BANDUR (Bandurović), Matteo (Banduri Anselmo Maria)
Nacque da Matteo e da Deša Volanti, sorella del vescovo di Stagno (Ston) Francesco Volanti, a Ragusa (Dubrovnik) il 18 ag. 1675. Decisiva fu per la sua formazione l'amicizia e l'assidua frequenza di Ivan Natali Alleti, bibliofilo e antiquario raguseo (che più tardi diverrà suo cognato). Fu l'Alleti a comunicare al volenteroso adolescente il gusto della ricerca antiquaria e l'interesse al mondo bizantino. Fors'anche fu lui a impartirgli i primi rudimenti di greco. Verso il 1692 il B. abbracciò lo stato monastico entrando a far parte della congregazione dei benedettini neri che prendeva nome dall'isola di Mèleda (Mljet, Melita). Dopo un anno di noviziato nel monastero dei SS. Giacomo e Filippo presso Ragusa "ad graviora litterarum studia totum se impulit" (Cerva). Ascoltò prima dialettica nel monastero suddetto dal domenicano Alberto de Taddei; studiò poi filosofia ("philosophiae curriculum absolvit") in quello di S. Michele a Montescaglioso presso Matera. Ritornato a Ragusa seguì, sempre nel cenobio dei SS. Giacomo e Filippo, il corso di teologia morale tenuto da un altro domenicano, Antonio Bondi. Ma ben presto ripartì per l'Italia, e questa volta senza esprit de retour: non rivedrà mai più la sua piccola patria. Ma le rimarrà sentimentalmente legato. Mentre lavorava all'Imperium Orientale penserà anche, per un momento, di farsene lo storico. E vi conserverà delle amicizie: nei Numismata esibirà copie di medaglie tratte dalle raccolte del senatore Tomaso Basegli e dell'Alleti.
Nel monastero di S. Lorenzo d'Aversa iniziò lo studio della filosofia scolastica. Cooptato tra i professi del cenobio campano fece istanza di mutar congregazione, entrando a far parte di quella di S. Giustina; ma incontrò sempre da parte della sua congregazione un fermo rifiuto, malgrado che sul frontespizio dei Numismata (1718) egli si dichiarasse membro della congregazione di S. Giustina. Ad Aversa restò solo pochi mesi: nel 1696 era a Roma, uno dei dieci allievi del collegio di S. Anselmo. Vi rimarrà per un triennio conseguendovi il grado di "lettore". L'insegnamento del collegio era prevalentemente teologico-canonistico. Il B. vi ebbe per maestri Flaminio de Avanzis e Bernardo Bisso, dei due la personalità più forte: una sua operetta in difesa del probabilismo contro Tirso Gonzalez - Crisis de probabilitate - era stata proprio in quegli anni (1697) posta all'Indice. Ma il B. trovò anche modo di perfezionarvi le proprie conoscenze di greco ("post completum Romae in nostro s. Anselmi collegio - scrive l'Armellini - Theologiae, ac Sac. Canonum, ac Graecae Linguae trium annorum studium..."). Non era un insegnamento ufficiale; ma sin dalla costituzione del collegio (1687), per opera di G. B. del Miro (il maestro di greco del Bacchini), gli studi greci vi erano coltivati con onore. Compiuto il triennio, il B. cercò di non ritornare a Ragusa. Grazie alla protezione del neo-cardinale Radolović ottenne una pensioncina e una licenza di due anni per portarsi a Firenze presso il convento di S. Maria (la Badia fiorentina) a compiervi ricerche negli archivi (già a Roma aveva lavorato in quelli di Propaganda). Fors'anche ve lo attirò la speranza di trovarvi un mecenate: era ben nota - sin dai tempi di Ferdinando II - la curiosità della corte medicea per il mondo slavo. Sin d'ora - val la pena di notarlo - l'interesse del B. era rivolto a studi di storia ecclesiastica: in particolare, alla storia religiosa degli slavi meridionali. A Firenze si legò d'amicizia con A. M. Salvini, il quale se non fu - come pretese il Gori - il maestro di greco del B. certamente contribuì assai alla sua preparazione di grecista. Era da pochi mesi a Firenze allorché vi giunse, nel febbraio del 1700, il Montfaucon. Il B. e il Salvini, durante le cinque settimane che vi restò, gli furono sempre accanto agevolando in tutti i modi la sua esplorazione delle biblioteche fiorentine e aiutandolo nella fatica di trar copia di manoscritti e iscrizioni. Il celebre maurino aveva già in animo di portarsi dietro in Francia un monaco del suo ordine particolarmente dotato da addestrare alla filologia greca: trovò nel B. l'uomo desiderato: "Est enim - diceva al Salvini -ϕιλομαθής & ϕιλόμουσος si quis alius". E poiché per il voto monastico il B. non aveva facoltà di andare dal maestro ("τοῦ ϕοιτᾶν ad magistrum") lo pregava che andasse lui, Salvini, per amor suo dal giovane monaco ad istruirlo "ut Graece, Latineque doctus evadat". Tanto bell'entusiasmo non doveva andar perduto: "sanguis illi fervet ad studia".
Il B. accettò con entusiasmo: capì che era per lui un'occasione unica. Ma le difficoltà da superare non furono poche. Visse per circa due anni in un'esasperante alternativa di speranze e delusioni. Giunse persino a dubitare dell'amicizia del Montfaucon: "a spese proprie vengo ad imparare - gli scrisse il 26 ott. 1700, quando tutto sembrava ormai perduto - a che incostanza è sottoposto colui, che fissa il pensiero nell'huomo mortale, ma solamente fissarlo nel vero bene, che è Iddio, il di cui principal attributo è l'immutabilità, e la costanza". Il primo ostacolo, a prima vista insuperabile, era il rifiuto del presidente della sua congregazione a lasciarlo partire. Il secondo era l'insufficienza della pensione del Rodolović per mantenersi a Parigi. Riuscirà a superare l'uno e l'altro intoppo, quando riuscirà a interessare alla propria persona il granduca. Ma ciò avvenne solo alla fine dell'anno 1700, e non per opera del Montfaucon, ma probabilmente del Salvini.
Neppure corrisponde a verità che Cosimo lo destinasse a una cattedra di storia ecclesiastica che aveva in animo di creare presso l'università di Pisa: una cattedra del genere era stata creata da un pezzo e l'aveva degnamente occupata per circa un ventennio il Noris. Dopo la partenza del Noris tale insegnamento era però stato riassorbito in quello delle Sacre Scritture. Al tempo del B. gli insegnanti erano due: François Meslier e Giulio Lomi. Cosimo pensava forse di farne nuovamente un insegnamento autonomo? Le sue lettere al Montfaucon e al Mabillon, le testimonianze dei meglio informati (G. Bianchini, A. M. Querini, S. Cerva, ecc.) non fanno il minimo cenno a un tale proposito del granduca. Il Querini era esplicito su questo punto: Cosimo aveva mandato il B. a Parigi "ut selectioribus studiis inter San-Germanenses vacaret, unde idoneus fieret suae illius Dalmaticae Congregationis bono in rebus seu ad sacras literas, seu ad Monasticam disciplinam spectantibus consulere..." (Commentarius, I, 1, p. 94). Un gesto, dunque, di gratuito mecenatismo. Non si trattava, del resto, di una pensione favolosa: cento scudi romani all'anno per il vitto, cinquanta per vestiario: il salario di un servitore. Tale cifra rimase inalterata fino alla morte di Cosimo.
In attesa del gran viaggio e per affezionarsi sempre più il Montfaucon, il B. cercò meglio che poté di soddisfare i suoi desideri. Copiò per lui centinaia di iscrizioni e soprattutto apprestò il catalogo dei codici latini di due importanti biblioteche conventuali: quella di Badia e quella di S. Marco. Il primo fu pubblicato dal Montfaucon nel Diarium Italicum e nella Biblioth. Bibliothecarum, e sotto il nome del B.; il secondo nella Bibl. Biblioth., ma a nome proprio (R. Blum, La Bibl. della Badia Fiorentina e i codici di A. Corbinelli, Città del Vat. 1951, pp. 7 s.; E. Piccolomini, Delle condizioni e delle vicende della libreria medicea..., in Arch. Stor. It., XIX-XX [1874]). Questa concreta opera di descrizione e catalogazione gli fruttò le prime scoperte di testi umanistici, risvegliò in lui l'interesse per il mondo umanistico: nella libreria della Badia trovò, p. e., un codice contenente le epistole del Bruni, in nove libri, e lettere del Bracciolini (Firenze, Bibl. Naz. Centr., Conv. soppr. E. VI. 2655). Il Montfaucon ve lo spingeva. Fu lui a fargli trar copia, dietro parere del Salvini, di un codice di lettere di Coluccio Salutati di eccezionale importanza che aveva visto nella libreria di S. Maria degli Angeli: conteneva duecentoquarantatré lettere colucciane. Nessuno dei codici utilizzati dagli editori successivi (Mehus, Rigacci-Lami, Novati) offre un numero così cospicuo di lettere. Fu questo il primo nucleo della biblioteca umanistica che di lì a poco, giunto a Parigi, il B. si propose di dare alla luce. Il 20 febbr. 1702, munito di speciali lettere di raccomandazione del granduca al Montfaucon e al Mabillon egli era felicemente installato a Saint Germain-des-Prés.
"Je souhaite de tout mon coeur - si augurava il vecchio Mabillon rispondendo al granduca - qu'il y trouve toute l'édification qu'il cherche, afin de remplir sur cela vos pieuses et saintes intentions". E si offriva, all'occasione, di servirlo. Ma il Montfaucon gli lasciava assai poco da fare: fedele alle promesse fatte s'era messo subito energicamente all'opera per far avanzare l'allievo "en la piété et aux belles-lettres". Alla fine dell'anno l'iniziazione del B. agli studi greci era ultimata: il precettore lo annunziava a Cosimo e al principe ereditario Ferdinando. Il B. aveva davvero meritato tutta la fiducia dei suoi protettori.
L'insegnamento del Montfaucon non era stato tutto teorico. Prestissimo - sin dall'estate - se l'era associato al proprio concreto lavoro di ricercatore, facendosi scortare da lui nelle sue visite quotidiane alle grandi raccolte manoscritte delle biblioteche parigine.
Il B. si tuffò tra quei tesori. I dottissimi custodi della Biblioteca reale, Jean Boivin e Nicolas Clément, conquistati dal suo slancio, generosamente lo assistettero. I suoi interessi sono già ben definiti: cultura umanistica (per l'edizione del Salutati) e civiltà bizantina sono sin d'ora le due direzioni delle sue ricerche. Dimostrò subito un fiuto eccezionale. Nell'aprile 1703 il Montfaucon comunicava al Magliabechi la bella scoperta fatta dal B. di centoquaranta lettere inedite del Petrarca e di altri opuscoli, pure inediti, dello stesso autore. Ma la scoperta risaliva a molti mesi innanzi: all'estate, appunto, del 1702. Il B. ne aveva fatto parte a Cosimo e a Ferdinando nel dicembre di quell'anno inviando il primo resoconto annuale dei suoi studi. Ferdinando non solo dimostrò interesse alla scoperta, ma si offrì di aiutare il lavoro d'edizione. Un tal progetto editoriale fece rumore. Ne parlarono già nel febbraio 1703 i Mémoires de Trévoux, attribuendo il progetto al Montfaucon. Ma quattro mesi dopo una lettera del celebre benedettino li costrinse a rettificare. Quell'annunzio aveva eccitato la curiosità degli studiosi. Il più impaziente di tutti era Apostolo Zeno: "Mi sarà caro l'intender distintamente - scriveva al Marmi il 14 apr. 1703 - se quelle Pistole del Petrarca novellamente ritrovate dal P. D. Anselmo di Ragusa sieno ancora uscite alla luce, o se siano in procinto di uscirne".
Sollecitato da così viva attesa, dentro e fuori il convento, il B. aveva in effetti, qualche mese prima, aperto le trattative con uno dei principali stampatori di Rotterdam: Reinier Leers, l'editore del Bayle, del Simon, del Malebranche. Il Leers aveva accettato la proposta e s'era mostrato disposto a curare l'edizione a eque condizioni. Il 14 apr. 1703 il B. si affrettava perciò a comunicargliene il piano generale. Titolo dell'intera raccolta: Bibliotheca anecdota decimi quarti et decimi quinti saeculi. Nel primo tomo in quarto avrebbero trovato posto le Familiares, tutti e ventiquattro libri; nel secondo il De Viris illustribus; nel terzo epistole di celebri letterati a Petrarca; nel quarto lettere e opuscoli del Salutati, del Bruni, del Bracciolini, del Poliziano e d'altri.
Nello stesso tempo che trattava con il Leers ricevette un'altra favorevole offerta. L'abate Agabito Mosca (un parente del papa), giunto a Parigi con un incarico diplomatico, gli fece sperare in un'edizione romana. Il B. era incerto: le stampe in Roma erano tuttora in pessimo stato. D'altra parte, c'era il pericolo che, dato lo stato di guerra con l'Olanda, venisse interrotto il commercio anche di lettere. A farlo risolvere giunse, il 30 ott. 1703, una lettera del Mosca che gli dava le più solide speranze: aveva presentato alla metà d'ottobre i primi ventun libri delle Familiares al papa, che li aveva graditi "infinitamente". L'edizione, per le premure di Clemente XI, si sarebbe dunque fatta, e assai presto. Il B. completò l'invio degli ultimi tre libri e delle note, e stette ad aspettare contando i giorni. Passarono i mesi, e non ne seppe più nulla. Cominciò a trepidare, ma non perse la fiducia. Alla fine seppe l'amara verità: il pontefice aveva cambiato idea ("non credeva opportuno, che tali opere si stampassero di suo ordine nella città di Roma... e questo a cagione di qualche espressione dell'autore stimata pregiudiciale all'autorità pontificia"). Per quanto fosse stato lasciato libero di pubblicare altrove l'opera, il B. pensò che, se l'avesse fatto, avrebbe irritato il papa. Questa fu probabilmente anche l'opinione degli amici dell'abbazia, preoccupati d'assicurarsi in tutti i modi la protezione di Clemente XI. E non parlò più della sua edizione. Eppure sarebbe stata un'edizione importante. Le scoperte che il B. aveva fatto erano di straordinario interesse. Era stato il primo a ritrovare le Familiars nell'ordine e nel testo definitivi, e il primo a ritrovare il De Viris illustribus nel testo originale, e proprio quei codici (il Par. 6069 F e il Par. 6069 I) che, riscoperti nel 1890 dal De Nolhac, serviranno a porre in maniera nuova il problema testuale dell'importante opera petrarchesca. Aveva concepito il disegno di una raccolta di lettere al Petrarca che ancora si desidera. Aveva non soltanto progettato (come pensavano il Mehus e il Novati) per primo una raccolta di lettere del Salutati, ma l'aveva anche apprestata, e su un codice la cui perdita ci fa rimpiangere che l'edizione banduriana non si sia fatta. La biblioteca umanistica progettata dal B. sarebbe stata insomma cosa nuova e utile e avrebbe intensificato, con il suo apparire, un movimento d'interesse già vivo in vari settori della cultura europea (in particolare francese e tedesca) per il mondo umanistico. A causa del fallimento dell'impresa, le scoperte banduriane rimasero infeconde, o scarsissimamente feconde. Tanto più che, con singolare noncuranza, egli abbandonò all'oblio i propri ritrovamenti giovanili. In molti casi (soprattutto per il De Viris) gli studiosi dovranno rifare a fatica lungo due secoli la strada che egli aveva già fatto. I testi umanistici ch'egli aveva in animo di pubblicare o rimarranno inediti ancora per secoli, o saranno pubblicati spesso peggio di quanto egli avrebbe saputo fare.
La scoperta dei codici petrarcheschi e umanistici non era stata la sua sola scoperta; né l'edizione del Petrarca, la sua sola occupazione di questi anni. Nella fortunata estate del 1702, in una delle sue prime visite alla Biblioteca Reale, rivoltando dei codici greci cadde in un codice anonimo intitolato: Patria seu Origines Urbis Constantinopoleos (Bibl. Nat., Fds gr. 1783). Ne interrogò i bibliotecari. Seppe che era entrato dopo la morte del Du Cange. Di tre secoli più antico del Codinus era una guida preziosa per la ricostruzione delle antichità costantinopolitane. Rimarrà legato al suo nome: ancor oggi è chiamato l'Anonimo del Banduri. Nelle ore d'ozio si mise a tradurlo in latino e a illustrarlo. Sarà l'occasione e il primo nucleo dell'Imperium Orientale. Non è ancora che una parte minima della sua attività. Tutto il monastero lavorava all'edizione dei padri greci sotto la direzione del Montfaucon. Il B. presto fu adibito egli pure al lavoro comune. Si rivelerà uno dei più operosi membri di quella formidabile équipe. L'influenza del maestro è, in questo settore di studio, più diretta e palese. Nel 1703 il B. lavorava dunque a ricostruire il Commentarius di Eusebio a Isaia e a quello di Teodoro di Mopsuestia in XII prophetas minores. Aveva fatto copiare quest'ultimo da un codice della biblioteca dei greci in Venezia, non da un codice fiorentino (come erroneamente concluse il Mai, che nel 1832 ne darà l'edizione). Nella convinzione che il Teodoro non sarebbe riuscito un volume troppo grosso, il B. pensava di poterlo stampare a Parigi aggiungendovi il commentario di Filone di Carpazia in Cantica e quello di Eusebio in Esaiam. Avrebbe in tal modo formato un nutrito volume in folio dal titolo: Collectio nova Patrum Graecorum (una collezione con tal titolo pubblicherà di lì a qualche anno il Montfaucon e vi metterà anche il commentario di Eusebio a Isaia: ma il B. non vi è nominato). Intanto il B. era passato ad altre occupazioni: tra l'altro, all'edizione di s. Niceforo, patriarca di Costantinopoli. Ne aveva parlato sin dall'aprile al Mosca, che aveva promesso di interessarne il papa, presentandogli il Petrarca. Gliene parlò infatti, e con lo stesso successo. Il B. si mise allora a vantare a Ferdinando l'importanza dell'edizione: presto ne avrebbe stampato il progetto. L'idea di raccogliere in due volumi in folio le opere storiche e teologiche del santo gli era stata suggerita tanto dal Montfaucon, quanto dal Lequien, dal Boivin e da altri dotti ellenisti che aveva preso a frequentare.
Con tutto il suo da fare, il B. aveva trovato il tempo - in quel frenetico 1703 - di lavorare alla vita di s. Dalmazio, importante per le nuove notizie che vi si trovavano sul concilio efesino. Poiché la vita di detto santo era breve aveva ingrossato il volume con lettere inedite di Atanasio patriarca di Costantinepoli. Sperava che l'opera sarebbe stata pronta per le stampe fra quattro o cinque mesi (scriveva nel dicembre) e voleva dedicarla a Cosimo. L'opera vedrà la luce insieme con qualche lettera d'Atanasio solo otto anni dopo nel secondo tomo dell'Imperium Orientale.
Lavorava dunque a un ritmo anche troppo sostenuto, senza risparmiarsi. La sua vita era davvero tutta nei suoi progetti intellettuali. Le emozioni più forti delle sue giornate, e forse le uniche, erano le sue scoperte, i suoi successi di ricercatore. Da progetto germogliava progetto. L'anno dopo, accantonato il Niceforo e il resto, andava mettendo in ordine per le stampe un nuovo volume della storia bizantina contenente "l'antichità di Costantinopoli, e la natura dei governo così politico, che militare di quell'impero". Aveva trovato finalmente la vena fruttifera. Ma prima di applicarsi tutto a sfruttarla, avrà ancora delle esitazioni, sarà tentato da altre imprese. Riparlava di Teodoro Antiocheno, di Filone Carpazio, di Esichio Gerosolimitano.
Le stesse oscillazioni rivelano però che la zona degli interessi è ormai ben delimitata. La sua fisionomia di studioso si va rapidamente fissando. È il mondo bizantino che esercita sulla sua immaginazione erudita il richiamo più forte; e l'organizzazione politico-amininistrativa dell'impero più ancora che quella ecclesiastica. Tra filologia testuale e archeologia (i due poli d'interesse dei Montfaucon all'indomani del viaggio in Italia) le sue preferenze vanno a quest'ultima. Privo d'interessi religiosi e teologici, lo studio della patristica greca lo attrae solo come campo di lavoro specializzato. Dal Montfaucon e dai suoi collaboratori aveva derivato gli strumenti di lavoro, e li maneggiava brillantemente; ma era rimasto fuori del loro orizzonte spirituale, estraneo alle motivazioni più profonde della loro opera. Ma a questa data non si era prodotto neppure il principio di un'incrinatura: la sua personalità era sempre ben fusa con l'ambiente del monastero. Il Montfaucon lo guardava con la stessa stima e sollecitudine di una volta. Allo spirare del primo triennio, ottenne senza difficoltà la proroga per altri tre anni. Per dare un saggio della propria operosità si risolse a dar fuori il prospetto, annunciato due anni prima, delle opere di Niceforo. L'operetta apparve alla metà di giugno del 1705. Il 22 dello stesso mese inviava a Cosimo e a Ferdinando quel "primo fiore" dei suoi "travagli". Esordiva sotto buonissimi auspici. Il Conspectus ebbe un'accoglienza cordiale. Piacque ai gesuiti di Trévoux, piacque a un grecista insigne come il Fabricius (che anni dopo la ristamperà integralmente nella sua Bibliotheca Graeca),piacque al Muratori, che indirizzò al B. una cordialissima lettera (perduta). Il B. era raggiante: l'amicizia del Muratori valeva per lui "più d'un gran tesoro". L'aveva desiderata da tanto tempo, "ammirando in lei - sono le sue parole della risposta - oltre le scienze, e l'altre virtù che in eminente grado adornano, il buon cuore, che io stimo più di ogni altra cosa...". Era anche la sua sola ricchezza: "benché sia povero e di denaro e di scienza, mi vanto però d'essere di buon cuore, e in questo di non cedere a persona, come ella in occasione potrà conoscere". Ma il Muratori lasciò ben presto morire, per una serie di disguidi, quella corrispondenza.
Stampato il progetto di Niceforo, doveva passare al lavoro editoriale vero e proprio: un faticoso lavoro di trascrizione. Ma nello sforzo avido degli anni precedenti aveva bruciato molte delle sue energie. Nel convento temevano per la sua salute. Tanto più che, parallelamente al Niceforo, il B. voleva continuare l'opera intrapresa delle antichità costantinopolitane. Aveva bisogno di un segretario, e supplicava Cosimo affinché consentisse a provvedergliene uno. Il Montfaucon perorò la sua causa, garantendo per lui.
Cosimo, di buon grado, acconsentì. Da allora il B. prese a servirsi di segretari: prima del p. Bernardo Lama, giunto in Francia per amore della "nouvelle philosophie" senz'altro aiuto che quello della provvidenza; poi, verso il 1708, del de la Barre, più diligente del Lama e perciò meglio adatto al compito.
Ben presto, messo da canto il Niceforo, il segretario venne adibito alle Antiquitates Constantinopolitanae. Doveva essere all'inizio un volume di giusta mole. A misura che avanzava con le ricerche, la selva degli opuscoli cresceva. Il progetto primitivo di stampare, debitamente annotato e con l'aggiunta di inediti sullo stesso argomento, il manoscritto dell'Anonimo si dilatò in quello di un'opera monumentale: un corpus di tutte le fonti, inedite ed edite, sulle antichità di Costantinopoli con l'aggiunta delle vite di tutti gli imperatori, imperatrici e tiranni da Diocleziano all'ultimo Paleologo, e di oltre due mila medaglie inedite. Aveva constatato che di quelle possedute dal Cabinet du. Roi e dal Museo Foucault solo una decima parte erano state edite dal Du Cange. Un'opera del genere avrebbe certamente destato più largo interesse degli opuscoli di Niceforo contro gli iconoclasti. Era questo il parere unanime dei suoi più autorevoli amici. Ormai si concentrerà tutto su questa opera. Al principio del 1707 ne diffondeva il progetto. Contava di finire per l'aprile successivo. Nel dicembre la speranza di uscire con le stampe l'anno seguente era caduta: sarebbero occorsi altri due anni. Nel febbraio 1708 scadeva però il secondo triennio: occorreva rinnovare il permesso di Roma per altri due anni, quanti appunto ne occorrevano a compir l'opera. Pregava Cosimo di chiederlo per lui "essendo tuttavia indifferentissimo tanto alla dimora qui che al ritorno, non cercando altro in ogni luogo, e in ogni occasione che di secondare humilmente li riveritissimi e potentissimi cenni di V.A.R.".
Intanto, in virtù del gran progetto, la cerchia dei suoi amici ed estimatori più e più s'andava allargando, in Francia e fuori. Uomini eminenti della vecchia generazione d'eruditi - Huet, Renaudot, Galland - cominciarono a interessarsi al suo lavoro. Soprattutto quest'ultimo. Tanto bene ne diceva al Cuper da far nascere nel celebre borgomastro di Deventer il desiderio di aprire un commercio epistolare con quel "magnum ornamentum" della repubblica letteraria. Poiché sapeva che l'altro aveva lo stesso desiderio, gli venne incontro inviandogli, il 26 nov. 1707, una fervorosissima lettera. Sperava che quella "amica compellatio" non gli dispiacesse. La risposta del B. lo riempì di letizia: "incessi continuo omnibus laetitiis et gaudio exultavi". Era un gran piacere per lui essere "honnoré d'une reponse par un Pere, qui est un grand ornement de son ordre, et qui est sans contradiction un des plus Sçavans hommes de l'Europe". Le Antiquitates erano un progetto magnifico. Gli augurava solo che Dio gli desse la salute per portare a compimento un'opera "quem Herculea audacia videris esse aggressus". Quella del Cuper era reale ammirazione: di lì a poco parlerà di lui al Fabricius come di un nuovo DuCange (e l'altro sinceramente ne gioiva). Con lo stesso calore s'era espresso - il 13 febbr. 1708 - inviando al Leibniz il piano di quel "luculentissimum opus". E anche Leibniz aveva convenuto nella sua ammirazione: "Ignotus mihi fuit quem laudas Anselmus Bandurius, apparet tamen ex consilio et apparatu praestantem esse virum". E l'altro di rincalzo, il 15 maggio: "Bandurius est certe vir eruditissimus...".
Il B. intanto lo informava puntualmente dei progressi della propria opera. Il 26 luglio 1709 gli annunciava sostanziali novità: "La mia Opera... ha cambiato di titolo, e di mole. Di titolo perché si chiamerà Imperium Orientale... Di mole perché essa doveva essere rachiusa in due volumi, ed hora veggo che piutosto saranno quattro volumi, che tre". Al principio del 1710 il primo volume era finito di stampare; ma l'intaglio dei rami ne tardava l'uscita, perché lo stampatore non voleva metterlo in circolazione prima che fosse stampato il secondo. Lavorava ancòra a finirla nel maggio 1711. I due tomi dell'Imperium Orientale uscirono finalmente con la data del 1711 nei primi mesi del 1712 dedicati - com'era doveroso - a Cosimo III. L'invio dell'opera al granduca fu accompagnato da una lettera del Montfaucon: l'applicazione scientifica - badava a ripetergli dom Bernard - non aveva punto abbassato il tono della vita religiosa del suo protetto. Il B. era sempre a questa data il perfetto benedettino d'un tempo. I primi segni di malcontento si manifesteranno di lì a poco: per ora, a Saint Germain-des-Prés sono soddisfattissimi di lui.
L'Imperium Orientale fu salutato calorosissimamente negli ambienti scientifici. I Mémoires de Trévoux, gli Acta eruditorum di Lipsia, il Giornale de' Letterati di Venezia lodarono senza riserve. Quest'ultimo per tale "stimabilissima opera" - la migliore nel suo genere che fino allora si possedesse - vedeva il B. prender posto, senza altro, "tra i primi letterati" del secolo. La sua "sofferenza somma ed attenta a collazionare i codici antichi" non aveva lasciato in quell'edizione niente a desiderare. La maggior lode andava agli otto libri di commentari che riempivano fittamente il secondo volume. Erano, in effetti, colmi di cose peregrine. In quelle colonne avevano, tra l'altro, trovato posto - non sempre a proposito - testi già ordinati per la stampa e specimini delle edizioni annunziate: un Liber antirrheticus di s. Niceforo; la vita di s. Dalmazio Archimandrita; gli opuscoli di Gregorio, patriarca di Costantinopoli, contra Becam; l'indice delle opere e delle epistole di Atanasio, successore di Gregorio nel patriarcato costantinopoliano, con sette sue lettere inedite (testo greco e trad. latina). Aveva utilizzato anche brani dell'inedito Chroniconvenetum di Andrea Dandolo: un'opera che certamente aveva studiato per l'edizione del Petrarca.
Il più entusiasta di tutti era il Cuper. Quell'opera che aveva visto nascere e alla cui elaborazione aveva preso così viva parte era riuscita quello ch'egli aveva pronosticato: una fatica d'Ercole. Il B. stava in effetti diventando un uomo in vista, un personaggio autorevole. Nel 1713 il giovane Nicolaus Bemoulli, che aspirava a una cattedra all'università di Padova, si rivolgeva a lui e al Querini per le commendatizie. Trasportato dall'onda del successo, aveva intanto posto mano all'opera che dell'Imperium Orientale era "une dépendance naturelle": la gran raccolta di medaglie, che in principio doveva essere stampata insieme alle antichità costantinopolitane. Nel 1714 ne aveva divulgato il piano con il titolo definitivo: Numismata Imperatorum, da Traiano Decio all'ultimo Paleologo. Era dedicata a Luigi XIV che aveva preso su di sé la spesa della stampa dei rami. Ma la morte dei re ne ritarderà di qualche anno l'uscita. Apparirà verso l'aprile del 1718.
A un ritorno a Firenze pare che neppure pensasse. Ma il granduca lo rivoleva presso di sé. Nel luglio 1714, morto il Magliabechi, Cosimo pensò a lui come all'uomo più adatto a succedergli nella carica di prefetto della Biblioteca Palatina. Fu per tutti una sorpresa, ma soprattutto per il Marmi che si credeva naturalmente designato a quella successione. Gli amici letterati - Fontanini, Maffei, Zeno - solidarizzarono vivamente con la vittima di così patente ingiustizia: "l'assicuro - diceva il Fontanini - che i monaci di S. Mauro saranno molto contenti che sia richiamato, essendo da lungo tempo mal soddisfatti". Il B. era un "referendario" e aggiungeva il Maffei, un "parabolano". Diversa anzi opposta la reazione degli stranieri: il granduca non poteva sceglier meglio. Era questa la opinione dell'abate Bignon e del Cuper. Anzi - gli diceva quest'ultimo - lo preferiva al Magliabechi, che non conosceva, con tutto il rispetto, che il frontespizio dei libri: "vous n'aimez pas l'écorce, mais la mouëlle". Ma la nomina formale da parte del granduca non c'era stata: esigeva per ciò che il B. ritornasse in Italia. Il B. esitava a partire: a Parigi stavano maturando per lui ben altre prospettive. Era entrato nelle grazie di Luigi XIV. Il gran re aveva cominciato a finanziare la stampa dei Numismata; nel maggio 1715 l'aveva aggregato in qualità di onorario straniero all'Académie des Inscriptions: la prima classe degli accademici. E maggiori benefici gli andava promettendo nei suoi ultimi giorni: "Quae etsi magna per se benevolentiae signa sunt, spem tamen majorum mihi beneficiorum saepissime ostendebat". (Si trattava, se dobbiamo credere al Cerva, della nomina a Nunzio presso la corte francese). Il B. raccontava tutto questo nella dedica dei Numismata al reggente Filippo d'Orléans che aveva - egli pure - preso a proteggere il B. e che, con il suo contributo finanziario, rese possibile, malgrado la difficoltà dei tempi, l'uscita dell'opera. A Filippo l'aveva raccomandato Cosimo e soprattutto Charlotte-Elisabeth di Baviera. La sua qualità di numismatico lo rendeva ben accetto a St.-Cloud. Alla "Princesse Palatine" il B. dedicò riconoscente la Bibliotheca nummaria, ossia la bibliografia critica di oltre duecento scritti di numismatica che va innanzi ai Numismata.
Quest'intimità sempre più stretta con la corte o con membri della real famiglia piacque sempre meno agli amici benedettini. Da qualche tempo (il Fontanini era ben informato) la condotta del B. aveva cessato di edificare la famiglia maurina. Egli appariva sempre più eccitato dall'atmosfera della reggenza. Viveva più fuori del convento che dentro. Disponeva di denaro e di carrozze; conduceva una vita brillante. Era indubbiamente, pensava il de Vic, un uomo fortunato, "mais je ne sçais - scriveva al Marmi - s'il mérite bien tout son bonheur"). Tale condotta scandalosa indusse infine il superiore della congregazione, Charles d'Issard, a intervenire presso Cosimo affinché liberasse il convento di quel "mauvais sujet": "depuis un an ou plus - scriveva il 1° maggio 1719 - nous ne le voions jamais dans notre église. Il n'assiste à aucun exercice regulier. Nous ne sçavons où il dit la messe, ni où il se confesse. Il est perpetuellement avec les seculiers... En un mot il n'a rien de religieux que l'habit". Ma non era così facile sbarazzarsene a causa della protezione degli Orléans: nel 1723 era ancora, ospite sgradito, a Saint-Germain-des Prés: "Dom Anselme est toujours ici" scriveva l'"amantissimus" Montfaucon al Querini il 14 giugno 1723 - je ne le vois jamais depuis trois ans". Il fatto è che il B., legato strettamente al partito anti-giansenista dei cardinali di Rohan e Bissy e troppo preoccupato di piacere alla corte di Parigi e a quella di Roma, era diventato nell'abbazia parigina un elemento infido. Era questa la ragione principale dell'ostilità dei vecchi amici del monastero e del suo distacco dalla comunità: "Il est plus à la cour, où il est bien receu que chez nous - scriveva il de Vic - notre choeur et notre refectoire ne sont plus dignes depuis l'appel de quelques religieux".
Tra il 1717 e il 1718 aveva annunziato come imminente la sua partenza da Parigi e il ritorno a Firenze, "mais - commentava il de Vic - je n'en crois rien". Aveva ragione di dubitare: il viaggio, ogni giorno dilazionato, non fu mai intrapreso. Perduto nell'ottobre del 1723 con la morte di Cosimo un protettore a lui singolarmente condiscendente, e guastatosi - pare - con la corte medicea per il fallimento di una delicata mansione diplomatica (riguardava probabilmente il passaggio in Italia di don Carlos); sempre più inviso d'altra parte a Saint Germain-des-Prés, dovette cercarsi una nuova sistemazione. Riuscì a farsi nominare al principio del 1724 bibliotecario del giovane duca d'Orléans. Luigi era uomo tutto diverso dal padre, che non l'amava. Era un essere timido, dominato come da una volontà d'espiazione, privo affatto d'ambizioni politiche. Finirà i suoi giorni a Sainte-Geneviève traducendo i salmi e le lettere paoline. Appena fu duca soppresse o tagliò molte pensioni ai letterati che avevano servito suo padre: tra gli altri, al Fontenelle. Scelse a proprio bibliotecario il B. probabilmente perché poteva venirgli utile (e forse lo fu) nell'iniziazione agli studi sacri. Il B. lasciò per sempre l'abbazia. Ebbe un alloggio al Palais Royal e un trattamento adeguato. Poteva rallegrarsene. Eppure, quest'ultimo periodo della sua vita fu, così sembra, il più triste. Nella nuova situazione era tornato sui suoi progetti di edizione di s. Niceforo e di Teodoro di Mopsuestia con il desiderio di portarli a fine. Aveva anzi diffuso un nuovo manifesto nel quale annunciava l'opera "absoluta & propediem edenda". In tutto quattro volumi in folio. Ma non ne fece niente. Incontrò difficoltà d'indole pratica, oppure se n'era intimamente svogliato? Al Jordan, che lo visitò nel 1733, parlò di contrasti irriducibili con la censura reale: "Le Pere B. a une grande quantité d'ouvrages qu'il a composez, & qui sont prêts a être mis sous la presse: mais, les difficultez que le censeur roïal fait ordinairement naître & les requêtes qu'il faut présenter, tout cela dégoute ce religieux italien; ensorte qu'il a renoncé à l'impression, & qu'il a pris la facheuse résolution de bruler tous ses papiers". Poiché le sue carte sono riuscite introvabili, c'è da credere ch'egli avesse mandato a effetto il suo proposito. Si trattava, a ogni modo, di una protesta impotente, che tradiva l'isolamento e la delusione interiore. Era ormai un "povero monaco" bruciato dalle sue ambizioni fallite. Ancora nel 1730 aveva offerto i suoi servigi di zelante della S. Sede al nuovo pontefice, Clemente XII; ma senza successo. Gli ultimi anni li consumò nel silenzio e nell'inerzia, adibito forse dal cardinale de Bissy a un'oscura opera di repressione anti-giansenistica. Squallido tramonto dell'alacre ricercatore ch'era stato tra i trenta e i quarant'anni: vittima egli pure dei contrasti spirituali della sua epoca. In questo volontario sacrificio di sé riscattava in qualche modo la sua condotta di un tempo: l'ambizioso politico si mostrava capace di un'azione disinteressata, di una totale dedizione alla propria causa, buona o cattiva che fosse. Così la sua vita si chiudeva, il 14 genn. 1743, ma da un pezzo l'ombra aveva riavvolto la sua figura. Soltanto le sue carte (se mai si troveranno) potrebbero far maggior luce - oltre che sulla sua operosità filologica - sulla sua reale azione politico-religiosa e sulla sua vicenda interiore, specialmente in questi anni estremi; e rivelarci il segreto di quest'anima, si direbbe, tradita dalle sue ambizioni mondane.
L'attività del B., quella almeno che si concretò in opere, interessa per intiero la bizantinistica. La scoperta delle lettere del Petrarca e la preparazione dell'edizione di esse - mai del resto realizzata - può aprire uno spiraglio di luce sugli interessi e sugli studi del B. anteriori all'incontro col Montfaucon che restano per noi avvolti nelle tenebre per mancanza di testimonianze.
Quale fosse la preparazione del B. al tempo di questo incontro, non è facile dire. Le affermazioni del Montfaucon nelle sue lettere al granduca farebbero pensare che egli avesse scarsissime nozioni di greco: in una lettera del 24 febbr. 1702 è detto: "Il a grande inclination pour apprendre les langues saintes qui servent à l'intelligence des Ecritures" (Correspondance inédite, III, p.125) e in un'altra dell'aprile dello stesso anno: "je lui apprends présentement le grec et il fait des progrès considerables en cette langue" (ibid., p.129). Ma tali affermazioni sembrano contrastare anzitutto col fatto che l'aiuto dato dal B. al Montfaucon, a Firenze, si basava proprio sulla conoscenza del grec0, poi con una precisa affermazione dello stesso B. che nella prefazione al Conspectus delle opere di Niceforo asseriva: "graecarum musarum, quas a puero colueramus, studio nos totos addiximus". Come che sia, i progressi del B. nell'abbazia di Saint-Germain-des-Prés dovettero essere rapidissimi se poco dopo, nel luglio 1702, il Montfaucon scriveva al granduca: "D. Anselmo Maria fait merveilles, ses progrès dans la langue grecque sont si grands qu'il sera bientôt en état de travailler utilement pour le public... Il va se mettre bientôt à étudier les matières ecclésiastiques et la langue hébraïque. Il a tous les talents qu'il faut pour se rendre bientôt habile" (ibid., p. 134). Stimolante per lui dovette essere l'ambiente parigino, in cui aveva trovato stima e simpatia, e in particolare la vita comunitaria di Saint-Germain-des-Prés che era il centro dell'attività culturale della congregazione dei maurini e di tutti i benedettini francesi. D'altra parte il Montfaucon doveva seguirlo e controllarlo con amore e interesse non soltanto nello studio del greco e delle altre lingue connesse con la sua preparazione, ma anche nel lavoro scientifico.
Due anni dopo il suo arrivo a Parigi, il B. era già in piena attività. La preparazione dell'edizione delle lettere del Petrarca da lui scoperte non lo distrasse dallo studio dei Santi Padri. Una lettera del Montfaucon dell'aprile 1703 dava notizia al Magliabechi dell'attività del B. e, dopo averlo informato della scoperta delle lettere del Petrarca, aggiungeva: "Il travaille sérieusement à d'autres ouvrages des Pères grecs, en dessein de les publier bientôt avec la version latine et des notes de sa façon" (ibid., p.149).
L'annuncio del Montflaucon riceveva conferma nel 1705, quando vedeva la luce il Conspectus operum sancti Nicephori, progetto di edizione delle opere in gran parte inedite di Niceforo patriarca di Costantinopoli, che doveva comprendere anche traduzione latina, note e otto dissertazioni in due tomi in folio.
Niceforo, patriarca dall'806 all'815, fu il teologo e il polemista più notevole del secondo periodo iconoclastico. Le sue numerose opere erano consacrate quasi esclusivamente alla difesa dell'ortodossia iconodula e rivolte specialmente alla confutazione degli scritti dell'imperatore Costantino V Copronimo, che egli chiamava costantemente μαμωνᾶς. Nel Conspectus il B., dopo aver rilevato l'importanza degli scritti di Niceforo attribuita giustamente al fatto che essi rivelavano il pensiero degli iconoclasti e fornivano molte notizie storiche fino allora ignote, dava notizia particolareggiata di tali opere che egli si accingeva a pubblicare da manoscritti della Biblioteca Reale e da uno colbertino. Lo scopo della pubblicazione anticipata del Conspectus era manifestato nella prefazione: essendo le opere di Niceforo "hactenus... in variis bibliothecis latentia... doctorum opem et consilium expetere cogor, tum ut si quid in bibliothecis extet hoc in catalogo non expressum, ea de re me commonefacere non dedignentur; tum ut si uspiam pauca illa quae temporum iniuria in manuscriptis nostris exciderunt, quaeque suo loco notavimus, ea nobis ad publicum usum commodare ne graventur".
L'edizione di Niceforo, come l'altra che il B. nello stesso Conspectus annunziava di preparare del commento di Teodoro di Mopsuestia ai dodici profeti minori e di altri scritti ecclesiastici, non venne alla luce né allora né, più tardi, quando, dopo il 1723, il B. (secondo una notizia del Fréret, Eloge, p.353), in un altro Conspectus, annunziò l'opera come se fosse già compiuta e pronta per la pubblicazione ("absoluta et propedieni edenda") in quattro tomi in folio.
L'attività del B. intorno a scritti ecclesiastici dei suoi primi anni parigini fu certamente ispirata dal Montfaucon ma non doveva rispondere ai suoi interessi più profondi. Non la teologia e le controversie dogmatiche bizantine dovevano costituire il campo di ricerca del B., ma la topografia, l'archeologia, l'antiquaria, la numismatica, e il suo ispiratore non doveva essere più il Montfaucon, da cui si andò allontanando a poco a poco. Il B. trovava la propria via nel solco profondo segnato dall'opera del grande Du Cange, di cui si faceva continuatore ed emulo. Le due grandi opere del B., infatti, l'Imperium Orientale e i Numismata imperatorum, si collegavano alle due parti della Historia byzantina duplici commentario illustrata: la prima alla Constantinopolis christiana, la seconda al De Familiis byzantinis.
L'occasione che determinò la svolta fu l'incontro fortuito con un manoscritto della Biblioteca Reale, il cod. Greco n. 3058, 4 (ora Parisinus graecus 1783), contenente uno scritto che aveva per titolo: Patria seu Origines Urbis Constantinopoleos, dal quale fu attratta l'attenzione del Bandur.
Il testo, che viene ora indicato come Anonymus Banduri, è una vera e propria guida archeologica di Costantinopoli, ricca di informazioni topografiche, storiche, leggendarie sui quartieri della città e sui suoi monumenti ed edifici. Ma essa non è opera originale. Già P. Lambeck ne aveva pubblicato una diversa redazione (Paris 1655) attribuita a un certo Codino, del sec. XV. La redazione banduriana era invece dedicata ad Alessio Comneno (1081-1118) ed era anonima. Gli studi posteriori (Preger) fatti su una grande quantità di manoscritti pervenutici hanno stabilito che si tratta di una compilazione da opere più antiche, che si può datare della fine del sec. X o dell'inizio dell'XI (età di Basilio II). L'anonimo rifacitore della redazione banduriana presenta il materiale contenuto nella compilazione dell'età di Basilio II ordinato dal punto di vista topografico, ed è questa la sua peculiarità.
Era dapprima intenzione del B. di pubblicare soltanto il testo di quest'opera che non era stata utilizzata nella Constantinopolis christiana del Du Cange, in quanto il manoscritto era giunto alla Biblioteca reale solo dopo la morte del grande studioso. Ma l'esempio del Du Cange e il desiderio di compiutezza spinsero l'autore ad ampliare il piano primitivo in una Veterum rerum byzantinarum scriptorum collectio, che occupò due grossi tomi in folio e che vide la luce a Parigi nel 1711 sotto il titolo di Imperiuni Orientale.
Solo un piano dell'opera può dare un'idea adeguata della ricchezza del materiale raccolto e studiato dal dotto benedettino.
Delle quattro parti che costituiscono l'opera le prime tre occupano il primo tomo, la quarta il secondo. La prima parte, dopo una Series chronologica degli imperatori e dei patriarchi di Costantinopoli da Costantino e Metrofane fino alla caduta della città in mano ai Turchi, presenta il De thematibus di Costantino Porfirogenito e il Synecdemus del grammatico Ierocle: il primo offre la descrizione dell'impero secondo la divisione in circoscrizioni amministrative (themata) e riflette la situazione geografico-politica del sec. X; l'altro è un elenco delle province e delle città dell'impero in un'età anteriore (sec. VI) e fu fonte del Polfirogenito.
La seconda parte comprende scritti sulla politica estera e sull'amministrazione dell'impero. Il testo più importante è il De administrando imperio di Costantino Porfirogenito, un trattato sui paesi e i popoli che avevano rapporti con l'impero, che occupa il primo posto. Seguono alcuni scritti parenetici di varia epoca e di importanza minore: I capitoli ammonitori all'imperatore Giustiniano del Diacono Agapito, noti più comunemente col titolo di Scheda regia (Σχέδη βασιλική); Le esortazioni di Basilio il Macedone al figlio Leone, specie di vademecum morale attribuito a Basilio I (867-886), l'Institutio regia (Παιδεία βασιλική) di Teofilatto, arcivescovo di Ochrida, al Porfirogenito Costantino, figlio di Michele VII.
Tutti questi scritti, quantunque già editi, venivano dal B. ripubblicati notevolmente emendati su manoscritti parigini da lui per la prima volta esplorati.
Il nucleo dell'opera è costituito dalla terza parte tutta dedicata alle antichità di Costantinopoli. Degli otto libri che la compongono quattro sono dedicati all'editio princeps dell'Anonymus Banduri condotta sul già menzionato cod. n. 3058,4 (ora Parisinus graecus 1783) sul Colbertinus 3607 (ora Parisinus graecus 1788). L'opera presenta nei primi tre libri una descrizione della città per quartieri, a cui segue, nel quarto, la descrizione di S. Sofia. Il quinto contiene uno scritto di incerto autore, Breves enarrationes chronographicae (Παραστάσεις σύντομοι χρονικαί), compilazione della metà del sec. VIII che fornisce notizie sui principali monumenti di Costantinopoli. Di grande interesse sono gli opuscoli contenuti nel sesto libro: uno scritto di Niceta Choniate Sulle statue fuse dai Latini per farne moneta dopo la conquista della città del 1204; la Descrizione dell'Augusteion (il vestibolo di S. Sofia con la statua equestre di Giustiniano) di Giorgio Pachimere; la Descrizione della nuova chiesa costruita nel Palazzo da Basilio il Macedone in onore della Vergine del patriarca Fozio; lo scritto Sui sepolcri degli imperatori che si trovano nella chiesa dei SS. Apostoli; Estratti sulle antichità di Costantinopoli da un codice regio e dal Codino pubblicato dal Lambeck. Il settimo libro è una raccolta di epigrammi tratti dall'Anthologia, di poesie e di iscrizioni riguardanti monumenti di Costantinopoli. L'ottavo libro comprende un certo numero di cataloghi di patriarchi e di imperatori, alcuni editi per la prima volta.
Ai testi bizantini segue, a guisa di appendice, la ristampa delle opere di Pierre Gylli, De Bosporo Thracio libri tres e De topographia Constantinopoleos et de illius antiquitatibus libri quatuor (1561), di grande importanza in quanto l'autore, un naturalista francese incaricato di una missione scientifica nel Levante da Francesco I (1544-1551), dava una descrizione particolareggiata e acuta di luoghi e di monumenti che egli aveva visto e che erane andati poi distrutti. Chiude il primo tomo una descrizione di Costantinopoli ai tempi di Arcadio e Onorio (in latino) accompagnata dalle note del primo editore Guido Pancirolli.
Il secondo tomo costituisce la quarta parte dell'opera e comprende otto libri di commentari ai testi contenuti nel primo. Le note più estese sono dedicate al testo dell'Anonimo. In esse vengono discusse le lezioni dei codici e gli emendamenti, chiariti i passi oscuri, illustrati i monumenti e stabilita l'esatta collocazione di ciascuno di essi nella città con l'aiuto delle più varie testimonianze. Così anche nei commentari vengono inseriti altri testi, spesso inediti, i più di notevole importanza. Di autentico pregio poi è il materiale cartografico e iconografico che illustra l'opera: notevoli le carte dell'impero disegnate da Guglielmo, Delisle, la riproduzione dei dittici o tavolette consolari, la pianta di Costantinopoli del Buondelmonti (circa il 1420), le 19 tavole riproducenti i disegni dei rilievi di una colonna monumentale, che si crede di Arcadio, attribuiti al pittore veneziano Gentile Bellini; la vista dell'ippodromo di Onufrio Panvini, i disegni di S. Sofia riprodotti dalla descrizione del Grelot (1680).
La pubblicazione dell'Imperium Orientale diede subito al B. la fama che egli meritava. I Mémoires de Trévoux del febbraio 1713 esprimevano l'ammirazione per l'opera, assegnando il suo autore al novero del grandi studiosi di bizantinistica: "Le père Bandouri est entré... dans la carrière où les Poussines, les Maltraits, les Labbes, les Bouillauds, les Ducanges, les Goars, les Combefis, ont acquis tant d'honneur" (p. 189). E il riconoscimento maggiore giungeva nel 1715 con la nomina a socio onorario straniero dell'Académie des inscriptions et belles lettres.
Nel 1718 vedeva la luce l'altra grande opera del B., i Numismata Imperatorum Romanorum già annunziata nella prefazione dell'Imperium Orientale e ad esso in certo modo collegata, perché ispirata dall'esigenza di completare il Du Cange, il quale nel suo De familiis byzantinis aveva raccolto appena un decimo delle medaglie riguardanti tali famiglie.
Il piano dell'opera, che prima doveva iniziare da Diocleziano, il quale aveva dato un nuovo assetto all'Impero, veniva ampliato fino a comprendere gli imperatori illirici precedenti da Decio in poi. Appunto a questo periodo è consacrato il primo tomo dell'opera, mentre il secondo abbraccia tutto il periodo da Diocleziano alla caduta di Costantinopoli (1453). È interessante l'ordine che l'autore dà alla materia. Alla riproduzione e descrizione del materiale numismatico viene premessa la biografia del principe con tutti i particolari, secondo le testimonianze degli autori contemporanei e con la datazione di ogni avvenimento (l'autore mette in evidenza l'importanza della numismatica per chiarire gli eventi storici e per precisarne la cronologia). Nella disposizione data ai personaggi di ogni famiglia occupano il primo posto gli imperatori legittimi seguono le loro mogli e i figli cui era attribuito il titolo di Caesar e infine gli usurpatori (tiranni). Le monete riprodotte fedelmente sugli originali vengono distinte per grandezza, per metallo (oro, argento, bronzo) e per officine monetali. La descrizione delle monete è accompagnata da note che talvolta assumono le proporzioni di vere e proprie dissertazioni.
Occupa buona parte del primo tomo una Bibliotheca Nummaria, una interessante storia della numismatica dalle origini, che si fanno risalire ai Romani, fino ai tempi del B. con una analisi critica di tutte le opere che riguardano la disciplina, particolarmente dal punto di vista storico e antiquario.
Anche l'opera numismatica del B. fu accolta con ammirazione dai contemporanei e, per il periodo trattato, rimase classica fino a quando non venne soppiantata dalla Doctrina numorum veterum di J.-H. Eckhel, alla fine del sec. XVIII, e dalla più specifica sulle Médailles impériales di Henri Cohen (1859-68).
L'attività di studioso del B. si esaurì nelle due opere sopra esaminate. Ma con esse egli si inserisce di pieno diritto - e vi occupa un posto di prim'ordine - in quel movimento di studi scientifici che iniziatosi verso la metà del sec. XVII ebbe la sua fioritura sotto i regni di Luigi XIII e Luigi XIV. Tale movimento mentre da una parte perfezionò i metodi di tutte le discipline che sono a base della erudizione storica, dall'altra mirava alla compiutezza erudita, al trattato, alla collezione completa. Sono appunto queste le caratteristiche della erudizione francese, che produce in questo periodo Du Cange, Mabillon, Montfaucon e l'opera dei Maurini, e che alla fine del secolo, quando l'erudizione si incontrerà col pensiero filosofico, sfocerà nell'Encyclopédie.
Opere: Conspectus operum sancti Nicephori, patriarchae Cpol., quae propediem duobus tomis edenda sunt, et quorum pauca hactenus edita fuerunt... studio et opera Anselmi Bandurii, Parisiis, C. Rigaud, 1705, pp. IV-85, in-12° (riprodotto in: Io. Alb. Fabricius, Bibliotheca graeca, V, Hamburgi 1712, pp. 624-667; Biblioteca graeca, a cura di G. C. Harles, Lipsiae 1801, VII, pp. 610-632); Imperium orientale, sive Antiquitates Constantinopolitanae, in quatuor partes distributae, et Cosimo III magno Etruriae duci dedicatae: quae ex variis scriptorum graecorum operibus & proeseltim ineditis adornatae, commentariis, & geographicis, topographicis aliisque... tabellis illustrantur... opera & studio Domni A. Bandurii, Parisiis, J.-B. Coignard, 1711, 2 voll., pp. 1040 + 140, in folio; Imperium orientale,edit. secunda, Venetiis, B. Javarina, 1729 (ed. abus. e scorr.); Numismata imperatorum Romanorum a Trajano Decio ad Palaeologos Augustos. Accessit Bibliotheca nummaria, sive auctorum qui de re nummaria scripserunt,opera & studio D. Anselmi Banduri, Lutetiae Parisiorum, sumptibus Montalant, 2 voll. in folio; Bibliotheca nummaria,Parisiis, sumptibus Montalant, 1718 (si tratta di un unico esemplare donato alla principessa palatina Charlotte-Elisabeth di Baviera; l'esemplare, ornato del ritratto della principessa e rilegato con le sue armi, è ora alla Bibl. Nat. di Parigi collocato: Rés. Q. 46); D. A. Bandurii Bibliotheca nummaria... cum notulis et indicibus recusa, curante Io. Alb. Fabricio, Hamburgi, apud C. Liebezeit & T. C. Felgimer, 1719, pp. VIII-248, in-4°; D. A. Bandurii Bibliotheca nummaria... cum notulis et indicibus recusa atque dissertationibus virorum doctorum de hoc argumento praemissa, curante Io. Alb. Fabricio, Hamburgi, apud C. Liebezeit & T. C. Felgimer, 1719, 2 parti in un vol. in-4°. Un supplemento ai Numismata fu pubblicato da Geronimo Tanini: Numismatum imperatorum Romanorum a Trajano Decio ad Constantinum Draconem ab A. Bandurio editorum supplementum, confectum studio et cura Hieronymi Taninii, Romae 1791, pp. XV-458, in folio. Parti dell'Imperium orientale furono ripubblicate nell'Ottocento: il commento in scriptoris anonymi de antiquitatibus Cpolitanis librum IV, ubi de aede Sophiana e le Animadversiones in Constantini Porphyrogeniti libros de thematibus et de administrando imperio nel corpus bizantino di Bonn (1837 e 1840); le osservazioni e note al Catalogus di Niceforo Callisto (Migne, Pat. Graeca,CXLVII, Parisiis 1865); le Epistole di Atanasio, patriarca di Costantinopoli (ibid.,CXLII Parisiis 1865); leΠαραστάσεις σύντομοι χρονικαί (ibid.,CLVII, Parisiis 1866); e infine il Περὶ τῶν τάϕων βασιλέων τῶν ὄντων ἐν τῷ ναῷ τῶν ἁγίων ᾿Αμοστόλων (ibid.).
Fonti e Bibl.: S. Cerva, Biblioth. Ragusina, I, Ragusii 1740, pp. 83-91 (ms. presso la Bibl. del Domenicani di Dubrovnik); M. Armellini, Biblioth. Benedictino-Casinensis, I, Asisii 1731, pp. 48-50; T. Leccisotti, Il Collegio di S. Anselmo dalla fondazione alla prima interruzione (1687-1810), in Benedictina, III (1949), p. 46; A. F. Gori, Symbolae litterariae, II, Flor. 1748, pp. XXIV-XXV, 191-207; VI, ibid. 1751, pp. 42 s.; J. Dayre, Etudes slaves à Florence au XVIIe siècle, in Regštarov Zbornik, Dubrovnik 1931; G. Castagna, La corrispondenza dei monaci bened. Cassinesi col Muratori, VII. D.A.M.B., in Benedictina, VI (1952), pp. 263-268; J. Nagy, Prilozy za biografiju A. Banduri, in Prilozi za Knijževnost, jezik, istoriik i folklor, 1929, fasc. 9, pp. 83-108; J. D[ayrel, Documents inédits sur la vie de B. à Paris, in Annales de l'Institut Franç. de Zagreb,I(1937) fasc. 2-3, pp. 1-12; F. M. Appendini, Notizie istorico-critiche sulle antichità, storia e letteratura de' Ragusei, Ragusa 1803, II, pp. 22-25; G. Bianchini, Dei Granduchi di Toscana... protettori delle lettere...,Venezia 1741, pp. 137 s.; B. Montfaucon, Diarium italicum, Parisiis 1702, pp. 202, 394; [A. M. Querini], Commentarius, I, 1, Brixiae 1749, p. 94; Cl. Venetorum ad A. Magliabechium epistolae, I, Firenze 1745, pp. 309-310; Eloge du P. Banduri, in Hist. Acad. d. Inscriptions et Belles-Lettres, XVI(1751), pp. 348-355; Io. Alb. Fabricius, Bibliographia antiquaria, edit. tertia aucta studio et opera P. Schaffshausen, Hamburgi 1760, pp. 206, 220, 229, 282, 283, 294, 337, 341, 345, 409, 418, 449, 1026; Correspondance inédite de Mabillon et de Montfaucon avec l'Italie, a cura di M. Valery, Paris 1846, III, pp. 85, 94, 123, 125, 128, 129, 134, 141, 142, 145, 213; L.-G. Pelissier, Lettres inédites de Dom Claude de Vic à Fr. Ant. Marmi , in Revue des Langues Romanes, XXXIII(1889), pp. 476, 478, 486, 490, 500, 502, 524; G. Cuper, Lettres de critique, d'hist., de litt.... p. M. de B[eyer], Amsterdam 1742, pp. 322, 373, 474-477; L. A. Muratori, Epist., a c. di M. Campori, III, Modena 1902, pp. 958 s.; A. Zeno, Lettere, Ven. 1752, I, pp. 69-70, 357; S. Maffei, Epist., a. c. di C. Garibotto, Milano 1955, I, pp. 190-191; G. W. Leibniz, Mathem. Schriftenhsg C. I. Gerhardt, III, Halle 1855, p. 982; [C. E. Jordan], Hist. d'un voyage littéraire fait en 1733 en France, en Angleterre et en Hollande…, La Haye 1735 pp.104 s. Buona parte del materiale utilizzato per ìa ricostruzione della biografia banduriana è però inedito. La data di nascita (sinora fissata intorno al 1670 o 1671) è stata accertata sul Liber baptizatorum degli anni 1671-1687 dell'Arch. di Stato di Ragusa (f. 96, alla data 25 ag. 1675). Di estremo interesse per la storia dei rapporti con il Montfaucon le otto lettere banduriane (dal 25 maggio 1700 al 16 sett. 1701) in: Bibl. Nat., Paris, Fds fr. 17.702, ff. 117-131. Per i rapporti con Cosimo e Ferdinando sono state spogliate le seguenti filze dell'Arch. di Stato di Firenze: Med. d. Princ. 1121, 1122, 1123, 1124, 1127, 3928, 4692, 4695, 4706, 4709, 4711, 5887, 5888, 5889, 5891, 5895, 5896, 5898, 5902. La corrispondenza con il Cuper è conservata presso la Koninkluke Bibliotheek a Den Haag. Quella Cuper-Leibniz alla Niedersächsische Landesbibliothek di Hannover (Leibniz-Briefwechsel,n. 187). Di qualche interesse le due lettere del B. del 14 ag. 1730 e 26 sett. 1731 al segretario di stato di Clem. XII in: Bibl. Vat., Vat. Lat. 9063, ff. 41-43; e quella al card. Paulucci del 18 febbr. 1715 in: Arch. Segr. Vat., Lett. di particolari 114, ff. 95-96. Una lettera del 5 maggio 1705 è nella Bibl. Univ. di Pisa (Carteggio Grandi, vol. II). Altre notizie sono tolte dai carteggi inediti del Magliabechi e Salvini con il Montfaucon e da quello del Marmi con il de Vic, conservati alla Bibl. Nat. di Parigi. Due lettere del Louvard al B. nella Bibl. Estense di Modena (Arch. Muratoriano, filza 52, fasc. 30). Una versione francese della Bibliotheca Nummaria eseguita per Madame è nella Bibl. Nat. di Parigi, Fds fr. 9727. Due lettere del B. a un gentiluomo raguseo (Bassegli?) tra gli autografi dell'Archivio di Stato di Ragusa (dei 14 maggio e del 25 nov. 1706). L'unico ritratto che di lui si possegga è quello eseguito in età estremamente giovanile che si può vedere in Galleria dei Ragusei illustri, Ragusa 1841 (p. 131 dell'esemplare cartolato a penna della Marciana). Notizia del Conspectus, in Memoires de Trévoux, agosto 1705, pp. 1461-1463; notizie dell'Imperium orientale, in Journal des Scavans, LII (1712), pp. 291-313; Acta Eruditorum, Lipsiae 1712, pp. 485-491; ibid. 1713, pp. 49-55; Giornale de' Letterati d'Italia, X (1712), p. 506; Io. Alb. Fabricius, Bibliotheca graeca, VI, Hamburgi M2, pp. 545-581: ediz. quarta a cura di G. C. Harles, Lipsiae 1801, VIII, pp. 35-62; Mémoires de Trévoux, febbraio 1713, pp. 189-200; C. Oudin, Trias dissertationum criticarum, Lugduni Batavorum 1717 (Dissertatio III de collectanea seu de Collectione antiquitatum Cpolitarum A. Banduri, aucta et emendata cum censura Samuelis Masson); notizie dei Numismata, in Journal des Sçavans, LXIV (1718), pp. 48-60, 155-169; Acta Eruditorum, Lipsiae 1718, pp. 385-392; Mémoires de Trévoux, aprile 1720, pp. 684-720.
V. inoltre: J.-H. Eckhel, Doctrina numorum veterum, I, Vindobonae 1792, p. CLVIII; VII, ibid. 1797, p. 391; Th. Preger, Beiträge zur Textgeschichte der Πάτρια Κωνσταντινουπόλεως, München 1895, pp. 20-27, passim; K. Krumbacher, Geschichte der byzantinischen Literatur, München 1897, pp. 422-427; Scriptores originum Constantinopolitanarum, a cura di Th. Preger, I, Lipsiae 1901, p. XI, passim; II, ibid. 1907, pp. XV s., 291-313; E. Babelon, Traité des monnaies grecques et romaines, I, Paris 1901, p. 116; J. Ebersolt, Constantinople byzantine et les voyageurs du Levant, Paris 1918, pp. 185, 202 s.; L. Bréhier, B. M. in Dict. d'Hist. et de Géogr. Ecclés.,VI, coll. 490-492.