DELLA CORTE, Matteo
Nato a Cava de' Tirreni (prov. di Salerno) il 13 ott. 1875, da Stefano e da Anna Senatore, compì i primi studi presso il ginnasio di Cava e poi presso il liceo della Badia di Cava, da cui uscì nel 1895 per iscriversi alla facoltà di giurisprudenza dell'università di Napoli. Ancora studente, nel 1899, entrò a far parte della segreteria della fondazione che Bartolo Longo, un importante e devoto personaggio del luogo, aveva istituito presso il santuario della Madonna di Pompei; qui rimase fino al 1902. Nel frattempo, l'anno precedente, aveva conseguito la laurea in legge e aveva potuto presentarsi al concorso per soprastante agli scavi di Pompei; entrò quindi a far parte dell'amministrazione delle Antichità e belle arti il 1° marzo 1902. Contemporaneamente ottenne in affitto dallo Stato una casa presso gli scavi di Pompei che non abbandonò più. Nei primi tempi della sua carriera lavorò sotto la direzione di Ettore Pais (fino al 1905), di Antonio Sogliano (fino al 1910) e di Vittorio Spinazzola (fino al 1924).
L'inizio del suo servizio a Pompei non fu privo di difficoltà e di attriti con i superiori: nel 1904 l'allora direttore del Museo nazionale di Napoli chiese al ministero il trasferimento del D., sostenendo che questi teneva in maggior conto alcune personalità del luogo, come Bartolo Longo, che non i suoi superiori, non ostacolava l'attività degli scavatori privati e tendeva a scavalcare le gerarchie. Il ministero, però, non poté esaudire tale richiesta per mancanza di personale. Con il passare degli anni la situazione dovette migliorare; il D. si iscrisse alla facoltà di lettere dell'università di Napoli per ottenere un diploma più consono all'attività che aveva intrapreso e, nel 1909, divenne ispettore. Due anni più tardi conseguì la seconda laurea, poco dopo aver sposato Anna Pironti, che gli fu vicina fino alla morte.
Fin dall'inizio della sua carriera il D. si dedicò allo studio dei graffiti e delle iscrizioni inedite di Pompei, pubblicando dei resoconti periodici dapprima su Neapolis e sulla Rivista indo-greco-italica (in queste due sedi tra il 1914 e il 1925 fu pubblicata, in 13 puntate, la prima edizione della sua opera principale, Case e abitanti di Pompei)e poi prevalentemente sulle Notizie degli scavi di antichità (in cui comparvero, a partire dal 1911, circa 60 suoi rapporti).
Il metodo seguito dal D. nella ricerca era molto meticoloso: per ogni nuovo graffito egli riportava una descrizione nei taccuini di scavo e una copia su carta lucida o, più di recente, una fotografia, che venivano poi racchiuse in bustine e ordinate in schede nel suo archivio epigrafico personale. Questo lavoro veniva effettuato giornalmente a Pompei e con ricognizioni mensili ad Ercolano.
Negli anni a cavallo della prima guerra mondiale, e in quelli immediatamente successivi il D. si dedicò alla ricostruzione di alcuni importanti strumenti antichi, tra cui la groma, uno squadro agrimensorio di epoca romana (Monumenti antichi dei Lincei, XXVIII [1922], coll. 1-100).
Richiamato sotto le armi durante la guerra, nel 1917, per sua richiesta e per intercessione del soprintendente che aveva bisogno della sua collaborazione, fu destinato allo spolettificio di Torre Annunziata e non dovette perciò abbandonare i suoi studi. Nel 1923 divenne ispettore principale e nel 1926 poté presentarsi al concorso per direttore e vincerlo. Fu questo il grado massimo che raggiunse durante la sua carriera e che tenne fino al pensionamento.
Il D. divenne membro, a partire dagli anni del primo conflitto mondiale e nel corso di un trentennio, di numerose istituzioni italiane ed estere: il Deutsches Archaeologisches Institut, la Società Tiburtina di storia ed arte, la Deputazione di storia patria di Napoli, la Società di storia patria di Salerno, l'Accademia di archeologia, lettere e belle arti di Napoli (di cui fu vicepresidente nel 1958), la Pontificia Accademia romana di archeologia (di cui fu socio corrispondente), l'Accademia dei Lincei, l'Accademia Pontaniana, l'Archaeological Institute of America; fu nominato inoltre officier de l'Instruction publique de France e, durante una visita del re Boris agli scavi di Pompei, cavaliere al merito civile di Bulgaria.
A partire dalla fine degli anni '20 il suo interesse per la vita quotidiana di Pompei si sviluppò ulteriormente nella ricerca delle tracce della religione cristiana nell'antica città: una direzione di studio dettata anche dalla sua formazione profondamente cattolica, che ne fece un assiduo frequentatore sia del santuario della Madonna di Pompei sia della chiesa di S. Paolino agli Scavi. Poco prima di morire il D. consegnò i suoi appunti sull'argomento ad Agnello Baldi, perché questi continuasse la sua opera raccogliendo ulteriori testimonianze sulla Pompei cristiana; il risultato tuttavia fu un volume (A. Baldi, La Pompei giudaico-cristiana, Cava dei Tirreni 1964), che si rivelò parzialmente in disaccordo con le idee del D. che credeva fermamente in una forte presenza cristiana nell'antica città, a dispetto del fatto che la sua distruzione era avvenuta pochi decenni dopo l'inizio della diffusione della nuova religione.
Nel periodo tra la fine degli anni '30 e gli anni della seconda guerra mondiale, il D. fu al centro di polemiche sorte tra i pompeianisti. In un ambiente in cui era richiesta come prerogativa fondamentale una buona preparazione di carattere umanistico-letterario, il D. era piuttosto mal visto, soprattutto per il suo corso di studi irregolare, ma anche per una sua presunta scarsa esperienza nell'indagine scientifica; egli, da parte sua, non si peritava di esprimersi duramente nei confronti dei suoi avversari, e in particolar modo di E. Magaldi che, poco più che trentenne, era divenuto libero docente di antichità pompeiane. La disputa si sviluppò soprattutto in un dibattito ospitato nelle prime annate della Rivista di studi pompeiani, edita a Napoli tra il 1934 e il 1946 e fondata dallo stesso Magaldi.
Il vero motivo della contesa consisteva nel fatto che il D., pur non avendo, a detta dei suoi avversari, la preparazione necessaria, si trovava ogni giorno a contatto con graffiti e iscrizioni inedite (ne lesse più di 4.000durante tutta la sua vita), che non erano a disposizione dei professori napoletani "confinati" nelle biblioteche; dal canto suo egli si riteneva perfettamente in grado di assolvere da solo al compito di leggere ed interpretare le migliaia di iscrizioni che venivano alla luce a Pompei e giudicava piuttosto negativamente coloro che elaboravano sui libri le altrui scoperte. Nel 1941, come riconoscimento alla sua attività, fu chiamato, primo fra gli italiani, a redigere un fascicolo del Corpus Inscriptionum Latinarum (CIL, IV, 3, 2) che gli fruttò nel 1956 il premio Gronchi per l'archeologia, e in cui pubblicò circa 3.000 iscrizioni scoperte a Pompei tra il 1909 e il 1949.
Quasi al termine della sua carriera nell'amministrazione pubblica, nel 1930, il D. si trovò finalmente nella possibilità di raggiungere, mediante un concorso, il grado di soprintendente, ma con sede a Torino o a Trieste; l'eccessiva lontananza delle sedi proposte dal centro dei suoi interessi, unita all'amarezza per un riconoscimento da lui ritenuto tardivo lo indussero a rinunciare. Nel 1942, su esplicita richiesta del ministero, fu costretto a fare domanda di pensionamento per raggiunti limiti di età, ottenendo la promessa di una pronta riassunzione con diversa qualifica per poter continuare il suo lavoro. Tale richiesta fu accolta anche per l'intervento di Amedeo Maiuri, allora soprintendente, che aveva bisogno della collaborazione del D.; pertanto fu messo a riposo il 1° marzo e riassunto due mesi dopo, dapprima con la corresponsione di un assegno mensile e, dopo qualche anno, con la qualifica di semplice salariato. Come consolazione per questo trattamento, da lui ritenuto non troppo equo, venne, il 22 agosto dello stesso anno, la nomina a grand'ufficiale della Corona d'Italia.
Nel 1945 il D. fu sottoposto ad un procedimento di epurazione da parte del ministero per l'attività da lui svolta sotto il fascismo; iscritto al Partito nazionale fascista nel 1923, era stato segretario reggente del fascio di Pompei dal 1940 al 1941; ma il riconoscimento che il D. non aveva tratto alcun vantaggio dalla sua carica, e non era mai stato un attivista, gli valse il mantenimento nei ruoli dello Stato, e una sanzione assai modesta pari alla sospensione dello stipendio per un mese. Tre anni dopo, comunque, fu messo definitivamente a riposo, pur ottenendo di rimanere a vivere nella casa che già occupava e di poter continuare a seguire i lavori presso gli scavi; per questa collaborazione veniva saltuariamente ricompensato, ma l'esiguità di tali remunerazioni lo spinse a frequenti lamentele presso gli organi competenti, di cui restano tracce nel fascicolo personale del D., conservato presso la soprintendenza archeologica di Napoli.
A partire dal 1956, il D. cessò definitivamente la sua attività agli scavi a causa dell'età avanzata - aveva ormai superato gli ottant'anni - e si rinchiuse nella sua casa per continuare gli studi e attendere ad un riesame di tutte le sue opere: chiese tra l'altro a P. Soprano di ristampare il suo volume Case e abitanti di Pompei (che solamente nel 1954, a Pompei, era stato edito per la prima volta sotto forma di libro), fondendo nel testo una serie di aggiunte e compilando degli indici scientifici. Pochi giorni prima di morire, il 27 genn. 1962, scrisse a Pio Ciprotti, professore all'università di Camerino, una lettera che doveva valere come testamento scientifico (Archivio della Soprintendenza archeologica di Napoli, fascicolo personale).
Morì, dopo una breve malattia cardiaca, il 5 febbr. 1962, all'età di ottantasei anni, nella sua casa di Pompei.
Alla sua morte Halsted Vanderpoel, che aveva acquistato dal D. la biblioteca privata e i suoi manoscritti nel 1959, chiese alla soprintendenza di Napoli il permesso di donarli al Deutsches Archaeologisches Institut, mentre alcuni altri amici provvedevano alla ristampa del volume Case e abitanti di Pompei (Napoli 1965); non ebbe alcun seguito invece il progetto di due volumi in onore del D. caldeggiato soprattutto da P. Ciprotti.
Il grande amore e la dedizione totale del D. nei confronti dell'antica Pompei ebbero, naturalmente, degli effetti positivi, soprattutto nell'accuratezza della documentazione di migliaia di iscrizioni che, in gran parte, andarono in seguito perdute; questo fu dovuto anche al fatto che egli fu il primo funzionario responsabile a voler dimorare in Pompei, esercitando quindi un controllo quotidiano e non casuale sulle scoperte. Purtroppo spesso il D. non seppe dotare di retroterra storico culturale la pubblicazione di tali reperti, limitandosi a trarne informazioni sulla vita quotidiana e rimanendo quindi ancorato ad una concezione antiquaria dell'archeologia. Da questo tipo di approccio nacque la pubblicazione del suo volume principale, Case e abitanti di Pompei, in cui egli tenta di attribuire un proprietario quasi ad ogni casa dell'antica città; in realtà spesso il dato su cui si basa è privo di ogni fondamento scientifico.
Durante tutta la sua vita il D. ebbe rapporti piuttosto difficili con colleghi e superiori, oltre che con gli altri studiosi; la causa principale di questi contrasti fu senza dubbio il suo carattere litigioso e caparbio che non ammetteva contraddizioni, reso più spigoloso dai giudizi, talora ingiustamente sprezzanti, a lui riservati da molti suoi colleghi. Le discussioni riguardo l'opera del D. non sono però spente neppure oggi, a distanza di venti anni dalla sua morte; la critica tende a rivalutare il suo ruolo all'interno della schiera dei pompeianisti, in cui occupa certo uno dei posti preminenti. Nello stesso tempo, però, non gli si possono perdonare numerose leggerezze, come quella di aver scambiato per i proprietari di svariate case pompeiane i mercanti i cui nomi erano dipinti sulle anfore rinvenute all'interno delle abitazioni; oppure quella di aver voluto inventare il mito della presenza cristiana a Pompei. Non va dimenticato inoltre il limite che fu proprio di molti pompeianisti: quello di fotografare la vita degli abitanti della città in un unico momento, poco prima dell'eruzione del vulcano, senza prestare la minima attenzione alle modificazioni storico-culturali ed economiche avvenute dal momento della sua nascita a quello della sua sepoltura sotto lapilli e cenere. Rimane però sempre, nel lavoro del D., il merito di aver documentato un così grande numero di testimonianze di cui altrimenti non avremmo alcuna traccia.
Per una bibliografia degli scritti del D.: Studi e pubblicazioni del dr. M. D. dal 1908 al 1933: indice generale, Pompei 1933; A. Baldi, La Pompei giudaico-cristiana, Cava dei Tirreni 1964, pp. 161-167 (da cui sono esclusi i rapporti sulle Notizie degli scavi di antichità, pubblicati dal D. a partire dal 1911, tutti gli articoli usciti su quotidiani e riviste di divulgazione, nonché i suoi contributi in altri campi).
Fonti e Bibl.: Per la biografia e per l'attività: Napoli, Arch. della Soprint. archeologica, fascicolo personale; Rivista di studi Pompeiani, I(1934-35) e V (1944), passim; A. Maiuri, Gli scavi di Pompei dal 1879 al 1948, in Pompeiana, Napoli 1950, pp. 9-40; E. Corti, Ercolano e Pompei Morte e rinascita di due città, Torino 1957, ad Ind.:A. Maiuri, Vita d'archeologo, Napoli 1958, ad Ind.;P. Ciprotti, M. D. (1875-1962), in Studia et docum. historiae et iuris, XXVIII(1962), pp. 498-502; C. de Frede, M. D., in Atti dell'Accad. Pontaniana, n. s., XII (1962-63), pp. 357-61; A. Baldi, Elementi di epigrafia Pompeiana, in Latomus, XXIII(1964), pp. 793-801; P. Ciprotti, M. D. 1875-1962, in memoria, Roma 1965; A. de Franciscis, M. D., discorso commemor. tenuto in Cava dei Tirreni il 15 dicembre 1963, in M. Della Corte, Case e abitanti di Pompei, Napoli 1965, pp. IX-XV; J. Andreau, Remarques sur la societé pompeienne (A propos des tablettes de L. Caecilus Iucundus), in Dialoghi d'archeologia, VII(1973), 2-3, pp. 213-54; P. Castrén, Ordo populusque Pompeianus, in Acta Instituti Romani Finlandiae, VIII(1975), passim.