paghino una tassa (jizya) in cambio della protezione della comunità (anche i musulmani pagano una tassa!).
Molto è stato scritto sulle ragioni del repentino successo dell'Islam. Le motivazioni sono molteplici. L'Islam, da un lato, ha saputo rispondere a un'esigenza ben precisa delle popolazioni della Penisola Arabica che, come molti studiosi sostengono, anelavano da tempo a un'unica guida dal punto di vista sia politico sia religioso (in opposizione ai due grandi Imperi dell'epoca, quello sasanide e quello bizantino). Dall'altro, ha saputo fare propri alcuni riti e usanze già diffusi nella regione (come il pellegrinaggio), ma ha saputo anche attingere elementi della cultura bizantina e più in generale di quella mediterranea per organizzare il nuovo Stato musulmano. L'Islam, quindi, se per un verso si è posto in continuità col passato, per un altro ha segnato l'inizio di una nuova era (il periodo prima dell'Islam è la jahiliyya, l'epoca dell'"ignoranza", della non conoscenza di Dio) trasformando la concezione della vita del singolo individuo e affermando l'uguaglianza di tutti i credenti e l'unicità di Dio.
Un altro aspetto che avrebbe facilitato l'espansione dell'Islam deriva dalla sua semplicità: l'Islam, infatti, non prevede dogmi né intermediari tra Dio e i credenti (non esiste una Chiesa): il rapporto con il divino è diretto.
La professione di fede. Per diventare musulmani è necessario pronunciare con intenzione sincera di fronte a testimoni la professione di fede (shahada): "Professo che non vi è altro dio che Dio (Allah) e che Maometto è l'Inviato di Dio". Questa formula è l'atto legale con cui si abbraccia la religione musulmana (che non ha riti di iniziazione, come il battesimo per i cristiani) e contiene l'essenza dell'Islam; infatti credere solo parzialmente alla shahada equivale a essere eretici.
Oltre alla professione di fede il musulmano deve compiere: la preghiera (salat), l'elemosina rituale (zakat), il pellegrinaggio a Mecca (hajj) e il digiuno (sawm) nel mese di Ramadan. Sono questi i fondamenti dell'Islam, i suoi "pilastri" (arkan).
La preghiera rituale. Cinque volte al giorno ha luogo la preghiera: all'alba, a mezzogiorno, nel pomeriggio, al tramonto e nella notte (attualmente con i ritmi pressanti della vita moderna sono rari i musulmani che fanno le cinque preghiere). Prima di pregare, il fedele deve purificarsi, deve cioè compiere abluzioni; generalmente ogni moschea è provvista di una fontana nel cortile (in assenza d'acqua, il fedele può 'lavarsi' con la sabbia, fatto non raro nel deserto!). Una volta purificato, il musulmano può compiere la preghiera (una serie di genuflessioni e prosternazioni), volgendosi verso Mecca: una nicchia all'interno della moschea indica la direzione (qibla). Il muezzin è l'addetto a compiere l'adhan, cioè l'invito alla preghiera che viene fatto dall'alto del minareto della moschea. La preghiera di mezzogiorno del venerdì (giorno di riposo) deve essere fatta in comune nella moschea; in tale occasione prima della salat si svolge la khutba, una sorta di predica compiuta dal khatib ("colui che fa la predica"). Altre preghiere da fare in comune sono quelle in occasione delle grandi feste musulmane: la festa dei sacrifici nel mese di Dhu'l-Hijja e quella della fine del digiuno al termine del mese di Ramadan (la più sentita per tutti i musulmani).
L'elemosina rituale. L'elemosina è una tassa, regolata dalla legge, che il musulmano è tenuto a pagare su alcuni beni (prodotti dei campi, bestiame, oro, argento, mercanzie varie). Beneficiari di tale tassa sono prima di tutto i poveri, i bisognosi e altre categorie, come per esempio persone che potrebbero essere d'aiuto alla comunità dei credenti; oppure coloro che combattono per l'Islam (nel 7° secolo con i proventi della zakat si finanziavano le conquiste). Attualmente l'elemosina come pratica comune è caduta in disuso, eccetto in alcuni paesi (per esempio Arabia Saudita, Iran, Pakistan, Sudan, dove vige la legge islamica).
Il pellegrinaggio a Mecca. Deve essere compiuto almeno una volta nella vita del credente, che ne abbia le possibilità economiche. Questo rituale, già presente nella Penisola Arabica nel 7° secolo, è stato 'islamizzato' da Maometto che ne fece uno dei pilastri dell'Islam. I principali luoghi del pellegrinaggio sono la moschea di Mecca che contiene la Ka'ba, l'edificio cubico dove è conservata la Pietra nera, sacra già prima dell'Islam. Le cerimonie del pellegrinaggio sono lunghe e particolarmente complesse. Tutta l'area di Mecca è sacra e haram per i non musulmani, è cioè vietato loro l'accesso.
Il digiuno nel mese di Ramadan. Un importante dovere cui attenersi è l'astensione dal mangiare, bere, fumare, avere rapporti sessuali dall'alba al tramonto durante il Ramadan. Dal digiuno sono esentati i bambini, i vecchi, i malati e i viaggiatori che però devono poi recuperare in altro periodo. A questo proposito bisogna ricordare che il calendario islamico è lunare, il Ramadan può capitare cioè sia in periodi freddi sia caldi. Al tramonto il muezzin, dopo una serie di formule in lode a Dio, invita i credenti a interrompere il digiuno. Questo mese è per i musulmani una festa: generalmente nelle case si preparano i cibi più buoni e ricercati, dolci e bevande invitanti. È un mese dedicato a Dio: si cerca infatti di non litigare, di non mentire, insomma di comportarsi nel modo migliore. Anche i musulmani meno osservanti generalmente rispettano il digiuno. La fine del mese si festeggia con l'uccisione di un montone, che viene sgozzato facendo uscire il sangue secondo il rituale di macellazione islamica, molto simile a quello ebraico: si tratta della piccola festa o 'id al-fitr (come nell'ebraismo, l'Islam ha varie proibizioni alimentari: oltre alla carne di maiale, i musulmani non possono bere vino e alcolici).
Il jihad. Il termine jihad, che viene abitualmente tradotto con "guerra santa" (da cui la resa sbagliata al femminile, la jihad), letteralmente significa "sforzo". Il jihad, inteso come espansione e difesa dell'Islam, non è un obbligo individuale, come per esempio la preghiera, è invece un obbligo per la comunità (è sufficiente che un certo numero di musulmani lo esegua; solo in caso di attacco l'obbligo diventa individuale).
Dal significato letterale di "la diritta via", la shari'a indica la legge dell'Islam e disciplina l'intera attività umana, prescrivendo come compiere la preghiera, ma anche quale somma prelevare dal bottino conquistato in guerra. Ogni aspetto, dunque, della vita pubblica e privata si basa sulla legge religiosa. La scienza relativa a questa legge si chiama fiqh, il cosiddetto "diritto islamico", e consta di due parti: l''ibadat, cioè gli atti dell'uomo verso Dio (atti di culto) e le mu'amalat, ossia i comportamenti del credente verso gli altri uomini. La concezione di legge dell'Islam è assai diversa da quella romana, ereditata dalla civiltà occidentale: per i musulmani nessuno può legiferare se non Dio e ogni cosa è regolata direttamente dal suo volere. Come sostiene Alessandro Bausani, un grande studioso italiano: "Nel concetto musulmano Dio sostituisce il concetto antico di civitas".
Sono quattro le fonti da cui la legge ricava i suoi contenuti: Corano, sunnah, ijma' ("consenso della comunità", inteso però non nel senso del consenso di tutta la comunità, ma di un corpo di esperti), principio analogico (qiyas); quest'ultimo comporta che, quando non si sia trovata la soluzione nelle tre fonti precedenti, si passa alla deduzione per analogia, che tuttavia non è un'indiscriminata applicazione di un criterio personale. Il lavoro degli studiosi di diritto, che devono interpretare le fonti, prevede anche l'ijtihad ("sforzo interpretativo"; le radici di questo termine sono le stesse di jihad), che però si considera essersi concluso nel 10° secolo e al quale è stato poi preferito il procedimento del taqlid ("imitazione").
Il corpus del diritto islamico è stato codificato nei trattati di fiqh. Ma non è il singolo credente a consultarli o a prendere decisioni su questioni complicate: in questi casi si consulta un esperto di diritto, il mufti, cui si chiede un parere giuridico (fatwa). È importante capire che il mufti non emana nuove leggi (solo Dio può legiferare), ma spiega o meglio rende applicabili le prescrizioni dei trattati. La maggioranza dei musulmani (oltre l'80%) si riconosce nell'ortodossia sunnita. Hanno assunto il nome di sunniti in opposizione agli sciiti e ai kharigiti, per affermare che essi soli sono i seguaci della vera tradizione, cioè della sunnah.
L'ortodossia sunnita prevede quattro scuole giuridiche, ossia quattro indirizzi (madhhab), formatisi tra il 9° e il 10° secolo e ancora esistenti: hanafita, malikita, shafiita e hanbalita. La scuola hanafita è tra le più liberali ed è quella più diffusa, in opposizione a quella ultratradizionalista hanbalita presente solo in Arabia, che restringe notevolmente l'uso dell'analogia, privilegiando il taqlid.
L'Islam non ha avuto riforme né concili. Terminato il cosiddetto periodo classico (7°-16° secolo), durante il quale al califfato abbaside era succeduta la nascita di tre imperi, l'Impero ottomano (13°-19° secolo), l'Impero safavide (16°-18° secolo), l'Impero moghul (16°-19° secolo), è seguita un'epoca di transizione (17°-18° secolo). Perso dunque quel carattere universale tipico del periodo classico (nel corso del quale non erano tuttavia mancate le discordie), all'interno dell'Islam si è assistito, in epoca moderna, all'irrigidirsi di alcune posizioni. Per esempio quelle delle scuole giuridiche, che nel passato convivevano senza screditarsi a vicenda ma che hanno poi assunto punti di vista sempre più chiusi e meno interessati al confronto. Si è venuta diffondendo la sensazione di avere perso il 'cammino diritto' e di dovere fare qualcosa per restaurare i valori autentici dell'Islam.
Nel frattempo l'Europa si era prepotentemente affacciata in terra d'Islam (colonialismo) e la sua presenza è stata diversamente interpretata. Per alcuni studiosi, infatti, il 1798 (anno della spedizione di Napoleone in Egitto) sarebbe la data che segna l'inizio della modernizzazione del mondo dell'Islam, per altri invece la modernizzazione era un processo interno già in corso, sebbene siano poi stati innegabili gli influssi dell'Occidente.
Difficile è tracciare un disegno univoco dell'evoluzione delle società musulmane in epoca contemporanea. In ogni caso tra 19° e 20° secolo si è andata diffondendo l'idea che l'Islam dovesse recuperare i suoi valori iniziali, sopraffatti dalle 'aggiunte' successive, così da poter tornare al suo significato essenziale.
È in India che nascono i primi teorici riformisti: Ahmad Khan di Delhi, dell'inizio dell'Ottocento, e il poeta Ahmad Iqbal nato alla fine dell'Ottocento, profondo conoscitore della filosofia occidentale, che si pone l'obiettivo di risvegliare i musulmani facendoli ritornare alla vera fede, attraverso la riscoperta di sé stessi come individui e come parte di una nazione. Altra grande figura di fine Ottocento è Jamal al-Din al-Afghani, principale portavoce dell'unità musulmana, il panislamismo, che nega addirittura la differenza tra sunniti e sciiti. Jamal al-Din al-Afghani auspica la formazione di una grande nazione islamica, la umma, che, superando le differenze interne e libera dal dominio coloniale, possa riprendere la via del vero Islam e del progresso.
Contemporanei di al-Afghani sono Muhammad 'Abduh e il suo discepolo Rashid Rida, fondatori del modernismo egiziano. Le idee di questi intellettuali influiscono notevolmente sulle generazioni successive generando in loro un forte spirito anticoloniale e un acceso sentimento nazionalista da un lato, ma dall'altro contribuiscono a diffondere, in particolare Rashid Rida, il mito di un ritorno all'età dell'oro, ossia ai primi anni dell'Islam. Atteggiamento, questo, che concorre a negare il ruolo della storia nella civiltà islamica e che ai giorni nostri si è tradotto nelle posizioni aberranti, peraltro completamente in contrasto con i dettami dell'Islam, dei gruppi cosiddetti fondamentalisti (fondamentalismo).
Il Corano consente a un uomo di sposare fino a quattro mogli, ma solo se può assicurare loro le stesse condizioni economiche e affettive. Il matrimonio non è un sacramento, ma è un vero e proprio contratto dal punto di vista giuridico: dinnanzi a un giudice e a due testimoni lo sposo e un rappresentante (wali) della sposa (che deve essere consenziente) si incontrano e redigono un contratto, dove si stabilisce la dote (spesso in oro) che lo sposo deve versare alla moglie. È lecito un matrimonio tra un musulmano e una non musulmana (cristiana o ebrea), ma non il contrario. Il Corano prevede anche il divorzio.