VISCONTI, Matteo I
Figlio di Tebaldo (ucciso dai Torriani a Gallarate nel 1276) e di Anastasia Pirovano nipote di Uberto di Pirovano arcivescovo di Milano, nacque a Invorio (Novara) il 15 agosto 1250; sposò nel 1269 Bonacossa figlia di Squarcino Borri dai nobili fuorusciti eletto a loro capo. Appare in prima linea solo nel dicembre 1287, quando il prozio Ottone lo fa eleggere capitano del popolo: s'inizia così per il ritiro del prozio la sua opera politica che è distinta in tre periodi: dall'elezione del 1287 alla sua espulsione da Milano nel 1302, periodo nel quale non riesce a consolidare la signoria; l'esilio e le manovre con Enrico VII per ottenere prima il ritorno poi la concessione del vicariato nel 1311; infine le lotte sempre più violente con i guelfi e il papato sino alla morte.
Matteo, eletto capitano per soli sei mesi, fu riconfermato di cinque in cinque anni nel 1289, nel 1294, e nel 1299. Con Matteo appare chiaro che la situazione interna di Milano era condizionata ai rapporti con le città vicine: pericoloso soprattutto il rancore del marchese Guglielmo di Monferrato: perciò la cattura di esso fatta nel 1290 da Alessandria segna l'ascesa della potenza di Matteo che nel 1290 divenne capitano di Vercelli, nel 1292 di Alessandria e di Como, nel 1294 del Monferrato, sicché il giovinetto marchese Giovanni I era come suo pupillo. Nel 1294 otteneva dall'imperatore Adolfo la nomina di vicario imperiale di Lombardia (che egli finse di accettare solo per preghiera del Consiglio milanese); essa gli fu riconfermata dal nuovo imperatore Alberto nel 1298. Ma le città lombarde non gli riconobbero alcuna autorità, anzi ne trassero motivo di sospetto per aiutare la costante guerriglia dei Torriani.
Si formano leghe antimilanesi che egli cerca di neutralizzare legandosi con matrimonî con gli Scaligeri (1298), poi con gli Estensi (1300), ma nel 1302 la coalizione promossa da Alberto Scotti, signore di Piacenza, lo obbligava nel giugno a rinunziare al capitanato e permettere il ritorno dei Torriani, il che voleva dire il proprio esilio. Dopo qualche vano tentativo di ritorno, si ritirò a Nogarole nel Veronese. Sceso in Italia nel 1310 Enrico VII, egli si recò da lui ad Asti, e ritornò con l'imperatore a Milano dove, malgrado la pacificazione imposta dall'imperatore, i suoi intrighi o l'imprudenza di Guido della Torre portarono Enrico a espellere questo e i suoi partigiani. Matteo fu pure allontanato per un po', ma poi il bisogno che aveva l'imperatore di danaro lo costrinse a creare nel luglio 1311 il Visconti vicario imperiale di Milano. Si ebbe allora, per l'impulso dato dalla discesa imperiale alla causa ghibellina, un'espansione della signoria milanese: nel 1315 Matteo, per dominio diretto suo o dei figli dominava Piacenza, Bergamo, Lodi, Como, Cremona, Alessandria, Tortona, Pavia, Vercelli e Novara. La lotta dinastica risorta in Germania, e più la violenza con cui papa Giovanni XXII volle realizzare l'aspirazione a dominare l'Italia settentrionale spezzando l'ostacolo maggiore formato dalla signoria viscontea, avvolsero Matteo in una lotta sempre più grave fino alla morte. Egli rinunciò, per compiacere il papa, al vicariato imperiale, prendendo il titolo di signore generale di Milano (1317): non bastò. L'ostilità dei Torriani, dei guelfi, di re Roberto fu coordinata e accresciuta dalla venuta del legato Bertrando del Poggetto. Matteo seppe far fronte alla minaccia militare stringendosi agli Scaligeri, ai Bonaccolsi, al conte di Savoia e attaccando Genova; quando nel 1320 il papa fece scendere in Italia Filippo di Valois, Matteo lo allontanò col denaro e così nel 1322 il duca Enrico d'Austria. Più pericolosa invece fu la minaccia ecclesiastica cominciata con un processo per eresia che, aggravatosi per non essersi Matteo presentato in Avignone, malgrado tutti i suoi tentativi di conciliazione (che non potevano però arrivare ad accogliere i fuorusciti Torriani), portò alla scomunica nel 1320, cui si aggiunsero nel 1321 l'interdetto sulla città, e nel 1322 la predicazione di una crociata.
Matteo il 23 maggio 1322 rinunciò al governo a favore del figlio Galeazzo, dandosi a opere di pietà; il 24 giugno moriva a Crescenzago. Sua moglie era morta il 13 gennaio 1321. Lasciava cinque figli maschi: Galeazzo, Marco, Giovanni, Luchino, Stefano, e numerose femmine.
Bibl.: v. bibl. a visconti; R. Michel, Le procés de M. et de Gal. V., in Mélanges d'archéol. et d'art, XXIX (1909).