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MATTEO PARIS

di GGiulia Barone - Federiciana (2005)
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MATTEO PARIS

GGiulia Barone

Pochissimi dati sono noti sulla vita del cronista inglese M., e quei pochi sono tutti desunti dalle sue opere. Nato nell'anno 1200, a diciassette anni ‒ il 21 gennaio 1217 ‒ M. diventò monaco nell'abbazia benedettina di St Albans, una delle più ricche e famose del Regno d'Inghilterra.

St Albans si trova sulla strada che, da Londra, raggiunge il Nord dell'Inghilterra, una delle direttrici più frequentate nel Medioevo come ai nostri giorni. La sua posizione, a una sola giornata di viaggio da Londra, ne faceva una tappa ideale per tutti coloro che dovevano dirigersi verso il Settentrione del paese. Come tutte le grandi abbazie, St Albans era dotata di ottime strutture ricettive, per accogliere gli ospiti e il loro seguito. Si dice che le sue scuderie potessero ospitare fino a trecento cavalli. Non era perciò infrequente che i grandi del Regno, non escluso il sovrano, vi venissero accolti, così come legati papali, vescovi, grandi signori e ufficiali regi. È noto ‒ ad esempio ‒ che Enrico III, il sovrano contemporaneo a M., soggiornò nell'abbazia almeno nove volte. Questa posizione del tutto particolare di St Albans spiega come M. abbia potuto raccogliere informazioni di prima mano non solo su quanto avveniva nel Regno, ma anche sui grandi temi della politica 'mondiale' del XIII sec., dallo scontro fra Papato e Impero ai progetti di crociata, dalla lotta tra Federico e i comuni italiani alle vicende interne al comune romano, e così via.

La vita di M. sembra essere stata segnata solo da un evento di un certo rilievo: nell'estate del 1248 venne inviato a Bergen per riformare un'abbazia benedettina norvegese. La Chiesa del Regno scandinavo aveva avuto del resto, sin dalle sue origini, forti legami con quella inglese. Sappiamo poi che fu più volte alla corte del re d'Inghilterra: per il matrimonio del sovrano a Londra nel 1236, nel 1247 a Westminster e nel 1251 a Winchester. A lungo si è ritenuto che una parte dei documenti inseriti nella cronaca di M. derivassero da quelli conservati negli archivi regi o che comunque dipendessero da originali comuni. Studi più recenti (Hilpert, 1981) hanno però dimostrato che il cronista si rifaceva a una tradizione diversa da quella documentata dal Libro rosso dello Scacchiere; ma non è stato possibile chiarire in quale modo M. fosse venuto a conoscenza delle bolle papali, dei pamphlets propagandistici che si scambiavano papa e imperatore e degli altri documenti inseriti nella sua opera.

M. fu autore assai prolifico. La sua opera storica di maggior peso è costituita dai Chronica Majora, continuazione della cronaca universale del suo confratello Ruggero di Wendover, che era rimasta interrotta all'anno 1235. M. la portò avanti fino alla sua morte, avvenuta nel 1259. Sin dall'inizio, M. decise di inserire nel testo della cronaca il maggior numero possibile di documenti, con la conseguenza che il resoconto di ogni singolo anno (l'opera segue uno schema annalistico) assunse dimensioni eccessive. A partire dal 1247 l'autore decise perciò di raccogliere la documentazione in suo possesso in una sorta di appendice (Liber additamentorum), cui rinviava grazie a un sistema di segni di rimando inseriti nel testo.

Dei Chronica, per una serie di felici circostanze, possediamo sia l'originale, di mano dello stesso M., che una copia, eseguita quando l'autore era ancora in vita e che documenta uno stato di avanzamento della composizione precedente a quello dei manoscritti autografi (il copista dovrebbe avere eseguito il suo lavoro intorno al 1250, termine scelto originariamente dall'autore per concludere il suo lavoro). Nell'autografo sono infatti presenti cancellazioni, inserti di testo su rasura, aggiunte e correzioni che hanno consentito di capire meglio il sistema di lavoro che M. aveva adottato.

Il materiale dei Chronica Majora venne utilizzato in un secondo momento da M., che se ne servì per scrivere una storia del Regno d'Inghilterra a partire dalla conquista normanna fino ai suoi giorni. Questa Historia Anglorum (che copre l'arco di tempo 1067-1253) dipende direttamente dall'opera maggiore, ma contiene alcune aggiunte e, soprattutto, documenta un cambiamento delle posizioni dell'autore nei confronti di re Enrico III, dei papi e dell'imperatore Federico II, morto nel 1250.

M. non fu solo storico ma anche agiografo; gli si devono infatti alcune vite di santi, in latino e in francese antico, consacrate a figure centrali della storia religiosa inglese (Edoardo il Confessore, l'arcivescovo Edmondo di Canterbury, Tommaso Becket) e ad Albano, il santo titolare della sua abbazia. Anche se la sua lingua madre sembra sia stata l'anglosassone, M. pare aver voluto privilegiare il volgare che, dopo la conquista normanna del 1066, era la lingua della monarchia e della classe dirigente del Regno. I manoscritti autografi delle opere di M. documentano anche le sue notevoli capacità artistiche: egli è infatti in grado di illustrare, con sicurezza e vivacità, alcuni degli episodi narrati (fatti d'armi, come la morte del Saladino, episodi della vita dei santi, sistemi di trasporto, ecc.). Gli si debbono inoltre alcune centinaia di stemmi, riprodotti a colori e con estrema precisione, e alcune celebri carte geografiche, tra le più antiche conservate (dell'Inghilterra, della Terrasanta, degli itinerari tra l'Inghilterra e la Puglia, da dove i pellegrini si imbarcavano per Gerusalemme).

Anche se M. era un monaco, il suo giudizio sui fatti del tempo si discosta abbastanza nettamente da quello degli storici 'papali' (v. Cronachistica). Ai pontefici del suo tempo il cronista rimprovera infatti di curarsi troppo dei propri interessi materiali, di imporre ai buoni cristiani oneri troppo gravosi, di utilizzare i fondi raccolti per la crociata per una politica di potenza nei confronti dell'Impero, di concedere con eccessiva facilità i benefici delle chiese e dei monasteri inglesi a stranieri, soprattutto italiani. In queste sue accuse M. non è una voce isolata; il malcontento per questi motivi era largamente diffuso nella Chiesa inglese. Ma il suo giudizio non è tenero neanche nei confronti di re Enrico III, accusato di eccessiva debolezza verso il pontefice e di scarso realismo politico. E decisamente negativo è il quadro dell'azione degli Ordini mendicanti (Francescani e Domenicani). Anche se M. mostra sincera ammirazione nei confronti di Francesco d'Assisi e se apprezza la povertà e la semplicità che avevano caratterizzato tali Ordini ai loro inizi, il cronista rimprovera loro aspramente di essersi fatti 'agenti' del papa, sia nella raccolta dei fondi per la crociata, sia nella propaganda antimperiale.

Più complesso e sfumato è il ritratto di Federico II. L'imperatore viene ammirato per la cultura e per le capacità politiche e militari. Le accuse che la Curia pontificia rivolge contro di lui vengono riferite sempre con notevole scetticismo, se non con aperta critica, perché formulate da un papato che non gode della fiducia del monaco inglese. Ma M. non è per questo disposto ad accettare il programma di 'riforma' della Chiesa proposto dall'imperatore ormai scomunicato; le sconfitte sul campo che segnano gli ultimi anni del regno di Federico contribuiscono inoltre a ridimensionarne la statura agli occhi del monaco cronista. È inoltre percepibile un cambiamento nel giudizio negli anni successivi alla morte di Federico. Quando M. riprende i temi già trattati nei Chronica Majora per inserirli nella sua Historia Anglorum, si nota infatti un deciso cambiamento di prospettiva. Meno duro è il giudizio sui pontefici (forse anche in seguito alla morte di Innocenzo IV nel 1254) e su re Enrico III e meno positivo il ritratto di Federico, quasi che l'autore ‒ nei suoi ultimi anni di vita ‒ avesse sentito il bisogno di riconciliarsi con la Chiesa e la monarchia che aveva tanto a lungo criticato.

Fonti e Bibl.: opere di M.: Chronica Majora, a cura di H.R. Luard, in Rerum Britannicarum Medii Aevi Scriptores, LVII, 1-7, London 1872-1883 (il sesto tomo contiene l'edizione del Liber additamentorum); HistoriaAnglorum, a cura di F. Madden, ibid., XLIV, 1-3, ivi 1866-1869 (il terzo tomo contiene l'Abbreviatio chronicorum Angliae, pp. 159-348); Vie de Seint Auban. A Poem in Norman-French, a cura di R. Atkinson, ivi 1876. Le altre opere agiografiche sono state ripubblicate in data più recente: Vita beati Edmundi, a cura di A.T. Baker, "Romania", 55, 1929, pp. 342-381; La estoire de Seint Aedward le Rei, a cura di K.Y. Wallace, Paris 1983. Un interesse particolare hanno destato le carte geografiche disegnate da M. che sono state pubblicate più volte, per cui v. K. Miller, Mappaemundi. Die ältesten Weltkarten, III, Stuttgart 1895, pp. 68-94. V.H. Galbraith, Roger Wendover and Matthew Paris, Glasgow 1944; W.R. Thompson, The Image of the Mendicants in the Works of Matthew Paris, "Archivum Franciscanum Historicum", 70, 1977, pp. 3-34; R. Vaughan, Matthew Paris, Cambridge 19792; H.-E. Hilpert, Kaiser- und Papstbriefe in den 'Chronica Majora' des Matthaeus Paris, Stuttgart 1981; Id., Zu den Prophetien im Geschichtswerke des Matthaeus Paris, "Deutsches Archiv", 41, 1985, pp. 175-191; S. Lewis, The Art of Matthew Paris in the 'Chronica Majora', London 1987; The Illustrated Chronicles of Matthew Paris. Observations of Thirteenth-Century Life, a cura di R. Vaughan, Cambridge 1993; N. Kersken, Geschichtsschreibung in Europa der 'nationes'. Nationalgeschichtliche Gesamtdarstellungen im Mittelalter, Köln-Weimar-Wien 1995, pp. 239-248; A. Sommerlechner, Stupor mundi? Kaiser Friedrich II. und die mittelalterliche Geschichtsschreibung, Wien 1999, ad indicem.

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