MATTEO da Prato
MATTEO da Prato (Matteo dagli Organi). – Nacque a Prato da Paolo nel 1391.
La prima notizia sulla sua attività di organaro risale al maggio 1421, quando si impegnò a restaurare l’organo del duomo di Pistoia; dal relativo contratto risulta che all’epoca risiedeva a Firenze. Un documento dello stesso anno mostra che M. possedeva competenze anche di prassi organistica, dato che, mentre attendeva a questo lavoro, aveva insegnato «certi modi per li quali si venghono meglio a sonare li dicti orghani» a un certo «Jacopo sonatore» che fu nominato organista del duomo di Pistoia (Baggiani, 1984, p. 51). Nel 1422 il nome di M. compare per la prima volta nei documenti dell’Opera di S. Maria del Fiore a Firenze, dove lavorò come organaro fino al 1457. Nel 1432 gli fu commissionato un nuovo organo per il duomo. I lavori si protrassero per circa quindici anni. Di fatto, prima dovette restaurare l’organo vecchio, forse in vista dell’inaugurazione della cupola di Filippo Brunelleschi il 25 marzo 1436. Nel settembre 1438 si trasferì a Firenze in una casa concessagli dall’Opera del duomo, onde favorire il completamento del nuovo organo. Tuttavia, con ogni probabilità doveva aver abbandonato i lavori e Firenze, se il 22 luglio 1439 i podestà di Prato e di Pistoia ricevettero l’incarico di cercarlo per chiuderlo «in eorum carceribus», qualora non avesse presentato un primo «experimentum altitudinis et latitudinis chorespondentis dicto pergamo», vale a dire la cantoria di Donatello (Giacomelli - Settesoldi, p. 21). M., pur appoggiato da Donatello suo amico, fu allora messo in competizione con l’organaro Antonio di Migliore Guidotti e il 30 apr. 1440 venne nuovamente emesso l’ordine di cattura. Superata la concorrenza di Guidotti, M. riprese il lavoro soltanto a partire dal 1446.
In quegli anni gli furono commissionati diversi organi nelle principali città della Toscana settentrionale; sono documentati quelli del duomo di Volterra (1437), della badia di Firenze (1440), delle pievi di Prato (1440) e di San Gimignano (1441), di S. Francesco a Pisa (1441) e delle cattedrali di Lucca (1442) e di Pisa (1444).
Avvalendosi della collaborazione del cognato Benricevuto di Leonardo (1398-1480 circa), M. riuscì ad accettare la commissione di questi importanti e numerosi strumenti, dato che fu probabilmente il primo a costruire molte delle parti dell’organo in una bottega stabile, appositamente allestita, con l’aiuto di maestranze fisse, diversamente dall’uso del suo tempo, secondo cui gli organari si recavano con tutta la necessaria attrezzatura sul luogo dove lo strumento doveva essere collocato. Come, infatti, scriveva lo stesso M. in una lettera del 1449 inviata da Prato agli «operai» di S. Maria del Fiore a Firenze: «io ho qua continuo 5 huomini all’organo vostro, tre legnaiuoli e due battitori» (Fioravanti). Ciononostante, la carriera di M. è segnata da mancati adempimenti e da forti ritardi nelle consegne degli strumenti. L’organo della pieve di Prato fu terminato nel 1450 e quello del duomo di Pisa nel 1451; mentre quello della cattedrale di Lucca, completato addirittura nel 1473 dal cognato Benricevuto, fu giudicato «male constructum» (Baggiani, 1982, p. 18).
Il maggiore organo costruito da M. fu quello per il duomo di Firenze, portato a compimento nel 1448 e collocato a parete, sul pergamo scolpito da Luca Della Robbia, contrapposto a quello scolpito da Donatello e destinato al secondo organo. Secondo un’idea di Brunelleschi furono infatti costruite «voltas et archonem» sotto la cupola di S. Maria del Fiore «pro perghamo novorum orghanorum» (Giacomelli - Settesoldi, p. 139). Si trattava di una soluzione inedita, in quanto era la prima volta che in Italia gli organi venivano posti in accollo alle pareti. Questa nuova collocazione verrà adottata in tutta la penisola nel corso del XV secolo, al seguito della diffusione dei nuovi canoni figurativi rinascimentali.
L’organo del duomo fiorentino, collaudato dal celebre organista Antonio Squarcialupi il 28 febbr. 1448, fu giudicato dai periti dell’Opera «bonum et perfectum et ad sui perfectionem conductum bene et diligenter et honorifice» (ibid., p. 29); esso era dotato di «tire», ovvero di registri, un meccanismo del tutto nuovo che offriva all’organista la possibilità di mutare timbro e colore, così da poter realizzare attraverso l’uso di gradazioni dinamiche una diversità di piani sonori.
L’ultimo lavoro di M. per il duomo di Firenze risale al 1457, quando realizzò una cassa «da orghani cum suis pertinentiis» da porre dentro il fogliame dorato, «sive corona organorum», per lo strumento posto sul pergamo di Donatello (ibid., pp. 136, 139).
Dalla «portata» del Catasto fiorentino del 1457 si apprende che M. non aveva figli e che da trent’anni teneva in casa il cognato Benricevuto, definito «fedele chome buono figliolo» e suo aiutante nella costruzione degli organi. All’epoca, in casa di M. vi erano nove «boche» e la conduzione familiare era in «chomune» (Guasti, pp. 78 s.).
Il 29 genn. 1465 M. stipulò, in società con Benricevuto, un contratto per la costruzione di un nuovo organo per il duomo di Pistoia, che tuttavia non riuscì a portare a termine.
M. morì a Prato il 24 sett. 1465.
Egli fu il primo organaro ad abbandonare le tradizionali pratiche costruttive tardogotiche, avviando la creazione di un nuovo modello di sonorità i cui ideali timbrici di chiarezza, trasparenza ed eufonia restarono per secoli peculiari dell’organo italiano.
Le caratteristiche degli organi realizzati da M. possono ricavarsi dai contratti per la costruzione dei vari strumenti che gli furono commissionati o di quelli che restaurò. Come prassi del tempo, gli organi grandi da chiesa erano dotati di doppia facciata (anteriore e posteriore, da cui la locuzione «un paio d’organi» o «unum par organorum», che ricorre nei documenti) e venivano collocati su poggioli in muratura o di legno eretti sul pavimento nei pressi dell’altare maggiore o negli intercolunni delle navate (Donati, 2006, p. 208). Tra il basamento, il piede dell’organo e la cassa, che poteva ospitare canne anche di 5 m, la struttura acquisiva uno sviluppo verticale e un’imponenza di cui si hanno numerosi riscontri; nei documenti riguardanti il restauro dell’organo di Pistoia del 1421 si parla, infatti, dell’«hedifitio» degli organi (Baggiani, 1984, p. 49). Circa la misura della parte frontale, il prospetto delle canne doveva svilupparsi secondo un ordine di grandezza non inferiore ai 3 m, visto che il crivello di sostegno dei corpi sonori dell’organo costruito nel duomo di Prato da M. nel 1425 era «lungo bracia quatro e mezo» (Baldanzi). Per la manutenzione dei grandi strumenti a doppia facciata era sempre necessario allestire un ponteggio: un costo ulteriore e ricorrente che fu una delle ragioni della decadenza di questa tipologia di organi. Non per nulla nel 1444 M. accettava di tornare a Pisa per dare il «secondum temperamentum» all’organo del duomo a proprie spese, «exceptis pontibus ad predictum necessariis» (Baggiani, 1981, p. 53).
La gettata dello stagno e del piombo per la realizzazione delle lastre con cui venivano costruite le canne di facciata e quelle interne avveniva su pietra: «per una pietra grande per gittar canne» (Giacomelli - Settesoldi, p. 138); «per 2 regoli per lastrone per le sponde da gitar canne» (ibid., p. 25). Le lastre venivano battute e piallate: dei «battitori» sono documentati negli anni Trenta-Quaranta e nel 1432 M. usava «uno pezuolo di marmo per piallare suso el piombo» (ibid., p. 168; Fioravanti). Per l’alimentazione dell’organo è accertato fino dal 1421 l’impiego di mantici in cuoio, realizzati con le opportune cuciture e sollevati da stanghe.
A M. si deve anche l’ampliamento dell’ambito allora in uso per la tastiera di una terza nei soprani e di una quinta nei bassi. Il primo tasto del manuale adottato da M. era Mi, al posto del Si allora praticato in tutta Europa. Nel 1442 M. dotava l’organo del duomo di Lucca di «tastis triginta duobus», aggiungendo nei bassi 7 nuove «voces» e nei soprani «duo voces que sunt unum sol et unum la» (Baggiani, 1982, pp. 16-19). Che nel 1442 M. usasse il grande ambito di 32 tasti diatonici, a cui si aggiungevano quelli cromatici nel numero di 12 per ottava, è confermato dal contratto rogato nel 1444 per la costruzione dell’organo del duomo di Pisa, in cui viene espressamente previsto lo stesso ambito (ibid., 1981, p. 52). Si tratta dei primi documenti relativi all’uso di grandi estensioni per le tastiere degli organi: una caratteristica che resterà a lungo esclusiva della scuola italiana.
Circa la grandezza degli strumenti costruiti da M., si sa che la canna maggiore dell’organo del duomo di Prato era «alta braccia sey dalla boccha in su», pari a circa m 3,50 (Baldanzi), e quella dell’organo del duomo di Pisa era di «brachiorum septem a bochino supra», pari a m 4,20 circa (Baggiani, 1981, p. 52).
M. rinnovò alcuni dei canoni costruttivi dell’arte organaria negli anni Quaranta del XV secolo. La «chassa del vento», come nel 1421 è chiamata la struttura che alimenta il complesso delle canne (Bacci, p. 44), nel 1446 divenne un «pancone di noce» dotato di tire, che risultano in numero doppio quando il pancone è destinato all’organo con doppia facciata (Fantappiè, p. 159). Nel 1440 è infatti documentato per la badia fiorentina l’uso di «XII regoli di ferro per le tire degli organi», e «12 ghiere d’ottone per le tire» (Baggiani, 1985, p. 13); mentre nel 1441 per l’organo della pieve di San Gimignano sono previsti «ferri per le tire e 10 ghiere di ottone» (ibid.). Anche l’organo di S. Maria del Fiore del 1448 era dotato di tire, come certifica il documento di collaudo, che attesta di una speciale prova effettuata da Squarcialupi dopo quelle degli altri colleghi (Guasti, p. 69).
Alle tire rispondevano file (o filari) di canne che potevano essere raddoppiate, triplicate e quadruplicate, salendo dal grave verso l’acuto, e degradanti dalle facciate verso il centro del pancone, secondo la successione degli armonici. L’organo, che nel 1442 M. si impegnava a realizzare per il duomo di Lucca, doveva essere «ordinatum et bene compositum» (Baggiani, 1982, pp. 16 s.). Sino ad allora, il complesso delle file di armonici che davano voce allo strumento rispondeva al concetto di mistura ordinata, documentata nel 1427, e comprendente file in quinta e in duodecima. La composizione ordinata seguita da M. segna il tempo in cui tali armonici (in quinta e in duodecima) cominciano a venire espunti a favore di una successione di armonici in ottava (il primo armonico in quinta risultava quello della decimanona). In tal modo, si passa per gradi dalla mistura tardogotica, scura e nasale, al brillante e trasparente ripieno che caratterizza l’organo rinascimentale italiano.
L’eredità artistica di M. venne raccolta da Giovanni da Mercatello, chiamato a succedergli nella manutenzione degli organi del duomo di Firenze. A Giovanni gli operai di S. Maria del Fiore chiesero nel 1459 di porre mano anche all’organo con le tire di M., collaudato da Squarcialupi, «ad reactandum et de novo componendum» (Giacomelli - Settesoldi, p. 180): prova che l’arte degli organi, rinnovata, stava facendo rapidi e continui progressi.
Fonti e Bibl.: F. Baldanzi, Della chiesa cattedrale di Prato: descrizione corredata di notizie storiche e di documenti inediti, Prato 1846, p. 269; C. Guasti, Di un maestro d’organi del XV secolo, in Arch. stor. italiano, s. 3, 1865, t. 2, parte 2a, pp. 48-79 (riedito in Belle arti. Opuscoli descrittivi e biografici, Firenze 1874, pp. 245-272); L. Nerici, Storia della musica in Lucca, Lucca 1879, pp. 139, 141; P. Bacci, Nuovi documenti su M. degli Organi, in Bull. stor. pistoiese, VI (1904), pp. 44-51; G. Poggi, Il duomo di Firenze. Documenti sulla decorazione della chiesa e del campanile tratti dall’Archivio dell’Opera, I, Berlino 1909, pp. CXXX-CXXXVII, 263-290; A. Badiani, I restauri del duomo di Prato, IV, L’organo, in Arch. stor. pratese, XV (1937), pp. 97-109; E. Garin, Medioevo e Rinascimento, Bari 1954, p. 167; R. Fioravanti, La musica a Prato dal Duecento al Novecento, Prato 1973, p. 32; F. Baggiani, Gli organi della primaziale di Pisa, Pisa 1981, pp. 51 s.; Id., Organi e organisti nella cattedrale di Lucca, Lucca 1982, pp. 16-19; Id., Gli organi nella cattedrale di Pistoia, Pisa 1984, pp. 49, 51, 56; Id., Monumenti di arte organaria toscana, Pisa 1985, p. 13; G. Giacomelli - E. Settesoldi, Gli organi di S. Maria del Fiore di Firenze, Firenze 1993, ad ind.; R. Fantappiè, Per la storia della musica a Prato, in Arch. stor. pratese, LXX (1994), pp. 133-135, 153, 159, 181, 188, 190; P.P. Donati, L’arte degli organi nell’Italia del Quattrocento, in Informazione organistica, XVIII (2006), pp. 5-9, 14, 20, 100-115, 197-205, 217-231; XIX (2007), pp. 26-28, 37, 42, 44, 51-55.