GIOVANNETTI, Matteo
Pittore e arciprete viterbese, documentato tra il 1322 e il 1369, nato probabilmente tra la fine del 13° e l'inizio del 14° secolo. G. è menzionato per la prima volta, relativamente a un canonicato nella chiesa viterbese di S. Luca, in una lettera di Giovanni XXII inviata da Avignone il 2 giugno 1322 e successivamente, il 16 agosto 1328, in una lettera da Viterbo dell'antipapa Niccolò V. Il 30 dicembre 1336 fu nominato da Benedetto XII priore di S. Martino a Viterbo e il 17 novembre 1348 arciprete di Vercelli (Castelnuovo, 1991, p. 39).Il nome di G. è registrato nei conti della curia avignonese dal settembre 1343 all'aprile 1367 (Castelnuovo, 1991); egli dovette svolgere il ruolo di sovrintendente - a partire dal 1346 è definito pictor pape - delle imprese decorative nel palazzo dei Papi, in cui eseguì vasti programmi pittorici su commissione del pontefice Clemente VI (1342-1352), e nella certosa di Villeneuve-lès-Avignon, dove affrescò la cappella di S. Giovanni per Innocenzo VI (1352-1362). Dall'ampia documentazione pervenuta si apprende che G. si occupava personalmente di ogni lavoro connesso con la decorazione e l'arredo del palazzo, dalle campagne di affresco fino a compiti che confinavano con l''alta carpenteria' (Castelnuovo, 1991, p. 120); emerge quindi la figura di un artistaimprenditore che anche nelle imprese minori dirigeva e pagava personalmente una équipe di collaboratori, come si ricava dal suo quaderno dei conti per il periodo luglio-ottobre 1347 (Denifle, 1888).Il successo di G. e la portata della sua influenza in Europa sono testimoniati dal fatto che ancora nel 1406 Martino I, re di Aragona, chiedeva al vescovo di Lérida di far eseguire copie in miniatura degli affreschi della cappella di S. Michele nel palazzo avignonese, per usarle come modelli. Gli affreschi del palazzo dei Papi attraversarono in seguito un lungo periodo di abbandono e subirono ingenti danni, specie nel sec. 19°, quando il complesso venne utilizzato come caserma. Il nome del loro autore fu dimenticato fino a quando Müntz (1881) scoprì nei registri pontifici degli archivi vaticani la notizia di un pagamento del 1346 a G. per le cappelle di S. Michele e S. Marziale. La critica, a partire dallo stesso Müntz (1886) fino agli anni Sessanta, ha mostrato una sostanziale incomprensione di questo artista, causata dalla sua non conformità agli abituali canoni senesi o fiorentini. Una differente valutazione è stata raggiunta solo in seguito agli studi di Laclotte (1960) e di Castelnuovo (1962), il quale ha infatti dimostrato come l'arte di G. ad Avignone sia stata condizionata dalla possibilità di operare in grande libertà in un centro privo di una tradizione pittorica vincolante (Castelnuovo, 1991, pp. XXII-XXVII, 58-62).Faldi (1970) e Castelnuovo (1991) concordano nel collocare la formazione di G. in area umbro-senese. L'influenza esercitata su G. da Simone Martini è stata messa in relazione con un loro possibile incontro a Orvieto al principio del terzo decennio del Trecento; G. dovette comunque studiare a fondo anche le opere nella basilica di Assisi, dal momento che si trovano precisi riscontri tra la cappella di S. Martino di Simone Martini e quella di S. Marziale. Anche l'influsso di Pietro Lorenzetti è spiegabile con il soggiorno assisiate, mentre per giustificare la conoscenza di Ambrogio Lorenzetti è stato necessario ipotizzare un viaggio di G. a Siena (Faldi, 1970, pp. 4-6; Castelnuovo, 1991, pp. 82-93). La critica è invece discorde sulla possibilità di rintracciare sue opere giovanili nel viterbese: Faldi (1970) riconosceva nella Crocifissione in S. Maria Nuova a Viterbo un'opera della prima fase dell'artista, databile alla fine del quarto decennio del Trecento, mentre Castelnuovo - che aveva preso in considerazione la pittura come giovannettiana, ma aveva preferito ascriverla a un collaboratore viterbese di G., forse quel Pietro da Viterbo ricordato in tanti documenti avignonesi (Castelnuovo, 1962, p. 73) -, tornando sull'argomento, ha mantenuto ferma l'attribuzione a un diverso pittore viterbese, pur concordando nell'anticipare la datazione dell'affresco (Castelnuovo, 1991, pp. 79-81). Degli altri affreschi collegabili a pittori di formazione affine a G. o da lui influenzati, Faldi (1970, p. 7) assegnava con sicurezza a G. solo il volto di un donatore in un frammentario affresco con la Madonna tra quattro santi e due donatori nella stessa chiesa di Viterbo, riconoscendovi la presenza di numerosi collaboratori; secondo Castelnuovo (1991, p. 81), al contrario, non è possibile identificare a Viterbo alcuna opera autografa di Giovannetti.La prima menzione della presenza dell'artista ad Avignone è del 22 settembre 1343, nell'ambito dei documenti relativi ai lavori nella torre della Guardaroba. G. è l'unico dei numerosi artisti menzionati a essere definito magister e perciò si è ipotizzato che fosse stato il responsabile della direzione dei lavori nella camera del Cervo (o della Guardaroba), situata al terzo piano della torre e decorata con la rappresentazione naturalistica di scene di caccia e pesca. L'intervento di G. nella camera del Cervo appare poco precisabile e l'attribuzione al pittore del pescatore con la rete (Castelnuovo, 1962, p. 43), dubitativamente accolta da Laclotte (Laclotte, Thiébaut, 1983, p. 135), è stata successivamente messa in dubbio dallo stesso Castelnuovo (1991, p. 49). Il nome di G. è stato fatto anche, in alternativa a quelli dei pittori senesi Filippo e Duccio, per le gabbie prospettiche dipinte negli sguanci delle finestre della camera del Papa, affrescata per Benedetto XII tra il 1337 e il 1341 con rami di quercia e tralci di vite su fondo azzurro (Castelnuovo, 1991, pp. 34-38).Se il documento del 1343 non è esplicito riguardo alla parte avuta da G. nella decorazione della torre della Guardaroba, quelli relativi ai due lavori successivi sono dettagliati. Del 3 gennaio 1346 è il pagamento definitivo per gli affreschi eseguiti nella cappella di S. Michele e in quella di S. Marziale.La prima, alla sommità della torre della Guardaroba, era la cappella privata di Clemente VI e fu decorata con affreschi - oggi scomparsi tranne poche tracce delle sinopie - realizzati tra il 1344 e il 1345 da G. con svariati collaboratori. Gli affreschi nella cappella di S. Marziale, eseguiti negli stessi anni, sono invece conservati. La cappella, situata al piano superiore della torre di S. Giovanni, si apre sul Grande Tinello (al primo piano del vecchio palazzo di Benedetto XII), i cui affreschi, realizzati nella stessa campagna, sono andati distrutti nell'incendio del 1413. La cappella è dedicata a s. Marziale, patrono di Limoges (città natale di Clemente VI) ed evangelizzatore dell'Aquitania, presentato nel programma iconografico come apostolo di Cristo e come 'Pietro dell'Aquitania', per sottolineare il ruolo di nuova Roma assunto da Avignone. Negli affreschi, in cui si affollano in modo apparentemente disordinato scene e personaggi, è evidente l'influsso dei senesi e di Simone Martini, nell'attenzione a rendere lo sfarzo della corte, le stoffe e gli oggetti preziosi, anche se G. dimostra una più stretta adesione al quotidiano, alla raffigurazione di personaggi popolari e un uso del ritratto assolutamente innovativo per l'epoca. Nella decorazione pseudo-architettonica, che doveva dare l'illusione che gli affreschi fossero ampie finestre, si coglie la ricerca di uno spazio tangibile e abitabile, ulteriormente sviluppata nei cantieri successivi, soprattutto grazie alla disposizione unitaria delle rappresentazioni sugli sguanci delle finestre e sulle pareti. Sui muri d'angolo sono spesso dipinti due episodi di una stessa scena, che si sviluppa così da una parete all'altra; per accrescere l'illusione spaziale, a volte, nel punto di incontro dei muri corrisponde l'angolo di un edificio dipinto, che divide in due la stessa scena.Nel 1346 G. lavorò a Villeneuve-lès-Avignon nella livrea cardinalizia di Napoleone Orsini e nel palazzetto papale, continuando tuttavia a sovrintendere le attività della sua bottega nel palazzo avignonese (corridoi e altri ambienti vicino al Grande Tinello). Nello stesso anno venne pagato anche per un'immagine della Madonna con il Bambino dipinta sopra la porta della cappella di S. Marziale, per lavori nella capella magna di Benedetto XII e nella sala del Concistoro, e per alcune tavole dipinte per l'altare del papa (Castelnuovo, 1991, pp. 94-95).Non sono direttamente documentati gli affreschi della cappella di S. Giovanni, situata al piano terreno dell'omonima torre, e hanno perciò suscitato problemi di attribuzione e datazione. Se ne trova notizia solo indirettamente nella documentazione sull'attigua sala del Concistoro e tutto lascia supporre che la cappella sia stata decorata, tra il 1346 e il 1348, contestualmente alla sala del Concistoro (sottostante al Grande Tinello), i cui affreschi furono anch'essi distrutti dall'incendio del 1413. Nelle Storie dei ss. Giovanni Battista ed Evangelista, caratterizzate da una composizone più ordinata e da una maggiore monumentalità, le scene sono più spaziose e al posto degli interni prevalgono i paesaggi; emergono inoltre componenti senesi più forti che nella precedente cappella, forse per la più consistente presenza di aiuti.Tra il 1349 e il 1352 G. fu impegnato a dipingere le tavole per otto cappelle e affreschi con episodi della Vita di s. Roberto per l'abbazia della Chaise-Dieu, in Alvernia, su commissione di Clemente VI. Nel 1352 inviò a Parigi un quaderno con disegni per ventotto Storie di s. Roberto, come modello per gli orafi che dovevano eseguire la cassa-reliquiario del santo per la stessa abbazia.Clemente VI morì nel 1352, prima di vedere ultimata un'altra commissione a G., la decorazione della sala dell'Udienza al piano terreno della nuova ala del palazzo papale. Della decorazione rimangono solo venti figure di profeti e patriarchi su due arconi della volta, mentre il grande affresco della parete di fondo con il Giudizio universale è andato distrutto nel 1822, insieme a una Crocifissione su un'altra parete, di cui si conserva la sinopia. I profeti e patriarchi le cui parole e i cui scritti annunciavano il giudizio finale sono raffigurati con lunghi cartigli su cui si leggono le massime bibliche riferite a ognuno; il complesso programma iconografico rivela un preciso fine didascalico-edificante, motivato dalla funzione della sala come tribunale della Rota, in cui venivano discusse le cause riguardanti i benefici. In queste figure G. ha fuso la solidità e concretezza dell'arte toscana con i valori calligrafici e ornamentali della linea caratteristici del più avanzato linguaggio gotico francese.Nella certosa di Villeneuve-lès-Avignon, fondata da Innocenzo VI nel 1356, G. affrescò la cappella di S. Giovanni, citata in un solo documento di incerta datazione, forse del 1355 (Castelnuovo, 1991, p. 136). La cappella, che faceva parte dell'antica livrea cardinalizia del papa, fu accorpata alla nuova certosa e, probabilmente, decorata proprio negli anni in cui si andava costruendo il resto dell'edificio (1355-1356). In questo ciclo pittorico, degradato per l'abbandono ottocentesco, G. raggiunse un alto grado di virtuosismo nella resa dello spazio: sugli sguanci delle finestre sono raffigurati personaggi che sembrano guardare o penetrare nella parete contigua, dentro l'ambiente in cui si svolge l'evento. Una finestra viene inglobata nello schema pseudo-architettonico attraverso le mensole dipinte che ne incorniciano l'arco, mentre una seconda, murata, è inserita nel gioco prospettico grazie al davanzale che diventa il pavimento di un ambiente visto in prospettiva: il pilastro centrale della finestra perde così consistenza, apparendo un elemento dipinto; gli zoccoli del basamento presentano inoltre finte bugne in trompe-l'oeil. In questa elaborata intelaiatura spaziale si muovono figure allungate, rarefatte, di altissima intensità spirituale, a cui il crescente valore del segno lineare sottrae materialità. La maggiore libertà del tratto, sottile e guizzante, che emerge in più punti sotto il leggero strato di colore, appare come un'ulteriore conquista di questo periodo.L'équipe di G. dovette lavorare in quegli anni anche nel palazzo di Ardoin Aubert, nipote di Innocenzo VI, oggi quasi interamente distrutto. Non si conoscono, né sono documentate, opere di G. successive a queste, fino al 1365: è verosimile che non abbia dipinto nulla di rilevante, dal momento che ormai ad Avignone non si costruivano più nuovi edifici (Castelnuovo, 1991, pp. 134-150).Tra il 1365 e il 1366 G. diresse la decorazione della nuova ala del palazzo dei Papi voluta da Urbano V (1362-1370), il c.d. appartamento Roma. Nel 1367 ricevette inoltre il pagamento per cinquantasei panni di lino dipinti con Storie di s. Benedetto per il collegio Saint-Benoît di Montpellier, fondato dal papa.Sono solo tre le opere su tavola attribuite a G. con certezza: il trittico Cernazai, ricomposto da Longhi (1946; 1948) - Madonna con il Bambino (già Parigi, Coll. Fodor), scomparti con i Ss. Ermagora e Fortunato (Venezia, Mus. Correr) e relative cuspidi con Annunciazione (New York, coll. privata) -, che fu probabilmente commissionato da un veneziano, data la presenza dei due santi venerati nel Veneto orientale, ed è da ricollegare al momento dell'esecuzione della cappella di S. Marziale (Vertova, 1968); la Crocifissione tra S. Agostino e S. Domenico (Viterbo, raccolte della Cassa di Risparmio; Volpe, 1959), che doveva far parte di un piccolo dittico; infine, la Madonna con il Bambino con un ecclesiastico inginocchiato, forse da identificare con Clemente VI (New York, Wildenstein Coll.; Zeri, 1976, p. 11ss.).Un acquerello eseguito da Roger de Gaignières alla fine del Seicento (Parigi, BN, Cab. Estampes, Coll. Gaignières, Oa 11, cc. 85-88) è forse la testimonianza di un'altra opera su tavola di Giovannetti. Si tratta della copia di un dipinto raffigurante la visita del re di Francia Giovanni il Buono a Clemente VI, esposto a Parigi nella Sainte-Chapelle fino alla Rivoluzione; secondo Pächt (1961) doveva trattarsi di un'opera di Jean de Bondol, ma Kahr (1966) e Sterling (1987) hanno sostenuto l'attribuzione a G., sottolineandone l'influenza sugli artisti parigini.Quando Urbano V lasciò Avignone per tornare a Roma G. dovette seguirlo: la sua presenza nel palazzo Vaticano è attestata fin dal 18 ottobre 1367. Altri documenti del gennaio 1368 riguardano lavori in Vaticano; il nome di G. compare per l'ultima volta in una lettera da Montefiascone del 4 giugno 1369 di Urbano V. I documenti dal 20 luglio al 2 ottobre 1369 relativi alla decorazione di due cappelle in Vaticano, in cui tra gli altri sono ricordati i nomi di Giottino e Giovanni da Milano, non menzionano G., né il suo nome ricorre quando il papa ritorna ad Avignone nel 1370. È dunque probabile che sia morto nell'estate del 1369 (Castelnuovo, 1991, pp. 150-152).
Bibl.: E. Müntz, Un document inédit sur les fresques du palais d'Avignon, Courrier de l'art 1, 1881, p. 79 (rist. BMon 48, 1882, pp. 90-93); id., La chapelle de Saint-Martial, Gazette archéologique 11, 1886, p. 258ss.; H. Denifle, Ein Quaternus rationum des Masters Matteo Giovannetti von Viterbo on Avignon, Archiv für Literatur und Kirchengeschichte des Mittelalters 4, 1888, pp. 602-630; R. Longhi, Viatico per cinque secoli di pittura veneziana, Firenze 1946, p. 44; id., Calepino Veneziano XIII: ancora del Maestro dei Santi Ermagora e Fortunato, Arte veneta 2, 1948, pp. 41-55; E. Castelnuovo, Avignone rievocata, Paragone 10, 1959, 119, pp. 28-51; C. Volpe, Un'opera di Matteo Giovannetti, ivi, pp. 63-66; M. Laclotte, L'école d'Avignon. La peinture en Provence au XIVe et XVe siècles, Paris 1960; O. Pächt, The ''Avignon Diptych'' and its Eastern Ancestry, in De Artibus Opuscola. Essays in Honor of Erwin Panofsky, New York 1961, I, pp. 402-421; E. Castelnuovo, Un pittore italiano alla corte di Avignone. Matteo Giovannetti e la pittura in Provenza nel secolo XIV, [Torino] 1962; M. Kahr, Jean le Bon in Avignon, Paragone 17, 1966, 197, pp. 3-16; L. Vertova, Testimonianze frammentarie di Matteo da Viterbo, in Festschrift Ulrich Middeldorf, Berlin 1968, pp. 45-51; I. Faldi, Pittori viterbesi di cinque secoli, Roma 1970, pp. 4-11; F. Enaud, Les fresques du Palais des papes à Avignon, Les monuments historiques de la France, n.s., 17, 1971, 2-3, pp. 1-139; E. Kane, A Document for the Fresco Technique of Matteo Giovannetti in Avignon, Studies. An Irish Quarterly Review 54, 1975, pp. 368-378; F. Zeri, Un cimelio di Matteo Giovannetti, in Diari di lavoro. 2, Torino 1976, pp. 11-14; E. Castelnuovo, Avignone e la nuova pittura. Artisti, pubblico, committenti, in Aspetti culturali della società italiana nel periodo del papato avignonese, "Atti del XIX Convegno del Centro di studi sulla spiritualità medievale, Todi 1978", Todi 1981, pp. 387-414; M. Plant, The Vaults of the Chapel of Saint Martial, Palace of the Popes, Avignon: Frescoes of Matteo Giovannetti, Source 2, 1982, pp. 6-11; M. Laclotte, D. Thiébaut, L'école d'Avignon, Paris 1983, pp. 32-48, 188-193; D. Thiébaut, Matteo Giovannetti, in L'art gothique siennois, cat., Avignon 1983, pp. 155-190; C. Sterling, La peinture médiévale à Paris 1300-1500, I, Paris 1987, pp. 140-143; E. Castelnuovo, Un pittore italiano alla corte di Avignone. Matteo Giovannetti e la pittura in Provenza nel secolo XIV, nuova ed., Torino 1991.F. Manzari